Riflessioni Sistemiche n° 27


Decostruendo miti e pregiudizi del nostro tempo

Non arrenderti, docile, a quella notte seducente*


di Enzo Scandurra

La Sapienza, già ordinario di Sviluppo sostenibile per l’ambiente e il territorio

Foto di Joophotos da Pixabay 

Sommario
Un pensiero riduzionista si aggira per l’Europa. Un pensiero seducente quanto falsificante che è alla base del pensiero unico globalizzato. È il pensiero che domina l’economia, il linguaggio comune e perfino quello scientifico ed è, ancora, un pensiero guerresco alla base di tanti conflitti. A fronte di un brulicare di complessità che costituisce la vera ricchezza del mondo.


Parola chiave
riduzionismo, neutralità della tecnica.


Summary
Reductionist thinking is wandering around Europe. A thought as seductive as it is falsifying which is the basis of the single globalized thought. It is the thought that dominates the economy, common language and even the scientific one and is, again, a warlike thought, the source of so many conflicts. In the face of a swarm of complexity that constitutes the true wealth of the world.


Keywords
reductionism, neutrality of technology.

 

 

Non arrenderti, docile, a quella notte seducente

Dylan Thomas, 1951

 

In una lettera del 6 agosto, Sergio Boria mi/ci invitava, per il prossimo numero di «Riflessioni Sistemiche» a “individuare ed analizzare in senso critico (e con le chiavi di lettura della complessità e dell'approccio sistemico) un costrutto, una premessa culturale, un pregiudizio dominante, che dal tuo punto di vista intossica la nostra mente”.

Ce ne sono molte in questo clima di imbarbarimento della società di frasi, modi di pensare che intossicano le narrazioni. Una di queste però ha sempre provocato in me un grande fastidio, un’insofferenza, una sensazione sgradevole ogni qual volta (e sono tante le volte) che la sento esprimere (in varie forme) da un mio interlocutore o, anche, quando con essa si esprime un punto di vista su questioni importanti, dai quotidiani, ai media in generale, alla TV.

Questa affermazione o pregiudizio dominante o, ancora, luogo comune, - il riduzionismo -, si può riassumerla con una frase di Gregory Bateson: «Pare che esista una sorta di legge di Gresham dell’evoluzione culturale, secondo la quale le idee ultra semplificate finiscono sempre con lo spodestare quelle più elaborate, e ciò che è volgarmente spregevole finisce sempre con lo spodestare la bellezza» (Bateson G., 1984).

Un tempo si poteva accettare che gli uomini di fronte a un fenomeno inspiegabile ne cercassero le cause in persone o meccanismi semplici. Sarebbe lungo farne un elenco ma basterebbe citare la peste di Milano nel romanzo di Manzoni: i responsabili erano gli untori, persone misteriose che al soldo di qualche potenza ungevano i muri della città provocando il diffondersi della terribile pestilenza.

Oggi le cose non sono cambiate di molto: l’epidemia di covid, si dice, è stata provocata ad arte dai cinesi per distruggere l’umanità (esiste una versione più “dolce” ma dello stesso tenore che vuole che sia “scappata” da un certo laboratorio, sempre cinese, senza alcuna colpa degli addetti ai lavori). Per non parlare poi della gravissima crisi ambientale attribuita ad eventi naturali che nulla hanno a che fare con l’attività umana. Nel conflitto ucraino ci sono i “buoni” e i “cattivi” senza alcuna attenzione ai fatti storici che l’hanno preceduto. Prevale, dunque un bisogno di semplificare, di fornire risposte immediate quanto false ad ogni evento che avviene o ci circonda e, perfino di trovare il “nemico” responsabile di tutti i nostri disastri. Vale per i minacciosi comportamenti climatici che i “negazionisti” si affannano a dimostrare essere del tutto naturali, passando per i creazionisti che, non digerendo la teoria di Darwin (soprattutto la tesi che l’evoluzione è cieca e non ha finalità se non la sopravvivenza delle forme viventi), sostengono la bislacca tesi che uomini e dinosauri siano convissuti nella stessa epoca storica.

La domanda che mi pongo è: perché a fronte di una conoscenza scientifica diffusa, di un livello culturale adeguato, molte persone accettano tali spiegazioni semplicistiche, là dove sarebbe assai più ovvio contestarne la validità in nome di spiegazioni, forse più complesse, ma certamente più corrispondenti ai fatti?

Questa tendenza che chiamerei riduzionista vale in quasi tutti i campi: dalla politica ai ragionamenti umani, alle guerre, ai nazionalismi, all’economia.

Due recenti fatti mi hanno confermato questa tendenza quasi “naturale”. L’attribuzione del massimo riconoscimento scientifico - il Nobel - a due scienziati che hanno fatto della complessità il metodo per indagare fenomeni scientifici. Il primo, Svante Pääbo, è considerato il padre della paleogenomica e i suoi studi e ricerche, durati un’intera vita, da quando si era laureato fino all’età di 67 anni, hanno rivoluzionato il campo della paleoantropologia dimostrando che a partire dal DNA arcaico è possibile ricostruire le tracce della nostra evoluzione. Così molti e ancora misteriosi aspetti delle nostre origini

sono stati svelati. Si tratta di una ricerca scientifica pura, ovvero teorica, come quella del Nobel Parisi sui sistemi complessi. I risultati di queste ricerche portano le nostre conoscenze scientifiche molto avanti e svelano alcuni segreti sia sull’origine della nostra specie, sia sul comportamento di alcuni fenomeni difficilmente interpretabili con i tradizionali metodi scientifici

Eppure, le continue raccomandazioni che escono dai ministeri della scuola e dell’università, e numerose direttive europee, riconoscono oggi come “produttiva”, e di conseguenza premiano con finanziamenti, solo la ricerca applicata; meglio se con risultati immediati utilizzabili dall’industria militare. Nessuno dei due (Ministero e UE) nasconde questi propositi, anzi li esigono nei loro bandi di finanziamento, sotto l’espressione: obiettivi attesi di grande utilità sociale.

Nella scuola e nell’università oggi trionfano la meritocrazia e la tecnocrazia e i risultati di ricerca (detti volgarmente “prodotti”) che hanno una immediata utilità pratica perché, come ebbe a dire un ministro dell’economia: con la cultura non si mangia.

La scienza antica consisteva nella contemplazione del cosmo godendo di una assoluta autonomia, mentre quella moderna è condizionata da fini che sono esterni a essa (l’economia, la politica, il mercato, ecc.).

Basterebbe questa inversione di paradigma, da conoscenza finalistica a conoscenza disinteressata, per riformare l’intera organizzazione dei saperi delle nostre scuole e università, dove si assiste alla quasi scomparsa degli studi umanistici confinati in una umiliante marginalità.

Perché il finalismo è l’altro aspetto del riduzionismo scientifico, esso è l’ideologia delle menti deboli che pensano che per comprendere processi complessi esistono sempre scorciatoie che fanno risparmiare sudore e fatica. Un esempio attualissimo di questo pensiero è quello del Sindaco di Roma che per risolvere i problemi dello smaltimento dei rifiuti, immagina un grande bruciatore dove far confluire quest’ultimi. L’ennesima scorciatoia che in realtà ci allontana da un sano equilibrio con la natura che richiederebbe un loro riuso per diminuire l’entropia del pianeta. Del resto a guidare questa scelta è ancora una volta la ricerca di efficienza, di un pragmatismo senza pensiero.

Quanto all’efficienza, c’è un bellissimo scritto di Pino Longo del 1998 che, io ingegnere, quando a Venezia lo sentii leggere, mi emozionò tantissimo: «In termini economici e ingegneristici il funzionamento degli esseri umani è piuttosto impreciso e il loro “rendimento” piuttosto basso. L’essere umano “spreca” grandi quantità di energia in una serie di gesti più o meno “inutili”, parole, incontri, chiacchiere, letture inutili, conversazioni fatue e così via. Questo rendimento non può essere elevato pena la perdita del contatto col proprio corpo, col proprio mondo e con gli altri esseri umani, poiché questo rapporto è fatto di azioni, gesti, movimenti, cura delle cose: radersi la barba, prendere il caffè la mattina, sbadigliare, oziare, cercare oggetti smarriti in casa, vestirsi, indugiare, ecc...  (G. O Longo, La gerarchia di Ackermann,

Mobydick, Faenza, 1998). Alcuni economisti, ingegneri, sociologi, un po’ troppo zelanti cercano di convincerci a ridurre quelli che a loro sembrano “tempi morti” che poi sono quelli che ci riavvicinano alla natura, escogitando scorciatoie dimenticando quanto diceva Bateson, ovvero che la creatura che la spunta contro l’ambiente distrugge sé stessa.

Questa ideologia tecnocratica, sempre accompagnata da un riduzionismo scientifico e culturale, è quanto mai inutile per comprendere la crisi ambientale che ci sta portando sull’orlo del baratro. Recidere le connessioni sembra l’imperativo dominante, là dove il mondo nel quale viviamo brulica di complessità perché ogni cosa è connessa ad ogni altra come avviene in qualsiasi organismo vivente.

Non capiremo mai niente del mondo con la vecchia educazione scolastica che ci porta a considerarlo una macchina banale i cui componenti, indipendenti l’uno dagli altri, si possono riparare e sostituire alla stregua di un semplice meccanismo.

Ancora un esempio di questo nefasto pensiero: la neutralità della scienza. Chi vuole mettere in difficoltà il proprio interlocutore citerà l’esempio del martello. Esso, dirà il nostro interlocutore, può essere usato sia per ficcare un chiodo in una parete e attaccarvi un quadro, sia per fracassare la testa di un nemico; dunque, la tecnologia, e con essa la scienza, è neutrale e tutto dipende dall’uso che se ne fa. Sarebbe difficile per un incauto avversario dimostrare come questa affermazione sia estremamente semplicistica e falsificante.

Un tecnico (è il caso dell’ex ministro Cingolani passato dal governo Draghi a consulente di quello Meloni) può dare consigli a qualsiasi governo, sia a sinistra che a destra. Perché in fondo la ricetta per salvaguardare l’ambiente è unica: gassificatori, inceneritori, trivellazioni, uso di fossili, carbone, nucleare e qualche pannello solare; insomma, una spolverata di greenwashing.

Vale la pena di ricordare, attualissimo, qualche passo dell’introduzione di Cini a quel famoso libro, “L’ape e l’architetto”:

 

Questo tipo di sviluppo della scienza e della tecnologia è perciò intimamente interconnesso allo sviluppo della società capitalistica e, mentre ne condiziona e ne determina alcuni aspetti fondamentali, aprendo nel suo seno nuove contraddizioni nel momento stesso in cui permette di superarne altre, ne è a sua volta condizionato e subordinato. Entra in crisi, perciò, la concezione che considera la scienza e la tecnica strumenti neutrali di progresso della società, indipendentemente dai rapporti sociali e che postula un processo di sviluppo scientifico che segue una propria dinamica interna, soggetta a proprie leggi. Si tratta invece di riconoscere che la scienza non è soltanto un processo di soluzioni di problemi determinati, ma soprattutto una continua formulazione e posizione di problemi da risolvere e che pertanto in questa fase essenziale dello sviluppo scientifico entrano non solo fattori intrinseci ma anche fattori esterni alla scienza stessa” (M. Cini e altri, 1976).

Del resto dopo tanti dibattiti italiani e ben due referendum, in Italia si torna a parlare di nucleare, nonostante i rischi, nonostante i tempi per la sua realizzazione (non meno di 15 anni), nonostante l’uranio sia in fase di esaurimento, nonostante l’arricchimento dell’uranio sia realizzabile allo stato attuale solo in alcuni paesi (per esempio, la Russia), nonostante il problema del seppellimento delle scorie, ecc. Così come la famigerata tecnica della cattura e seppellimento della CO2 per poter continuare a utilizzare i fossili. Alla base di queste scorciatoie ritroviamo sempre, non separabili da precisi interessi economici e di profitto, scorciatoie che credono di beffarsi delle leggi della natura, ma in ecologia le scorciatoie non sono possibili e producono alla lunga disastri maggiori di quelli per le quali sono state adottate. Ancora una volta è attuale il pensiero di Bateson che afferma che il dio ecologico non può essere beffato.

Il pensiero riduzionista trionfa anche nella lingua. L’uso di quella inglese è ormai dominante e, all’apparenza, esso appare come un modo di comunicare semplice ed efficace. Di esso parla George Steiner a proposito dell’Europa:

 

«La morte di una lingua è una perdita irreparabile, limita le possibilità umane. Per l'Europa la minaccia più radicale - quella che colpisce alla radice - è la marea detergente, esponenziale dell'anglo-americano, sono i valori globalizzati e l'immagine del mondo che questo vorace Esperanto porta con sé. Il computer, la cultura del populismo e il mercato di massa parlano anglo-americano, dal night club portoghese al fast food di Vladivostock. Non c'è dubbio: l'Europa morirà se non combatte per difendere le sue lingue, le sue tradizioni locali, le sue autonomie sociali. Perirà se dimentica che “Dio si trova nei dettagli”» (Steiner G., 2006).


 

Bibliografia 

 

 

*La frase in testa all’articolo: “Non arrenderti, docile, a quella notte seducente”, fu scritta dal poeta gallese Dylan Thomas ed è stata molto citata in numerosi film di fantascienza.