Riflessioni Sistemiche n° 27


Decostruendo miti e pregiudizi del nostro tempo

Ricette per una democrazia à la nantaise


di Marianella Sclavi

Esperta di arte di ascoltare e gestione creativa dei conflitti

Foto di Hans da Pixabay 

Sommario
Capitolo introduttivo di una ricerca in corso in una città governata con l'approccio della democrazia deliberativa. Lo studio riguarda: come è nato e si è affermato questo nuovo paradigma di democrazia sperimentale, la descrizione di esperienze specifiche e quali blocchi e resistenze si oppongono. Vitale per l'esito è l'approccio etnografico stesso, basato sulla uscita dalle strettoie disciplinari grazie a quella che ho in passato chiamato "una metodologia umoristica".


Parole chiave
democrazia deliberativa, intelligenza collettiva, ascolto attivo, sapere d'uso, "dialogo cittadino", "metodo del consenso" vs " metodo dell'innovazione", "mandato elettorale", "convention citoyenne", "multidiversità".


Summary
Introductory chapter of an ongoing research in a city governed with the deliberative democracy approach. The study concerns: how this new paradigm of experimental democracy was born and established, the description of specific experiences, and what blockages and resistances are encountered. Vital to the outcome is the ethnographic approach itself, based on breaking out of disciplinary bottlenecks through what I have in the past called "a humorous methodology".


Keywords
deliberative democracy, collective intelligence, active listening, user knowledge, 'citizen dialogue', 'consensus method' vs 'innovation method', 'representation and electoral mandate' "convention citoyenne", "multidiversity".



DIARIO di bordo

 

Capitolo introduttivo, novembre 2022
Ci sono due metafore che spiegano come mai ho deciso di venire a passare un intero anno (più mi rendo conto di cosa sto studiando e più mi convinco che è il minimo) in questa affascinante città di 340.000 abitanti (più di 700 mila nell'area metropolitana formata da 24 comuni) che sorge dove la Loira entra maestosa nell'oceano Atlantico, che è Nantes.

La prima metafora forse l'ho inventata io ed è "se l'acqua non bolle, la pasta non cuoce", la seconda di derivazione evangelica e biblica, è "dai frutti si riconosce l'albero" (Matteo 7:16-20).

La prima è una mia regola di vita, potrebbe essere il titolo di una autobiografia, e consiste in questo: ogni volta che ti senti bloccata, che ti accorgi che il pensiero non si muove, funziona come un disco rotto, che i problemi appaiono insolubili, che la sfiducia nella intelligenza umana rischia di soffocarti, cambia contesto. Proprio fisicamente, vai altrove, muoviti, cerca un luogo nel quale sei costretta a imparare cose nuove e a vivere esperienze che aiutano ad acquisire nuovi punti di vista. Un luogo dove l'estraneità diventa forza invece che impotenza. Questa è stata New York nel 1984, quando mi ci sono trasferita con tutta la famiglia (e ci sono rimasta otto anni), questa è Nantes adesso, nella post-pandemia di fine 2022.

Nantes è una città che - lo vedrete - sprizza innovazione e creatività da tutti i pori. Su questo suo aspetto ha collezionato attestati su attestati, fra i quali: prima città francese "capitale verde" d'Europa nel 2013, e capitale europea della innovazione nel 2019.  

Ma in particolare, ed è il motivo principale per cui sono qui, è la città che in Europa in modo più sistematico, chiaro e ufficiale, da anni ha re-impostato le proprie forme di governo in modo da mettere al centro "le dialogue citoyen", il dialogo fra i cittadini e la co-decisione fra eletti, tecnici e operatori dei servizi e cittadini. Anticipo uno schizzo storico: la sinistra al governo dagli anni '70 in poi, ha avuto quella che a posteriori si può considerare la fortuna di perdere le elezioni del 1983 e ha saputo usare questi sei anni (tanto dura il mandato) per mettere in moto un processo di scombussolamento che a partire da: "I ceti popolari si sono in larga parte astenuti o hanno votato a destra", arriva a: "Si sono sentiti ignorati e disprezzati e hanno ragione. L'intero apparato politico attuale è incapace di ascolto. Va ripensato dalle radici." 

Nei sei anni alla opposizione incomincia ad essere messa a fuoco e praticata una prospettiva in grado di trasformare radicalmente la concezione e il funzionamento del partito e i suoi rapporti con la società civile, e le idee sul ruolo e responsabilità degli eletti e i loro rapporti con la società civile. La nuova prospettiva disegna il seguente triangolo: il "sapere d'uso" degli abitanti, ovvero l'esperienza di come funziona il mondo nella vita quotidiana, è altrettanto importante per una buona amministrazione del "sapere tecnico" degli uffici e dei professionisti e delle "capacità e responsabilità decisionali" dei politici. Nel 1989 il potere viene riconquistato e mantenuto fino ad oggi, e quell'idea incomincia ad essere messa in pratica in modo sistematico, per arrivare nel 2010 alla formalizzazione ufficiale, con voto unanime del consiglio comunale, della "democrazia del dialogo cittadino." Dire "democrazia" da questo momento in poi a Nantes, significa valorizzare le differenze all'interno di ognuno dei tre settori (abitanti, amministrazione, politica) e nei loro reciproci rapporti, imparare a farle diventare risorsa dialogica, occasione di reciproco apprendimento e di innovazione. Questa parola "innovazione" va scritta in grassetto perché è il contrario del "consenso":

non si tratta di soffocare i dissensi e nascondere le conflittualità, ma di permettere alle

posizioni ed energie conflittuali di emergere e dispiegarsi nella esplorazione di soluzioni realmente creative, in una ottica di bene comune e di giustizia sociale. I diritti di ascolto attivo, di moltiplicazione delle opzioni e di co-progettazione sostituiscono perfino nelle discussioni e decisioni delle assemblee dei consigli comunali (almeno quelle relative al varo di iniziative di democrazia deliberativa) la stanca liturgia, formalizzata ai tempi della invenzione del telegrafo, che mette in primo piano il diritto di parola, il contraddittorio e infine il voto a maggioranza.

Mi intriga il modo in cui nella storia politica e sociale di Nantes, i concetti e le esperienze concrete di "dialogo cittadino" (dialogue citoyen), intelligenza collettiva e democrazia deliberativa, emergono da e s'intrecciano con il dictat dell'innovazione. Altrove, quando si riflette sulle dinamiche delle decisioni di gruppo, quasi sempre si rimane bloccati sulla alternativa: voto a maggioranza o metodo del consenso. Qui a Nantes i testi ufficiali rendono molto chiaro che il passaggio da una democrazia riduzionista a una "democrazia aperta" (della multidiversità, come insiste Bruno Latour) richiede che l'azione a tutti i livelli, in tutti i gangli della società, sia orientata all'apprezzamento delle unicità e di conseguenza alla esplorazione di possibilità di sviluppo inedite. Per elaborare risposte rispettose della complessità e più efficaci è necessario il ricorso ad una intelligenza collettiva orientata alla innovazione, alla ricerca di soluzioni creative e non al consenso. I compromessi e le vie di mezzo, ai quali il metodo del consenso è orientato, sono visti come dei ripieghi a volte necessari, a cui si ricorre quando la sfida della creatività ha fallito.

Nella fase attuale, in cui raccolgo i primi indizi, un testo fondamentale di riferimento (che non ho alcuna pretesa di eguagliare) è "The making of the English working class" di E P Thompson. Il mio titolo rimarrà "ricette" e non "the making", ma è comune l'interesse per come certe conoscenze, savoir faire e nozioni di saggezza popolare consolidati in contesti precedenti transmigrano e diventano iniziatori di altri. Per esempio mi ha colpito una espressione di Jean Marc Ayrault, sindaco di Nantes dal 1989 al 2012, quando è diventato primo ministro con Hollande, il quale ricostruendo l'approccio che ha condotto a trasformare l'Ile de Nantes, divenuta un deserto di desolazione in seguito alla chiusura dei cantieri navali, in una "isola della creatività", afferma: "L'urgenza principale contro la quale abbiamo dovuto combattere era non sottostare all'urgenza". Darsi tempo, mirare all'alta qualità che implica cura e amorevolezza nei progetti e interventi, apertura a miriadi di professionisti e cittadini che condividono queste esigenze. Sapendo che Jean Marc Ayraud è, come anche sua moglie, di famiglia contadina e che ha iniziato la propria formazione politica come attivista socialista nel sindacato cristiano cattolico dei contadini, vedo un collegamento che dovrò approfondire fra l'atteggiamento di rispetto per i tempi della natura e quelli della creatività umana. Un tratto che poi ritroviamo nella postura e nelle intenzioni del dialogo cittadino. 

La consapevolezza che l'uscita da una concezione riduzionista della democrazia va di pari passo con la trasmigrazione di elementi di saggezza popolare, più propriamente contadina, nello stile di governo della città e della metropoli, mi sembra affascinante, nell'era del digitale.

Come era già successo quando sono andata a New York, percepisco anche questa città come un pentolone ribollente di iniziative e creatività e sento che il mio cervello e le mie emozioni sono anch'esse in ebollizione. E questo mi tiene in quello stato di sgomento creativo che accompagna ogni vera ricerca. Sento che prima o poi si potrà buttare la pasta.

Detto questo, devo aggiungere che il motivo per cui sono qui non è tanto per la soddisfazione di vedere applicate cose che vado predicando abbastanza a vuoto da tempo, quanto l'essermi resa conto che per riuscire ad applicarle, hanno aggiunto almeno un paio di ingredienti che mi mancavano. Magari poi ne scopro degli altri, ma ab initio almeno due sono gli aspetti che avevo trascurato e che mi hanno positivamente sconvolto. Il primo è la ridefinizione nel senso della democrazia deliberativa del mandato elettorale. A Nantes in virtù della "Carta" del 2010 relativa alla municipalità e poi del "Patto" del 2021, relativo alla intera area metropolitana, un cittadino nell'esprimere una preferenza per un determinato candidato/a politico, fa valere una clausola, votata alla unanimità sia a livello comunale che metropolitano, che stabilisce che non esiste solo il diritto dei cittadini di essere ascoltati, ma c'è, per statuto, il dovere degli eletti di promuovere contesti adatti alla emersione della intelligenza collettiva e di rispondere puntualmente entro tempi stabiliti alle proposte che ne scaturiscono, nonchè rendere possibile il monitoraggio della attuazione delle istanze recepite.

E' interessante porre a confronto l'unica esperienza in Italia di modifica dello statuto della rappresentanza, la piattaforma Rousseau messa in opera dai 5 Stelle, con la riforma di Nantes. Nel primo caso il cambiamento riguarda un singolo partito, i rapporti fra i leader politici e la loro base, nel secondo riguarda il governo della città, l'intera governance e quindi il ruolo dei cittadini nella democrazia e il senso in generale della rappresentanza politica. Inoltre nel primo caso il cambiamento avviene introducendo un dispositivo di democrazia diretta referendario, ottocentesco, la società come sommatoria di individui, mentre nel secondo caso si fa ricorso ad un insieme di dispositivi dialogici in continuo mutamento, tipici del 21mo secolo, la società come insieme di persone capaci di mutuo apprendimento. Mi sono morsa le mani, quando sono stata colpita da questa illuminazione, pensando ai processi partecipativi di cui mi sono occupata, esperienze preziose sparite nei cassetti senza neppure una spiegazione, spesso senza aver visto in faccia l'interlocutore politico.

Del mio secondo punto cieco mi sono accorta grazie alla insistenza in tutti i documenti ed esperienze che mi accingo a raccontarvi del nesso fra dare spazio alle diversità ed esito dei processi e della necessità di avere dei "garanti della diversità". In conseguenza della applicazione di questo principio, a Nantes già nella Carta del 2010, viene prefigurato il passaggio da un impianto organizzativo dei servizi e della PA impostato e governato sulla base della supremazia di un pensiero giuridico astratto e soporifero a un modo di operare guidato da un approccio etnografico. In Francia ci sono alcuni importanti pensatori che sostengono questa necessità. Uno dei più influenti è certamente Edgar Morin ed un altro è Bruno Latour. Ci sono anche dei Think Tank che vanno in questa direzione e che, mi sto accorgendo, hanno uno zampino nelle cose di Nantes. Chiedere all'intero mondo politico di fare il salto da un "universo" al "multiverso", non

è cosa da poco e non è cosa che si ottiene con dei proclami e dibattiti ideologici. Richiede una quantità incredibile di sperimentazioni sul terreno e di buone pratiche, e il dover far fronte a blocchi e resistenze da tutte le parti. E' ciò di cui intendo farmi e darvi contezza. Per parte mia, questa ricerca mi aiuta a riconoscere di non aver avuto il coraggio di andare fino in fondo, nonostante mi fosse chiaro che l'impostazione del pensiero giuridico, astratta e uni-versale, lascia gravemente allo scoperto tutto ciò che per funzionare ha bisogno di apprezzamento della concretezza e della unicità. Cioè, in una società complessa, quasi tutto.

Adesso il problema è come faccio a raccontarvi le mie incursioni nella "democratie à la nantaise", come la chiamano loro e a trasmettervi l'atmosfera emotiva e il savoir faire necessari sia per disegnare il quadro complessivo che per ognuna delle pratiche e iniziative che deciderò di illustrare in base a questo criterio: quelle più rivelatrici del cambiamento in atto.

E qui arriviamo alla seconda metafora. "Dai frutti si riconosce l'albero."

Una partecipante di sedici anni alla Convention Citoyenne pour le Climat (CCC) francese del 2019 in una intervista a The Guardian, ha dichiarato: "Questa esperienza mi ha insegnato tre cose: l'importanza della crisi ambientale, ad ascoltare, e che esiste l'intelligenza collettiva." Ecco, io mi propongo di capire meglio e di trasmettere alle lettrici e ai lettori questa spirale magica, per cui esistono dinamiche interpersonali e di gruppo basate sull'apprendimento reciproco i cui esiti consistono contemporaneamente (mi verrebbe da dire: "transustanzialmente") nel potenziamento delle capacità personali dei partecipanti e in indicazioni politiche largamente condivise di gran lunga più adeguate ed efficaci di quelle elaborabili con gli approcci dominanti. Non a caso ho fatto riferimento alla Convention Citoyenne pour le Climat. Infatti la CCC ha svolto, relativamente ai processi che ho in mente, un ruolo di accelleratore straordinario, risvegliando in una fetta importante della società civile specialmente francese, ma anche europea, la curiosità sulla esistenza della "intelligenza collettiva" e come diavolo si fa a produrla o, ancora meglio, "a non impedirla". 

Nell'estate del 2020, in vacanza con mia figlia per gli incantevoli paesini dell'Auvergne, nel cuore della Francia, ho fotografato un cartello sulla vetrina di un bar, con la scritta "A settembre incontro per dare il via a una Convention Citoyenne locale." In seguito, cercando su Internet, mi sono resa conto che questa esperienza era stata ripresa in numerosi villaggi, città e perfino distretti (l'Occitania, per esempio) e poi addirittura a livello europeo, con la "Conferenza dei cittadini europei sul Futuro dell'Europa" (ottobre 2021-maggio 2022) fortemente voluta dall'allora presidente del Parlamento europeo, David Sassoli. Ed è così che ho scoperto Nantes, dove questo approccio era stato subito messo alla prova sul tema della Pandemia e in seguito riproposto in modo originale su una varietà di altre questioni: da "una nuova concezione della longevità", alla invenzione di "nuove solidarietà", dallo "smaltimento dei rifiuti" a una versione "à la nantaise" dei bilanci partecipativi, e molto altro. Vediamo dunque come si è messa in moto questa spirale.

Nel corso di nove mesi, da ottobre 2019 a maggio 2020 il pubblico francese ha avuto modo di seguire alla televisione, attraverso una pioggia di servizi e interviste, i lavori di

150 cittadini estratti a sorte in modo da rappresentare la diversità della popolazione francese, ai quali il Presidente della Repubblica in persona ha dato il mandato di "elaborare, in uno spirito di giustizia sociale, una serie di proposte concrete volte a ridurre entro il 2030 le emissioni del gas a effetto serra in Francia, come minimo del 40% rispetto ai valori del 1990". Gli spettatori hanno condiviso con i protagonisti, gente-come-noi catapultata in un compito surreale, i tormenti di non essere all'altezza e i dubbi di venire manipolati, di essere stati immessi in una macchina dai risultati pre-confezionati. E poi lo stupore degli esiti. Al termine di questo processo, i 150 cittadini hanno consegnato al Presidente della Repubblica un fascicolo di progetti di legge, da loro votati alla unanimità in plenaria, pronti per essere sottoposti al Parlamento o ai referendum. Un documento che relativamente a sei ambiti di applicazione individuati (consumare, produrre e lavorare, spostarsi, nutrirsi, abitare, e governare) propone otto obiettivi generali e 149 indicazioni specifiche, frutto della interazione fra le esperienze personali e sociali dei partecipanti, i dati della ricerca scientifica e il dispiegarsi della discussione politica. Si tratta sic et simpliciter degli esiti più organici e di "coraggioso buon senso" fino a quel momento sulla piazza, in stridente contrasto con i timidi e contraddittori risultati che le varie assemblee parlamentari erano riuscite a produrre in anni di dibattito.

Judith Ferrando, una delle facilitatrici sia alla Convention Citoyenne pour le Climat nazionale che a quella sulla Pandemia tenuta poi a Nantes, così descrive questa esperienza: "La particolarità di questo formato è che pone i cittadini comuni - non gli esperti - al centro del processo. A partire semplicemente dalla loro esperienza come base di legittimazione, sono invitati a interagire con degli esperti e a intervistare vari attori locali per approfondire un tema complesso di interesse comune, e poi a deliberare tra di loro per elaborare proposte, un'opinione informata e ragionata su quel determinato tema, con la promessa finale che le raccomandazioni dei cittadini alimenteranno concretamente la decisione politica. Questo crea slancio e implica la necessità di un follow-up."

Nel fare una valutazione del follow up in questo caso, bisogna avere ben presente che stiamo parlando di un evento in cui Macron ha assunto il ruolo di un vero e proprio apprendista stregone. Nè l'evento in quanto tale, né i suoi esiti sarebbero stati concepibili senza il suo essersi posto come massimo autorevole garante che le proposte della Convention sarebbero state tutte sottoposte al voto del parlamento o a dei referendum. Il suo discorso alla apertura dei lavori, la disponibilità dei finanziamenti necessari per un ottimo livello di facilitazione, per gli incontri e approfondimenti e per coprire le spese e perdita di stipendio dei partecipanti, la sua presenza rassicurante alla consegna dei risultati, tutto questo ha fatto sì che i 150 si siano sentiti investiti di una responsabilità reale sul tema dell'ambiente e della transizione ecologica e, dovendo fare i conti con le generazioni future e con la storia, ce l'hanno messa tutta. Una prima conclusione che se ne può trarre è stata espressa sinteticamente da Armel Le Coz, uno dei co-fondatori di Democratie Ouvert, il collettivo che ha avuto il merito di suggerire a Macron con una lettera aperta sottoscritta da decine di intellettuali e artisti, l'idea del format Convention Citoyenne: "Dopo questa esperienza nessuno può più mettere in

dubbio la capacità dei cittadini ordinari di affrontare questioni complesse e di essere una forza di rinnovamento capace di risposte ben fondate." Il che va tenuto presente nel valutare il follow-up, il quale infatti è consistito in un duplice fallimento di previsioni dai risvolti antitetici: da un lato il parlamento non ha preso sul serio queste proposte (solo il 15% è diventato legge) e dall'altro i 150 non se ne sono tornati a casa buoni buoni, ma si sono costituiti a "collettivo dei 150", hanno messo su una piattaforma le loro proposte (quasi un milione di accessi nella prima settimana) e le loro puntuali considerazioni sulle inadeguate risposte del governo e del parlamento e vanno in giro, invitati un po' ovunque, a parlare della loro esperienza e del rapporto fra intelligenza collettiva e transizione ecologica. Come la ragazzina di sedici anni, anche tutti loro sentono di aver capito delle cose importanti, di non esser più gli stessi di prima.

Confesso che, da italiana, provo una certa ammirazione per il coraggio che ha avuto Macron di buttarsi in una operazione del genere. Macron è uno che ci prova ogni volta a imparare dagli sbagli, il che non implica che smette di sbagliare, ma è già qualcosa.  Prima con i Gilets Jaunes ha dovuto prender atto che i provvedimenti per la transizione energetica suggeriti dai soli tecnici sono socialmente un disastro. Allora ha varato il Gran Débat, una classica consultazione faraonica rivolta a tutti i francesi praticamente su tutto. Con un enorme dispiego di soldi e di energie su rete, in presenza, a livello locale e nazionale, e con risultati praticamente nulli. E infine, quando gli è arrivata la lettera del collettivo di Democratie Ouverte con le firme dei suoi amici artisti (non dimentichiamo che ha fatto anche lui teatro) e intellettuali (non dimentichiamo che ha frequentato le grandes écoles), ha deciso di fare un salto nel vuoto (non dimentichiamo che ha lavorato per due anni a fianco di quel grande padre della ermeneutica contemporanea che è stato Paul Ricoeur). 

Nelle riflessioni sulle dinamiche che accompagnano e favoriscono l'emergere della democrazia deliberativa, giocano un ruolo fondamentale due aspetti che i manuali di solito trascurano e che invece in questo caso e in tutti quelli che poi illustrerò risultano in primo piano. Sono: la disponibilità a uscire dalle abitudini e regole consolidate e la stesura di un mandato cogente, preciso, che vincola reciprocamente i detentori del potere e i membri della società civile. Entrambi questi aspetti nascono dalla comprensione - come insegna fra gli altri Edgar Morin - che non si può passare da un sistema semplice a uno complesso, se prima non si esce dal sistema semplice. Il mio amico Maarten Hajer, che insegna “Futuri sperimentali” all’Università di Utrecht, la mette giù così: «Non cambierai mai qualcosa combattendo la realtà esistente. Per cambiare, costruisci un modello nuovo che renda quella realtà obsoleta.» Il che va di pari passo col suggerimento: "Perché limitarsi a parlare del futuro quando oggigiorno possiamo visitarlo?" Il CCC è una delle esperienze che ha offerto alle società civili europee una occasione per visitare il futuro.

Le esperienze che mi accingo a studiare e osservare a Nantes, sono una ulteriore occasione, ancor più interessante perché oltre a permettermi di ricostruire le origini storiche di un cambio di paradigma in atto e di seguire la discussione sui limiti di queste esperienze e come porvi riparo, qui sono anche io un'attrice in gioco. 

Infatti in questo primo mese di lavoro sul campo, ho già verificato che le informazioni

che sto raccogliendo spesso risultano nuove (dimenticate? mai conosciute?) in tutta una serie di realtà sociali. Per esempio, entro in una Maison de Quartier e dopo aver attaccato bottone, chiedo a un operatore: "Da cosa si vede, nel lavoro che fate che in questa città c'è il dialogue citoyen?" e quello ridendo mi risponde: "Il dialogo cittadino?  Mi sembra un concetto molto complesso. Mi sa che prima di rispondere lo devo studiare!" oppure direttamente: "Cos'è il dialogue citoyen?" Ci uniamo in una risata, ma siccome io poi faccio degli esempi di cose meravigliose che nel passato hanno deciso di mettere in atto esattamente in quel posto lì, il risultato è che mi organizzano una serie di presentazioni pubbliche per "rinfrescare la memoria storica". Incontri interessantissimi, di cui nel libro ho intenzione di rendere conto.

La questione che già ora emerge è che le dialogue citoyen non è scindibile da una idea dei partiti e del governo come garanti e promotori del gioco dell'ascolto. E anche a Nantes, coloro che lavorano nei servizi tendono a percepire la propria missione e professionalità come qualcosa di totalmente separato e indipendente dalla vita politica, di cui diffidano. Plus ça change, plus c'est la même chose? Vedremo.

 

 

PS: Per quanto riguarda le ricadute di questo testo e questo tipo di analisi nel contesto italiano, sono affidate alle discussioni che stimolerà fra le lettrici e i lettori.


 

Letture consigliate