Riflessioni Sistemiche n° 24


Educazione e Formazione:
livelli, problemi e prospettive

Attivare riflessività nella formazione manageriale in sanità


di Tatiana Pipan

Sociologa, Università La Sapienza, Roma

Sommario
Il Sistema sanitario in Italia è in fase di trasformazione e pertanto richiede nuove offerte formative. L’esperienza del Master in Management e Innovazione nelle Aziende Sanitarie racconta della sfida al modo tradizionale di fare formazione ai manager intermedi per farli riflettere sulle loro pratiche. Il progetto poggia sull’idea che la formazione del professionista riflessivo si attua nel mentre si costruisce la comunità di apprendimento dove diverse identità e ruoli cooperano in un campo ad alta densità di pratiche.

 

Parole chiave
Managerialità, Riflessività, Comunità di apprendimento, Competenze trasversali, Educazione, Sociologia dell’organizzazione

 

Summary
The Italian healthcare system is undergoing a phase of great transformation that requires an offer of new training. The experience of the Master in Management and Innovation in Healthcare Companies narrates the challenge to the traditional way of proposing training activities to middle managers in order to induce them to think about their practices. The project relies on the concept of training the reflective practitioner while constructing a learning community where different identities and roles cooperate thanks to a teaching based on high density of practices.

 

Keywords
Management, Reflectivity, Learning Community, Transversal skills, Education, Sociology of organization.

 

  

Formare una comunità che apprende per ripensare l’identità manageriale dei professionisti arricchita di nuove conoscenze trasversali e trans-locali è stato l’obiettivo della formazione del Master in Management e Innovazione nelle Aziende Sanitarie (MIAS) istituito dal DISSE Sapienza Università di Roma nel 2004, da me diretto per più di dieci anni ormai giunto alla 15 edizione. L’identità professionale non è stata considerata affatto immutabile dal progetto formativo così come lo è invece nei curricula universitari (più dei medici che degli infermieri), non adeguati alle richieste attuali di ibridazione delle conoscenze mediche con competenze manageriali. Queste ultime, richieste ai manager intermedi – intesi come spina dorsale del sistema sanitario e del suo cambiamento – sono state riconsiderate alla luce non solo dell’ampliamento delle conoscenze gestionali ma anche come esito di un percorso fondato su un’attività riflessiva attivata con gli attori durante il processo formativo. Ciò, al fine di riconsiderare e arricchire le competenze mancanti della propria storia professionale per permettere ai professionisti di percepire la propria identità come essere-in relazione. Una identità processuale costruita nelle e dalle relazioni, conoscenze, scelte, sentimenti ed emozioni legati alle incertezze e precarietà organizzative in continuo cambiamento sia in momenti di emergenza (terremoti, incidenti, pandemie) sia durante le ristrutturazioni che ridisegnano i confini e modificano il senso di appartenenza dei professionisti. Le identità professionali e manageriali non devono essere intese come corazza che isola dagli altri e protegge dalle contaminazioni del noi insito nella multiprofessionalità del lavoro di gruppo ma come invito costante a ricavare frutti positivi dalla diversità nel confronto con le esperienze degli operatori.

Professionisti e middle manager lavorano dentro scenari organizzativi in costante mutamento, in contesti connotati da incertezza e rapida evoluzione che richiedono loro di essere adattabili, performativi e orientati ai risultati (Ivaldi S., Scaratti G., 2015). Da un lato aumenta il lavoro immateriale, relazionale, intangibile, dentro a processi cooperativi per gestire attività all’interno di reti specialistiche che si snodano dall’ospedale al territorio e viceversa. Dall’altro, sono necessarie competenze legate alla gestione di dati e informazioni sugli esiti della cura ed è richiesta anche una conoscenza dei nuovi artefatti e strumentazioni tecnologiche che cambiano radicalmente i tradizionali repertori lavorativi (Bruni A., Gherardi S., 2007).

È il manager intermedio il nodo principale della rete delle cure, ovvero medici che già ricoprono posizioni di direttore di Unità Operative Semplici o Complesse (UOS e UOS), medici facenti funzione, quelli che occupano posizioni organizzative e i coordinatori infermieristici nonché medici e infermieri che aspirano a ricoprirle e che hanno bisogno dei crediti per potervi competere. In sintesi, tutte le figure che costituiscono il front line delle cure in ospedale e sul territorio. A partire dagli anni Novanta, le continue innovazioni legislative richiedono al manager intermedio competenze diverse da quelle acquisite nel corso degli studi universitari per la gestione delle nuove logiche contabili e manageriali ormai parte della sua complessa e articolata professionalità. Si trova così sottoposto a una pressione esterna che comporta una perdita di autonomia professionale ma rende più complessa la propria identità professionale (Speranza L. et al., 2008).

 

  

      2.  Il manager intermedio come professionista riflessivo 

La problematica essenziale affrontata dal progetto formativo del MIAS era come attivare la riflessività dei professionisti mediante processi di apprendimento che permettessero di sfruttare le opportunità offerte dalla lettura e riprogettazione delle loro pratiche. Riflessività come parola chiave del progetto formativo nonché apprendimento da favorire

non tanto per indagare su problemi e deficit ma per valorizzare le risorse esistenti e la ristrutturazione (reframing) degli assunti delle potenzialità di innovazione. Non si tratta solo di un fatto cognitivo individuale ma riguarda una cognizione organizzativa e delle pratiche dove la riflessività è vista come un processo dialettico mediante un apprendimento sociale (Nicolini D., 2013). Conoscere le proprie pratiche manageriali significa ‘smontarle’ attraverso una logica riflessiva che scorpora la pratica stessa e ne permette la trasformazione e l’innovazione. Si è scelto pertanto un approccio basato su metodologie riflessive in un campo multiprofessionale «ad alta densità di pratica» quale è la sanità, dove la teoria, i paradigmi, le tecnologie sono relativamente deboli, mentre la pratica lavorativa/manageriale quotidiana richiede discrezionalità e autonomia di giudizio professionale (Schön D.A., 1983,1997; Cuncliffe A.L., Jun G., 2005).

Se Schön (1983) e Luhman (1998) hanno affrontato la problematica della riflessività dei professionisti sottolineandone la complessità, è solo di recente che Cuncliffe (2009) ci viene in aiuto affermando che insegnare management è possibile a patto che la formazione della leadership offra ai manager l’opportunità di riflettere oltre le pratiche, in un contesto separato da queste. È in questa cornice che il progetto formativo del MIAS si è quindi posto l’obiettivo di forgiare il professionista riflessivo in sanità costruendo occasioni per far riflettere i discenti sul modo di operare nei loro contesti. Ovvero lezioni frontali, intese non tanto come trasmissione di saperi codificati ma piuttosto come spazi in cui si produce e negozia senso tra docenti (accademici, manager, practitioners) e allievi in una contaminazione di saperi, dove i discenti stessi sono portatori di saperi manageriali, medici, infermieristici e amministrativi (Pipan T., 2010; Pipan T. 2021). Ma è durante i Project Work che si sono create situazioni di quella «riflessività indotta» attraverso la quale, sottolinea Lipari (2006), i discenti sono stimolati a riflettere sull’interpretazione delle loro pratiche mediante un apprendimento situato e dialogico.

La riflessività è richiesta per il lavoro istituzionale ma si sa ancora molto poco a proposito dei meccanismi che generano questo tipo di comprensione della managerialità. Il Master ha l’obiettivo di creare una comunità di «attori del cambiamento» che la praticano. E’ la formazione che può generare riflessività attraverso due modalità complementari ovvero un atteggiamento critico verso le attività quotidiane e le azioni strategiche nel contesto facendo al contempo comprendere la necessità di un investimento nella multiprofessionalità del lavoro di gruppo (Pentimalli B., 2021). La prima è fondata sulla narrazione delle esperienze di gestione (successi, criticità, errori) e l’empowering individuale (senso di sé e del proprio lavoro), la seconda è collettiva (consapevolezza che la sopravvivenza è nel noi). Entrambe favoriscono dinamiche emozionali che creano nuove energie. Si rompe l’attaccamento alle routine consolidate e si costruiscono nuovi legami.

E’ necessario sottolineare che è nella modalità formativa dei project work (PW) che sostanzialmente si favoriscono i meccanismi descritti in quanto gli attori diventano in grado di sfidare sia le proprie pratiche gestionali sia quelle degli altri per sviluppare modalità nuove ed innovative rispetto al passato. Ciò richiede un metodo di lavoro e competenze di gestione del gruppo senza imporre sé stessi o la propria visione evitando la competizione comunicativa.  Durante lo spazio-tempo dei PW è il tutor di ogni gruppo di discenti a orientare lo sviluppo di quella «riflessività indotta» ed il PW è anche il luogo dove si sviluppano dinamiche emozionali cruciali ai fini del disancoramento degli attori dalle loro vecchie pratiche per immaginarne nuove attraverso la comprensione critica della propria posizione manageriale per connettere il me con il noi dentro a performance multiprofessionali. Ossia, provare a sconnettersi dalle vecchie pratiche per investire nella comunità.

Riconnettersi in modo riflessivo alle proprie pratiche di lavoro manageriale nel corso del processo formativo fornisce ai professionisti una lente per un’interpretazione problematizzata, arricchita e complessa delle organizzazioni locali in continuo cambiamento a causa delle trasformazioni del contesto socio-sanitario

 

  

Socializzare i discenti ad un’immagine dell’organizzazione sanitaria processuale, frutto di azioni strategiche, ma anche di azioni quotidiane di gruppi multiprofessionali (medici, infermieri, amministrativi, assistenti sociali, psicologi) è stato il punto di avvio del master che segue l’approccio culturale allo studio delle organizzazioni (Czarniawska B., 2000; Hatch M.J., Cuncliffe A.L., 2006).

A partire dalla consapevolezza che le immagini della sanità intesa come azienda ma anche come rete, sono entrambe contenute nel disegno organizzativo tracciato dagli articoli del decreto (d.lgs. 509/92) che prefigura modalità e livelli organizzativi dove il SSN, istituito nel 1978, diventa azienda e che potrebbero risultare paradossali.

L’immagine dell’azienda è simbolo dell’efficacia e dell’efficienza tipica del privato, densa di miti razionali quali la managerializzazione stessa, la misurazione e la standardizzazione delle performance relative alle cure, la prevedibilità nonché l’empowerment del cittadino. Il principio base si fonda sul contenimento dei costi seguendo le regole aziendali del controllo di gestione e della clinical governance nell’erogazione e gestione delle cure. Nel decreto la parola rete non viene usata, al suo posto si trova come sinonimo – così come tra gli stessi professionisti – la parola integrazione (socio-sanitaria) che prefigura processi assistenziali e terapeutici che riguardano in particolare le patologie croniche da gestire sui territori attraverso progetti aziendali sulla base di piattaforme sociosanitarie regionali (Pipan T., Vicarelli M.G., 2021).

Gli elementi della rete – intesa come concetto astratto – sono principalmente i nodi (comuni, distretti, gruppi professionali, associazioni), le relazioni di collaborazione tra i nodi (fare, eseguire disposizioni, trasmettere e ricevere informazioni, comunicare, allearsi) e i legami fra le strutture e la nuova struttura creata dalle connessioni. Affinché essa funzioni è necessario stabilire una comunicazione tra i suoi nodi aventi tutti piena autonomia indipendentemente dal ruolo di ognuno. Nella rete ci si scambia conoscenza, oggetti e persone; diversi saperi interagiscono per erogare un servizio migliore al paziente. Le reti cliniche dialogano tra di loro e vanno considerate tali sia nel momento della loro progettazione sia in quello della costruzione e implementazione che avviene nelle pratiche quotidiane intese come lente di osservazione principe del loro

funzionamento. La tessitura che connette le reti cliniche si realizza soltanto attraverso le attività in una rete di relazioni che coniuga processi, persone, materiali, valori e istituzioni in un continuum.

Le reti di per sé non hanno attributi: li acquisiscono tramite le relazioni messe in scena in modo temporaneo e la tensione sorge dal processo di allineamento che produce curabilità e cambiamento delle modalità di lavoro tradizionale Si tratta di reti di azioni che richiedono competenze ma soprattutto coordinazione ai fini dell’erogazione di buone cure. Ed è all’interno di queste reti che all’attivarsi delle connessioni si possono sviluppare comunità di pratica (Lave e Wenger, 1990) che realizzano progetti, svolgono pratiche condivise e individuano le leadership responsabili delle relazioni. Tali reti per essere governate richiedono una dimensione normativa ed istituzionale, dei sistemi operativi ma anche un continuo scambio al loro interno di oggetti, persone e conoscenza. Nel processo d’integrazione sociosanitaria si tessono reti formali e informali con progetti assistenziali personalizzati che, a fronte di bisogni di salute molteplici e complessi, esigono interventi di natura sanitaria e sociale, molteplici artefatti, saperi articolati e conoscenze condivise nonché operatori sanitari e sociali che sappiano dialogare tra di loro.

In conclusione, se la forma azienda sembra essere l’elemento ri-fondativo della sanità, basato sul paradigma di azione pubblica affermatosi negli anni Novanta nei contesti amministrativi anglosassoni che si ispira a modelli gestionali aziendalistici, è piuttosto la forma della rete che racchiude l’immagine del lavoro di cura dei professionisti, una rete che travalica le mura organizzative. Un paradosso quindi tra due immagini opposte pur essendo frutto dello stesso disegno normativo. Il MIAS nel suo progetto formativo ha tenuto conto di questo paradosso proponendo ai professionisti la riflessione sulle reti di cura specialistiche (dislocate su territori ampi che richiedono azioni e attività nonché l’uso di artefatti e tecnologie complesse) al fine di implementare le loro competenze manageriali per governarle.

Nella specificità dei contesti sociosanitari, manager, professionisti, practitioner e stakeholder affrontano le sfide attuali inerenti non solo alla gestione della sanità ma anche alla salute. Il lavoro in rete dipende principalmente, ma non solo, dalle risorse umane e dalla loro capacità di far fronte alla complessità e generare nuovi accordi, azioni, modalità di governo tra professionisti e unità operative (dipartimenti, DEA…) funzionali all’erogazione delle migliori cure possibili. La rete come si è già detto, è fatta di nodi. Se i nodi sono competenti, la rete funzionerà meglio in quanto si svilupperanno le connessioni (knotting) tra i nodi che permetteranno di costruire esperienze durevoli e replicabili anche in altri contesti.

 

  

4.     La metodologia delle pratiche didattiche per nuove competenze 

Chi va a progettare un metodo formativo in sanità deve essere consapevole che è necessario ideare percorsi di sostegno alle comunità di pratica trasversali che nascono dai progetti attivati nei territori dove gli attori della rete sono variabili e spesso coinvolgono

MMG, specialisti ambulatoriali, medici ospedalieri, infermieri, enti locali, associazioni di cittadini, comuni, volontariato. Così come dovrebbe chiedersi come conciliare i principi che governano il lavoro in azienda, basato sull’efficacia e l’efficienza, con le richieste delle attività di cura e di assistenza sui pazienti svolte in rete dove i professionisti si trovano a gestire interventi a volte imprevisti (Catino M., 2002) sebbene dentro a cornici di protocolli condivisi dalle comunità scientifiche.

A fronte di queste considerazioni il MIAS intende portare i partecipanti del master a vedersi e considerarsi parte di comunità multi-professionali dove coesistono e cooperano identità professionali e ruoli diversi necessari per soddisfare i diversi bisogni dei pazienti. Il valore della professione non è pertanto fondato tanto sull’autonomia professionale dei singoli quanto sul valore della cooperazione competente nelle reti operanti. Dove la cooperazione nelle reti è da intendersi come una nuova abilità e competenza, come un’arte che va imparata e praticata in un sistema dove non esistono più le mura (dell’ospedale) ma confini aperti.

La multiprofessionalità – tratto peculiare della governance della rete – richiede agli operatori di acquisire non soltanto competenze tecniche ma anche competenze relazionali e politiche per soddisfare i bisogni dei cittadini. Per formare il manager intermedio in tale direzione, il MIAS punta sulla condivisione del linguaggio per sviluppare un dialogo tra culture diverse quali sono quelle sanitarie e sociali. La salute in effetti non si ottiene soltanto con il lavoro sui pazienti ma anche operando nel modo giusto e con un linguaggio appropriato nei confronti del cittadino sano in una rete complessa di elementi umani e materiali, processi interattivi e organizzativi in questo eterogeneo mondo della salute (Lusardi R., Nicoli M.A., 2017).

Il manager intermedio si deve pertanto formare per implementare progetti di miglioramento, sviluppare apprendimento riflessivo e costruire quella comunità di pratica (Lave J, Wenger E., 1990; Wenger E., 1998) come il mattone sul quale far poggiare l’organizzazione nella rete delle cure. Solo così facendo potrà ridefinire nuovi e adeguati contenuti della propria identità professionale che – per i medici in particolare – è fondata su due logiche una clinica e l’altra manageriale, talvolta percepite come due esigenze contraddittorie o come effetto inatteso delle trasformazioni del sistema sanitario. 

Per sollecitare e sedimentare nuove competenze nel Master MIAS sono state progettate a tal fine da un lato lezioni frontali specifiche e interattive, dall’altro spazi dedicati ai Project Work disseminati nel corso del progetto formativo. I professionisti e i middle manager hanno difatti la possibilità di ‘mettere in scena’ in questo spazio i repertori delle loro pratiche dirigenziali significative ma anche scorrette e inaccettabili per indisponibilità all’ascolto, al dialogo e alla comprensione dei bisogni del personale oltre che del cittadino.

Si tratta in particolare di competenze che riguardano le relazioni con i pazienti, e i loro care giver (famigliari e non), le interazioni con i colleghi medici e con tutti gli operatori sanitari e sociali ma anche con il personale amministrativo e la direzione aziendale, le istituzioni pubbliche e politiche, il mercato dei beni e dei servizi. Competenze intese come capacità di progettare e realizzare conformità tra obiettivi e risultati dell’azione, di scoprire e correggere errori o le possibili mancate corrispondenze nel lavoro di cura sul territorio.



5.     Considerazioni conclusive

L’articolo analizza il progetto formativo del Master in Management e Innovazione nelle Aziende Sanitarie (MIAS) che si pone l’obiettivo di attivare riflessività sul lavoro gestionale dei manager intermedi a partire dal loro contesto professionale. Contesto caratterizzato da innovazioni continue quali accorpamenti aziendali, progetti di integrazione socio-sanitaria, digitalizzazione, ospedali per intensità di cure, Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali (PDTA), piattaforme di servizio centrali per l’acquisto, per citarne alcune. Il progetto del Master mira, pertanto, ad attivare la riflessività dei professionisti in uno spazio-tempo ‘sospeso’, inteso come un evento interstiziale nella loro vita lavorativa che interrompe temporaneamente la loro quotidianità. La riflessione organizza e ‘crea organizzazione’ introducendo così la soggettività dei professionisti che dà forma ai processi organizzativi considerati relazionali ma anche narrativi ed emozionali per fornire ai middle manager le abilità che consentiranno loro di dare un contributo al sistema di governance locale.

A fronte delle continue e molteplici innovazioni dell’eterogeneo mondo della salute crescono le responsabilità e le incombenze affidate ai manager intermedi che si collocano tra il management apicale e i professionisti che operano nei servizi. La sanità ha riflettuto e innovato poco rispetto al ruolo svolto da queste figure professionali e sull’intreccio tra responsabilità e competenze declinate troppo spesso sulla base di criteri universalistici che tendono a rappresentare modelli ideali senza tener conto di soggettività e contesti. La costruzione del progetto è stata guidata dall’intento di orientare i professionisti verso l’ascolto di voci di soggetti diversi (Sclavi M., 2000) e di orientarli a tessere collaborazioni per sviluppare un apprendimento riflessivo e interattivo in modo da costruire la fiducia tra professionisti e pubblico (Pipan T., 2010, 2021). Il MIAS ne ha fatto il cuore del suo progetto e lo ha sostenuto con metodologie didattiche atte a sollecitare la riflessività dei professionisti rivolta in particolare alle loro pratiche situate.

Dove il processo di apprendimento è guidato tanto dal sostenere l’autonomia professionale dei singoli quanto a valorizzare il significato della cooperazione nei gruppi di lavoro dedicati a mettere in pratica progetti concreti. Cooperazione intesa come competenza e come un’arte che va imparata.

La riflessività indotta tra i professionisti mediante la narrazione delle loro esperienze di gestione (successi, errori, criticità) potenzia così l’empowering individuale (senso di sé e del proprio lavoro) e collettivo (consapevolezza che la sopravvivenza è nel noi) dei professionisti stessi, così come lo sviluppo di un dialogo tra culture sanitarie e sociali conduce alla necessità di condividere un linguaggio e talvolta ridefinire la propria identità professionale.


 

 Bibliografia 

 


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