Riflessioni Sistemiche n° 25


Maestri e mentori.
Visioni sistemiche attraverso le generazioni

Prefazione

In Redazione abbiamo pensato che scrivere della relazione di mentoring potesse essere un modo per raccontare come l’approccio sistemico si è radicato e poi sviluppato nel tempo nei vari ambiti disciplinari. Il sapere emerge infatti dalle relazioni ed è sempre, più o meno consapevolmente, un’opera collettiva, in cui le ipotesi condivise e la partecipazione al lavoro scientifico-culturale si intrecciano con bisogni ed aspettative personali di varia natura e permeati da emozioni potenti.

Talora capita poi che la mente di un particolare studioso o ricercatore sia attraversata da intuizioni o sintesi che rappresentano delle straordinarie discontinuità, biforcazioni, transizioni di fase sul piano cognitivo, nell’evoluzione della conoscenza. Intuizioni e sintesi che preludono, introducono, alimentano vere e proprie ristrutturazioni nel modo di percepire e dare senso al mondo, alle relazioni, e al proprio stesso esistere, e che divengono infine patrimonio comune.

Questo modo di procedere e di strutturarsi del sapere si sostanzia quindi in un alternarsi di fasi di consolidamento, alimentate dalla dinamica della consensualità, con fasi di transizione impreviste, imprevedibili, innovative ed irreversibili. Si tratta di un’alchimia in fondo misteriosa fra stabilità e cambiamento (per dirla alla Bateson) che ricorda in termini abduttivi il discorso sugli equilibri punteggiati degli evoluzionisti Niles Eldredge e Stephen Jay Gould. Qualcosa che potremmo in altro modo descrivere come una danza di Shiva delle idee e dei saperi, in cui le mappe di ciò in cui siamo immersi, e di noi stessi, si aggiornano incessantemente in modo creativo e cangiante, e che trova sicuro nutrimento nella relazione di mentoring.

Quando si incontra, o forse sarebbe meglio dire “si sceglie”, un/una mentore, ciò permette a quest’ultimo/a di ricevere i giusti stimoli per specificare al meglio le proprie mappe, e a se stessi, nella posizione invece di allievo/a, di integrare ed approfondire la propria ecologia di conoscenze, talvolta introducendo in essa delle connessioni nuove fra aree conoscitive o costrutti fino a quel momento non comunicanti.

Probabilmente un buon mentore ed un buon allievo hanno qualcosa in comune che riguarda l’atteggiamento, e cioè la capacità di fare e farsi domande per le quali non c’è ancora una risposta pronta, quelle che l’epistemologo costruttivista Heinz von Foerster efficacemente definiva “domande legittime”. Si tratta della capacità di mantenersi costantemente in cammino spinti da una insopprimibile curiosità, generativa di meraviglia, e da una particolare confidenza con l’incertezza e l’esperienza dello spiazzamento, ma spinti al tempo stesso anche da un’esigenza di rigore epistemologico e metodologico che nel caso dell’ottica sistemica rimanda al famoso adagio circolare di Humberto Maturana e Francisco Varela per cui “la conoscenza è azione e l’azione è conoscenza”.

Tutto ciò definisce la relazione di mentoring come partecipativa, coevolutiva, orientata verso l’apertura al mondo, generativa di un rapporto più profondo e consapevole con se stessi e con l’altro, e infine come contesto interattivo in cui le idee e le conoscenze dell’approccio sistemico possono fiorire attraverso la cura dei suoi protagonisti.

Si tratta di qualcosa di sacro, in senso batesoniano, in cui l’intreccio evolutivo del vivente è co-costruito e percepito, almeno a tratti, nella sua complessità, proprio attraverso il costante lavoro di ristrutturazione delle mappe conoscitive che tiene impegnati il mentore ed il suo allievo.

La dimensione complessa ed evolutiva di quanto è osservato (sistemi viventi) entra per così dire in risonanza con il funzionamento della relazione di mentoring, la quale si rivela pertanto adeguata ad una forma di conoscenza che potremmo per l’appunto definire sistemica.

Questo e molto altro ancora è quanto emerge dagli scritti presenti in questa monografia. Scritti che raccontano del rapporto portato avanti nel tempo con giganti della cultura e della scienza per ciò che attiene ai temi della complessità e della visone sistemica della vita. Si tratta di narrazioni emozionanti con le quali gli autori, molti dei quali sono oggi essi stessi dei mentori, ci accompagnano nell’esplorazione di quanto e come l’incontro con un maestro o una maestra può riorientare il proprio percorso di ricerca scientifico-culturale, così come il modo stesso di stare al mondo.

Detto questo, nell’augurarci che tale sforzo editoriale dell’AIEMS (Associazione Italiana di Epistemologia e Metodologia Sistemiche) possa contribuire alla promozione dell’approccio sistemico ma anche ad una maggior consapevolezza storica ed interdisciplinare da parte di chi lo pratica da tempo, vogliamo ringraziare tutti gli studiosi e i ricercatori che hanno partecipato a questa monografia con impegno intellettuale ma anche con grande coinvolgimento emotivo e affettivo, fatto questo che rappresenta un vero e proprio dono offerto ai lettori della rivista.

Vogliamo infine ringraziare gli amici Donatella Amatucci ed Enzo Menozzi che anche stavolta si sono presi rispettivamente cura della traduzione dall’italiano in inglese dei Sommari di alcuni saggi e degli aspetti tecnici della pubblicazione telematica.

 

Sergio Boria, Giorgio Narducci, e la Redazione 

Articoli

In questo saggio racconto la mia formazione con Boscolo e Cecchin in connessione con la storia della formazione in psicoterapia a partire dagli anni Ottanta, con la storia della loro formazione a partire dagli anni Sessanta e con la storia della formazione dei loro formatori a partire dagli anni Trenta. Con particolare riferimento ad Arieti. Il grande esilio degli psicoanalisti ebrei dall’Europa verso l’America.
Boscolo e Cecchin furono nomadi volontari in America, alla ricerca, inconscia, delle tracce di un pezzo di storia perduta, il loro rientro in Italia ha portato un vento di cambiamento e de-provincializzazione delle idee e delle pratiche terapeutiche.

Marcello Cini, un maestro di politica e scienza in un intreccio “complesso”. Piccola storia personalissima di un incontro con chi ha fatto ricerca sui legami complessi che legano “interessi di classe” ed “ecologismo”, impegno politico e ricerca scientifica, ricercando con curiosità il nuovo e l’inesplorato che trapelava dalle quotidiane forme della vita.

Ci sono incontri che hanno nella propria esistenza l’effetto di un riorientamento cardinale, di un’apertura di nuove prospettive. Nel caso che racconto, l’incontro con Serge Latouche ha aperto all’autore del saggio prospettive di analisi nuove su alcuni dei paradigmi culturali della modernità occidentale e sui possibili antagonisti – dallo sviluppo alla sussistenza, dall’economia all’informale, dall’utilitarismo al dono, dalla crescita alla decrescita – stimolando in diverse direzioni un’avventura umana, relazionale e intellettuale. Un percorso attraverso idee e segnavia nel mio personale confronto con l’opera di Serge Latouche.

Raccontare della mia relazione con Donata Fabbri (e più implicitamente con Alberto Munari) è un modo per ricercare intorno agli elementi costitutivi del mentoring: un processo misterioso ed elettivo che coinvolge le persone oltre il livello micro, per interrogare il nostro rapporto con il sapere e il contesto, in un intreccio tra idee, emozioni, azioni che va oltre l’individuo per plasmare le organizzazioni, la vita accademica, la società più ampia..

L’autore ricostruisce il suo rapporto con Edgar Morin, indicando quando e perché si è imbattuto nel suo pensiero e tracciando le tappe che lo hanno portato a integrare la propria concezione storicistica col pensiero complesso di Morin, con il quale ha intrecciato anche intensi rapporti personali. Sottolinea anche ciò che di importante ha imparato da lui o grazie a lui.

Gabriella Giornelli

In questo articolo analizzo l’importanza di avere avuto maestri della levatura di Perticari, Sclavi e Maturana. Tutti e tre, con visioni e aspetti comunque diversificati, mi hanno formata circa l’importanza di essere insegnante capace di modulare attenzione e ascolto in rapporto stretto con gli studenti. Perché ogni materia che insegniamo ha senso se la ricostruiamo con loro e se permette a tutti di accedere ad un mondo di conoscenze.

Ho individuato più che un maestro, per la mia formazione verso un pensiero maggiormente sistemico rispetto a quello della mia formazione iniziale, un ambiente che ho frequentato negli anni 1980 e 90, a Chamonix in Francia. Gli incontri annuali delle JIES erano situazioni di scambio e di crescita con ricercatori di diverse discipline scientifiche, ma anche pedagogiche e artistiche, legate alla medicina e alla comunicazione, alle tecniche e all’epistemologia, con i loro linguaggi e le loro domande. Una situazione che mi ha coinvolto come persona intera e che mi ha dato dei compagni di strada.

Il racconto della mia formazione sistemica come fisico passa attraverso il confronto con il pensiero di tre grandi figure: David Bohm, Marcello Cini e Fritjof Capra. Il pensiero di questi grandi fisici teorici parte dalla fisica delle particelle, e questo offre la possibilità di una riflessione critica sul rapporto tra sistemica e riduzionismo.

L’articolo descrive l’importanza del ruolo del mentore nella biografia incorporata e professionale dell’autrice. Lo scritto evidenzia come il mentore abbia avuto un ruolo cruciale nel farle apprendere l’approccio sistemico attraverso una serie di esperienze di ricerca cooperativa e di pratiche estetiche seguendo il metodo com-posizionale nell’ambito dell’educazione degli adulti.

Seguire il pensiero di Humberto Maturana, ripercorrendone la vita fino alla nascita della sua teoria dell’autopoiesi e alla sua eredità, è stato per me trovare ciò che cercavo durante il mio percorso di studi scientifico-filosofico, che naturalmente si apriva alla complessità e al superamento delle barriere fra gli umani e fra i saperi. Saltare nel “loop” conoscitivo offerto dalla sua epistemologia, come scelta d’amore, si offre come scelta radicale di conoscenza di per sé stessa etica.

Attilio Maseri ha fatto diverse scoperte cruciali che hanno già lasciato un’impronta decisiva nella cardiologia che conosciamo. In questo saggio si esplora per la prima volta la possibilità di formalizzare un suo pensiero unificato all’origine della loro specificità. Ben oltre le singole scoperte, emerge un cambiamento di cornice dell’intera medicina in chiave complessa e personalizzata con rilevanti conseguenze operative ancora da realizzare.

Questo articolo racconta la relazione con l’epistemologo Heinz von Foerster e i suoi insegnamenti: la cibernetica di secondo ordine, l’auto-organizzazione dei sistemi, la ricorsività/riflessività, il movimento come primum movens per la conoscenza, la scelta costruttivista e l’atteggiamento etico che ne deriva, l’imprevedibilità delle situazioni e degli umani… Soprattutto l’insegnamento a stupirsi della vita e dei suoi accadimenti e a provare gratitudine per tutto ciò che accade.

La costruzione di una teoria non è mai solo l’espressione della speculazione razionale. È anche la storia degli incontri e delle relazioni che hanno segnato la biografia del suo autore. Questo è valido per ogni teoria, ma in particolare per la teoria mimetica di René Girard, che indaga i desideri interindividuali. Interrogarsi sui fondamenti del pensiero di questo gigante della cultura moderna ha significato per me inevitabilmente ripercorrere le tappe principali del legame con il mio maestro, dal nostro primo incontro fino alla sua scomparsa nel 2015.

Lucilla Ruffilli

Una docente di chimica racconta la propria esperienza lavorativa. La nascita del Circolo Bateson di Roma e del Laboratorio Epistemologico. Intervista a Concetta Calabrò, insegnante in una scuola media di Roma

In questo saggio guarderemo, da un punto di vista inevitabilmente trasformato dall’esperienza pandemica, a tre usi del concetto di ecosistema applicato alla conoscenza, alla formazione e all’educazione: training ecosystem o ecosistema della formazione, education ecosystem o ecosistema dell’istruzione, e knowledge ecosystem, l’ecosistema della conoscenza. Come sempre avviene nella metafora, i tre concetti mettono avanti alcuni aspetti degli ecosistemi fisico-biologici tralasciandone altri. Gli aspetti meno evidenziati – come il destino comune e la compenetrazione fisica, ma anche l’equilibrio e il rischio di cambiamento catastrofico – sono tuttavia, a ben vedere, davvero essenziali quando si parla di educazione. Se la situazione pandemica ha accelerato alcune tendenze in corso nel mondo dell’educazione e della formazione, essa ha forse messo ancor più in ombra quegli aspetti, che in chiusura cerchiamo di rimettere a fuoco riconnettendo il concetto di ecosistema con le nozioni di comunità e di destino comune, i quali tracciano le sfide urgenti e cruciali per la ricostruzione dell’educazione del futuro.

L’articolo costituisce un tentativo di lettura sistemica di alcuni aspetti e momenti dell’esperienza d’insegnamento dell’autore. Si mettono a fuoco: l’apprendimento come co-costruzione delle conoscenze; il ruolo positivo che il ‘rumore’ può svolgere nel contesto delle attività scolastiche; il passaggio dalla spiegazione all’elaborazione di pattern di comprensione condivisi; la gestione delle regole attraverso un cambiamento di contesto; la considerazione del docente come osservatore partecipante.