Riflessioni Sistemiche n° 26


Eredità e ispirazioni.
Incontri con persone straordinarie

Moshe Feldenkrais e l'integrazione di movimenti,
sensazioni, sentimenti e pensieri


di Mara Della Pergola


Formatrice metodo Feldenkrais®
Direttrice IsFel - Istituto di formazione Feldenkrais, Milano

Sommario
Feldenkrais insegna ad ascoltare e dare voce al corpo sensibile, elemento essenziale da cui deriva la capacità di imparare, scegliere, agire e stare bene. L'integrazione delle sfere sensomotorie, emozionali e cognitive favorisce la salute. La sua pedagogia embodied si sviluppa dalla prima metà del '900 in poi e anticipa le attuali ricerche neuroscientifiche sulla plasticità del cervello.

 

Parole chiave
Integrazione, embodiment, movimento, processo versus obiettivo, autoconsapevolezza, deutero-apprendimento.

 

Summary
Feldenkrais teaches how to listen and give voice to the sensitive body. An essential element to improve the ability to learn, choose, act and be well. The integration of the sensorimotor, cognitive and emotional spheres is fundamental to health. His embodied pedagogy, developed from the first half of the 1900s onwards, anticipates current neuroscientific research on the brain plasticity.

 

Keywords
Integration, embodiment, movement, process versus goal, self awareness, deutero-learning.

 

 

Come dico sempre, l'incontro nel 1979 con Moshe Feldenkrais (1904-1984) ha dato una svolta alla mia vita e tuttora il suo ricordo mi accompagna, mi ispira e mi rallegra. Lo penso con grande riconoscenza, perché ha indirizzato e consolidato i miei interessi, seppure in passato mi sia capitato di scalpitare e di affrontare momenti di caos e di insofferenza. Non posso sapere come sarei diventata senza l'esperienza formativa con lui, né come si sarebbe orientata la mia vita professionale, ma l'immergermi intuitivamente in un approccio molto originale per quegli anni, mi ha permesso di ritagliare a mia misura una nuova professione e poi di accompagnare altre persone verso l'ascolto di se stesse, del proprio modo di muoversi, di percepirsi, di narrarsi o di agire.


 

Il periodo
Inquadro brevemente il periodo in cui lo conobbi. Negli anni '70 facevo parte di una équipe psico-socio-pedagogica in un consultorio familiare della provincia di Milano. Operavamo in un campo vastissimo: la prevenzione e la tutela della salute fino ai 18 anni, e il lavoro mi richiedeva un impegno notevole. Per “rigenerarmi” nel '77 mi iscrissi alla scuola di mimo e recitazione del teatro Arsenale, dove veniva proposto il lavoro di Jacques Lecoq.  

Lì si tenevano anche delle lezioni di movimento secondo il metodo Feldenkrais. Erano anni di grandi conquiste individuali e sociali e di notevoli fermenti dopo la legge che aveva introdotto il divorzio nel 1970, quella sull'interruzione volontaria della gravidanza, la legge Basaglia del '78, e l'abolizione delle classi speciali per gli alunni detti allora “handicappati”. Le leggi spalancavano nuovi orizzonti, gli operatori sociosanitari erano particolarmente ottimisti, ma la distanza tra quelle conquiste giuridiche, la risposta dei servizi pubblici e la mentalità collettiva era grande. Sentivo che mancava qualcosa di molto importante nell'intervento sul territorio: la considerazione della dimensione corporea quale elemento generatore di trasformazione.

Fino a quel momento avevo pensato che la conquista di maggiore consapevolezza e benessere potesse avvenire soprattutto grazie all'impegno politico – militanza e femminismo - e alla psicoterapia. Avevo percorso entrambe le strade, forse senza troppa convinzione e senza trovare un mio mentore, finché la scuola di teatro mi sorprese per la sua incisività sugli allievi.

 

Partendo dalla ricerca dell'espressione di sé, dal senso di piacere che ne derivava e dalla condivisione nel gruppo, andavo scoprendo che certi movimenti o esercizi preparatori non servivano solo a “riscaldare” l'attore, ma ne trasformavano la self image, consentendo l'emergere di aspetti latenti o poco valorizzati. E Moshe Feldenkrais ne era l'ispiratore.

Decisi allora di andarlo a conoscere e mi presentai nel suo studio di Tel Aviv durante le vacanze natalizie del 1999.


 

Tel Aviv 

L'accoglienza fu un po' rude e mi intimidì parecchio. Incontrai un signore anziano che mi rimproverava perché avevo provato le sue lezioni con persone che non si erano formate con lui e perché avevo letto testi di autori che non sapevano nulla del suo lavoro, ma ebbi modo di osservare l'inizio di una sua lezione individuale con una bimbetta recalcitrante e mi colpì la semplicità intelligente e disarmante del modo in cui lui iniziò a parlarle. La bimba indossava una maglietta con una scritta in ebraico e Feldenkrais, sfiorando le forme delle lettere con un dito, leggeva ad alta voce le parole e le domandava allegramente qualcosa, mentre stabiliva con delicatezza un contatto fisico con lei. Dopo il silenzio imbronciato iniziale, la bimba sollevò lo sguardo, iniziò a rispondergli e io mi dissi che i giochi erano fatti. Lei lo seguì docilmente nel suo studio.

Incuriosita da ciò che non capivo, rimasi ad attendere la fine della lezione per riparlargli e in breve tempo decisi di iscrivermi alla formazione che sarebbe iniziata l'anno successivo negli Stati Uniti. Così iniziò il nostro dialogo.



La formazione 

Ad Amherst nel 1980, nella magnifica palestra dell'Hampshire College, Feldenkrais, che aveva 76 anni, insegnava a più di 200 persone per 9 settimane di fila. Dopo le ore di corso con noi, dava lezioni individuali di Integrazione Funzionale ad adulti e bambini con problemi neurologici, ortopedici o di altro genere. Il corso durava 4 anni, ma dopo i primi due Feldenkrais fu colpito da una emorragia subcorticale e il corso proseguì condotto da alcuni suoi allievi che si alternavano nell'insegnamento e che quindi divennero i primi formatori del metodo.

La sua malattia fu un trauma per tutti e lo vissi un po' come un tradimento delle mie aspettative.

 

Quei primi diplomati non potevano che riproporre ciò che lui aveva già insegnato altrove, e superare quel passaggio obbligato non fu semplice.

Il metodo era lui, con la sua cultura, la sua arte e il suo carattere. Per studiare con lui erano arrivate persone da tutto il mondo, una ventina dall'Europa e, con mia grande sorpresa, solo io dall'Italia.

Dovevo quindi affrontare da sola una situazione caotica e difficile. Ma il mio dialogo con Feldenkrais non si interruppe con la sua malattia; quando iniziò a stare meglio andai a trovarlo a casa sua, a Tel Aviv, e con grande soddisfazione mi disse che lavorava molto su di sé e aveva ricominciato a parlare e scrivere in diverse lingue, prese un foglio e si mise a scrivere qualche frase in francese e inglese. Il dialogo non si interruppe neanche dopo alcuni anni, con la sua morte. Il lascito era grande e importante, richiedeva studio, pratica, rigore, fantasia e condivisione delle scoperte. Ogni volta che preparavo una nuova lezione mi pareva di riascoltarlo, ponevo domande, lo immaginavo insegnare, lo sentivo ancora presente.

 

 

L'intuizione 

Che cosa mi ha spinto verso un uomo apparentemente burbero e non convenzionale, che non era un accademico e però era considerato un grande innovatore?

Certamente il mio desiderio di aggiornamento e la prospettiva di rendere la mia professione più interessante, utile e gratificante, ma soprattutto mi spronava il bisogno di trovare la stabilità sufficiente per potermi orientare in una nuova direzione, senza stravolgere del tutto la mia vita milanese. Avevo la sensazione che ci fosse qualcosa di biologicamente molto vero e di sorprendentemente rivoluzionario in quello che lui proponeva, vale a dire la auto-consapevolezza che si sviluppa attraverso il movimento. E quel senso di radicamento e di equilibrio dinamico che inconsapevolmente cercavo è sbocciato insieme a molte altre importanti percezioni, generato da quello che sentivo in me stessa mentre mi muovevo ascoltandolo e ascoltandomi, e non unicamente da quello che pensavo e mi dicevo, o dalla elaborazione degli stati d'animo.

Il mio “essere movimento” mi forniva informazioni su me stessa in relazione alle mie intenzioni, ai miei stati d'animo, ai miei desideri, ai miei ricordi, ma anche in relazione all'ambiente e agli altri; e da queste informazioni, che potevano sparire per poi riemergere, si sviluppavano una comprensione e una sensibilità che non sarebbero mai sparite.


 

L'uomo e la visione sistemica 

Quella di Feldenkrais è stata una vita molto avventurosa e ne traccio un breve schizzo: nato in una regione che ora è Ucraina, era emigrato da adolescente nella Palestina del mandato Britannico dove aveva lavorato alla costruzione del futuro Stato di Israele e aveva poi frequentato ingegneria conseguendo un dottorato in Scienze Naturali alla Sorbona. A Parigi, negli anni '30 - primi '40, fu ricercatore nel laboratorio di fisica diretto da Frédéric Joliot–Curie, il genero di Madame Curie, del quale fu amico e collaboratore. Era uno scienziato appassionato di Ju Jitsu e di Judo, discipline sulle quali scrisse molti testi, e divenne la prima cintura nera di Judo in Europa.

Lasciò Parigi nel momento dell'occupazione nazista, si rifugiò con altri scienziati in Inghilterra, dove operò per la Difesa Britannica e scrisse un primo libro sull'integrazione di corpo/mente/comportamento maturo/apprendimento.

Tornato in Israele dopo la nascita dello Stato, lasciò la fisica per dedicarsi alle sue ricerche iniziate molti anni prima e sviluppatesi anche a causa di un trauma al ginocchio.

Fu molto vicino a David Ben Gurion, uno dei padri fondatori di Israele, e lo portò a mettersi nella posizione rovesciata a testa in giù quando aveva già superato i 70 anni e tutti lo sconsigliavano di farlo.

Accenno a questo episodio perché sintetizza il suo pensiero: chiunque può cambiare il proprio punto di vista, realizzare i propri sogni inespressi e arricchire l'immagine che ha di se stesso/a indipendentemente dall’età, se è consapevole di ciò che fa e di come lo fa, vale a dire se impara a riconoscere le proprie abitudini disfunzionali e a includere tutte le parti di sé in ogni gesto, pensiero, sentimento e azione.

L'apprendimento di nuove abilità, qualsiasi esse siano, avviene non grazie alla forza di volontà o alle ripetizioni meccaniche della stessa azione, ma attraverso una serie di esplorazioni e variazioni dello stesso gesto o azione, che potrà modificarsi grazie ai 

feedback sensoriali.

 

Si tratta quindi di non focalizzarsi sull'obiettivo finale e sul lavoro muscolare, ma di imparare a utilizzare l'intelligenza del sistema nervoso che governa tutta l'attività muscolare per dirigere lo scheletro nei gesti e nelle direzioni volute. 

Già dagli anni '20/'30, molto prima di dare maggior consistenza e un nome al suo modo di integrare movimento e apprendimento, Feldenkrais si interrogava sui principi delle arti marziali, sull'autosuggestione e sull'influenza circolare reciproca di azioni o movimenti, pensieri, sentimenti e self image.

Il numero incalcolabile di lezioni di movimento che ha creato dagli anni '50 in poi, guidano l'attenzione dell'allievo verso l'ascolto profondo e verso una migliore e spontanea organizzazione senso motoria, senza imposizione di modelli di riferimento e correzioni.

Lo scopo non è quello di imparare a muoversi nel modo giusto in assoluto, ma quello di arricchire il repertorio dei propri gesti e di tutti gli elementi ad essi connessi, per scoprire ciò che funziona meglio, che scorre fluidamente, che fa star bene e, molto importante, per poter usufuire di possibilità alternative. Si impara a dar fiducia a ciò che si sente, per recuperare il movimento funzionale e naturale della specie umana, senza escludere l'interpretazione individuale. 

Potremmo dire che è una visione sistemica del rapporto mente-corpo e individuo-ambiente, che tiene conto del funzionamento del sistema nervoso, della forza di gravità in cui tutti ci muoviamo e dell'apprendimento.

 

Moshe Feldenkrais aveva una solida formazione scientifica, era un ricercatore curioso e sensibile, che sapeva creare ponti logici tra discipline diverse. Integrava i principi delle arti marziali con le conoscenze di fisica, biomeccanica, psicologia, pedagogia, cibernetica ed era un uomo di azione, un pioniere.

La sua grande abilità è stata quella di riuscire a trasmettere principi astratti o pensieri complessi per mezzo della dimensione corporea. La comprensione che nasce dunque dall'azione e dalla percezione.

Faccio un esempio banale: è inutile dire a un ragazzo che siede afflosciato “stai diritto”. Finchè non percepirà fisicamente dentro di sé il concetto di verticalità e ne apprezzerà la comodità, la parola “diritto” risuonerà come un termine astratto, collegato principalmente allo sguardo altrui o all'ambiente circostante, senza alcuna relazione con la self image, e quindi scomodo. Se verrà corretto, si raddrizzerà per un attimo per poi tornare involontariamente nella postura afflosciata, sentita come più comoda proprio perché abituale.


 

La sua pedagogia 

Ad Amherst, nel 1980, facevo parte di un laboratorio - la formazione - nel quale non si separavano mai i momenti di pratica da quelli di studio teorico. Ascoltare Feldenkrais era stimolante, divertente e a volte faticoso, perché mentre ci chiedeva di esplorare un movimento pensando allo scheletro con la massima pazienza e lentezza, ci introduceva ai principi del metodo, intrecciandoli con la pratica senso-motoria, oppure ci parlava delle scoperte di altri ricercatori e continuava a insegnarci con associazioni libere. Ci muovevamo e contemporaneamente raccoglievamo sensazioni, stavamo nel respiro, non smettevamo di porci domande, e quindi dovevamo pensare senza mai attendere le sue risposte.

In questo modo voleva facilitare l'emergere di sensazioni che sarebbero diventate percezioni e poi comprensione delle maggiori funzioni della specie umana e di noi stessi.

 

Ci chiedeva di non prendere appunti durante le sue lezioni, ma di restare nell'esperienza corporea e, solo successivamente, di analizzarla con i compagni di corso.

Voleva che imparassimo a imparare, includendo la dimensione corporea.

L'apprendimento e, in seguito, la creatività, sarebbero sbocciati dal senso di piacevolezza e di integrazione percepiti.

Molti anni dopo aver terminato la mia formazione, quando a mia volta ero diventata formatrice di insegnanti Feldenkrais, ho proposto agli allievi di una scuola secondaria di primo grado un corso sull'apprendimento della geometria attraverso il movimento. Il metodo non era ancora molto conosciuto in Italia e non era facile inserirsi nelle scuole, ma i disegni dei bambini eseguiti all'inizio e alla fine del corso mostravano grandi differenze rispetto all'immagine di sé, alla propria struttura scheletrica e alla comprensione delle figure solide.  

  

 

Dialogare con il sistema nervoso 

Quelle di Feldenkrais erano intuizioni nate dalle sue conoscenze, dalle esperienze personali, dalla sua cultura ebraica, verificate nella pratica su di sé e consolidate con innumerevoli altre persone. Nel 1980 ci parlava già di plasticità del sistema nervoso e ricordo che citava le ricerche di Paul Bach y Rita, ma allora non esistevano le tecniche di brain imaging che ora confermano la validità del suo lavoro.

 

Ci chiedeva di imparare a dialogare con il sistema nervoso, cercando modalità diverse per compiere uno stesso movimento e facendo volontariamente gli “errori” che scoprivamo - praticamente una prescrizione del sintomo - finché non venivamo sorpresi e meravigliati da un modo di muoverci che di colpo diventava facile, armonioso e piacevole. Questo ci avrebbe consentito di abbandonare spontaneamente abitudini disfunzionali e di acquisirne altre più funzionali.

 

Ma in che modo si può dialogare con il proprio sistema nervoso?

Prima di tutto con il sostenere il fondamentale bisogno di sicurezza di ogni organismo vivente - ritroviamo nella Teoria Polivagale di Stephen Porges sull'attività del sistema nervoso autonomo della fine degli anni '90 molti di questi spunti- , dunque lavorando spesso sdraiati a terra e sostenendo il corpo nei punti necessari per far sì che l'attività muscolare inconsapevole si calmi e si crei una sensazione di mancanza di fatica e di galleggiamento che permetterà nuove esperienze in tutta sicurezza.

Il cervello con tutto il sistema nervoso è il nostro sistema di informazione d'eccellenza e tra le diverse funzioni mette ordine nel caos degli stimoli. Fornirgli esperienze senso motorie guidate e appropriate - top/down e bottom/up - è come dialogarci facilitando la percezione di differenze significative, che stanno alla base dell'intelligenza e della capacità di scegliere. 

L'utilizzo dello scheletro in rapporto con la forza di gravità, consente alla muscolatura di attivarsi solo per il movimento desiderato e di non irrigidirsi costantemente per sostenere la persona o per mantenerla all'erta, come invece spesso accade.

 

Poi con il proporre un ascolto esplorativo e non giudicante - ritroviamo elementi dell'Eutonia di Gerda Alexander, del Focusing di Eugene Gendlin e della Meditazione, ripresi poi dalla Mindfulness, dal Mindsigth e dalla Neurobiologia interpersonale di Daniel Siegel - e il lasciare che l'integrazione non avvenga per volontà, per imitazione, per imposizione o per miracolo, ma perché il funzionamento della specie umana, vale a dire il passaggio dalle intenzioni alle azioni, segue una logica di co-adattamento all'ambiente e alle relazioni privo di rigidità.

 

Gli elementi fondamentali dello Judo hanno tra l'altro fatto comprendere a Feldenkrais quanto sia importante eliminare ogni sforzo dalle azioni e dai gesti, e in che modo sia possibile utilizzare la forza del proprio bacino per muoversi con una organizzazione economica e potente, risparmiando energia e mantenendo l'equilibrio.

 

Il modello di crescita e di apprendimento del bambino è alla base di quello che Feldenkrais chiamava l'apprendimento “organico”, vale a dire un apprendimento che non parte dallo studio di testi, ma dall'esperienza corporea. Certamente conosceva Piaget, i testi di Bernstein non ancora divulgati in Europa, l'esperienza di Maria Montessori e di altri pedagogisti. Più recentemente troviamo spunti affini nei testi di Guy Claxton pubblicati alla fine degli anni '90.

 

L'apprendimento si nutre imparando a porre e a porsi le domande per le quali non c’è una sola risposta e senza dipendere da quelle del maestro. La tradizione ebraica basa lo studio dei commenti ai testi sacri proprio su questa capacità che va coltivata e condivisa, mantenendo viva la curiosità e il rigore, e lasciandosi sorprendere. E cito Heinz von Foerster che ha parlato di “domande legittime”, ma anche Maturana e Varela, con tutti i quali Feldenkrais ha avuto occasione di scambio.

 

La sua pratica di immaginazione incarnata del movimento o simulazione, come la definirebbe Alain Berthoz, è come una metafora fisica. Le informazioni arrivano dalla corteccia cerebrale alla periferia del corpo, senza una impegnativa attività muscolare. Lo spartiacque tra immaginare e manifestare una attività non esiste o è molto sottile. È proprio su quello spartiacque fittizio che ci si può accorgere di una trasformazione nella qualità del modo di muoversi e di stare, calibrando le forze e non forzando inutilmente i propri limiti.

L'immaginazione o simulazione facilita la consapevolezza del nostro risuonare con l'altro. Per esempio, quando assistiamo a uno spettacolo di danza o teatrale ci possiamo accorgere di sentire in noi stessi anche parte dei movimenti di chi è in scena, oltre che il loro ritmo, e ne cogliamo la genuinità. Le ricerche sui neuroni specchio di Rizzolatti e Gallese ne sono una ulteriore conferma.

 

Altre fonti di ispirazione per Feldenkrais sono state alcune pratiche psico somatiche quali il metodo di Frederick Matthias Alexander, e negli anni '30 la conoscenza della comunità dei seguaci di Gurdjieff a Parigi. Da entrambi ha tratto spunti sulla pratica dell'ascolto e dell'auto osservazione.

 

Da giovane aveva divulgato il testo di Emile Coué sull'autosuggestione e negli anni 70 aveva incontrato ed era stato ispirato dall'ipnosi di Milton Erickson. La conoscenza e l'incontro con Gregory Bateson ha certamente contribuito alla sua visione del sistema corpo/mente/ambiente.

 

Tutti ovviamente dichiarano l'unità di corpo e mente, ma credo che pochi abbiano saputo veramente concretizzare con esperienze sensibili e comprensibili il principio sistemico di unità funzionale.

Ogni esperienza senso motoria coincide infatti con il dominio cognitivo ed emozionale. Il movimento è semplicemente la via più facile per accedere alla globalità della persona.

 

 

Le pietre miliari 

Se torno alla mia esperienza personale di quegli anni e penso a quali aspetti ho riconosciuto come pietre miliari illuminanti, direi che inizialmente ci sono state le sensazioni di leggerezza tridimensionale e aerea e, nello stesso tempo, di radicamento solido al terreno, di centratura e di libertà, che mi offrivano la comprensione che non si è per sempre ma si diviene sempre, e dunque si presentava la prospettiva di una presenza responsabile su questa terra.

 

Durante la mia prima lezione individuale, ricevuta prima di iniziare la formazione, è stato estremamente sorprendente il sentirmi riconosciuta e compresa senza utilizzare il linguaggio verbale, e sentire che grazie al tocco delicato e rispettoso delle mani dell'insegnante potevo provare una profonda e preziosa tenerezza verso me stessa. Potrei dire che questo è un elemento che ritroviamo nella self compassion.

 

Un’altra pietra miliare è stata la certezza che il riportare l'attenzione alla struttura scheletrica offre una neutralità sorprendente e immediata rispetto alla qualità dei movimenti e all'avvicendarsi di stati d'animo e pensieri non sempre piacevoli. Questo non accade se l'attenzione è rivolta all'attività muscolare, che inevitabilmente rispecchia ogni stato d'animo e ogni pensiero.

Imparare a riportare l'attenzione allo scheletro, al radicamento al suolo e al respiro favorisce un altro stato mentale e un diverso rapporto con il tempo. È come meditare per poi poter agire nel modo più economico e rispettoso dell'ambiente e degli altri.

Certamente l'integrazione con gli stati d'animo di tutte le mie parti fisiche, incluso il respiro e la visione, mi ha permesso un nuovo orientamento e una diversa prospettiva.

 

L'immaginarmi mentre esploro le diverse tappe di un movimento, tiene conto del passaggio di informazioni da un emisfero cerebrale all'altro e mi ha fatto capire le grandi possibilità di applicazione di questa strategia pedagogica. Vale a dire che se si muove e si riorganizza un lato del corpo non è poi necessario ripetere le stesse precise sequenze di movimento sul secondo lato, perché è sufficiente immaginare e rivivere su quest'ultimo tutte le sensazioni già provate sul primo lato.

 

La riscoperta embodied dei movimenti collegati allo sviluppo filogenetico e ontogenetico mi ha fatta sentire parte di un percorso che va al di là del singolo individuo e mi ha insegnato a rispettare ogni singola interpretazione.

 

Infine, ma importantissimo, tutta l'esperienza formativa con Feldenkrais è stata condita con il caratteristico umorismo ebraico, un elemento che mi ha fatto sempre sentire in famiglia e non in un corso professionale.

Il suo era un umorismo orientato alla sorpresa del cambio di prospettiva, a volte era ironico, altre grossolano, ma era quello che ci faceva ridere di noi stessi “nonostante tutto”, e naturalmente c'era anche la risata salutare e liberatoria che nasce dalla pancia, come quella di un bimbo.

 

 

Espressione creativa e scrittura 

Durante questo lungo percorso, orientato sul processo più che sull'obiettivo, ho maturato il desiderio di condividere la mia visione del metodo, integrandovi altri interessi ed esperienze, ed evitando di scrivere un manuale.

Pochi anni fa ho raccolto tutti questi elementi nella scrittura di “Lo sguardo in movimento. Arte trasformazione e metodo Feldenkrais”. Nel libro ho analizzato alcune esperienze psicosomatiche fondamentali che ci accompagnano dalla nascita, e l'ho fatto attraverso l'osservazione di opere d'arte che le rappresentano magnificamente, proponendo esplorazioni senso motorie e accennando allo sviluppo del bambino.

Le opere d'arte ci seducono, ci risvegliano e ci fanno riflettere perchè le incontriamo in noi stessi, ma raramente, mentre le osserviamo, siamo consapevoli di ciò che ci accade nel corpo. 

Volevo quindi descrivere l'attimo in cui avviene in noi una trasformazione, illuminante se pur momentanea.

Volevo anche far capire che questo approccio può essere indirizzato verso ogni incontro, che sia una persona, un'opera d'arte o un pensiero astratto che, apparentemente, non ha nulla a che vedere con il corpo.

Collegando le mie passioni ho cercato di applicare il metodo Feldenkrais alla scrittura, sperando di riuscire a dare tridimensionalità e respiro anche all'esperienza di lettura. 

La scrittura è stata il mio ringraziamento al Maestro, mi ha dato gioia e ha aperto nuovi sentieri.

Ho presentato questo lavoro a molti gruppi e in alcuni musei con grande soddisfazione: i partecipanti colgono nelle opere d'arte nuovi dettagli, più colore, luce e tridimensionalità, dopo essere stati guidati in una precisa esperienza senso motoria. Ogni pensiero o commento sull'opera d'arte viene ricondotto alle risposte corporee individuali, generalmente trascurate, e in tal modo le persone comprendono di vedere il mondo in relazione a ciò che scoprono o riconoscono in se stesse.

 

Siamo - e non solo abbiamo - un corpo sensibile, vibrante e comunicante, e lì conviene ritornare per integrare le nostre diverse sfere e tutto ciò che spesso viviamo come un po’ scisso o trascurato.

Torno all'esempio dell'insegnamento della geometria ai bambini di prima media: i disegni iniziali del corpo degli alunni mostravano proporzioni inesistenti o idealizzate, dettagli anatomici o geometrici che derivavano direttamente dai libri di studio, mentre i disegni finali non solo avevano proporzioni fisiche più realistiche, ma avevano eliminato gli elementi scolastici presi in prestito dai testi e anche quelli, per così dire, più fumettistici e decorativi (cinturoni, fibbie, cappellini). Il tema proposto era la comprensione di elementi della geometria solida, ma l'apprendimento andava oltre, aveva affinato o arricchito l'auto immagine e la genuinità dell'espressione.

  

 

Conclusione 

In conclusione, le teorie pedagogiche e psicologiche sostengono da tempo l’importanza della dimensione corporea; Damasio ha divulgato il concetto dell'unità corpo-mente; le neuroscienze mostrano parzialmente cosa accade nel cervello quando si agisce o si medita; la pratica della meditazione include l'ascolto del respiro nell'osservazione dei pensieri e degli stati d'animo; altre discipline somatiche, più o meno dinamiche, percorrono percorsi affini al nostro; su un altro versante l'allenamento sportivo e lo studio della musica prevedono l'immaginazione o la simulazione del gesto sportivo e musicale, ma in tutto ciò non viene mai insegnato con precisione come ascoltare e dare voce al corpo sensibile, elemento essenziale da cui deriva la capacità d’imparare, di scegliere  e di stare bene. 

Dobbiamo riconoscere a Moshe Feldenkrais la geniale maestria di aver riempito questo

gap con intelligenza, eleganza e molto ottimismo. 

 

 

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