Riflessioni Sistemiche n° 25


Maestri e mentori.
Visioni sistemiche attraverso le generazioni

La radicalità della conoscenza: una scelta etica


di Rossella Mascolo


PhD in Filosofia della Scienza, ricercatrice libera

Foto di Nino Carè da Pixabay

Sommario
Seguire il pensiero di Humberto Maturana, ripercorrendone la vita fino alla nascita della sua teoria dell’autopoiesi e alla sua eredità, è stato per me trovare ciò che cercavo durante il mio percorso di studi scientifico-filosofico, che naturalmente si apriva alla complessità e al superamento delle barriere fra gli umani e fra i saperi. Saltare nel “loop” conoscitivo offerto dalla sua epistemologia, come scelta d’amore, si offre come scelta radicale di conoscenza di per sé stessa etica.

 

Parole chiave
Autopoiesi, complessità, epistemologia, conoscenza, etica, amore.

 

Summary
Following Maturana’s thinking, from the birth of his theory of autopoesis and its offspring has enabled me to find what I sought during my philosophical-scientific studies, naturally leading to complexity and the surmounting of the barriers between human beings and fields of knowledge. Leaping into the cognitive loop offered by his epistemology, such as choosing for love, presents in turn a radical choice with regard to knowledge, an ethical action/decision/process in itself.

 

Keywords
Autopoiesis, complexity, epistemology, knowledge, ethics, love.

 

 

Ogni atto di conoscenza ci porta un mondo fra le mani.

Ogni azione è conoscenza e ogni conoscenza è azione

Maturana H. e Varela F. (1999, pag. 44-45)

 

Ogni cosa è detta da un osservatore.

E accanto a questo io disegno un occhio

Maturana H. (1987, pag. 65).

 

Gli scienziati indebolirono i principi universali della ricerca [. . .].

Chi avrebbe mai pensato che il confine fra soggetto e oggetto sarebbe stato messo
in discussione e che tutto ciò avrebbe prodotto un avanzamento della scienza?

Tuttavia questo è precisamente quello che è accaduto nella teoria dei quanti,
negli studi fisiologici come quelli di Maturana e Varela.

Feyerabend H. (2004).

 

Quindi il corso che seguiremo come umanità in questo presente storico,
che ci piaccia o no, è nostra responsabilità. Oggi diciamo che tutto sta cambiando,
che l'universo è in continuo mutamento, quale rotta vogliamo seguire,
cosa vogliamo conservare in mezzo al continuo mutamento della nicchia ecologica umana
che generiamo nel cosmo che sorge con il nostro vivere come esseri umani biologico-culturali?

Maturana H. e Dávila X. (2013).

 

Esiste una realtà universale che deve essere accettata da tutti?
O è che solo alcuni hanno un accesso privilegiato alla realtà,
in modo tale che chi lo ha ha il potere di costringere un altro ad accettare ciò che dicono come valido?

Maturana H. (2020)

 

 

 

 

Prologo 

Ritornare al pensiero del mio amato Humberto Maturana, da tempo immemore custodito in un angolo del mio cuore, ma mai dimenticato, mi provoca dolore, tanta è la dissonanza cognitiva fra tale pensiero e l’atmosfera sociale che stiamo ormai vivendo. Più e più volte ho notato l’impossibilità di comunicare restando nel “linguaggiare” maturanese, un’incompatibilità di dialogo, ben distante dal dialogo polimorfo (Mascolo R., 2009, pag. 77-78), tanto caro a me e al mio mentore, generatore di multiversi, gettati ora in una società della certezza e della prevaricazione, sorta sulla via dell’oggettività senza parentesi.

Per noi, è nella dinamicità della relazione, di questi tempi dimenticata, che si svolge il processo dialogico, quel dialogo detto “polimorfo”, per il suo costruirsi “attraverso molteplici dimensioni”, nelle sfaccettature di ogni persona, che fanno sorgere molteplici mondi, pur nell’interezza di noi stessi, senza separare ragione ed emozione, mente e corpo. Le parole stesse hanno in tale processo una loro efficacia, poiché esse “sono azioni, non sono cose che si spostano da qui a là. […] è la rete di interazioni linguistiche quella che ci rende come siamo. […] è allinterno del linguaggio stesso che latto conoscitivo, nella coordinazione comportamentale che costituisce il linguaggio, ci offre il mondo a portata di mano. Ci realizziamo […], perché siamo nel linguaggio, in un continuo essere immersi nei mondi linguistici e semantici con i quali veniamo a contatto” (Maturana H., Varela F., 1999, pag. 195-197) (Mascolo R., 2009, pag. 77).

Rivisitare, a distanza di anni, un percorso che mi ha portata ad essere ciò che sono, o che forse incontrai allora per consentire il passaggio dalla potenza all’atto di quanto in me sentivo di andare cercando, si carica esso stesso di nuovi significati, così come la pura scoperta di allora di autori e concetti che a mano a mano incontravo nella mia ricerca.

Nasce ora in me uno stupore nel ritrovare il mio linguaggio abbandonato, ma che riconosco ormai incarnato nel mio vivere-agire-conoscere.

Conoscere: è stato da sempre la mia passione e la mia vita e fu da lì che tutto ebbe inizio, per giungere a ri-conoscermi nel rivoluzionario modo di intendere la percezione e, quindi, nella nuova epistemologia autopoietica, di Maturana e Varela, che scardinava i confini facendo sorgere il mondo, unitario attraverso lo sguardo dell’osservatore, oltre ogni dualismo della tradizione filosofica “occidentale” figlia di Cartesio.

Già durante la tesi di laurea in Filosofia mi era capitato, senza saperlo, di muovermi attraverso le acque della complessità, come mi fece notare a posteriori il prof. Silvano Tagliagambe, al quale avevo dato da leggere la mia tesi dopo la laurea. Fu per me una sorpresa, quando lui si complimentò con me, dicendomi, e sorprendendomi, che si trattava di una bella tesi di Complessità.

Io ero sin da allora immersa nel mare della complessità, senza neanche rendermene conto.

Avevo già sentito nominare Maturana e Varela durante il corso di “Embriologia sperimentale”, mentre studiavo in Scienze Naturali. Non so il perché quei due nomi mi erano rimasti in mente.

Mi ero imbattuta in Francisco Varela poi nella mia tesi di laurea in Filosofia, poiché egli “con la sua Neurofenomenologia, è l’emblema di quanto io ho iniziato a sostenere da quando ho incontrato la “Fenomenologia” e Husserl, durante i miei studi di filosofia, cioè la non necessità di separare tale “metodologia filosofica” dalle scienze della natura” (Mascolo R., 2005, pag. 71), cosa che sentivo fortemente motivante per me stessa, perché in assoluta continuità con il mio percorso di studi e con la mia vita. Seguendo Varela (1992; 2006) mi appariva finalmente possibile quella “riconciliazione della fenomenologia con le scienze della natura alla luce dello sviluppo delle teorie della complessità, per una fenomenologia naturalizzata, al fine di realizzare quell’intesa che non era stata possibile ad Husserl, poiché egli doveva confrontarsi con un sapere scientifico–naturalistico ancora troppo rigido” (Ivi, pag. 72).

Mi aveva affascinata Varela, stavolta fra etica e scienza, con la sua “possibilità di creare un ponte tra il discorso della fenomenologia e quello della scienza, aspirando alla realizzazione di studi che comprendano innanzitutto l’esperienza vissuta in prima persona e siano abbracciati da una comunità estesa di ricercatori, il cui insegnamento sia rivolto alle generazioni attuali, ma anche a quelle future” (Ivi, pag. 76).

Invero, mi innamorai prima di Varela e fu solo discutendo con il professor Giampietro Storari, che mi avrebbe seguita durante la tesi di dottorato a Cagliari, che si decise che mi sarei occupata più specificamente del di lui maestro, Humberto Maturana. Da naturalista-biologa, scegliere quindi Maturana e Varela e soprattutto il concetto di autopoiesi per la mia tesi di dottorato, da sempre nell’intento di mostrare la continuità indissolubile fra gli umani e fra i saperi e la compenetrazione fra filosofia e scienza, il passo avvenne senza soluzione di continuità. Gettare ponti fra i saperi e fra gli umani, alla ricerca di ciò che accomuna, piuttosto che ciò che divide, attraverso la Filosofia della Complessità, sarebbe stato poi il motto della sezione di Sassari della Società Filosofica Italiana, che ebbi l’onore di presiedere per alcuni anni dal 27 marzo del 2013.

Il mio aver incontrato nel mio percorso di vita questi due grandissimi personaggi coincide con una sorta di sincronicità di pensiero fra il mio e il loro, una sorta di sincronicità dell'universo, come direbbe David Bohm (1980) e, nel dialogo con loro, ho trovato gli strumenti concettuali per dar voce a quello che era in me un pensiero inespresso, fino ad entrare con consapevolezza nel mio vivere-agire-conoscere quotidiano.

 

 

Maturana e la sua “Complessità” … 

Si può facilmente accettare la considerazione che ciascuno di noi sia frutto dell’unicità della propria storia. Fu così che io mi accinsi a ricercare le radici dell’innovativa visione epistemologica di Humberto Maturana Romecìn, in una quasi tautologica opera argomentativa, ripercorrendo e ri-costruendo la sua vita, attraverso la quale il suo stesso pensiero andava via via costruendosi, mostrando come il suo essere–nel–mondo e con–il–mondo si offrisse come nuova prospettiva al mondo stesso (Mascolo R., 2017, pag. 9).

È agli inizi degli anni settanta del novecento, quando stava seguendo due vie di ricerca, quella in cui si interrogava, come biologo, sul concetto di vita e quella attraverso la quale studiava la percezione visiva, che avviene in Maturana quello che lui ha chiamato il suo cambiamento ontologico nella comprensione dei fenomeni della percezione e della cognizione, conducendo le due vie di ricerca a convergere e dando luogo ad una svolta epistemologica rivoluzionaria nella storia del pensiero.

Dalla prima, nasce il concetto di organismo vivente come sistema autopoietico, come rete di autoproduzione dei componenti molecolari dell’essere vivente stesso, chiusa su se stessa, che lo determina come sistema (Ivi, pag. 49).

Studiando la percezione del colore, l’altra sua via di ricerca, arriva a rifiutare il tradizionale modello della percezione e della conoscenza, che prevede l’assunzione che esistano due mondi separati, il mondo esterno e il mondo della nostra mente, che conterrebbe le rappresentazioni del mondo esterno, e che tali due mondi possano essere confrontati tramite un osservatore indipendente da entrambi. Maturana, passando attraverso la credenza certa in una “Realtà” oggettiva, poi nella possibilità di avere percezioni multiple della medesima “Realtà”, avrebbe infine abbandonato totalmente la nozione di “Realtà” oggettiva, alla quale, secondo la sua nuova epistemologia, non è possibile accedere, indipendentemente da chi osserva.

Entra a questo punto in scena il suo osservatore, sempre coinvolto nell’atto percettivo, su cui da allora in poi Maturana svilupperà la sua intera filosofia (Ivi, pag. 169-170). “Ci sono allora tanti domini d’esistenza quanti sono i tipi di unità che un osservatore può costruire nelle sue operazioni di distinzione” (Maturana H., 1993, pag. 105). Nasce con lui la famosa via di mezzo della conoscenza, che naviga pericolosamente in una odissea epistemologica fra il vortice del solipsismo, Cariddi, e il mostro del rappresentazionismo, Scilla (Maturana H., Varela F., 1999, pp. 121-122).

L’osservatore di Maturana, ben diverso da quello della tradizione dualistica, non è in grado di conoscere la struttura del sistema nel momento in cui conosce, perché, similmente all’osservatore di Heisenberg, modifica tale struttura nell’atto stesso del conoscere. D’altro canto, un sistema autopoietico, strutturalmente determinato, non può specificare a priori i suoi stati futuri, che invece si manifestano nel suo vivere, durante le interazioni del sistema con ciò che è altro da sé, in maniera epigenetica e spontanea, senza alcun tipo di finalismo (Mascolo R., 2017, pp. 116-118).

Gli esseri viventi, a suo dire, sono determinati strutturalmente e cambiano secondo il loro determinismo strutturale, ad ogni istante, come appare agli occhi dell’osservatore, sintesi poetica di astrazione di regolarità da lui esperite come coerenze esperienziali nei propri stessi domini di determinismo strutturale (Ivi, pag. 115). È usando i nostri cambiamenti di stato, mentre conserviamo il nostro accoppiamento strutturale nei vari mezzi nei quali ci troviamo immersi nel corso della nostra vita, “come distinzioni ricorrenti in un dominio sociale di coordinazione di azioni, che è il linguaggio, ossia la particolare storia di coordinamento ontogenetico di noi come organismi in reciproco accoppiamento strutturale, che produciamo un mondo di oggetti come coordinazioni di azioni con le quali descriviamo le nostre stesse coordinazioni di azioni” e così si costituisce il nostro mondo percettivo (Mascolo R., 2014a).

Sin da subito avvolti nella sua circolarità linguistica, comprendiamo quanto, con Humberto Maturana, ci si allontani dall’epistemologia ante-complessità, ove l’idea di sistema deterministico implicava quella di prevedibilità. In un sistema strutturalmente determinato, un osservatore non è in grado di predire i cambiamenti strutturali cui esso tenderà, poiché non può conoscere la struttura del sistema e questo vale anche per il procedimento di conoscenza scientifico, il quale solitamente si basa sul considerare i sistemi strutturalmente determinati.

È l’osservatore che vede il sistema autopoietico sorgere dal caos, all’atto del distinguersi assumendo la propria coerenza operativa, che non era a lui pre-esistente, così come ordine e caos non sono condizioni intrinseche del cosiddetto mondo naturale, ma solo spiegazioni date dall’osservatore durante l’osservazione del fenomeno del sorgere di un sistema autopoietico e la distinzione del suo dominio.

L’osservatore agisce sempre immerso nella propria esperienza, là dove nascono anche i concetti di storia e di tempo, in quanto manifestazioni dell’irreversibilità intrinseca del suo esperire.

Anche finalismo e intenzionalità sono produzioni dell’osservatore, nel momento in cui vuole trovare una spiegazione al comportamento del sistema autopoietico, che egli osserva andare alla deriva seguendo quella che, vedendola a posteriori, considera essere l’unica via possibile, durante le interazioni del sistema con il mezzo, in quell’accoppiamento strutturale che deve essere mantenuto pena la distruzione e la morte dell’organismo vivente.

Di conseguenza, secondo Maturana, gli esseri viventi non soggiacciono ad alcun tipo di causalità, ma sono enti storici, che partecipano ad un presente storico (Mascolo R., 2017, pp. 118-122).

La dinamica conoscitiva dell’osservatore di Maturana è in grado di generare qualsiasi ambito della conoscenza ed il caso delle spiegazioni scientifiche non fa affatto eccezione. Neanche allora c’è, infatti, bisogno che venga presupposta l’esistenza di un mondo reale di oggetti, quanto piuttosto che si giunga ad una coerenza operazionale interna al sistema autopoietico costituito dalla comunità scientifica (Ivi, pag. 170).

Se non esiste una realtà assoluta, la “Realtà”, possiamo ammettere che vi siano tante realtà quanti sono gli osservatori, che le producono nel loro agire linguistico. Sarà poi compito di ciascuno di noi e nostra assunzione di responsabilità, anche nel semplice ascoltare un’altra persona nell’agire quotidiano, stabilire i propri criteri per accettare o meno quanto l’altro dice, cosa resa esplicita nel caso di una spiegazione scientifica (Maturana H., 2006b). Secondo questa concezione, allora, l’esperienza della verità, lungi dall’essere abolita, perde, però, la sua connotazione di entità a priori su cui basare il giudizio su di sé o sugli altri e si mostra, invece, come una sorta di esperienza di armonia, che si raggiunge quando ogni problema sembra essersi dissolto e si perviene ad una accettazione delle risposte trovate per le domande che ci si era posti, applicando criteri di validazione accettati consciamente o inconsciamente (Mascolo R., 2017, pag. 250).

Peraltro, ogni società, ogni comunità culturale ha un proprio schema di valori cui riferirsi, che può essere modificato nel tempo, a mano a mano che cambiano le esigenze degli individui che le compongono e non vi può essere una visione culturale che prevalga su un’altra, perché considerata migliore, neanche se si tratta della cultura cosiddetta “scientifica” (Ivi, pag. 252).

 

 

… i momenti riflessivi della sua vita 

Pensiero e vita per Humberto Maturana sono stati inestricabili, sin dagli albori della sua riflessione teoretica in abito “scientifico”, concretizzando poi il suo pensiero nella vita attiva, con la fondazione, insieme a quella che è stata poi la sua collaboratrice fino alla sua morte, Ximena Dávila, di Matríztica (1998), come spazio di ricerca e riflessione sulla nostra natura umana come esseri biologico-culturali, che si preoccupano delle conseguenze di ciò che fanno sugli altri esseri viventi e sul loro dominio di esistenza e non negano la legittimità degli altri (Maturana H., Dávila X., 2013).

Innumerevoli sono gli scritti che Humberto Maturana ci ha lasciato, muovendosi da sempre attraverso i confini fra le discipline tradizionalmente intese, per i suoi molteplici interessi in più ambiti e il linguaggio usato, compreso quello poetico, dall’ambito più “scientifico” a quello più “filosofico” o da quello più prettamente “sperimentale” a quello più “teoretico”, per giungere a costruire egli stesso un sapere generativo già di per sé radicalmente unitario, pur nella poliedricità dei punti di vista (Mascolo R., 2017, pag. 13).

Emblematico il titolo di uno dei suoi ultimi libri, scritto nel 1992, ma pubblicato solo nel 2020, “La objetividad, un argumento para obligar” (1 marzo 2020, Paidos, Chile).

In esso, una collezione di pubblicazioni appartenenti a periodi diversi, Humberto Maturana, ricordato come vincitore del Premio nazionale per la Scienza nella sinossi del libro, ci accompagna in un viaggio riflessivo attraverso la sua evoluzione culturale, come anche da me ricostruito nei miei due libri (Mascolo R., 2011a; 2017), fino a giungere a mostrare come la ragione e ciò che chiamiamo realtà siano collegati e come questo determini le modalità del nostro vivere insieme. Ci invita altresì a riflettere sull’accettazione e il rifiuto dell’altro, sulle emozioni e sul modo in cui viviamo nel linguaggio, in una continua assunzione di responsabilità nel nostro vivere-agire-conoscere, e a rivalutare i modi di pensare e di agire che sono diventati stagnanti nella nostra convivenza umana e ci impediscono di ascoltarci.

Come primo momento riflessivo, egli ricorda la sua infanzia e il suo significativo rapporto con sua madre, nonché la sua malattia, la tubercolosi, e il rischio di morire, insieme alle due morti, quella del suo gattino e di suo zio, che lo avrebbero messo di fronte al dilemma di chiedersi che cosa sia la vita, se c’è anche la morte.

Il secondo momento riflessivo, sarebbe stato per lui quello relativo al periodo trascorso come studente di medicina, quando, iniziando il suo lavoro scientifico sperimentale, si era interrogato sull’accadimento biologico del vivere e il determinismo strutturale, mentre intraprendeva il dialogo con María Montañez, prima sua compagna di studi in Medicina e, in seguito, sua moglie.

Il terzo momento (1966-1975) sarebbe stato l’insegnamento presso la facoltà di medicina dell’Università del Cile con i famosi dialoghi con i suoi studenti (Mascolo R., 2011a), che lo avrebbero condotto alla scoperta del conoscere come azione nel coordinamento comportamentale del nostro vivere e convivere, non dipendente dall’esterno, e degli esseri viventi come entità discrete e reti di produzioni di elementi che si autoproducono continuamente (1963-1964). Si sarebbe reso conto, da quel momento, che il nostro linguaggio, dove ogni sostantivo nasconde un verbo che implica sempre un fare - vedasi l’analogia con Bohm (Mascolo R., 2009) - è una coesistenza in coordinazioni ricorsive di azioni ed emozioni (Maturana H., 2020, pag. 6).

Al quarto saliente momento, Maturana ascrive l’incontro con Ximena Dávila Yáñez (1997), quello che avrebbe determinato, a suo dire, il suo “scuotimento riflessivo”, una svolta, un’apertura di prospettiva nella sua visione epistemologica, per comprendere la persona nel suo vivere e convivere culturale e concepire il dolore umano come sempre di origine culturale, una costruzione umana sociale. Pur affermando che gli studi biologici sono la base fondamentale che ci consente di comprendere la convivenza umana (Ivi, pag. 7) e pur considerando già il concetto di autopoiesi estendibile dal livello cellulare a quello sociale (Mascolo R., 2017, pag. 144), ad ogni livello di aggregazione del vivente, sorgendo “loop” più estesi attraverso cui nascono proprietà emergenti, - come fra l’altro già detto nel famoso “L’albero della conoscenza” (Maturana H., Varela F., 1999), scritto insieme a Varela e su suo suggerimento -, sarebbe stato l’invito epistemologico di Ximena a creare quel legame indissolubile fra i due che avrebbe consentito di passare dalla sua “biologia della cognizione” alla loro “biologia culturale”. A livello dell’interagire linguistico ogni conversazione appare, allora, come una danza che crea quella trasformazione nella convivenza che si attua nell’accoglienza e nel rispetto reciproci di persone biologico-culturali, nel recuperare l’“amarsi”, nel lasciarsi apparire, nello scoprire di non dover chiedere scusa per essere se stessi, mentre molteplici mondi appaiono con il nostro vivere (Maturana H., 2020, pag. 9).

Nella sua elencazione dei “momenti riflessivi fondamentali” della sua vita (Maturana H., 2020, pag. 5-9), è interessante notare come egli non citi mai colui che, nella nostra memoria collettiva, viene naturalmente accostato alla sua teoria autopoietica, come fra l’altro suo allievo e amico per molti anni, Francisco Varela. Non nomina Varela, quasi a voler evitare ogni possibile dubbio sulla paternità del concetto di autopoiesi, che egli attribuisce solo a se stesso. Egli ha sempre continuato, e sempre con maggiore veemenza, a ribadire di essere stato l’unico artefice della teoria autopoietica. Ricordo in particolare un episodio accaduto quando fu ospite d’onore durante i giorni dell’incontro internazionale fra studiosi provenienti da varie parti del mondo dal titolo “Per una bioetica della complessità”, che organizzai ad Alghero (Torre del Porticciolo, SS) (24-27 maggio 2011), per commemorare Francisco Varela, al decimo anniversario della sua morte. Egli era sempre pacato e piacevolmente coinvolto in dialogo con tutti noi, durante i seminari interattivi, che ci vedevano interagire in un processo esperienziale riflessivo, attraverso la comprensione della matrice biologico culturale dell’esistenza umana, come soleva dire lui, e nei vari momenti più conviviali, durante i quali passeggiava sempre in compagnia della sua collaboratrice Ximena e si fermava a parlava amabilmente con tutti noi. Ricordo, ad esempio, un piccolo aneddoto. Un giorno, mentre Maturana giocava con il mio cagnolino, mi specificò di aver apprezzato molto, come evidente segno di ammirazione nei suoi confronti, il fatto che io gli avessi dato il suo nome, Humberto, e mi disse che anche uno dei suoi gatti portava il suo stesso nome. Il suo atteggiamento cambiava, invece, se si trattava di Varela, come avvenne durante il suo discorso, all’Università di Sassari, proprio durante la commemorazione della morte di Francisco Varela, il 28 maggio del 2011, alla presenza di studiosi provenienti da varie parti del mondo. Particolarmente interessante, fra l’altro, fu il dibattito che si instaurò fra Maturana, Bitbol e Luisi sulla figura del suo osservatore (Maturana H. et al., 2012). Narrando la storia della sua vita, in quell’occasione lui volle ribadire la sua paternità nella nascita della teoria dell’autopoiesi. Io lo ascoltavo dalle prime file dell’aula magna e, mentre lui parlava, senza rendermene conto, a voce udibile lo interruppi dubbiosa e meravigliata: “E Francisco Varela”? Lui si voltò verso di me e mi fece cenno che sarebbe subito arrivato a parlarne e così spiegò la loro distanza sulla nascita del concetto tutto suo a suo dire. Lo sottolineò ancora in un suo scritto fattoci pervenire due anni dopo, in occasione della costituzione della “Scuola Autopoietica del Mediterraneo” (Stintino, SS, 4-8 settembre 2013), alla presenza di Pierluigi Luigi e Stuart Kauffman, con la partecipazione anche di alcuni miei studenti di Bioetica dell’Università di Sassari. Tale scuola è stata pensata, ad opera della scrivente e con il coinvolgimento di altri appassionati studiosi, come il prof. Luisi, con l’intento di costituire un centro di studi, nel cuore del Mediterraneo, in Italia, in grado di riunire attorno a sé tutti coloro che si riconoscono nel pensiero della “complessità”, declinato secondo la teoria dell’autopoiesi come consegnataci da Humberto Maturana (Mascolo R., 2017, pag. 19).

 

 

Le due vie della conoscenza 

Merita una particolare riflessione il discorso di Maturana sulle nostre modalità di conoscenza.

Può far comodo, muoversi lungo la via dell’oggettività senza parentesi, l’oggettività trascendentale (Maturana H., 2020, pag. 22), che impone l’autorità di una conoscenza universalmente valida, creando la possibilità di una validazione esterna delle dichiarazioni ed evocando l’emozione dell’autoritarismo e della sottomissione o della negazione degli altri, se non sono d’accordo con i fatti “oggettivi”. In questo percorso le persone non possono essere consapevoli delle proprie scelte, perché sono tenute a comportarsi secondo regole prestabilite a priori, come nel caso di un credo religioso, e, estremamente importante, non sono responsabili delle conseguenze delle proprie azioni (Mascolo R., 2011b).

Qualsiasi comprensione del processo cognitivo deve, invece, secondo Maturana, tener conto dell’osservatore e del suo ruolo in esso, il cui comportamento genera un dominio linguistico, risultandone allo stesso tempo generato (Mascolo R., 2017, pag. 196). Noi non possiamo avere un accesso privilegiato ad una realtà oggettiva indipendente da chi parla, come criterio di validazione di qualsiasi cosa. Da notare che, pur essendo la non separazione fra soggetto e oggetto della conoscenza già presente nell’epistemologia costruttivista, Humberto Maturana non vi si riconosce (Ivi, pag. 217). Anche i costruttivisti, infatti, pur affermando, per esempio con Von Glasersfeld che la realtà è inventata, richiedono una convalida dell’esperienza, cosa che presuppone, secondo Maturana, il confronto con una realtà oggettiva, che egli rifiuta.

La sua proposta è, invece, di mettere l’oggettività fra parentesi, seguendo il cammino dell’oggettività costitutiva (Maturana H., 2020, pag. 22). Così facendo, sin da subito avviluppati nella circolarità del processo conoscitivo, riconosciamo che il nostro vivere insieme, la coerenza operazionale consensuale e le operazioni di distinzione nel linguaggio costituiscono la generazione e la validazione di tutta la realtà, riconosciamo i “multiversi”. Ponendo l’oggettività fra parentesi comprendiamo che oltre il linguaggio non vi è nulla e che dalla prospettiva di qualsiasi dominio di realtà tutte le altre sono illusioni, mentre qualsiasi disaccordo non logico può essere sciolto in un nuovo modo di vivere insieme.

Se gli errori logici non portano al disaccordo, ma a malintesi che possono essere facilmente risolti attraverso una conversazione sincera, resta, dunque, una sorta di noumeno, a mio avviso, nel suo modo di pensare, anche lungo la via dell’oggettività fra parentesi, come caposaldo dell’interagire coordinato delle conversazioni con le conversazioni: la logica.

Perché scegliere una via conoscitiva piuttosto che non l’altra?

Maturana parla di “seduzione estetica”, ossia il fare ciò che ci piace, adottando i principi etici che ci fanno star bene (Mascolo R., 2011b, pag. 377).

Per lui, questo si ha mettendo l’oggettività fra parentesi, poiché ciò che ci “piace” si situa nel dominio basico emozionale delle nostre relazioni sociali della reciproca accettazione biologica su cui si fonda ogni socializzazione (Mendez C.L. et al., 1988),

in un’epistemologia dell’amore, quell’amore che fa apparire legittimo l’altro nella convivenza, in uno spazio in cui appare possibile ogni forma di cooperazione, nel rispetto reciproco, e la nostra solitudine è trascesa (Maturana H., Poerksen B., 2004, pag. 197). Nell’altro possiamo riconoscerci e questo perché l’amore è “l’ambito relazionale in cui hanno luogo la vita sociale, la fiducia, la cooperazione e l’espansione del comportamento intelligente” (Maturana H., Verden-Zöller G., 2008, pag. 80).

Entrambi i percorsi conoscitivi sorgono dall’osservatore, ma è la riflessione nel linguaggio, fin dall’inizio, intrecciato con le emozioni nel nostro vivere insieme, il solo che ci consenta di riflettere sulle conseguenze delle nostre azioni, che permette a ciascun osservatore di scegliere la via dell’amore. La ragione, dunque, affonda le sue radici nell’emozione e l’amore è in sé alla radice del conoscere-vivere-agire umano, senza separabilità del conoscere dall’etica (Mascolo 2011b, 379-380).

 

 

L’eredità di Humberto Maturana 

Questo credo sia il fulcro dell’eredità del pensiero di Humberto Maturana, che dal cuore della biologia si è esteso alla totalità del sapere umano nella sua “Biologia culturale”, con un’imprescindibile connotazione etica, di cui tutti dovremmo fare tesoro, come si legge nella sua breve biografia:

I suoi studi si sono concentrati sul suo desiderio di mostrare come l’ampliamento della comprensione della natura del vivere e del linguaggio ci permetta di comprendere come il rispetto reciproco e l’onestà siano il fondamento biologico-culturale della convivenza democratica.” (https://main.matriztica.org/equipo:)

Insieme a Ximena, egli ha portato avanti studi in Orientamento nelle Relazioni Umane e Familiari nel campo dello Sviluppo Organizzativo, ideando il Conversar Liberador”. Nel 2015 ad Humberto Maturana, con Ximena Dávila e Claudio Naranjo, viene riconosciuto il prestigioso Premio MCA, per aver contribuito alla trasformazione sociale e spirituale del Cile

(https://portal.theembodimentconference.org/presenters/ximena-davila).

La sua etica, che ho incontrato e condiviso nel mio percorso di studi, è per me grande insegnamento di non prevaricazione del pensiero altrui, un’etica del dubbio, più che della certezza, che auspico possa incarnarsi in ciascun Homo sapiens demens e trasformarlo, come io ebbi a dire sin dai miei primi scritti (Mascolo R., 2007, pag. 222) e durante le mie lezioni sia a scuola che all’Università. Come dice Maturana stesso, è possibile la trasformazione dell’Homo sapiens aggressans, traendolo fuori dalla via dell’oggettività senza parentesi, della certezza e dell’imposizione, rendendolo rispettoso e partecipe dell’altrui vivere nel convivere nel linguaggio che noi stessi siamo, lungo la via dell’oggettività tra parentesi dell’Homo sapiens amans (Mascolo R., 2011b, pag. 376).

Il recupero delle emozioni, ma prima fra tutte l’amore come strumento di conoscenza, dell’unitarietà mente-corpo o meglio di corpo e anima attraverso la presa di coscienza della responsabilità e della libertà nel vivere umano, che la comprensione del nostro essere biologico rende possibile, è per Maturana un bagaglio importantissimo che l’autopoiesi ci consegna (Mascolo R., 2017, pag. 156). Come ebbe a dire Ximena, egli avrebbe creato una nuova metafisica (Ivi, pag. 157) e per quanto egli voglia sottolineare che sia stato il dialogo con lei a trasformare la sua epistemologia da “biologica” a “culturale”, quest’ultima non si sarebbe potuta manifestare senza il processo evolutivo del suo pensiero attraverso la sua “Biologia della cognizione” (Mascolo R., 2011a) e ancor più con la sua teoria dell’autopoiesi (Mascolo R., 2017). 

L’epistemologia di Humberto Maturana mi ha dato modo di corroborare una delle ipotesi a me più care, ossia la non necessità di contrapporre scienze della natura e scienze dello spirito, risolvendo la loro separazione in una continuità di pensiero dialogante, senza cadere nella “fallacia naturalistica”, come accade, invece, in autori che usano la biologia per giustificare il comportamento umano.

Secondo il pensiero di Maturana, il dualismo stesso è una trappola logica non necessaria; tuffandoci direttamente nella circolarità del processo conoscitivo, attraverso il quale sorgono le cose, come riflessione dell’ontologia dell’osservare nella prassi del conoscere effettuata dall’osservatore, possiamo semplicemente distinguere continuamente numerosi domini interagenti che sorgono durante il nostro vivere (Mascolo R., 2017, pag. 174).

Nell’epistemologia-etica di Maturana, con un superamento della prospettiva dell’etica tradizionale, la biologia è la nostra stessa condizione di esistenza (Maturana H., Poerksen B., 2004, pag. 18), non la dura scienza della tradizione occidentale. Questo appare paradossale se si considera che il suo cammino verso il suo viraggio epistemologico (Mascolo R., 2011a; 2017) è iniziato proprio nell’ambito scientifico e in un’epoca e in un’università in cui si insegnava la scienza obiettiva e positiva. Espungendo i valori dal processo conoscitivo, perché soggettivi, si accettava allora l’esistenza di un’unica scienza “pura”, quale formula ideale per il progresso dell’umanità, come ricorda un suo commentatore (Maturana H., 2020, pag. 12).

Se per Maturana ogni atto di conoscenza genera un mondo e nell’indissolubile intreccio tra conoscere, agire e vivere, sorge il nostro essere esseri umani, la sua nuova epistemologia non può essere considerata separata dall’ontologia, ma diventa – come sostiene Pille Bunnell – un ontepistany”, conducendoci oltre il dualismo tra fatti e valori e illuminando l’inscindibilità intrinseca tra essere” e dover essere” (Mascolo R., 2011b, pag. 379).

È il nostro essere esseri umani molecolari autopoietici ciò che ci permette di esistere come persone che possono vivere libere da ogni fondamentalismo, come esseri culturali biologici che possono sempre riflettere se vogliono o non vogliono vivere il vivere che stanno vivendo (Maturana H.,   Dávila X., 2013). Se non scegliamo l’amore per il nostro vivere, affrontiamo la disarmonia, che alla fine può distruggere la nostra vita. Noi, come esseri umani, viviamo nell’unitarietà di mente-corpo e attraverso

l’integrazione delle nostre emozioni, come “esseri amorevoli che parlano e riflettono sulla relazione” e tutta la nostra esistenza è ancorata al profondo desiderio di una convivenza etica” (Maturana H., Verden-Zöller G., 2008), che pervade tutte le nostre dimensioni di essere esseri umani fin dalle loro radici (Mascolo R., 2011b, pag. 380).

Appare dunque vinta la sfida della complessità: attraverso la nuova epistemologia che Maturana ci offre, possiamo far tesoro delle ambiguità e delle incertezze disseminate nel sapere contemporaneo, generando connessioni all’atto stesso del conoscere, favorendo la nascita di un pensiero complesso, che si apra alla solidarietà planetaria. Se, inoltre, il conoscere è esso stesso vivere-agire, possiamo così riappropriarci dell’interezza di noi stessi, recuperando il sentimento, a completamento imprescindibile della razionalità, per ridarci l’essere umano tutto intero, ma in una totalità dai contorni sfumati e indefinibili nella indicibilità delle pascaliane ragioni del cuore (Mascolo R., 2007).

 

 

Epilogo 

Maturana ha continuato la via aperta dalla teoria dell’autopoiesi, lungo la via che lui chiama senza mezzi termini via dell’amore, portando avanti nei suoi lavori e negli interventi che egli continuamente ha tenuto in giro per il mondo, idee di responsabilità e di libertà nel rispetto di ciò che è altro da sé. La sua teoria dell’autopoiesi appare svelare la sua dimensione metafisica, riguardando, come egli stesso dice, la complessità del suo stesso vivere, comprese le sue esigenze di spiritualità e di trascendenza (Mascolo R., 2017, pag. 155).

Il nostro mondo sociale sorge con noi, in continua trasformazione, nel nostro dialogare polimorfico di esseri biologici, solo se ci muoviamo nel dominio dell’accettazione dell’altro, senza in alcun modo voler imporre il nostro punto di vista (Mascolo R., 2015a). Abbandoniamo, quindi, la presunzione di essere esseri razionali, poiché ogni dominio razionale in cui ciascuno di noi si muove a ogni istante “è costituito come un dominio di coerenze operative dallaccettazione delle premesse fondamentali che lo definiscono in un atto emozionale” (Maturana H., 2006a, pag. 110).

Accettando tale punto di vista, muovendoci attraverso l’orizzonte conoscitivo della filosofia della complessità, ciò che possiamo dire è che, durante il dialogo polimorfo “noi incontriamo l’altro essere umano in un dominio di fondamentale incertezza e tutto quello che possiamo fare è cercare di ottenere e creare una forma di esistenza, che ci permetta di danzare insieme” (Maturana H., Poersken B., 2004, pag. 125, traduzione mia) (Mascolo R., 2009, pag. 83).

Scegliamo di seguire la via dell’oggettività tra parentesi, che apre orizzonti conoscitivi in un radicalmente nuovo livello di realtà, cui non avremmo avuto accesso, se fossimo rimasti incardinati alla visione oggettivista tradizionale (Mascolo R., 2014c), lasciandoci affascinare dalla sua seduzione estetica, come ama dire Maturana, non nel senso di un ideale di bellezza canonico e platonicamente posto al di fuori di noi, bensì poiché noi amiamo la bellezza e questo amore ci fa sentire bene ed è nell’armonia e nel piacere che sorge la seduzione della conoscenza (Mascolo R., 2015b). La circolarità creativa della conoscenza che ne deriva, senza possibilità di riferimenti esterni, se non quello alla circolarità del processo stesso, implica un’assunzione di responsabilità, ignota a coloro che seguono la via delloggettività senza parentesi (Mascolo R., 2014b).

Possiamo allora solo scegliere di calarci direttamente nella circolarità autopoietica, poiché in armonia con il nostro gusto estetico e le nostre scelte etiche” (Mascolo R., 2017, pag. 247), se l’amore per l’amore ancora in noi è capace di ridonare la speranza.

Non è semplice per noi, come ammette Maturana, accettare la spontaneità del vivere, così come lui ce l’ha descritta. D’altro canto, anche se volessimo accettare le sue parole, nonostante qualunque tentativo di riflessione: “Anche così, forse quello che risulta più inaspettato, è che nella spontaneità del vivere sorgano, spontaneamente, l’osservatore, lo spiegare e questo stesso [scritto] come mere contingenze del divenire del vivere degli esseri viventi” (Maturana H., 1994, pag. 31; Mascolo R., 2011 a, pag. 126).

Nell’impossibilità di definire ontologicamente la sua epistemologia e nella negazione stessa di una necessità ontologica, non resta allora che cedere alla sua seduzione estetica e saltare nel loop” del suo costruire attivo la realtà” del proprio vivere-agire-conoscere, incarnato e immanente.

Ed il pensiero torna a Varela (1992), che riemerge, dal suo volerlo dimenticare.

 

 

Bibliografia