Riflessioni Sistemiche n° 26


Eredità e ispirazioni.
Incontri con persone straordinarie

Tra Gregory Bateson e femminismo: spunti per una coreografia


di Elvira Federici


Circolo Bateson di Roma. Società Italiana delle Letterate

Foto di inno kurnia da Pixabay

Sommario
Le impreviste quanto ricorrenti assonanze tra il pensiero ecologico e l'epistemologia della complessità delineata da Gregory Bateson e il pensiero femminista, che pur nelle sue varianti tra pensiero della differenza e materialismo radicale, si basa su relazione, interdipendenza, vulnerabilità e critica dei dualismi, suggeriscono un dialogo da immaginare come una danza.


Parole chiave
epistemologia della complessità, Bateson, femminismo



Summary
The unexpected as well as recurring assonances between ecological thought and the epistemology of complexity outlined by Gregory Bateson and feminist thought, which although in its variations between difference thinking and radical materialism, is based on relation, interdependence, vulnerability and critique of dualisms, suggest a dialogue to be imagined as a dance.

 


Keywords
complexity episthemology, Bateson, feminism


  

Cosa c’entra Bateson con il femminismo?  Probabilmente lui stesso sorriderebbe dell’accostamento e Nora, la figlia, rispondendo ad una simile domanda nel convegno del Circolo Bateson- Università RomaTre (2001), ipotizzò problematicamente una complementarità tra uomo e donna.

Peraltro  l’idea di complementarità, per quanto possa soccorrere la comprensione in versione rassicurante del pensiero di Bateson, sciogliendo la complessità della complessità nel fluido integrarsi delle parti – senza spigoli, fratture, traumi, catastrofi – non è centrale nella ricerca di Bateson come nel pensiero femminista, dal momento che la complessità sta piuttosto in ciò che non coincide, in quel che resiste –  indicibile, incomprimibile, non pensabile – come eccedenza, scarto, differenza appunto, incessante differimento. La morte, non è il segreto con cui il sistema si preserva? Bateson sembra intuirlo: un pensiero il suo che si costituisce su una mise en abîme vertiginosa delle domande per le quali non esiste una risposta definitiva.

 

E’ questa tuttavia l’area che dobbiamo esplorare, quella in cui non si riesce a capire, in cui forse non c’è niente da capire. Un’area perigliosa, sui confini dell’esperienza, del linguaggio, della scienza come storicamente consegnata alla nostra riflessione, della filosofia con la sua inesausta pretesa di sistemare il mondo una volta per tutte.

Bateson non ci consente una parola definitiva; ci lascia spesso, muti, esitanti (quanto è suggestiva la figura poetica dell’esitazione!) Ma anche questo forse ha poco a che fare con il femminismo che è un pensiero positivo – un pensiero dell’esperienza, una pratica politica e discorsiva forte.

Allora perché per me Gregory Bateson e femminismo sono così intrecciati?

Un motivo è senz’altro nel contesto, una temperie culturale ed epistemologica che, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, prese vita sulle premesse dello strutturalismo di de Saussure, per il quale la lingua si configura non come un insieme di oggetti ma come un sistema di differenze e relazioni, e dell'antropologia di Levi Strauss. Su questa base linguistico-sistemica, alcuni pensatori francesi portavano alla riflessione in modo più radicale (poststrutturalisti, in questo senso) la critica dell'ontologia basata sulla centralità del Soggetto e del cogito cartesiano con il suo corredo di dualismi e gerarchie: soggetto/oggetto; corpo/mente; natura/cultura ecc. cedendo il passo ad una visione di relazioni, differenze, interconnessioni di natura rizomatica e nomadica: Barthes, Deleuze, Derrida, Kristeva, e Irigaray. Nella postura epistemologica di questi studiosi e studiose, tra linguistica, semiotica, storia materiale, letteratura, psicanalisi già si evidenziava un attraversamento disciplinare piuttosto eretico rispetto ai fondamenti della filosofia di matrice hegeliana.

Chi, come me, in quegli frequenta il Centro Internazionale di Scienze Semiotiche e i corsi riguardanti le discipline dei linguaggi e della significazione e dei rapporti tra semio-scienze, scienze umane e scienze della natura, incontra un pensiero che, prima di ogni altra cosa, mette in discussione il primato dell'Uomo (con la maiuscola, sì) inserendolo in una tessitura – di segni- di cui non ha né la matrice né il controllo, 

Bateson, inglese, naturalista, che forse non si imbatterà mai nei brillanti pensatori francesi, estraneo al dibattito semiotico internazionale che pure include pensatori sistemici come Juri Lotman (la semiosfera), entra però in quelle letture.

Del resto dove si incontra la domanda più poeticamente erosiva rispetto all'ontologia antropocentrica?

 

«Quale struttura connette il granchio con l’aragosta, l’orchidea

con la primula e tutti e quattro a me? E me con voi? E tutti e sei

noi con l’ameba da una parte e con lo schizofrenico dall’altra?»

(Bateson, 1984, pag. 21)

 

Parallelamente, nei gruppi di studiose e studentesse, mentre ci applicavamo alla lettura del sistema letterario e simbolico ci interrogavamo sulle forme e i modi con cui il Discorso – il sapere/potere istituito e costituito – non prevedesse le donne se non come oggetto dello stesso. In quel contesto infatti, straordinario insieme di donne di più generazioni e differenti saperi ed esperienze, praticavamo forse per la prima volta, una  riflessione non semplicemente rivendicativa – uguaglianza di opportunità, consultori, leggi adeguate  ecc. -  ma simbolica ed epistemologica. Animavamo luoghi politici insieme di costruzione e di rivendicazione, la cui forza dirompente abbiamo capito solo dopo: allora ci sembrava poco rispetto alla nostra ambizione di stare nella storia, nella società da soggetti: cambiare, moltiplicare, la descrizione del mondo. Restituire complessità a quello che da millenni sembra un ordine semplice, gerarchicamente costituito.

Portavamo in quel contesto istanze che nascevano dalle pratiche femministe separatiste, pratiche radicali che si sottraevano al linguaggio e allo stile della galassia politica di gruppi movimenti di sinistra, a sicura egemonia maschile. Anche il loro linguaggio, il loro modo di fare politica non ci prevedeva come soggetti (semmai come problema: la condizione femminile!).

E come potevamo prendere la parola in un sistema simbolico che non ci contemplava che come opposizione ribassata del maschile?  Eravamo giovani curiose, studentesse, dottorande ma insieme a noi c'erano anche accademiche affermate. Interloquivamo con semiotiche e linguiste dell'ateneo bolognese. Per un po' continuammo ad incontrarci a Bologna, aggiornandoci sulle scritture, che insieme ai testi femministi di critica radicale al paradigma idealistico, come Sputiamo su Hegel di Carla Lonzi o, contro la logica dell'uno e dell'identico, Speculum, di Luce Irigaray, prevedevano anche Gregory Bateson, specialmente nell'attenzione alla pragmatica della comunicazione in cui non si danno significati a prescindere dal contesto comunicativo e di relazione.

Riflettevamo sul ruolo svolto nella comunicazione dalla punteggiatura: focalizzazioni, punto di vista, finalità, esiti inconsci. Tutto girava intorno alla mappa delle mappe, il linguaggio, con il corredo simbolico di tutti gli altri segni.

Cosa quella mappa (direi ora con Bateson) patriarcale ci consentiva di vedere, rilevare, rendere pertinente delle nostre vite, della nostra storia? Come spostare il punto di visione, cambiare la punteggiatura? La mia interrogazione personale era, più che politica, epistemologica. La domanda riguardava i modi con cui elaboriamo idee del mondo, che interagiscono con altri livelli di realtà producendone esiti a loro volta ricorsivi, che ci includono. Noi stesse, in un paradosso per cui, per prendere la parola avremmo avuto a disposizione la lingua che non ci contemplava come soggetti: questa condizione esistenziale non allude al doppio vincolo?

E' allora che   la lettura di Bateson mi soccorre: un'opera la sua, sistemica quanto non sistematica, fatta di frammenti, di testi eterogenei, di saperi attinti ad ambiti disciplinari disparati e di arguzia, empatia, visione, oscurità talvolta. Fatta, secondo le sue parole, di rigore e immaginazione.

Attraverso le letture, fatte sempre con altre/i emergeva la complessità del sistema di cui siamo parte – un sistema di sistemi che interagiscono su piani differenti, che includono la biologia e la storia naturale come il linguaggio, le costruzioni simboliche, le forme del Potere.

Le pratiche e il pensiero femminista, mi rimandano un'analoga complessità, a partire da un'idea di parzialità interconnesse, di soggettività intesa come processo di interazione e co-evoluzione con il complesso del vivente e non vivente, di differenza.

Dal versante femminista Adrien Rich scrive: «Pensare come donne in un mondo di uomini vuol dire pensare criticamente, rifiutando di accogliere i dati di fatto, ricostituendo una trama di connessioni tra fatti e idee che gli uomini non hanno mai messo in relazione. Significa ricordare che ogni intelletto abita in un corpo; significa conservare la responsabilità dei corpi femminili in cui viviamo; e la verifica costante delle ipotesi con le esperienze vissute» (1972, pag. 23 e segg).

Connessioni tra fatti e idee,  mappe che non sono il territorio, corpi pensanti, contesti di esperienza: i rimandi  tra il pensiero di Bateson e quello, polifonico, del femminismo, si articolano intorno alla parzialità e ai limiti della coscienza, alla priorità della relazione, all'interdipendenza, al doppio vincolo, alla decostruzione del Soggetto identitario neutro-astratto universale (il logos o il cogito cartesiano), in cui si occultano  le differenze,  Ho volutamente mescolato parole di Bateson a quelle che incontriamo nei testi femministi. Nate da universi non confrontabili, si fanno eco sul terreno della complessità e della dimensione ecologica che presto sarà la cifra prevalente dei femminismi stessi.

Propongo quindi questo accostamento, con due piccole raccomandazioni.

La prima è che la ripresa di alcune parole batesoniane non va intesa come un calco perfetto di quelle femministe e viceversa: anzi i significati sono aperti, imprevisti, variamente contestualizzabili – parziali, evocativi: isomorfismi, risonanze!

Questo è il senso che si produce per me, in un reciproco, non prevedibile richiamarsi di parole e processi abduttivi.

La seconda è che più di ogni altra cosa è la postura epistemologica di Bateson ad essermi sempre feconda, sempre capace di parlarmi, sempre divergente, sempre dif-ferente; anche in questo, per me capace di richiamare pratiche di pensiero delle donne, costrette a prendere la parola in un mondo che preesiste simbolicamente a quella presa di parola.

A me sembra infatti che Bateson  non sia mai interessato ad incrementare di nuovi oggetti o di nuove classi di oggetti la conoscenza; anzi egli è il più abile ri-­utilizzatore  di conoscenze, idee, elaborate altrove , per mostrare  altro, per capovolgere lo sguardo  o rimodulare  la punteggiatura di un sapere costituito; ribaltare o piuttosto trans-scendere: attraversare, portando su un altro livello logico, l’epistemologia corrente fatta di “oggetti”, dotati di “proprietà”, governati da  “leggi”, descrivibili nella loro sostanza, mostrando invece l’imprendibile complessità della struttura del vivente, struttura che connette,  mente.

Nel pensiero di Gregory Bateson, ricorrono i temi della differenza, della relazione, della critica al dualismo, all’antropocentrismo, all'eccesso di finalità cosciente come nella riflessione ecofemminista. Il corpus di pensiero dei femminismi, per effetto dell'apertura costitutiva basata sulla parzialità e sulla contingenza dei corpi situati ( il contesto) si è arricchito  delle diverse focalizzazioni ad essi legate:  intersezionalità, come il complesso di sistemi interagenti di sesso, razza, classe (bell hooks 1994, 2020);  cyborg come interazione con le tecnologie e continuum naturculturale (Haraway 1990, 2021); materia (che somiglia alla Mente batesoniana) come complesso di trame relazionali, di accordi dinamici, in cui gli oggetti non precedono la loro interazione ma si istituiscono nell'intraazione, secondo gli studi quantistici della filosofa e fisica femminista Karen Barad (2020).

Come il femminismo, Bateson legge, interroga l’epistemologia occidentale - astratta, dicotomica, cartesiana – e ne mostra i limiti. Il suo, un filo rosso che si snoda intorno all’idea di mente – la struttura che connette - non ontologica ma processuale e non coincidente con il soggetto umano come siamo portati a pensarlo. Il femminismo supera l’idea di soggetto con quella di un processo – aperto, indecidibile, imprevedibile – di soggettività all’incrocio di corpo, linguaggio, desiderio: cioè di contesti di contesti.

Il fatto che non sia facile incontrare Bateson nelle bibliografie di pensatrici femministe, fatta eccezione per Chiara Zamboni, esponente della Comunità di Diotima, sembra più un elemento a favore di questo confronto che un' incongruenza, se alla base del femminismo come dell'ecologia batesoniana ci sono domande su come pensiamo e costruiamo la realtà; sul chi è a pensarla, su come si è costituito il Soggetto, cioè una forma di  razionalità separata dal processo vivente ma suppostamente in grado di conoscere - e fare ordine.

Proviamo ora a svolgere questo confronto a partire da alcune parole.

Differenza e relazione sono concetti fondamentali per avvicinarsi a Bateson ma anche parole chiave del femminismo.

Con un nota-bene che si riferisce tanto al pensiero di Bateson che a quello della differenza femminista: la differenza non è un’ontologia, non fa riferimento ad una lista di qualità e caratteristiche dell’oggetto o del soggetto: è invece il risultato di una relazione (molteplici relazioni) e non è in nessun oggetto se non in quel tra.

 

La relazione precede, ci ricorda Bateson; è ciò che interconnette pluralità e parzialità come tali non preesistenti alla relazione: nella relazione le parti si modificano reciprocamente.

Se un'impostazione idealista considera l’individuo un’entità fissa, dotata di una mente circoscritta, interna a quella identità, per Bateson la mente è la configurazione evolutiva, processuale, delle interazioni interno-esterno.

Del resto lo stesso individuo definito come «ogni singolo ente in quanto distinto da altri della stessa specie; in particolare, l’uomo considerato nella sua singolarità» (Dizionario Gabrielli, 1996) è una rete di relazioni, interne ed esterne al suo corpo. La sua singolarità non è che il risultato delle trame relazionali che includono il corpo, lo spazio, il tempo. Per questo non si può descrivere come un punto ma attraverso una storia, una narrazione; singolare è la storia di ciascuno/a.

E, a proposito di relazione: cosa dire di un corpo intrinsecamente dotato della potenzialità di diventare due come il corpo femminile.

 

La relazione implica il reciproco dipendersi. Il riconoscimento del valore e della necessità della dipendenza (così lontano dall’autarchia del paradigma patriarcale, antropocentrico), è un fondamento del pensiero delle donne – pensiero dell’esperienza e pensiero relazionale.

Adriana Cavarero ci ricorda che lo statuto di dipendenza della creatura non è temporaneo ma ontologico (2013)

E' questo un altro elemento che attraversa la ricerca di Bateson, aprendo inedite rappresentazioni del mondo: potremmo dire che il complesso delle relazioni, il legame, la struttura che connette, il tra della danza di parti interagenti tra loro, in-dipende da noi:  

 «Conveniamo che tentare di alterare qualsiasi variabile di un sistema omeostatico, senza essere consapevoli dell’omeostasi soggiacente è sempre miope e forse immorale» (Bateson, 2010 pag. 387).

E’ necessario prestare attenzione al sistema omeostatico, è necessario prestare cura alla relazione,

Non risuona, questa affermazione, con quella di Hannah Arendt, ripresa nel titolo della rivista della Comunità filosofica di Diotima (nata nel 1984) Per amore del mondo (1996)?

Metafore di una sensibilità estetica, sensibilità alle relazioni, che permette di cogliere intuitivamente la complessità dei rapporti in cui si è inclusi mentre se ne producono.

Gesti politici del femminismo sono nati  lasciando spazio all’ estetica che «sembra avere un legame intimo con le relazioni che vigono all’ interno di ciascun caso particolare » (Bateson, 2010 pag. 388), lasciando accadere ciò che parte da un’azione simbolica e non di controllo sulla realtà: ricordiamo quale forza dirompente hanno avuto le Madres de plaza de Mayo, a Buenos Aires, scegliendo di marciare pacificamente e in silenzio, ogni giovedì, indossando sul capo il pannolino triangolare dei loro figli neonati, desaparecidos per mano della giunta militare?

La più infausta conseguenza del dualismo che separa soggetto e oggetto, conoscente e conosciuto, senza considerare che la relazione non semplicemente riguarda entrambi ma li costituisce, come ribadisce la filosofa e fisica femminista Karen Barad riferendosi alle intraazioni, sta nella pretesa di controllare i processi, nell'eccesso di finalità cosciente.

Né pretesa di controllo, né fini che giustifichino i mezzi: agire nella relazione, tenendo conto del legame intimo tra le cose e i contesti e lasciare accadere, nel senso di fare spazio all’ imprevisto, al non calcolato, la donna stesso rappresentando, nell’ordine discorsivo patriarcale il soggetto imprevisto, come ci ricorda Carla Lonzi (Lonzi 1974 pag. 14)

Relazione che precede, possibile nella molteplicità, nella differenza, nella parzialità.

Alla parzialità – essere mondo in quanto relazione non in quanto Uno - fa riferimento il pensiero delle donne quando propone una duplicarsi dello sguardo; come la doppia descrizione batesoniana  (1984 pp 278-79) significa nel femminismo non pretendere di assumere un punto di vista per tutte, per tutti; significa l’autorità del parlare da un contesto situato, non occultato nell’astratto universale, significa – formula straordinaria: partire da sé (Comunità di Diotima, 1996) come un autorizzarsi alla presa di parola che non arriva dall’esterno e insieme non colonizza il mondo con la propria verità: «la punta della sonda è sempre nel cuore dell’osservatore »  (Bateson, 1984, pag.121),

 

Ciò che invece fa l'assetto simbolico e culturale costituito quando consiste nell’assolutizzarsi di una visione del mondo sganciata da corpi, relazioni, interdipendenza.

Altre implicazioni possibili: la processualità, la parzialità, implicano il cambiamento incessante delle stesse soggettività, in quanto sistemi di sistemi. La pratica politica che tanto sta a cuore al femminismo va proprio vista nella sua capacità epistemologica, meta cognitiva, di rappresentare le relazioni, in fondo, anche rapporti di forza. Sapersi come soggettività situate in trame relazionali e contesti, dichiarare il proprio posizionamento, con quello che ne consegue nel descrivere il mondo, cambiarne la punteggiatura, farne evolvere l’epistemologia è agire politico, con lo spostamento su un altro livello logico, che è già un cambiamento di apprendimento.

  

Quanto alla dimensione radicalmente ecologica che innerva il femminismo fin dalle origini, possiamo dire che alla base dell'ecofemminismo (meglio, ecofemmismi) c'è l'attenzione epistemologica e politica al costrutto per dicotomie della realtà, esattamente sulla strada aperta anche da Bateson: corpo/mente, uomo/natura, soprannaturale/meccanico che apre ad una transizione dalla prospettiva antropocentrica (eurocentrica) ad una centrata sul sistema vivente.

Scrive Braidotti: «I pensatori radicali della generazione post ’68 rifiutavano l’umanesimo sia nella versione classica che in quella socialista. L’ideale dell’Uomo Vitruviano come modello di perfezione e miglioramento fu […] decostruito. Questo ideale umanista rappresenta, infatti, il nucleo della concezione liberal-individualista del soggetto, che definisce la perfettibilità in termini di autonomia e autodeterminazione […] Si scoprì che quest’uomo, lontano dall’essere il canone di proporzioni perfette, sebbene enunciasse un ideale universalistico che aveva raggiunto lo stato di legge naturale, era di fatto un costrutto storico e come tale era contingente e variabile rispetto a valori e a luoghi. […] femministe come Luce Irigaray hanno evidenziato che il presunto ideale astratto di uomo, simbolo dell’Umanesimo classico, è in realtà il vero e proprio maschio della specie: egli è un lui. Inoltre lui è bianco, europeo, bello e normodotato» (Braidotti, 2014 pag. 32).

 

Il paradigma illuministico-razionalista, oggetto di numerose riflessioni di Bateson, secondo Braidotti è accerchiato da una pluralità di approcci e di esperienze che ne disintegrano l’astratta compattezza concettuale, denunciandone la violenza epistemica: «Ecologia e ambientalismo rappresentano potenti e al contempo differenti risorse di ispirazione per le attuali riconfigurazioni del postumanesimo critico. Essi si basano su un profondo sentimento di interconnessione tra sé e gli altri, inclusi gli altri non umani e gli altri della terra. Questa pratica di relazione è nutrita e potenziata dal rifiuto dell’individualismo auto centrato» (Braidotti, 2014 pag. 55) e ancora: «La ricomposizione postumana è piuttosto un legame affermativo che colloca il soggetto nel flusso delle relazioni con i molteplici altri» (pag. 57).

La soggettività diventa un sé relazionale esteso, che opera nel continuum naturculturale (Haraway, 2019) e può anche essere mediato tecnologicamente.

 

Differenza, relazione, ricorsività, contesto, punto di vista, punteggiatura, mappa, vulnerabilità, dipendenza ontologica della creatura, decostruzione del paradigma antropocentrico, ecologia: a queste assonanze tra il pensiero di Bateson e le pratiche e il pensiero femministi ho fatto qui cenno. Altre andrebbero approfondite come il doppio vincolo, l'apprendimento, il rapporto con le tecnologie, in qualche modo messe a tema, pur con altre formulazioni, nel materialismo radicale e post coloniale dei femminismi del XXI secolo.



Bibliografia