Riflessioni Sistemiche n° 24


Educazione e Formazione:
livelli, problemi e prospettive

Memoria e Connessioni.
Insegnare storia alla scuola primaria, in un’ottica di educazione alla complessità


di Silvia Montevecchi

Pedagogista, antropologa, cooperante internazionale,
insegna nella scuola primaria statale in provincia di Bologna.

Apartheid museum, Johannesburg

Sommario
La pre/istoria come disciplina imprescindibile per la formazione di menti consapevoli, capaci di analizzare e interpretare connessioni complesse e stratificate. Esempi concreti di lavoro con bambini di scuola primaria. Relazioni tra studio della preistoria, della storia, etica e politica. Ruolo fondamentale dell’insegnante in un momento cruciale come quello dell’incontro dei bambini con le contraddizioni del genere umano.


Parole chiave
Preistoria, Etica, Politica, Schiavismo, Cartografia, Evoluzione, Interdisciplinarità, Religioni, Antirazzismo.


Summary
The pre/history as an unescapable subject to build conscious minds, being able to analyze and understand complex and stratified links, Real examples of working with primary school children. Relationships among the study of prehistory, of history, of ethics and politics, Fundamental  role of teachers in such a crucial moment as when children meet the contradictions of human being.


Keywords
Prehistory, Ethics, Politics, Slavery, Cartography, Evolution, Interdisciplinarity, Religions, Antiracism.

 

L’insegnamento della storia alla scuola primaria è considerato ancora, molto spesso e incredibilmente, di serie B rispetto allo scrivere-leggere-far di conto. È questa una problematica su cui si sono svolte numerose ricerche e studi: penso ad esempio alla densa e interessante giornata di formazione dal titolo LA STORIA A SCUOLA OGGI, Questioni e metodi di insegnamento, che si tenne il 14 novembre 2019 a Bologna presso il Dipartimento di Storia, culture e civiltà, e nel quale si affrontò anche questo tema.

In realtà, per me che insegno alla scuola primaria, con un’impronta costantemente volta all’educazione alla complessità e tutto ciò che comporta, la storia è la disciplina che più di ogni altra contribuisce a formare il pensiero complesso, proprio per le sue caratteristiche intrinseche: difficile fare storia senza fare anche geografia, per esempio, senza parlare delle risorse ambientali di un territorio, senza fare tecnologia (la storia dell’uomo è inscindibilmente legata alle sue conquiste tecnologiche, dal chopper, alla ruota, alla nave a vela...), senza parlare di biologia: cosa si mangiava, come ci si procurava il cibo? Come cambia la vita con il passaggio all’agricoltura?

Senza parlare di religioni, che erano tutt’uno con l’organizzazione sociale e la quotidianità, e lo sono state per millenni.

La storia è la disciplina senza la quale non si può comprendere il presente, lo stato delle cose che ci circondano. Senza la quale non puoi orientarti nel mondo e capire chi sei e da dove vieni (né tanto meno dove puoi andare). In definitiva: è la storia che crea i prerequisiti per essere cittadino: attivo, partecipe, consapevole. E sono le competenze storiche che possono creare una “pellicola difensiva” contro l’analfabetismo funzionale.

Perché sono quelle maggiormente complesse, che implicano tutte quelle capacità di pensiero [logico, analitico, globale, circolare, continuo e discontinuo, simbolico e concreto, coerente e divergente, capace di cogliere i meccanismi di causa-conseguenza, ma aperto alle incertezze e alle infinite e contraddittorie possibilità, aperto tanto ai tempi lunghi quanto all’evenemenziale] indispensabili per vivere nel mondo con autocoscienza e responsabilità. Stupisce quindi che, ancora, se da un lato si vuole dare maggior vigore all’impegno per l’educazione civica, al contempo si stenti a riconoscere il nesso indissolubile tra lo studio del passato e l’azione sul presente, in vista di un futuro migliore.

 

  

Noi siamo... animali paleolitici

Negli ultimi decenni, chi si è dedicato allo studio del passato dell’homo sapiens in maniera interdisciplinare [mi riferisco ad autori come Jared Diamond, Luca Cavalli Sforza, Telmo Pievani, Guido Barbujani,... per citarne solo alcuni]  ha colto sempre più quanto il nostro presente sia determinato non solo (come per lo più si pensa, e come ancora la scuola insegna) dalle ultime fasi storiche dell’umanità, che così tanto vengono approfondite, cioè dall’inizio delle “grandi civiltà” in avanti, bensì proprio da periodi remotissimi, che sono durati milioni di anni.

A tutt’oggi, io vedo ancora diffusa una difficoltà enorme, e triste, nell’insegnare la preistoria alla scuola primaria. Vedo, soprattutto, che non se ne è capita l’importanza. Viene considerata come un periodo marginale, spesso addirittura mescolata per mesi con studi sul big bang o sui dinosauri! A volte sembra che ci sia persino una sorta di vergogna ad occuparsi di quel passato animale, che non lo si voglia ancora ammettere (eh, noi siamo superiori!), e così viene liquidato in poche settimane di letture in cui sintetizzare milioni di anni tra evoluzione dei primati, ominazione, posizione bipede, sviluppo del linguaggio, scoperta del fuoco, … rapido passaggio alla “invenzione” dell’agricoltura e poi come per magia ecco apparire, nei libri di quarta, le “grandi civiltà della mezzaluna fertile”. Capire i passaggi tra Lucy e, per fare un esempio, l’invenzione sumera della ruota, è quasi un optional.

Nulla viene detto poi sulla lenta colonizzazione delle terre più a nord della Mesopotamia e dell’Egeo, fino a quando non cominceremo a studiare (a seconda dei libri) i terramaricoli o i camuni, che ovviamente non si capisce bene da dove arrivino.

Bene, tutto ciò andrebbe davvero superato. Occorrerebbe per i docenti della primaria una approfondita formazione (sia universitaria sia in itinere) sulla preistoria umana, tanto più che dai tempi della riforma della periodizzazione della storia tra la primaria e la secondaria, essa è stata “spalmata” su un anno scolastico intero, e questo consente di fare un lavoro molto interessante. Occorrerebbe comprendere e far comprendere ai bambini le relazioni fondamentali che ancora ci sono tra il nostro passato più lontano, in cui vivevamo in piccoli clan tribali, dediti alla caccia e alla raccolta, e il nostro presente. E soprattutto andrebbero fornite analisi sulle implicazioni che ha avuto il passaggio dell’homo sapiens dalla caccia-raccolta all’agricoltura.

Nella mia esperienza educativa, ho sempre avuto modo di constatare che i bambini hanno sete di conoscenza, e a maggior ragione quando si parla di argomenti “grandi”. Molti bambini a 6-7 anni sanno già tante cose sul big bang, a volte anche sull’evoluzione della vita. Questo naturalmente dipende dagli stimoli familiari. In ogni caso, soprattutto grazie all’utilizzo della LIM, oggi abbiamo la fortuna di poter affrontare in classe anche argomenti complessi usufruendo di un ampio corredo multimediale, e i bambini sono sempre “rapiti” da ciò che costituisce una prima risposta alle fatidiche domande esistenziali “chi siamo, da dove veniamo...?”.

Ho notato tante volte che i bambini letteralmente “ammutoliscono” davanti ai filmati che raccontano l’origine della terra, delle acque, dei pianeti, il raffreddamento della crosta terrestre, i vulcani, e poco a poco l’origine della vita, l’evoluzione dei pesci, degli anfibi... fino ai mammiferi. Questo li aiuta a “collocarsi” nel tempo e nello spazio, per questo non trovo assolutamente prematuro trattare questi argomenti già con bambini più piccoli della classe terza. Per questo stesso motivo, trovo importante che - nonostante l’insegnamento della storia alla primaria si fermi alla storia romana - noi docenti formiamo alla lettura di tutta quella “linea del tempo” che va dal paleolitico fino a noi.

Quando vi fu la riforma dei periodi di insegnamento della storia tra la primaria e la secondaria di primo grado, credo vi sia stato un notevole smarrimento, sia da parte dei docenti (non formati, appunto, a spendere un anno intero sulla preistoria) sia da parte degli editori dei libri di testo.

Per alcuni anni, la preistoria fu spiegata in maniera spesso rabberciata, anche con notevoli errori (quelli per la verità ci sono ancora adesso: per esempio molti libri continuano a portare diciture tipo “homo sapiens sapiens” oppure “il Neanderthal era un sapiens”, solo per citare le più evidenti).

Negli ultimi anni posso dire che la media si è alzata, e i capitoli dedicati alla preistoria sui libri per la classe terza sono molto migliorati. Esiste quanto meno una NARRAZIONE della preistoria, che prima invece era spiegata in modo quasi solo didascalico, a brevi spot. In taluni casi viene anche problematizzata. Si cerca (non sempre ben inteso, dipende dalle edizioni) di far comprendere che lo sviluppo umano non è avvenuto in maniera lineare bensì “a cespuglio”: questo è un primo fondamentale aspetto per comprendere la COMPLESSITÀ del cammino dell’essere umano nel mondo, e per comprendere ciò che significa EVOLUZIONE, che tutto è tranne che lineare e progressiva. 

Quello sull’evoluzione però è un discorso ancora quasi pressoché assente ed è proprio su questo, invece, che voglio porre l’accento. È infatti uno degli argomenti per i quali scrivevo sopra che ancora non abbiamo colto l’importanza della preistoria nell’insegnamento alla scuola primaria.  Proprio in virtù della terribile separazione esistente tra conoscenze umanistiche e scientifiche nei nostri percorsi di formazione, ancora riesce difficile portare avanti un discorso sullo sviluppo umano che, per essere corretto, non può separare la cultura dalla natura.

Per insegnare la preistoria, abbiamo assolutamente bisogno di comprendere come si è evoluto l’essere umano per milioni di anni, cosa la sua uscita dall’Africa ha determinato, come si sono formate al contempo le diverse componenti genetiche e culturali, per adattamento ad ambienti diversi. Quelle componenti, cioè, che hanno portato ai milioni di lingue e di tradizioni culturali nonché alle differenze somatiche che noi abbiamo oggi sul pianeta. Abbiamo bisogno di comprendere e far comprendere che l’evoluzione avviene secondo ciò che biologicamente (all’animale uomo) conviene: ed è per questo che adottiamo modi di vita diversi (culture). Non tutti gli umani sono, per esempio, passati dallo stile nomadico della caccia-raccolta alla vita sedentaria dell’agricoltore, semplicemente perché il loro ambiente non lo consentiva, o non in maniera conveniente. Gli studiosi della preistoria hanno rilevato che ci sono anche stati casi di popoli che hanno fatto “marcia indietro”: cioè dopo periodi di vita agricola, hanno trovato più conveniente la caccia, e hanno ri-cambiato il loro stile di vita.

Ciò che non ho trovato ancora in nessun libro di storia per la primaria è la connessione tra ciò che è avvenuto nei milioni di anni dell’età della pietra e il nostro essere homo sapiens sulla terra oggi. Ciò che per antropologi fisici, biologi, genetisti, è pane quotidiano, per i più è ancora una zona grigia. I libri e le mostre su Homo Sapiens curate già anni fa da Luca Cavalli Sforza e Telmo Pievani, così pure come le narrazioni di Carlo Peretto o di Guido Barbujani, dovrebbero diventare patrimonio basilare e consolidato di ogni docente, perché è dalla preistoria che si può (e a mio avviso si deve) portare avanti la prima e incontrovertibile EDUCAZIONE CONTRO OGNI FORMA DI RAZZISMO.

Anche a livello museale, questo “link” in Italia ancora non l’ho trovato, nonostante vi siano ormai esposizioni davvero ben fatte in molti musei italiani di preistoria, coinvolgenti e spesso con diorami a grandezza naturale, nonché sezioni didattiche che propongono laboratori affascinanti per i bambini: pitture e incisioni rupestri, scavi archeologici simulati, piccoli restauri, tessitura come nel neolitico, accensione del fuoco, ecc. Il primo museo in cui sono stata “illuminata” da questo punto di vista, è stato quello di Maropeng nel parco del Cradle of Human Kind, Patrimonio Unesco non lontano da Johannesburg. Un museo eccezionale, che unisce educazione scientifica, ecologia, storia, antirazzismo ed etica.

Un tipo di approccio che forse non poteva che nascere nell’ex paese dell’apartheid, e che qui (in Italia ma non solo) è ancora ben lontano. La preistoria come educazione alla diversità, comprensione del presente, del perché noi oggi siamo come siamo. Un museo che oltre a far conoscere ed educare, lancia una sfida per il futuro.

La preistoria, l’origine dell’uomo in Africa, la sua diaspora, i suoi infiniti adattamenti, sono fili conduttori che continuano nella mia didattica anche dopo, quando si studiano i sumeri, i fenici, gli etruschi, … La memoria del fatto che siamo tutti una stessa razza e che tutti siamo nati africani, piccoli pelosi e quadrupedi, è un leitmotiv fino alla fine della quinta. Certo sarebbe bello se anche in Italia avessimo, su tutto il territorio nazionale, dei musei delle culture, così come ce ne sono tanti in tutta Europa, ma così non è. Possiamo quindi solo mettere in campo la nostra fantasia di docenti, approfittare di eventuali mostre temporanee, fare ampio uso della LIM per proporre video che formino alla conoscenza delle tante culture ed etnie umane della terra, e infine sfruttare il più possibile alcuni piccoli e grandi musei antropologici che pur tuttavia abbiamo, almeno in alcune città italiane (La fotografia in copertina riprende un grande cartello posto all’inizio del percorso museale del Museo dell’Apartheid, a Johannesburg). E così fornire una conoscenza del lungo cammino del genere Homo, dai suoi albori fino ad oggi: unico animale in grado di adattarsi a tutti gli ambienti del pianeta, grazie alla sua capacità di comunicare, e tramite la narrazione trasmettere conoscenze complesse: astrazioni, progetti, ipotesi, arte, bellezza, miti.

  

La linea lunga del cammino umano

 

I bambini, dicevo sopra, hanno bisogno e amano “collocarsi” in uno spazio-tempo. Mi piace creare con loro una striscia che rimarrà (appesa in classe se lo spazio lo consente, oppure da tirar fuori quando serve) per tutto l’ultimo triennio, ma di cui ciascun bambino realizza la propria copia personale (vedi immagini a seguire). 


La nostra linea del tempo comincia quindi dal paleolitico e arriva fino ai nostri giorni, in circa sette pagine incollate una di seguito all’altra, in senso orizzontale.

La cosa più difficile per i bambini, inizialmente, sta nel preparare le righe con la scansione in secoli e millenni, ma ovviamente questo è proprio uno degli obiettivi dell’attività. Comprendere questa divisione, apprendere il concetto di “prima e dopo Cristo” e abituarsi poco a poco a contare, prima di Cristo, i numeri “all’indietro”. Successivamente passare poi ai numeri romani, e capire perché il 400 è il V secolo e non il IV (errore che per la verità fanno anche molti adulti!).

Una volta sistemati i numeri, una cosa interessante è informare i bambini su come gli storici hanno diviso i periodi della storia e perché, anche se consapevole del fatto che tali periodizzazioni sono a loro volta complesse e non sempre mettono d’accordo gli studiosi. È comunque una conoscenza che trovo utile per i bambini a due livelli. In primo luogo come informazione in sé, ovvero per comprendere meglio i fatti e così “orientarsi” in quel lungo cammino che ha portato da Lucy fino a loro; in secondo luogo perché considero utile poter offrire loro la consapevolezza del loro percorso di studi, dal punto in cui si trovano, agli anni a venire. E questo è un concetto in cui mi riecheggia la don milaniana memoria: la volontà, da parte del priore di Barbiana, di fornire ai bambini la consapevolezza degli obiettivi da raggiungere, in quanto solo se si ha contezza degli obiettivi si può decidere di perseguirli in modo responsabile, e non perché “ce lo impone la scuola”.

Dunque, una volta completate le righe relative a secoli e millenni, passiamo ad indicare alcune date con un colore diverso e a scrivere il nome dei periodi: quelli più lontani naturalmente hanno date assai aleatorie, si va per periodi, e si fa i conti con la realtà che è “eterocronica”, viaggia con velocità diverse. Questo è un altro aspetto fondamentale nell’insegnamento della complessità della storia, che spesso i libri non trasmettono (e neppure i musei, o comunque non con immediatezza). Spesso infatti si continua a presentare i grandi cambiamenti dell’umanità come se fossero avvenuti con modalità megalitiche, compatte, e naturalmente lineari: stadio A, stadio B, stadio C. 

Come se tutti i popoli ad un certo punto fossero diventati agricoltori, o come se i metalli si fossero diffusi nello stesso tempo in tutta la terra. È vero esattamente il contrario. Questo è un passaggio non facile da capire per i bambini, su cui è importante insistere, così come nel concetto della “diffusione” di scoperte e invenzioni, che nascono in un luogo (es. l’uso del rame, la scrittura, la ruota…) e possono impiegare centinaia d’anni per arrivare da un’altra parte, così come anche non arrivare mai (e questo è importante per capire come vi siano contemporaneamente, nel mondo, popolazioni tanto diverse, e vi sono sempre state).

Sulla linea del tempo, quando arriviamo in età storica, cominciano poi date precise che segnano i cambiamenti, che gli storici hanno scelto a suggello delle loro periodizzazioni. A questo punto i bambini sono sempre molto sorpresi e contenti nel comprendere, per esempio, in quale secolo è stata fondata Roma e quando è finita la sua potenza, che dà l’avvio a quel periodo detto “medioevo”, che è il più lungo: ben un millennio. Poi si esaltano nel sentir parlare di Cristoforo Colombo che ha scoperto l’America (spesso molti lo conoscono già) e un punto cruciale costituisce il discorso sulla data che segna la fine dell’età moderna e l’inizio della contemporanea, ovvero la Rivoluzione Francese, che riprenderemo tante volte nei nostri discorsi sui diritti umani.

Una volta delineati e scritti i periodi sulla linea del tempo, ci fermiamo poi a capire e a scrivere il “programma” dei prossimi anni, ovvero quando i bambini studieranno cosa. Vedo che generalmente sono sempre interessati a quest’ordine di cose, perché cominciano a prepararsi psicologicamente verso ciò che studieranno alle scuole medie, a orientarsi su “ciò che li aspetta”: preistoria e storia antica fino alla primaria, poi nei successivi tre anni delle medie, a grandi linee, i successivi tre periodi. Naturalmente ciò non toglie che anche alla primaria si possano toccare moltissimi argomenti di storia medievale, moderna o contemporanea, ed è esattamente ciò che si fa, con tanti argomenti necessari, vuoi perché fanno parte del patrimonio storico locale, vuoi perché di tale importanza nazionale o internazionale se ne parla anche fuori dalla scuola. Avere a disposizione la linea del tempo di tutto il percorso umano, aiuta a sistematizzare, a comprendere alcune epoche di grandi cambiamenti epocali (quali appunto la fine dell’Impero Romano d’Occidente, la “scoperta” dell’America, la Rivoluzione Francese) e quindi a cogliere alcune coordinate fondamentali per analizzare gli eventi.

 

  

Poter saltare tra storia, geografia, musica, cinema. Estetica ed etica. 

Molti collegamenti interdisciplinari sono progettati prima. Altri arrivano del tutto spontaneamente, nel fare quotidiano. Una di queste occasioni mi si presentò nell’ambito del lavoro sulla scuola sumera e i racconti dei nonni, che poi si è perfettamente allacciato (senza che ciò fosse stato programmato prima) a quello sui diritti dei bambini e dei diritti umani, portato avanti insieme all’insegnante di religione, che aveva organizzato degli incontri con i rappresentanti di Amnesty International, e ciò portò ad un intreccio eccezionale, durato varie settimane, tra storia-italiano-educazione civica-geografia, fino a conoscere la storia di Malala, la bambina pakistana divenuta premio Nobel, leggendo pagine della sua autobiografia, e così imparando che in tanti paesi la scuola non è per tutti, ma al contrario bisogna battersi per averla.

In un’altra occasione, siamo in quarta, stiamo studiando alcuni aspetti iniziali della cartografia (in geografia). Argomento che - come forse ogni altro - può essere terribilmente noioso e ostico, oppure estremamente affascinante e persino avventuroso. Io avevo predisposto alcuni esercizi pratici senza dare troppa importanza al fatto che una “finestra” del libro di testo accennava (proprio di passaggio, con brevi didascalie) ai planisfero di Mercatore e di Arno Peters, e mentre noi stiamo facendo il nostro lavoro, sento che un alunno si focalizza invece proprio su quelle didascalie e fa qualche domanda. Immediatamente il mio programma viene stravolto!

Poco tempo prima avevamo realizzato la nostra lunga linea del tempo, e avevamo inserito le varie date delle periodizzazioni, tra cui naturalmente quella che segna l’inizio dell’età moderna: 1492, la “scoperta dell’America”. Di quell’evento avevamo già parlato a lungo: di come Colombo si fosse trovato ad andare lì, pensando di andare da tutta un’altra parte; di come non si sia mai reso conto del fatto che quella terra non fosse l’India; di come è successo che l’America si sia poi chiamata così, e molte altre cose ancora.

Ora, quando ci troviamo davanti ai due planisferi di Peters e Mercatore, con quelle brevi didascalie del libro che presuppongono mondi filosofici tra loro distantissimi, i bambini avevano quindi già alcuni prerequisiti di base indispensabili per “collocare” quella conoscenza. Da lì è partito quindi tutto un discorso sulla visione del mondo che è dietro la proiezione del planisfero di Mercatore, che è un argomento che forse molti studenti non affrontano neppure alle medie né alle superiori: dipende ovviamente da che scuola faranno e dai docenti che avranno. Dipende se a quei docenti interesserà di insegnare loro quello che sono state le “visioni di mondo” e ciò che hanno determinato, per secoli, e continuano a determinare, sulle nostre vite. Di fatto, la lezione sulla cartografia ci ha portati a parlare niente meno che di tutto ciò che è avvenuto dopo la scoperta di Colombo, quindi del commercio triangolare Africa-America-Europa, quindi di schiavismo e di sfruttamento (quello della schiavitù non è un argomento nuovo per loro, dato che la stratificazione sociale fa proprio parte delle prime cose che si imparano non appena lasciamo il neolitico per addentrarci nelle “grandi civiltà”: tutte abbondantemente violente e schiaviste!). Tengo a sottolineare che quando è partito questo racconto, i bambini si sono subito messi in religioso silenzio, non perché io lo imponessi, ma semplicemente perché i bambini sono estremamente sensibili alle ingiustizie, e restano costernati, con occhi e orecchie tesi, nel sentire questi racconti. Sempre grazie alla LIM naturalmente era possibile vedere molte immagini che facilitassero e rendessero più concreta la comprensione delle cose. Il tutto poi venne scritto, con un testo sempre improvvisato ma in forma collettiva, sul quaderno di geografia. Avevamo quindi fatto una splendida lezione di geostoria, alla fine della quale un bambino ruppe il silenzio con una frase del genere: “Ma gli Europei sono stati veramente infami verso gli Africani!”.

Ora, la cosa ulteriormente affascinante è che poi le connessioni su questo tema sono continuate, alcuni giorni dopo. Lezione di musica. Stiamo conoscendo sempre meglio i vari tipi di strumenti, sempre approfittando della LIM che ci consente di spaziare in ogni epoca e in ogni parte del mondo, assistendo spesso a veri e propri concerti, per conoscere gli strumenti più diversi: dal liuto medievale a quello arabo, dalla kora all’arpa celtica, dal mandolino al banjo, al sitar,… Dalle percussioni più vicine a noi fino ai tamburi burundesi, al bodhran alla kalimba, passando per i molti tamburelli del sud Italia e alle varie danze, dalla tarantella alla pizzica,… Quando affrontiamo gli strumenti a fiato, spaziamo dall’ocarina di Budrio al zampogna, alle tante cornamuse, alle trombe tibetane e al sax, all’armonica, alle decine di tipi di flauti… Così la ricerca su youtube ci fa incontrare il flauto di Pan e, di lì a poco, la musica di Ennio Morricone per Mission.

E qui, si apre un altro incredibile capitolo, che non avevo contemplato. Parliamo della musica per il cinema, di Ennio Morricone, dei suoi successi planetari, di come tante volte il successo di un film dipende in gran parte proprio dalle emozioni che il compositore ha saputo suscitare sottolineando quelle date immagini. E poi passiamo alla visione di quella sequenza di Mission, che è in assoluto uno dei più bei pezzi nella storia del cinema di tutti i tempi.

Così, istantaneamente, tutto si cuce. Gli strumenti a fiato, l’arte, la musica, la geografia e la cartografia, la storia, la scoperta e la conquista dell’America, lo schiavismo e il commercio triangolare, gli indios e il flauto di pan, il presente e il passato, l’estetica e l’etica. Robert De Niro che passa una vita da infame, arricchendosi con la caccia agli uomini, che sale quell’interminabile cascata portandosi appresso il proprio fardello di errori e di vergogna, che rischia di trascinarlo nel dirupo, e forse lui è ciò che vorrebbe perché non si è mai sicuri di avere diritto all’espiazione. Pochi interminabili minuti in cui i bambini restano incollati a guardare, e non c’è bisogno di parole, perché sono più che sufficienti la travolgente musica di Morricone, la bravura inimitabile di De Niro, la suspense per vedere come va a finire, gli sguardi dei missionari, che non intervengono ad alleggerire la fatica di chi sta elaborando la propria travagliata redenzione, così come non intervengono gli indios, increduli davanti a chi fino a ieri era un mostro sulla terra, ma capaci ciononostante di accoglienza, e di perdono, offrendo anche a lui una seconda possibilità.

Un pezzo che ti insegna che sì: anche se hai vissuto una vita infame, anche per te c’è una possibilità di perdono e di riscatto. Qualunque sia stato il tuo errore, c’è sempre – se si vuole – una possibilità di cambiamento e di rinascita.

 


Lo studio della storia e la perdita dell’innocenza 

Fino a quando restiamo nello studio della preistoria umana, pur senza divagare in miti del buon selvaggio, siamo comunque in una zona limbica, tra una natura già lontana, e una cultura non ancora pervasiva. Per milioni di anni il genere homo vive in piccoli clan di gruppi familiari dediti alla caccia e alla raccolta, muovendosi sulla crosta terrestre fino ad occuparla tutta, con i soli propri piedi, e talvolta piccole imbarcazioni con le quali sfida le intemperie. Poi poco a poco comincia la Storia. Gli umani imparano a domesticare piante e animali, costruiscono abitazioni stabili, svolgono mirabolanti attività artigianali, inventano telai per tessere fibre, torni con cui realizzare vasi, si scambiano prodotti, commerciano su lunghe distanze. Vivono in agglomerati sempre più vasti e numerosi. Cominciano a differenziarsi tra loro. Nascono le gerarchie, le classi sociali. Nasce e si consolida la violenza strutturale.

Questo è certamente un mio problema. Non posso pacificarmi con la realtà delle cose: nel momento in cui insegniamo ai bambini la nascita delle “grandi civiltà”, disveliamo loro anche la brutalità insita nella specie umana. Anche i libri di testo ne sono, inevitabilmente, i traduttori. Una delle prime cose spiegate dai libri di quarta, non appena si affrontano le società della Mezzaluna fertile, è la piramide sociale. Esistono i capi, chi detiene il potere, e le classi subalterne, quelle sfruttate, violentate, oppresse.

Da anni insegno storia con la netta consapevolezza che quando i bambini arrivano a questo punto, siamo a un giro di boa. Se fino ad ora sono cresciuti credendo (chi più chi meno, secondo ovviamente le proprie esperienze familiari) che il mondo adulto sia buono e degno di fiducia, ora acquisiscono contezza del fatto che così non è.

Già più volte mi incanto a guardare le loro faccine incredule quando spiego alcuni aspetti cruciali delle antiche religioni. Occhi sbigottiti di fronte all’idea che un animale venga sgozzato e sacrificato su un altare per accontentare un dio bizzarro e fare in modo che non mandi cataclismi. Certo, tu glielo spieghi che allora non esistevano le conoscenze scientifiche che abbiamo noi oggi, e che quindi gli umani credevano… eccetera eccetera. Eppure a volte vedo le loro espressioni che sembrano proprio dire “ma erano matti” ?!? E in effetti sì: qui comincia ad insinuarsi l’idea che l’essere umano non è più quel mondo che da piccoli pensavamo assolutamente buono e degno di fiducia. È un mondo capace di cose orribili, e anche di follia. Con le “grandi civiltà” comincia una sequela di guerre fratricide che non vedrà mai più la fine, sino ai nostri giorni. Anzi, grazie all’inventiva umana la tecnologia consentirà di creare armi sempre più potenti: da quelle in bronzo, alle catapulte, in un processo che ha portato senza soluzione di continuità alle bombe H.

Se poi volessimo allargare il discorso, e questo nei libri di testo della primaria è meno evidente (ma c’è), emergerebbe anche il fatto che con la scelta dell’agricoltura si è fatta una scelta in gran parte suicida per l’umanità, che da lì in poi ha stabilito di essere padrona della terra e di poterne disporre a piacimento, con tutti gli annessi e i connessi che - anche questi senza soluzione di continuità - hanno portato all’attuale situazione - definita Antropocene - e all’avvelenamento del pianeta.

Dunque, in questo anno (la quarta primaria) che rappresenta davvero un limes nelle acquisizioni dei bambini, nella loro comprensione del mondo, il ruolo docente è fondamentale, e molto difficile. Da un lato non abbiamo alternative alla verità delle cose. Non possiamo certo edulcorare la realtà. Ma questa va continuamente calibrata, dosata, tradotta. A maggior ragione qui entra in gioco la COMPLESSITÀ: perché la storia umana è composta di miriadi di contraddizioni. Di bellezza e di orrore, di santità e di perversione, di sublime e di nefando, di creatività e di distruttività, di grande generosità e di immane cattiveria, di genialità e di inettitudine. Io credo profondamente che sia nostro compito preparare i bambini a tutto questo, affinché siano in grado di affrontarlo. Non lasciarli soli. E soprattutto fare in modo che tutta questa complessità sia loro di insegnamento. Ciò che non mi stanco mai di ripetere nel triennio: perché la storia è necessaria? Perché tutto è storia! Perché non puoi capire il presente se non sai come ci siamo arrivati. E perché non puoi progettare alcun futuro, se non sai dove ti trovi e perché.

Bisogna fornire ai bambini, insieme ai dati cognitivi, anche gli strumenti per interpretarli, e soprattutto quelli etici per operare delle scelte, per capire cosa è giusto e cosa è sbagliato per le sorti dell’umanità. Il passato ce lo insegna. Occorre insegnare a cogliere i segnali di ciò che costituisce scelte di vita o scelte di morte. E instillare nei bambini il seme della cittadinanza attiva: quella che serve per prendere posizione, decidere da che parte stare.

Per questo è importante che lo studio del passato sia in continuo riverbero con ciò che è avvenuto in seguito, e con il presente. Lo studio delle società antiche, a partire proprio anche da quella “piramide sociale” (che oggi certo non viene scritta su stele di pietra come ai tempi di Hammurabi, ma è certo ben evidente, anche a dei bambini) è un grande strumento di coscienza politica. I bambini imparano che lo schiavismo è durato millenni. Che abbiamo dovuto aspettare fino alla Rivoluzione francese per cominciare a ribaltare la situazione, per gridare al mondo che non ci sono doveri e privilegi, ma tutti abbiamo gli stessi diritti.  Attraverso lo studio dei Diritti dei bambini e dei Diritti umani, imparano anche che ciò che può sembrarci acquisito in realtà non lo è. Che in questo mondo le ingiustizie sono ancora innumerevoli, molti diritti non sono affatto rispettati in tanti paesi, e persino lo schiavismo esiste ancora. E solo il nostro impegno, la nostra continua “allerta”, la nostra azione comune, organizzata, locale e transnazionale, possono sperare di fare in modo che il mondo migliori.

Dobbiamo sostenere i bambini in questa fase liminare delicata, in cui “non sono più, ma non sono ancora”. Tra la perdita della fiducia totale che avevano nel mondo adulto, e fare in modo che loro stessi scelgano di diventare degli adulti di cui avere fiducia.

  

 

I libri per le scuole e gli argomenti tabù 

Un’analisi attenta dei libri di testo è sempre necessaria. La storia è anche la disciplina “principe” quanto a traduzione (e spesso mistificazione) dei fatti. Da un lato è evidente che la storia viene sempre scritta dai vincitori. Oltre a ciò, viene scritta con le fonti che lo storico ha a disposizione, con quelle che ha cercato, e con le sue personali modalità interpretative delle fonti. Questi sono aspetti che è bene spiegare ai bambini sin dall’inizio. Occorre abituarli a vedere il libro come un oggetto criticabile, e non come la fonte di verità assolute e insindacabili. I libri sono pieni di errori, talvolta molto evidenti per i bambini, come piccoli o grandi refusi, che sono molto utili per far capire che tutti sono/siamo soggetti all’errore, persino i libri! Per questo occorre sempre tenere alta la nostra coscienza critica. Ciò pone le basi per educare i bambini alla necessità di avere sempre una pluralità di fonti, cercare una pluralità di letture e analisi, non fidarsi delle sole prime considerazioni che ci vengono offerte su un argomento.

Per quanto riguarda le società antiche, un errore ancora largamente diffuso nei libri di testo della primaria, è la tendenza a presentarle come un tutto monolitico, realmente in opposizione a qualunque elemento di complessità. Le società vengono presentate come se per secoli, o millenni, fossero state sempre uguali. “I sumeri erano così, vivevano così, gli egizi così, i micenei così, gli etruschi così” eccetera. Come se tra un paio di millenni dicessero di noi “gli europei vivevano così” parlando magari di un periodo lunghissimo e di una vasta area geografica, come succede quando si parla per esempio degli antichi egizi (che coprono un arco di 3000 anni!). Trovo invece molto affascinante proprio raccontare le popolazioni già alla primaria cercando di presentarle con le loro tante sfaccettature, le differenze interne, i cambiamenti nel corso del tempo, le integrazioni e i meticciamenti, che sono ovviamente sempre esistiti.

Questo è un altro aspetto interessante. Quasi tutti i libri di testo presentano le linee del tempo disegnate con colori diversi per ogni popolazione: ciascuna ha una durata dal tale secolo al tal altro. E poi cosa succede? La prima cosa che un bambino pensa (ovviamente) è che sono improvvisamente tutti morti! I colori meticci, le sfumature, nelle linee del tempo non sono previsti. Dunque sta poi all’insegnante spiegare le integrazioni, la differenza per esempio tra popolazione dominante, che ne invade un’altra in termini di governo, ma culture che non muoiono bensì si amalgamano, si pervadono l’una con l’altra: nelle lingue, nelle forme artistiche, nei costumi della vita quotidiana, nella gestione amministrativa della cosa pubblica, e altro ancora. Ciò che avviene sempre, dall’inizio dell’umanità. Dunque: manteniamoci sempre attentamente critici nei confronti di quei testi che tendono proprio al contrario della complessità: vogliono ridurla, appiattendo e riducendo ciò che è invece stratificato, intrecciato, mutevole.

Un altro aspetto particolare nel racconto della storia sui libri della primaria, è che in moltissime edizioni non viene spesa neppure una parola su cosa significa a.C. – d.C.  Proprio nel libro che sto usando ora, per esempio, quando si parla degli ebrei, si passa direttamente dal racconto dell’antico Regno di Israele (1000 a.C.) con i vari passaggi delle invasioni, deportazioni, distruzione del primo tempio ... fino alla distruzione del secondo tempio, nel 70 a.C. Ma nessun libro ti spiega perché si contano gli anni diversamente: questo semplicemente perché l’argomento religioso è diventato tabù nella scuola che pretende di essere laica, ma non sa affrontare gli argomenti scottanti con laicità.

Studiare gli antichi ebrei alla scuola primaria è una grande, irrinunciabile, opportunità per

fare un’operazione di cucitura tra passato e presente: dalla diaspora, ai ghetti, all’antisemitismo, alla Shoà, fino alla costruzione dello Stato di Israele e alla guerra con la Palestina. I bambini di 10 anni capiscono perfettamente il fatto che un problema di oggi ha delle basi antiche, perché tutto viene dal passato, più o meno lontano che sia. L’insegnamento non può avere argomenti tabù. Gli intrecci con le religioni sono costanti, qualunque cosa si voglia insegnare, poiché i miti e le credenze esistono dagli albori dell’umanità.

  

 

Conclusioni 

Ho tentato di evidenziare come - a mio avviso - la storia è la disciplina principe per la formazione di una coscienza critica, di una mente capace di porsi domande e cercare risposte non comode, ma realistiche e veritiere. È la disciplina che si intreccia con tutte le altre, e che con semplice razionalità porta alla comprensione di tematiche etiche complesse, dalle quali nasce la coscienza e l’attivismo politico del cittadino consapevole.

Per questo è importante che i docenti abbiano una approfondita formazione in ambito storico, ovvero dalle origini del genere homo fino ad oggi, e su quanto il lungo cammino dell’umanità sia intrecciato alla nostra vita di oggi.

 

Letture Consigliate

 

 

 Sitografia e museografia consigliata