Riflessioni Sistemiche n° 24


Educazione e Formazione:
livelli, problemi e prospettive

Trasformarci per trasformare la scuola e viceversa


di Susan E. George

Università di Pisa, facilitatrice, rabdomante 

di Susan E. George


Università di Pisa, facilitatrice, rabdomante 

Sommario
Un tentativo di trasformare l’università; la ricerca di strumenti diversi; la scoperta di organizzazioni apprendenti e della Teoria U a Boston. Il loro uso in una scuola secondaria italiana e in una scuola di pallavolo in Toscana

 

Parole chiave
Cambiamento, Organizzazione Apprendente, Teoria U, Scuola, Università, Sport

 

Summary
An attempt at reforming the Italian University; the search for alternative instruments for change; the discovery of learning organizations and the Theory U in Boston; their use in an Italian secondary school and a volleyball school in Tuscany

 

Keywords
Change, Learning Organizations, Theory U, School, University, Sport

 

 

Guardate gli occhi del pubblico quando Ezio Bosso dirige la sua orchestra, o gli occhi dei musicisti che suonano La Cura con Franco Battiato, o quelli di Domenico Iannacone quando parla con un diseredato che lavora per il bene comune!  Questo è il cuore palpitante, vulnerabile dell’Italia, un cuore che quasi si vergogna di farsi vedere.  Un ammiraglio italiano un giorno mi accusò: “Voi inglesi fate il 20% di buono e lo spacciate per l’80%, noi facciamo l’opposto”. Con questo saggio vorrei ribaltare la percentuale, facendo vedere alcuni tentativi dell’università e della scuola di riformarsi e di riformare ciò che è intorno.  Non sono prove facili, ma illustrerò ciò che diceva Kurt Lewin: per conoscere un sistema, bisogna provare a cambiarlo.  E, aggiungo io, forse, conoscendolo meglio, si potranno individuare le leve per il suo cambiamento.  Qui esaminerò un possibile utilizzo della Teoria U del Presencing Institute di Boston come strumento di riflessione, di consapevolezza e di azione.  Mi servirò della mia esperienza trentennale di inglese in Italia, non per narcisismo (spero) ma perché permette un gioco di specchi rivelatori. Gioco sempre una doppia partita in bilico fra diverse interpretazioni dei due sistemi: vedo bene i punti ciechi italiani e tuttora meno bene quelli inglesi anche se la Brexit mi aiuta a svelarne alcuni.  L’Italia mi sembra alla permanente ricerca di un centro di gravità. Ne ho fatto le spese, ma il viaggio è stato inebriante.


Il sistema che non sa vedersi 

Volevo rimanere una ricercatrice teatrante che saltellava ai margini del sistema formativo italiano ma mi sono trovata costretta a salire la gerarchia universitaria per garantirmi lo spazio di esistere e fare ciò che volevo.  Non avevo nessun desiderio di diventare docente universitaria - un ruolo che mi sembrava esigesse autorevolezza ed una visione assertiva del mondo. 

 

Ero invece piena di dubbi e amavo giocare con prospettive e contraddizioni diverse. Comunque, per una serie di incomprensioni interculturali, mi sono trovata nel 2002 presidente di un nuovo corso di laurea Comunicazione pubblica, sociale e d’Impresa a Pisa. Era un corso di ben quattro facoltà: lingue, lettere, scienze politiche, economia e del Dipartimento di informatica. “La patata più bollente dell’ateneo” diceva un pro-rettore e non capivo perché.  Mi sembrava una bellissima occasione di esplorazione e di contaminazione.  Dovevamo comunicare l’università al territorio e il territorio all’università, almeno così pensavo.

Il corso era stato fermamente voluto da Luciano Modica, il compianto Rettore di Pisa, nel suo tentativo di rompere gli steccati disciplinari in ateneo ed obbligare le facoltà ad affrontare i problemi contemporanei dell’Università e della società italiana, invece di concentrarsi quasi esclusivamente sull’assegnazione di posti.

Modica aveva immaginazione e sapeva collocare l’università italiana in un contesto europeo. Era stato presidente della CRUI (Conferenza dei Rettori dell’Università Italiana) e membro di commissioni universitarie europee e aveva collaborato alla riforma Berlinguer per trasformare le lauree quadriennali italiane in una laurea triennale + la specialistica di due anni. Lo scopo era preparare gli studenti italiani ad affrontare la concorrenza con laureati europei che avevano corsi triennali. Per attuare questa riforma a Pisa erano stati creati posti di coordinatore didattico col compito di snellire i problemi burocratici e rendere più trasparenti i rapporti fra docenti, amministrazione e studenti.  Modica vedeva i punti ciechi del sistema e li attaccava con forza insieme ad una squadra di pro-rettori brillanti. Peccato che poi, diventato Senatore, è andato a Roma nella speranza (delusa) di completare la riforma universitaria nel contesto del MIUR.  E così siamo rimasti in mano a nani senza la sua visione alta, generosa, concreta.

Noi docenti del nuovo progetto sentivamo comunque tutta la responsabilità di inventare e portare avanti un nuovo corso di laurea. Eravamo un gruppo stranamente assortito, tutti un po’ al di fuori degli steccati disciplinari, forse il motivo per cui ci siamo ritrovati lì. Non era certo un buon passaporto per la carriera con concorsi strettamente regolati da fedeltà mono-disciplinare.  Però, insieme, abbiamo preso lo scheletro del corso di laurea fornitoci da una commissione, aggiunto polpa e portato il risultato ai futuri datori di lavoro. Questi erano entusiasti del loro coinvolgimento e delle nostre proposte. “Mandateci i vostri laureati”, dicevano, “non fate far loro altri due anni di specializzazione, perché a 22 anni, con la laurea triennale, sono ancora sufficientemente flessibili e curiosi da poter essere indirizzati da noi”.

Abbiamo pianificato il corso in modo collegiale soprattutto il primo anno con l’inclusione di un laboratorio di comunicazione faccia a faccia tenuto da docenti e registi del Teatro

Verdi. Ci siamo abituati a pensare alla laurea nel suo insieme e a fare progetti collettivi al secondo anno (Livorno400: 14 trasmissioni televisive fatte dagli studenti per gli studenti labronici per celebrare il 400esimo anniversario della fondazione della città; Cisternino2020 un primo progetto di democrazia partecipativa della Regione Toscana che ha vinto una menzione nella European Public Administration Award); e al terzo anno a collegare strettamente i tirocini alla tesi nei tre curricula pubblico, sociale e d’impresa. La nostra intenzione era non solo di parlare di comunicazione ma di essere, noi stessi, un modello di comunicazione, ambizione non facile da realizzare in un contesto inter-facoltà.

Volevamo formare persone capaci di correre rischi, di fare domande, di conoscersi e di essere curiose degli altri. Ci siamo riusciti: più studenti tra quelli nostri sono andati in Erasmus di quelli della Facoltà di Lingue. 

In occasione della Giornata di Orientamento per le scuole superiori, i nostri laureandi riuscivano a fare una sintesi del percorso di laurea meglio di noi docenti con la nostra prospettiva mono-disciplinare.  Consegnavano con orgoglio le loro tesine e la tesi del terzo anno, una tesi che esaminava un punto teorico confrontato con la loro esperienza di tirocinio.

Le nostre sedute di laurea erano sorprendenti. Tutti e cinque i docenti leggevano la tesi e di conseguenza il laureando doveva rispondere a domande da plurime prospettive disciplinari.  Spesso davano un contributo anche i responsabili dei tirocini in azienda e in P.A.  Questa modalità piaceva a tutti: diventava l’occasione di una profonda discussione pubblica, un vero coronamento di un percorso di studi, un anello di congiunzione fra università, pubblica amministrazione, impresa e territorio.

A dire il vero per collaudare questa modalità, ci è voluto del tempo: dovevamo abituarci, noi docenti, a stili di presentazione diversi fra loro: powerpoint veloci della Facoltà di Economia, ampi discorsi della Facoltà di Lettere. Inoltre, nello stesso periodo si stava discutendo della gestione della nuova specialistica Sistemi e progetti di comunicazione, impostata di nuovo in modo collegiale, con un tirocinio di sei mesi collegato ad un punto teorico emerso dai sistemi complessi trattati in quattro discipline: economia, filosofia, scienze politiche, informatica. Sia la Facoltà di Lettere che curava il curriculum pubblico, sia la Facoltà di Economia che curava il tirocinio d’impresa al terzo anno volevano gestire la specialistica e i docenti si trovavano imbarazzati dalla lotta fra presidi.  Alla fine, ha prevalso la Facoltà di Economia, decisione saggia, dato che la maggioranza degli studenti sceglieva il curriculum d’impresa.

Così i due corsi sono andati avanti fino al 2010 quando la specialistica, la più grande dell’ateneo, è arrivata a 180 studenti. La nostra formula di coniugare teoria e pratica risultava vincente: diversi studenti della specialistica trovarono addirittura lavoro prima di finire gli studi. Nonostante tutto ciò il Senato decise quell’anno di chiudere quasi tutte le lauree inter-facoltà. Il preside della Facoltà di Lettere voleva il primo livello, quello di Scienze Politiche il secondo. Il preside di Economia voleva concorrere per diventare Rettore e non voleva distrazioni e quello di Lingue voleva che rientrassi in Facoltà.

 

Non diedi battaglia in modo eclatante, sapevo che, senza i fondi espressamente dedicati al nostro corso, non sarebbe stato possibile pagare il Laboratorio di Comunicazione al primo anno.  E quel laboratorio era il perno del corso di laurea perché i docenti del Teatro

Verdi riuscivano a fare da tramite fra scuola e università, ad aiutare gli studenti ad immaginare posizioni diverse dalle loro, ad essere agili nei discorsi pubblici e soprattutto ad assumere la responsabilità per il loro percorso.  Era il momento intimo e, allo stesso tempo, collettivo del primo anno e li impostava per i tre anni e oltre. Senza quel laboratorio gli studenti non sarebbero cambiati. E senza cambiare le persone che abitano un sistema, il sistema non può cambiare. 

 

Per decisione del Senato Accademico il primo livello è andato a Lettere e il secondo a Scienze Politiche, smantellando così, senza il dialogo fra facoltà, il progetto culturale originale.

Noi docenti, studenti e amministrativi abbiamo risposto con la pubblicazione di una narrazione polifonica del corso di laurea “La Nave dei folli, verso nuove rotte nella formazione universitaria” Pisa University Press 2013. Il libro si è scritto praticamente da solo, perché avevamo condiviso il percorso…

 

Mi sono spesso chiesta perché il nostro progetto non fosse stato visto ed apprezzato dall’università, al suo interno, dato che dall’esterno erano arrivati i complimenti dai valutatori della CRUI (4/4 per il nostro percorso formativo, il migliore dell’ateneo), dal Comitato dei Garanti, dai datori di lavoro, dai responsabili dei tirocini. Il nostro corso sarebbe potuto essere utile all’ateneo, ma, paradossalmente, non siamo riusciti a comunicarne il valore. È difficile avere l’energia per stimolare la trasformazione degli studenti e anche quella del sistema che li circonda.

 

 

 La ricerca del cambiamento verso la U 

Mi sono imbattuta nella teoria U, per caso. Già affascinata dal lavoro di Peter Senge e della sua Society for Organizational Learning, trovo, nel 2015, un evento aperto al MIT coordinato da Otto Scharmer, fondatore del Presencing Institute, dove Senge parlerà. Senge, docente della Sloan School of Management di MIT è ambientalista, buddista e alunno di Jay Forrester, l’ingegnere che aveva inventato il primo computer IBM e modellato le simulazioni per la prima analisi del disastro ambientale mondiale in cui siamo immersi oggi (“The Limits to Growth” Meadows 1972). Forrester non soltanto ha fondato System dynamics ma consigliato ai giovani colleghi non tanto di occuparsi dei sistemi dinamici ingegneristici ma di quelli umani perché è nei dialoghi all’interno di aziende che si annidano modelli mentali diversi che portano spesso ad incomprensioni. Senge segue questo filone mettendo a confronto le differenze di premesse all’interno di organizzazioni e anche fra organizzazioni come NIKE e OXFAM.  In questo modo le obbliga a confrontarsi e a riflettere sulla loro responsabilità in un pianeta che dimentica i limiti alla crescita.

Senge è quindi l’aggancio per me.  Creare delle organizzazioni che vogliono imparare ad apprendere, non era stato questo il nostro tentativo a Pisa?

 

 

Trovo anche molto di più.  Marian Goodman, docente del Presencing Institute, ci dà il benvenuto al “Massachusetts Institute of Technology of ‘lurv’”.  Sì, il suo accento sudafricano prolunga il suono della parola “love” essendo consapevole del paradosso di parlare di amore in un contesto competitivo ed orgogliosamente accademico come il MIT, ma è di amore che si tratta!

Il paradosso mi intriga e mi iscrivo in autunno al primo Massive Open Online Course impostato da Scharmer con colleghi del MIT e del Presencing Institute fondato da lui nel 2005.  Il corso si chiama “U.lab: Transforming Business, Society and Self” e sembra essere rivolto proprio a noi. Scharmer per prima attacca la nostra mentalità a silos: il fatto che dividiamo tutto invece di renderci conto che i problemi sono connessi.  Affronta quello che chiama le nostre “disconnessioni”: con la Natura, con la Società e, ancora più sorprendente, col nostro potenziale più alto.  Quest’ultima disconnessione sembra nascondere una speranza perché se possiamo galvanizzare le cose più alte in noi, forse sarà possibile fare qualcosa…

Situa subito il problema chiedendosi come mai individualmente siamo insoddisfatti di come vanno le cose, ma collettivamente siamo incapaci di fare qualcosa.  L’ambizione del MOOC è infatti di creare una comunità di agenti del cambiamento, diventando globalmente e localmente più connessi e più potenti. Vuole salire quindi di scala: dal confronto fra imprese e ONG di Senge alle persone di buona volontà nel mondo, usufruendo dei mezzi digitali attualmente disponibili.

Però non bastano questi mezzi, ci vuole anche un cambiamento di strumenti e del nostro “mind and body set”.

Suggerisce di girare il telescopio di Galileo Galilei dalle stelle verso di noi, argomentando che le regole rinascimentali devono mutare da:

“Non sia permesso di entrare in questo luogo (la Scuola di Atene) a colui che non conosce l’aritmetica e la geometria”, a

“Non sia permesso di entrare in questo luogo (la Scuola) a chi non vede che i problemi là fuori sono lo specchio dei problemi qui dentro”.

La trasformazione deve quindi essere dentro di noi e essere sia individuale che collettiva.

 

Propone una discesa nella forma della U dove apriamo mente, cuore e volontà e scopriamo chi siamo e quale è il nostro ruolo sul pianeta. 


Figura 1 - I tre movimenti della U - Brian Arthur


Propone le tre tappe suggerite dal biologo cognitivo, buddista cileno, Francisco Varela e riproposto da Brian Arthur: sul lato sinistro: “osservare, osservare, osservare”; in fondo alla U:” ritirarsi a riflettere”; sul lato destro: “agire in un istante” e le declina in “Vedere con occhi freschi, Sentire dal territorio sul lato sinistro; Connettersi alla Fonte in fondo alla U; Cristallizzare visione e intenti, Prototipare il nuovo unendo testa, cuore e volontà e Realizzare sul lato destro.

 


Figura 2 - Teoria U, passi - Luigi Spiga (2014)

Per ogni tappa ci sono attività e i partecipanti sono invitati a fare un viaggio lungo la U – a fare un tuffo profondo, difficile, ma anche inebriante nella loro consapevolezza.  Non sarà un viaggio solitario perché gli altri diventeranno degli specchi plurali di quello che le persone sono e di quello che potrebbero essere.  Infatti, l’auspicio è di creare una leadership collettiva, dove le persone si sentano non più degli atomi separati, schiacciati da un individualismo sfrenato, ma parte di un tutt’uno. Scharmer accompagna la discesa nella U, curando la capacità di ascolto e di osservazione dei partecipanti attraverso i quattro livelli di ascolto: il primo: i convenevoli dove si sa in anticipo ciò che verrà detto: il secondo: la trasmissione di informazioni fattuali che vengono inquadrate nelle rispettive cornici di interpretazione (è d’accordo con me o si oppone?); il terzo: un approccio empatico dove si capisce da dove parte l’altro emotivamente e il quarto: un ascolto generativo dove tutti contribuiscono e le idee sembrano venire da una Fonte superiore.

 

Scharmer suggerisce ai partecipanti per prima cosa di osservare come ascoltano e come vengono ascoltati durante le riunioni. Propone diverse attività di ascolto: una “camminata empatica” con un collega dove uno si spiega per cinque minuti e l’altro ascolta senza intervenire e poi si scambiano i ruoli; “un’intervista ad un portatore di interesse” dove ci si concentra sulle necessità del portatore di interesse più che su quelle dell’intervistatore; il case clinic (coaching circle), un incontro fra 4-5 pari. Questo ultimo è un gioiello perché è alla portata di tutti e necessita di poca preparazione. È un’occasione per osservare ed ascoltare l’altro con intensità e segue proprio l’andamento della U.

 

Una persona illustra un caso per lei problematico, ma dove potrà incidere sul risultato. 

Racconta in dieci minuti il problema; in cinque minuti i coach (i pari) fanno domande di chiarimento, ma non offrono suggerimenti; per tre minuti si sta in silenzio per ritirarsi e riflettere sulle emozioni, le metafore, la gestualità dell’illustratore e sull’effetto che queste hanno avuto su di loro.  Nei seguenti dieci minuti i coach restituiscono in parole o gesti ciò che hanno visto e sentito.  L’illustratore ha poi dieci minuti per accogliere o commentare i diversi rispecchiamenti. Le prime fasi sono rigorosamente scandite nel tempo, ma l’ultima è libera, ed è la parte del dialogo che può essere generativa perché qui traboccano suggerimenti, ricordi, osservazioni.  Di solito il cerchio è potente, e se si riesce a dare l’occasione a tutti “i pari” di raccontare un caso, il piccolo gruppo si rafforza, si impadronisce del metodo e si apre sempre di più.

 

Dopo questi allenamenti all’ascolto Scharmer propone di fare un viaggio di apprendimento nel territorio verso l’esterno per sentire un sistema che ci interessa. Suggerisce di scegliere 9-12 ruoli presenti nel sistema. Tre sono obbligatori e corrispondono alle tre disconnessioni presentate inizialmente: la terra (Natura), il gruppo più emarginato (Società), il potenziale più alto del sistema. Se il sistema è la scuola, bisogna prima riflettere su chi è ai margini del sistema e decidere come intervistarlo. Dopo si potrà decidere quali sono gli altri ruoli pertinenti e procedere alle interviste. Una volta fatte queste, si potrà tornare insieme per mappare il sistema, arricchiti da tanti punti di vista nuovi. Così non siamo più concentrati solo sul centro, su noi stessi, ma siamo consapevoli della periferia.

La mappatura di solito procede in questo modo: Il coordinatore accoglie i ruoli proposti dal gruppo e li chiama in ordine di potere. Le persone presenti scelgono un ruolo e si posizionano all’interno di un grande cerchio, dicendo una frase dalla prospettiva di quel ruolo. Quando tutti hanno trovato uno spazio consono, il facilitatore dice “Scultura 1”, si fa una pausa (dopo tutto, siamo in fondo alla U) e poi il “corpo” del gruppo si muoverà per fermarsi eventualmente in una scultura 2.  Ogni ruolo dice di nuovo una frase dalla prospettiva della nuova posizione. Anche il pubblico, di solito circa 12 persone, dice una frase di osservazione.  Con questa mappatura un linguaggio comune viene creato e possibili leve del cambiamento vengono viste. Così il sistema comincia a vedere se stesso.

 

Le attività di Scharmer incidono soprattutto sulla mente: sul nostro modo di vedere e di ascoltare, quelle di Arawana Hayashi, coreografa, maestra Shambala, attivista, e fondatrice del Presencing Institute, partono dal corpo.  Se le attività di Scharmer sono affascinanti, quelle di Arawana sono spiazzanti. Lei si concentra sul momento in fondo alla U quando si va più in profondità. Parte dalla convinzione che bisogna fidarsi del “non sapere”, curando lo spazio del vuoto che il gruppo colmerà se le sue antenne saranno sintonizzate sulle possibilità future e non sulle ansie del presente o del passato.  Si fida della saggezza del corpo e del gruppo. Il suo Social Presencing Theater (SPT) non ha niente a che fare con un teatro performante, è piuttosto il gruppo che deve imparare a stare insieme, a scoprire un sapere intelligente, emozionale, collettivo.

 

Arawana chiede alle persone di entrare nel loro corpo e di pensare solo a quel corpo in quel momento. Il corpo si muove e si ferma, prima sdraiato, poi in piedi, facendo piccolissimi gesti di movimento. In questo modo simula la Natura che talvolta cresce, altre volte riprende fiato ed energia; ti radica alla terra, ma sentendoti sospeso al cielo. Entrando sempre più nei nostri corpi, Arawana ci chiede di incarnare, col corpo, un blocco della nostra vita e poi di vedere dove il corpo vuole andare.

 

Ci si sposta quindi da una struttura 1 (il blocco) ad una struttura 2. 

Questo spostamento non vuol dire necessariamente “sbloccarsi”, quel che conta è il movimento e la possibilità di accedere alla miniera di informazioni contenuta nel passaggio da 1 a 2. Poi si fa la stessa cosa in gruppi. Qui la persona col blocco organizza gli altri nello spazio con la persona in mezzo, rendendo così il blocco visibile. Dopo una pausa di nuovo si fa il passaggio da una struttura 1 ad una struttura 2. Talvolta il movimento da 1 a 2 è diverso nella forma collettiva del gruppo da quello fatto singolarmente.  Così nuove possibilità vengono intuite.  Questo passaggio è lo stesso di quello attivato durante la mappatura descritta sopra.  Se si fa la mappatura dopo un allenamento corporeo di questo tipo, ancora più sorprese possono emergere.

 

Mi chiedo come avrei potuto usare la Teoria U a Pisa.  Senz’altro avrei invitato gli studenti e i colleghi più giovani a sperimentare gli esercizi di ascolto, di mappatura e di SPT; con i colleghi più grandi, mi sarei fermata ai case clinic e ad una mappatura senza SPT. Sarebbe stato utile proporre le stesse cose ai presidi e ai pro-rettori invitando anche i datori di lavoro, alcune famiglie e studenti per obbligare tutti a vedere il sistema da plurali punti di vista…Sono tecniche rivelatrici.  Penso che l’Università se ne gioverebbe. Chissà se qualcuno avrà il coraggio o l’incoscienza cosciente di farlo in diversi atenei un giorno…

 

 

 

La U in Italia

 

Adesso ovunque in Italia ci sono rivoli della Teoria U. Qui presenterò solo due esempi pertinenti per la formazione: uno a Mantova in due istituti tecnici (il Fermi e il Mantegna) e l’altro in una scuola di sport per adolescenti vicina a Livorno.

 

 

La classe inclusiva

 

Il primo è il Progetto di educazione tra pari “La classe inclusiva” proposto da Bruno Miorali, un insegnante di sostegno. A seguito di un’introduzione alla Teoria U durante la scuola estiva “Paesaggi Educativi” di Gabriella Giornelli e della partecipazione del MOOC del 2018, Miorali rielabora tutti gli spunti possibili. Vuole promuovere l’intelligenza collettiva della classe attraverso una leadership orizzontale e, allo stesso tempo, migliorare le relazioni fra i principali soggetti della scuola: docenti, studenti, famiglie. Coinvolge alcuni docenti della scuola e forma un gruppo responsabile del progetto: un docente e due rappresentanti di classe che fanno da collante dei vari pezzi del percorso.

 

Instaura quattro percorsi paralleli che si intersecano tra di loro: incontri di classe su emozioni, valori, gruppi di case clinic, SPT; un percorso formativo di docenti per docenti che si confronta con le idee emergenti dagli studenti; incontri di un gruppo di mutuo aiuto inter-istituto con genitori di alunni “certificati” e un gruppo di narrazione composto da docenti e genitori coinvolti nel progetto. 

 

L’immagine che Miorali presenta della scuola è terrificante. La contestualizza all’interno delle tre disconnessioni di Scharmer, ridefinendole drammaticamente come “fratture” e parafrasandole in modo accessibile a docenti, studenti, genitori.

L’attuale crisi umana, secondo la teoria elaborata dal Presencing Institute, nasce da 3 fratture: 

 

-          la frattura con la natura, che si manifesta con la distruzione progressiva della natura;

-          La frattura con gli altri, che si sviluppa soprattutto con rapporti sociali ingiusti e tante solitudini

-          La frattura con il sé, che si manifesta con esaurimento e depressione, con la perdita di senso.

Il suo cruccio è che la scuola stia diventando una fabbrica burocratica di moduli senza attenzione per la vita vera e che è sempre di meno un luogo dove tutti apprendono dagli altri. 

Spiega che durante il progetto:

“…è emersa prevalentemente la consapevolezza della crisi delle relazioni umane, come crisi di valori e di ruoli. Anche la crisi della relazione col Sé viene spesso avvertita dagli studenti sotto l’aspetto della fiducia in sé stessi e di determinazione nel perseguimento di obiettivi di autorealizzazione; la crisi del docente emerge soprattutto come crisi di un ruolo tradizionale dietro la quale si avverte un vuoto che le proposte di cambiamento burocratico (apparentemente costruttive) calate dall’alto, non fanno che accentuare. Sullo sfondo di questi due soggetti emerge una famiglia che oscilla fra il ruolo di comparsa passiva del teatro scolastico e gruppi whatsapp parasindacali pronti a mobilitarsi contro i prof cattivi di turno.”

E afferma:

“Un reale processo di cambiamento richiede il riconoscimento reciproco di queste componenti scolastiche; tale riconoscimento parte da un dialogo reale che non potrà mai essere mediato dalle strutture sempre più verticalizzate della scuola. Questo dialogo impone all’organizzazione del  lavoro lo spostamento dell’attenzione dalle procedure alle relazioni; il percorso può essere realizzato solo da soggetti collettivi consapevoli e capaci di produrre, innanzitutto, cambiamenti diretti a ricomporre le fratture esistenti; i gruppi di dialogo formati fra genitori, docenti e studenti possono rappresentare quelle strutture di presidio flessibili utili, secondo Federico Butera, ad affrontare l’incertezza dei processi di coordinamento odierni.”

Propone per i ragazzi un programma di incontri espresso in modo accessibile, questa volta dal loro punto di vista:

 

… “si intende lavorare su:


1)    Identità culturale - esprimo e condivido i miei valori.

2)    Identità sociale - condivido le regole della buona convivenza civile.

3)    Identità competente - sviluppo le mie capacità di apprendimento e …

4)    Consapevolezza emotiva - miglioro la regolazione delle emozioni.

5)    Comunicazione empatica - cerco di comprendere affetti, pensieri ed emozioni altrui.

6)    Mediazione dei conflitti - so resistere alle pressioni e risolvere i conflitti.

7)    Appartenenza - sono in grado di considerare le prospettive della comunità scuola.

8)    Partecipazione - partecipo all’elaborazione di proposte a livello di comunità.”

(Miorali B., 2020)

L’intento è di passare dai valori all’elaborazione delle regole (1 e 2); dalle regole alle competenze condivise (3); dalla lettura delle emozioni alla relativa autoregolazione (4 e 5); e infine al pieno senso di cittadinanza della scuola con la possibilità di fare proposte per il suo miglioramento (7 e 8).

Miorali sa che 6-7 incontri non sono sufficienti per abituare i ragazzi ad una leadership collettiva ma chiede ai docenti coinvolti di continuare il metodo acquisito durante le lezioni e agli studenti di usarlo durante le assemblee di classe. 

Mentre gli studenti fanno esercitazioni sulle regole, sulla regolazione delle emozioni, sull’empatia, sulla gestione del conflitto, i genitori si incontrano nei gruppi di mutuo aiuto e i docenti nei gruppi formativi.

Per stimolare la consapevolezza emotiva e la comunicazione empatica si utilizza soprattutto il case clinic, dove gli studenti rimangono entusiasti di poter raccontare i loro problemi e i loro sogni in modo strutturato.  E come preparazione all’appartenenza della comunità scuola si usa la mappatura corporea del sistema scuola col Social Presencing Theater, durante la quale gli studenti incarnano tutte le figure della comunità scolastica (compagni, docenti, preside, studenti, famiglie, bidelli, ecc.) entrando in empatia con loro. Decidono, come criterio di emarginazione, la disabilità e una ragazza che ha difficoltà a parlare offre di essere lei stessa il soggetto di un’intervista al portatore di interesse prima della mappatura. Durante l’esercitazione infatti emergono le situazioni dei ragazzi con fragilità, certificate o meno, e anche disagi degli altri legati al vissuto scolastico.

Prima della mappatura corporea viene fatto un serio riscaldamento corporeo con movimenti piccoli e pause.  La mappatura permette a tutti di ampliare la loro nozione della comunità scuola e di cominciare a stabilire un rispetto reciproco fra ruoli.

Lo scopo è effettivamente di creare un terreno di fiducia e alla fine di educare alla reciprocità.  Ogni fase viene verbalizzata e si arriva in fondo con diverse proposte che saranno utilizzate durante un Open Space Technology (incontro finale fra docenti, genitori, e rappresentanti degli alunni divisi in gruppi tematici per produrre un documento contenente le aspirazioni di cambiamento della scuola). Questo evento viene organizzato con l’aiuto di esperti delle associazioni cittadine e il documento conclusivo viene diffuso in città nella speranza di stimolare un più ampio senso di comunità e di presentare la scuola come cuore pulsante del territorio. Nel maggio dell’anno scorso questi gruppi tematici, chiamati anche gruppi di dialogo, hanno elaborato il documento “Educare alla reciprocità”, dove sono stati presentati i problemi principali emersi durante le attività progettuali dei mesi precedenti (il dialogo scuola-famiglia, l’accompagnamento al lutto, una didattica che abbia al centro l’alunno …). Quest’anno sono emersi nuove priorità, la socializzazione degli alunni con fragilità, il dialogo fra generazioni e culture diverse, l’educazione emotiva, l’utilizzo dei social…

 

 

 

La scuola di pallavolo a Livorno

 

Il secondo progetto ha luogo fuori dalla scuola.  È tenuto da Maurizio Giacobbe, ingegnere, docente in pensione da un ITIS di Livorno e coach di pallavolo.  Ha insegnato sistemi automatici per anni e si è innamorato della teoria U perché gli permette di mettere insieme ambientalismo e sistemi complessi. Si rende conto che è difficile reimpostare i rapporti all’interno di società sportive improntate esclusivamente alla competizione, e apre la scuola di Pallavolo Carl McGown a Fauglia (Pi) con la U all’interno del suo logo. Collabora anche con un’altra scuola a Livorno. Si serve della Teoria U, della Teoria Ecologica e della Teoria dei sistemi dinamici, riassunte nella tabella sotto:

 

 

ECO

 

La scuola nasce in una realtà sociale e territoriale (Ecosistema) con cui vuole crescere

 

 

ECO

 

Un Ego troppo grande crea problemi nello sport come nella società, Eco aiuta a Collaborare con compagni e allenatori, a imparare meglio, a divertirsi e sentirsi parte di una realtà più grande: una squadra, un club sportivo, una comunità (Teoria U)

 

 

ECO

 

La Gara è il modello di tutti i nostri allenamenti, con emozioni, regole e relazioni con compagni, avversari, allenatori, arbitri, dove giocatori e allenatori possono imparare a relazionarsi e interagire (Teoria Ecologica)

 

Come Miorali, Giacobbe vuole concentrare lo sguardo sui ragazzi, o piuttosto vuole che i coach imparino a mettere i ragazzi e non loro stessi al centro della loro attività. Insiste che la prospettiva dei ragazzi debba essere quella del gioco di squadra, non di individui e dimostra come questo gioco possa essere nutrito attraverso un’attenzione alle relazioni. Infatti, ciò che colpisce è la somiglianza fra i punti salienti del suo programma e quelli di Miorali: Valori, Conflitti, Regole, Leadership, Insegnamento, Gerarchia.

Mentre Miorali include la città nell’Open Space Technology, Giacobbe apre la sua attività ai coach nelle scuole in cui opera e ad altri allenatori, fornendo un manuale di insegnamento alternativo e la dimostrazione pratica di come introdurre i ragazzi ad un altro senso di società attraverso la scrittura collettiva delle regole della squadra. Queste regole si concludono col seguente testo e le firme degli giocatori e del coach.

 

“L’allenatore si impegna a tenere un comportamento etico e professionale, così da dare il massimo sostegno alla crescita personale e sportiva di ogni ragazzo e al suo senso di squadra, aiutando tutti ad assumere il principio etico sistemico

“A sta meglio se B sta meglio”

diventando consapevoli della interdipendenza tra tutti i membri della squadra, essendo questa un unico SISTEMA che funziona bene se i comportamenti di tutti e le relazioni sono di rispetto e collaborazione.

Queste regole scritte dai ragazzi dell’U15 del MVTomei, dopo averle discusse e condivise tra loro e con l’allenatore, saranno la guida dei comportamenti di tutti i componenti della squadra.

Firmare questo documento impegna ciascuno di noi, ragazzi e allenatore, a rispettare le Regole qui scritte. Questo costituisce un’occasione importante per costruire una vera squadra, unita, un contenitore sicuro e confortevole che permetta a tutti di crescere come persone e come sportivi.”

Mi piacciono in modo particolare le ultime righe:

“Resta inteso che le Regole sono fatte per le persone e non viceversa, per cui in qualunque momento ogni componente della squadra potrà chiedere di ridiscuterle. A quel punto la squadra intera si ritroverà per parlarne e trovare una nuova soluzione condivisa.” (Giacobbe M., 2021)

 

Si tratta quindi di una forma diversa di leadership e di partecipazione democratica.

 

 

 

Comunità educanti o apprendenti?

 

Spesso si sente parlare di “comunità educante”, ma non sarebbe più giusto parlare di comunità reciprocamente educante e apprendente? Nessuno è detentore della verità, tutti dobbiamo e possiamo imparare. Nei case clinic ho sempre imparato più dai giovani che dai miei coetanei…

 

Mi auguro che questa introduzione ad uno dei tanti metodi che possono aiutarci a ri-vedere noi stessi possa aiutarci a riflettere sulle nostre future azioni. Ovunque vedo dei piccoli e grandi tentativi di riformare parti dei sistemi. Una maggiore condivisione di proposte e di esperienze sarebbe utile. Purtroppo, i settori disciplinari continuano a dominare il reclutamento universitario, ma esistono delle esperienze come quelle nominate nell’elenco di Maurizio Giacobbe sulla formazione dei docenti e sui corsi basati sulla teoria dei sistemi complessi.

 

Comincia la contaminazione fra discipline (i dialoghi del Complexity Institute; il Festival della Complessità; la mostra di Stefano Mancuso e Fritjof Capra su Leonardo; la laurea honoris causa consegnata al Dalai Lama dal Dipartimento di Fisica di Pisa, la fondazione del Pari Centre a Pisa). E si vedono anche nuove modalità di far parlare le persone, per esempio, nei primi preparativi di un’assemblea cittadina sul cambiamento climatico dalla parte di Extinction Rebellion. E si trovano scuole che provano ad aprirsi, usando le risorse del territorio e molta immaginazione.  Tutti i lavori di Fedele Congedo vanno in questo senso; idem la sperimentazione di M. Rosaria Tartarico raccontata nella sezione Scuola Bene Comune di “Coltivare Partecipazione”. Idem il Premio Scuola Digitale 2021 vinto dall’ 1c del Primo Istituto Comprensivo “De Amicis-Milizia” di Oria (BR) che coniuga informatica e narrazione.

 

 

 

Sono tutti esempi di modi diversi di trasformare la Scuola e l’Università. Penso comunque che il segreto passi dalle parole di Franco Battiato:

 

“Nell’89 cantai in Vaticano, davanti a Giovanni Paolo II, e per l’emozione sbagliai le parole d’un brano. Attribuirono l’infortunio alla presenza papale. In realtà, ad emozionarmi, fu la reazione del pubblico: migliaia di ragazzi, così coinvolti nelle mie stesse vibrazioni da mandarmi, emotivamente, nel pallone. E allora dico: c’è, nella gente, un bisogno di spiritualità del quale i più non sono ancora consapevoli. Aspettiamo che venga alla luce”.  (Battiato F., 2005)

 

Riconosciamo questa enorme capacità dei ragazzi di rispondere alle vibrazioni, impariamo a creare organizzazioni dove ragazzi e bambini potranno vibrare e far vibrare anche noi adulti…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bibliografia

 

Battiato F., 2005. Intervista di Cesare G. Romana dal titolo “Battiato. Il centro di gravità è nel silenzio”, il Giornale.it, https://www.ilgiornale.it/news/battiato-centro-gravit-nel-silenzio.html

George S. E., 2013. La Nave dei folli, verso nuove rotte nella formazione universitaria, Pisa University Press.

Giacobbe M., 2018. Eco-Volley 4.0, in DiPiUinternational, aug 2018, pp. 10-11, https://issuu.com/u.labhubroma/docs/dipiuinternational_-_august_2018

Giacobbe M., 2021. Il Pensiero Sistemico: trasformare la scuola per innovare la cultura, l’economia, la società e realizzare così la sostenibilità. https://drive.google.com/file/d/1jBv8pILNAyil2OxhnWVwYLqltMNoHepK/view?usp=sharing.

Meadows D. H., Meadows D. L., Randers J., Behrens III W. W., 1972. The Limits to Growth, Universe Books, New York.

Miorali B., 2020. Progetto di Educazione tra pari “la classe inclusiva” - Itis Fermi Mantova documento interno.

Spiga L., 2014. Introduzione alla teoria U, Society for Organizational Learning Italy. https://www.slideshare.net/luigispiga/03-theory-u

 

Letture consigliate

 

Butera F., 2008. Il castello e la rete. Impresa, organizzazioni e professioni nell’Europa degli anni ‘90, ed. Franco Angeli.

Congedo F., 2020. Dialogando fra livelli di scuola con giovani disegnatori del futuro, in George S. E., Pignaris C. L., 2020, Coltivare partecipazione. Esperienze e processi partecipativi raccontati da AIP2. Ed. la Meridiana

Iannacone D., 2018. I Dieci Comandamenti, RAI.

Presencing Institute: https://www.presencing.org/

George S.E. & Pignaris C.L. a cura di, 2020. Coltivare Partecipazione, Esperienze e processi partecipativi raccontati da AIP2. 4° sezione Scuola Bene Comune, ed. La Meridiana.

Hayashi A., 2021. Social Presencing Theater: the Art of Making a True Move, Presencing Institute https://arawanahayashi.com/ Arawana Hayashi at Wisdom Together Oslo 2017.

Miorali B., 2019. Dai gruppi di ascolto all’empowerment comunitario nella scuola, AMA Mantova.

https://www.amamantova.it/wp/wp-content/uploads/2019/09/AMADIARIO_n5_2019.pdf

Scharmer, C.O., 2009. Theory U: Leading from the Future as It Emerges, Berrett-Koehler.

Scharmer, C.O. & K.Kaufer, 2013. Leading from the Emerging Future, Berrett-Koehler.

Scharmer, C.O., 2018. Teoria U, I fondamentali.  Principi e applicazioni, Guerini Next

Scharmer O., 2017, 7_Livelli di ascolto - parte 1, U.Lab Hub Roma. https://www.youtube.com/watch?v=JT01WzWU3pE&t=1s

Scharmer O., 2017. 8_Livelli di ascolto - parte 2, U.Lab Hub Roma. https://www.youtube.com/watch?v=vjUmxZ7ObVs&t=63s

Scharmer O., Hayashi A., 2017. 37- SPT- 4D mapping part 1, PI-Europe GMBH, https://www.youtube.com/watch?v=cIHyD6vDTzw

Scharmer C. O., 2018. Education is the Kindling of a flame: How to Reinvent the 21st. University, Researchgate.

Scharmer O., 2020. Ten Lessons from Covid for Stepping into the Decade of Transformation. https://medium.com/presencing-institute-blog/ten-lessons-from-covid-for-the-decade-of-transformation-ahead-73302926629e

Senge, P.M., 1990. The Fifth Discipline, Random House.

Senge, P.M.et al, 2000. Schools that Learn, Doubleday.

Tartarico, R., 2020. Sognare insieme ai ragazzi della scuola media, “pensando” con i piedi e le mani” in George S. E., Pignaris C. L., 2020, Coltivare partecipazione. Esperienze e processi partecipativi raccontati da AIP2. Ed. la Meridiana.