Riflessioni Sistemiche n° 27


Decostruendo miti e pregiudizi del nostro tempo

Disertare il patriarcato per vivere


di Laura Cima

già deputata e consigliera di parità, formatrice, scrittrice e blogger

Sommario
Viviamo tempi difficili di guerra, violenze, pandemia e catastrofi climatiche: occorre sostituire l’attuale paradigma di sviluppo insostenibile e potere sempre più accentrato con un paradigma della cura? é urgente affermare nelle pratiche quello di cui le donne sono esperte: relazioni eque tra le persone nel rispetto delle differenze, una società non violenta che cura, l’abbraccio alla Madre Terra e alle specie che la abitano.


Parole chiave
ecofemminismo, patriarcato, paradigma della cura, non violenza, cambiamenti climatici, pandemia, guerra.


Summary
We live in difficult times of war, violence, pandemics and climate catastrophes: should we replace the current paradigm of unsustainable development and increasingly centralised power with a paradigm of care? There is an urgent need to affirm in practice what women are experts in: equitable relationships between people with respect for differences, a non-violent society that cares, embracing Mother Earth and the species that inhabit her.


Keywords
ecofeminism, patriarchy, paradigm of care, non-violence, climate change, pandemic, war.



Viviamo tempi difficili di guerra, violenze, pandemia e catastrofi climatiche e in tanti hanno parlato della necessità di sostituire l’attuale paradigma di sviluppo insostenibile e potere maschile sempre più accentrato con un generico paradigma della cura. Ciò è auspicato anche dagli obiettivi trasversali dell’Agenda ONU 2030, ratificati dall’Italia e ispirati alla Piattaforma di Pechino del ’95, ancora vigente, le cui finalità sono riprese nel Piano NGEU e nei PNRR nazionali e soprattutto nella nostra Costituzione. é urgente affermare nelle pratiche quello di cui le donne sono esperte: relazioni eque tra le persone nel rispetto delle differenze, una società non violenta che cura, l’abbraccio alla Madre Terra e alle specie che la abitano. Non serve più appellarsi a generiche discriminazioni di genere mentre si usano metodi patriarcali di potere in famiglia, nelle istituzioni, nei luoghi decisionali e di governo. Né appellarsi a categorie novecentesche che le giovani generazioni non condividono, e che allontanano molti dalla politica perché non affrontano i problemi attuali né modificano i comportamenti concreti.

Diventa prioritario ora pensare a un nuovo modo di abitare il mondo, superare la dicotomia tra valori sbandierati e comportamenti quotidiani che non vi si uniformano, utilizzare le risorse senza sprechi, affermare nuove regole di convivenza di rispetto tra i viventi.

Noi ecofemministe in questa prospettiva ci stiamo impegnando da decenni. E appena si è aperta la crisi politica che ha portato alle recenti elezioni, abbiamo sintetizzato in un decalogo i nostri propositi rivolgendoci a tutti e a tutte/i quelle/i che erano impegnate nella campagna elettorale. Le pubblicazioni e gli apprezzamenti sono stati numerosi: il percorso è documentato nel sito appositamente creato (Decalogo ecofemminista per un buon governo, 2022).

Le radici di quella che abbiamo chiamato da subito una rivoluzione necessaria e non violenta affondano nel primo e secondo femminismo del Novecento. Secolo di guerre e di sangue come lo ha definito Alessandra Bocchetti, di cui è utile leggere “Basta lacrime” (Bocchetti A., 2022) appena uscito e seguire il dibattito riaperto nel nome di Virginia Woolf.

Abbiamo vissuto una breve stagione di protagonismo politico nei movimenti e nelle istituzioni ai tempi di Chernobyl, tornati drammaticamente di attualità per la sua collocazione in Ucraina e per gli attacchi alla centrale di Zaporizhzhia  che hanno riaperto la paura di una guerra nucleare a partire da un impianto civile, paura tanto più giustificata dalle recenti minacce di Putin e dai suoi bombardamenti continui intorno alle centrali nucleari.

Di quella stagione che segnava la fine della prima repubblica abbiamo parlato nel nostro libro collettivo “l’Ecofemminismo in Italia” (a cura di Marcomin F., Cima L., 2017) con le testimonianze delle donne verdi che arrivarono in parlamento nel 1987. Ci arrivarono in bicicletta e diedero vita ad una esperienza che oggi è fondamentale mettere a confronto con l’attuale situazione parlamentare, stretta tra un governo di destra estrema e un’opposizione di centro sinistra frantumata, in cui le donne non hanno alcuna rilevanza politica salvo Giorgia Meloni.

Allora noi tentammo con successo di cambiare il modello patriarcale imperante, che in pochi decenni aveva riassorbito la carica di cambiamento totale post fascista portata dalle donne costituenti. Pur nel numero limitato loro concesso dai partiti emersi nella Resistenza, esse seppero introdurla nella prima parte della Costituzione, quella dei principi che nessuno ha mai osato modificare. E che speriamo proprio rimanga intatta e sia applicata, nonostante il governo di estrema destra che ci ritroviamo. Ne ho ricordato il ruolo fondamentale nella mia prima autobiografia politica. (Cima Laura, Il complesso di Penelope, 2012).

Nel 1987, arrivando in Parlamento, con loro riallacciammo i fili dell’impegno politico grazie alla nostra capacità di partire da noi, come avevamo imparato negli anni del femminismo con l’autocoscienza, e grazie al nostro impegno ecologista, che ci fece vincere alle elezioni, e poi con il referendum antinucleare, grazie al voto delle donne e dei loro movimenti, sempre in piazza a manifestare dopo gli anni di piombo, e sempre ad elaborare nelle loro ricerche e nei loro scritti nuove visioni del mondo. Con Alex Langer e Petra Kelly avevamo iniziato a cambiare anche la politica internazionale perché ci sentivamo né di destra e né di sinistra, né democristiane e né comuniste, ma oltre. E quindi capaci di trattare con chiunque fosse attento alle nostre istanze.

Il primo linguaggio che usammo e a cui fummo attente, in armonia con la natura in cui siamo immerse, è sempre stato quello del corpo, delle emozioni e dell’empatia, dell’amore e della non violenza nelle relazioni con tutti i viventi, con la nostra e con le altre specie animali e vegetali. Le astrazioni generiche non ci piacciono perché coprono una legittimazione del modello contro cui da sempre lottiamo e che oggi si ripropone in modo molto chiaro, con la guerra di aggressione di Putin, i suoi carnefici e le sue menzogne, i suoi drammatici effetti di morte, violenze e distruzione. 

Disertare la guerra e il patriarcato vuol dire contemporaneamente dissociarsi dalla predazione del nostro corpo e dei territori, delle altre specie e del pianeta che ci ospita.

Ricordo sempre con emozione il primo confronto con le nostre costituenti in occasione del quarantesimo anniversario dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, promosso dall’associazione degli ex parlamentari, a cui partecipai appena eletta. Con mia sorpresa il mio intervento fu molto applaudito. Fu in quella occasione che scoprii che lavoro fondamentale avevano svolto le nostre costituenti, e soprattutto fui colpita dalla loro accoglienza e simpatia. Il volume (AA.VV., 1988. Le donne e la Costituzione) inizia con relazioni politiche di protagoniste dei primi decenni e termina con gli interventi femminili alla Consulta nazionale e all’Assemblea Costituente che ben poche e pochi hanno studiato e anch’io non conoscevo.

 

Purtroppo il Covid ci ha portato via prematuramente Elena Pulcini, la nostra teorica e militante ecofemminista che meglio ha spiegato le passioni negative e quelle positive. Riprendo un brano di copertina del libro “Tra cura e giustizia, Le passioni come risorsa sociale” (Pulcini E., 2020), che insieme a “Cura ed emozioni. Un’alleanza complessa” (Pulcini E, Bourgault S., 2018) ritengo fondamentale per capire cosa intendiamo:

 

“Perché ci prendiamo cura degli altri anche quando non siamo legati da rapporti personali? Perché lottiamo per la giustizia anche quando non ci riguarda direttamente? Quali sono, insomma, i fondamenti motivazionali che ci spingono ad agire eticamente e ad adottare socialmente comportamenti empatici? La risposta a questa domanda richiede di interrogarsi sul ruolo delle passioni, per gettare un nuovo sguardo sui due paradigmi nei quali si riassume di fatto la proposta etica del nostro tempo. Partire dalle passioni (come invidia e indignazione, paura e compassione, risentimento e amore) purché affrancate da ogni sospetto di irrazionalità, ci consente in primo luogo di pensare ad un’idea di giustizia diversa] … [e distinguere tra pretese legittime e pretese illegittime di giustizia. In secondo luogo ci consente di sottrarre la cura ad una visione altruistico-assistenziale, per mostrarne, insieme alla complessità non priva di aspetti perturbanti, le potenzialità di una forma di vita”. (Pulcini E., 2020).

 

Non a caso Elena si è impegnata anche a livello internazionale con il movimento dei convivialisti, di cui ha scritto la prefazione al secondo manifesto (Caillé A., 2020). E ha militato nel partito dei verdi italiani mentre lavoravamo insieme a consolidare la nostra esperienza e la rete ecofemminista, ormai esterna in Italia al partito dei Verdi, sempre meno autorevole e coinvolgente, incapace di arricchirsi con le differenze e invece impaurito e abituato a commissariare le realtà territoriali ogni volta che non obbedivano alla direzione nazionale.

La testimonianza collettiva ecofemminista, nel testo precedentemente citato, è l’unica che ripercorre storicamente la nascita e l’affermazione dell’arcipelago delle liste verdi che si era differenziato anche in campagna elettorale dal consumismo dilagante. Ricordo le nostre campagne elettorali nei mercati dove distribuivamo sacchetti di carta con il nostro simbolo per contrastare l’uso della plastica dilagante; e discutevamo della catena alimentare con contenuti che vennero poi sistematizzati con la collaborazione del nucleo dei Nas, che denunciarono quanto diffusa fosse l’illegalità: circa il 50% dei loro controlli rilevavano veleni vari nel cibo. Nessuno fino allora si era degnato di dare loro voce e prendere provvedimenti per fermare la pericolosità della chimica usata indiscriminatamente nell’agricoltura e negli additivi alimentari. Eppure i casi di cancro e tumori si stavano moltiplicando. “Tutti a tavola, Ma cosa bolle in pentola?” Il Convegno nazionale sulla qualità dei controlli alimentari in Italia, promosso dalla nostra associazione Hera-Donnambiente con il patrocinio dell’Anpa, del ministero dell’Ambiente e quello della Sanità, inaugurò il nuovo secolo nel gennaio del 2000 con una politica che metteva al centro la quotidianità del lavoro delle donne (a cura di Ricci E., Sansa R., Piermarini R., Rasera E., 2000). Era la politica che avevamo già messo in luce un anno prima a Catania, alla fine del Novecento, con un altro significativo titolo: “Politica, sostantivo femminile” (Convegno Forum Donne Verdi, 1999)

La concretezza e la capacità di mettere in discussione l’astrattezza e la lontananza del palazzo dalla vita e dai gravi problemi che si stavano affacciando, insieme alla speranza di saperli superare nel nuovo millennio, mettevano in imbarazzo i politici maschi che non erano esperti dei problemi di cui ci occupavamo, mentre sollevava un grande interesse nelle donne che finalmente vedevano considerato il loro lavoro e il loro impegno quotidiano. Apprezzavano il nuovo metodo di partecipazione a tutto campo che avevamo inaugurato e che permetteva di essere protagoniste nel confronto pubblico riportando alla luce il privato come era successo negli anni Settanta. Anche il linguaggio femminile e concreto cambiava la politica.

Cercavamo di tenere insieme nella politica istituzionale, nei movimenti, nei territori e nei comportamenti individuali, sentimenti e passioni, emozioni e fragilità, per favorire un continuo scambio tra noi e con chi aveva potere decisionale ed era stato eletto per rappresentare tutte le differenze. Forse proprio questa novità risultava fastidiosa ai politici patriarcali, che erano riusciti fino ad allora a conservare i metodi democristiani di agire, contaminando anche le sinistre: queste si consideravano discendenti dei vari settori e partiti che, a partire da Livorno si erano differenziate, ma dopo gli anni di piombo, si erano avvicinate alla Dc, tradizionale partito di massa che aveva governato

con tutti, cambiando alleanze ad ogni elezione. Il rapimento e l’assassinio di Moro a opera delle brigate rosse segnarono la svolta che aprì una collaborazione più stretta tra Pci e Dc a partire dal livello locale.

La nostra irruzione in parlamento aprì la strada a Mani pulite e alla seconda repubblica, scombinando lo schema del pentapartito e determinando il crollo della DC e dei suoi satelliti. Ricordo anche il fallimento successivo di Alleanza Democratica, inventata da Rutelli ad un certo punto della sua carriera, dopo il lancio ottenuto utilizzando gli ecologisti e il successo meritato come sindaco di Roma durante il Giubileo. Molti democristiani sono ora dirigenti del Pd, lo stesso segretario dimissionario Letta, e l’hanno portato alle secche attuali. Ma torniamo all’oggi.

Dalla teoria e dalla nostra storia discende la pratica odierna proposta nel nostro decalogo che contesta l’uso patriarcale del lavoro non pagato delle donne, per mantenere il potere pubblico maschile conseguente alla divisione di lavoro tra i sessi, risparmiare risorse pubbliche nei servizi sociali, fronteggiare fasi difficili grazie alla dedizione e alla cura femminile, riparare ferite procurate di cui gli uomini, soprattutto nei luoghi decisionali, tendono a non curarsi e tantomeno a curare.

Mi sembra importante tenere conto di cinque punti del nostro decalogo per il buongoverno: cura, lavoro, violenza, nascita, immigrazione, anche per entrare nel merito di comportamenti individuali da tenere e di obiettivi politici da perseguire per sottrarsi al patriarcato.

La cura intesa anche come stile politico complessivo, implicante il riconoscimento concreto e formale del lavoro domestico, che venticinque anni fa a Pechino l’Italia si impegnò a conteggiare nel PIL, per ritrovare nelle politiche di spesa pubblica la necessaria e dovuta attenzione alle priorità delle donne e delle famiglie, ovvero l’intera società nella quotidianità e nella concretezza dell’esistenza.

Il BES (Benessere equo e sostenibile), di cui la politica ignora totalmente i rapporti annuali, va considerato nella sua interezza ad integrazione del PIL, perché è il benessere, in tutte le sue forme, a dover essere garantito. Ne discendono la necessità di valutare l’impatto dei progetti ex ante ed ex post, la doverosa impostazione di statistiche disaggregate per sesso e la necessità in particolare del punto di vista ecofemminista nelle ricerche e nelle raccolte di dati.

Il lavoro, che la Costituzione mette a fondamento della Repubblica, garantito a tutte e tutti con adeguata remunerazione e in condizioni che consentano ogni giorno, insieme al tempo per il riposo e per la libertà personale, un tempo per la manutenzione e la cura degli ambienti e delle relazioni, superando il modello sessista della divisione dei compiti. Va garantito anche il tempo per figli e figlie ma anche per essere figli e figlie, amici e amiche, persone solidali nei piccoli/grandi collettivi umani dentro i territori in cui viviamo. Il tempo per la cura di sé, degli affetti, degli ambienti, per lo sviluppo della propria cultura e dei propri talenti deve diventare l’orizzonte in cui ripensare tutto il lavoro, anche attraverso l’uso responsabile delle nuove tecnologie, soprattutto nell’ambito del digitale. Il lavoro gratuito di cura nelle case e nelle famiglie, che i dati evidenziano erogato prevalentemente dalle donne, va considerato da subito, finanziando servizi adeguati.

Nascere bene è il primo diritto che società e Stato devono garantire. Il modello assistenziale di cura alla donna è negativamente impregnato di pregiudizi che ostacolano il cambiamento culturale verso scelte consapevoli e autonome in tema di salute femminile riproduttiva e sessuale. Nel rapporto dell’assemblea generale delle Nazioni Unite del 2019 la violenza ostetrica, che scaturisce da pregiudizi e stereotipi sulla maternità e sul ruolo della donna, è stata riconosciuta come una violenza contro i diritti umani di salute riproduttiva. In Italia la violenza ostetrica non è reato, mentre la medicina e le cure per le donne non sono ancora regolarmente praticate.

La salute sessuale e riproduttiva e le scelte connesse devono essere rispettate e garantite dal momento della nascita fino alla menopausa. Contraccezione, aborto, esami ed eco in gravidanza devono essere realmente a disposizione gratis nei Consultori. Il personale sanitario tutto va formato alla medicina di genere.

Nascere bene è una questione di libera scelta della madre e incide anche sulla vita futura di chi nasce. Va affrontata la piena attuazione della Legge 194 anche attraverso normative che consentano solo a personale infermieristico e medico non obiettore di partecipare ai concorsi pubblici.

Va assicurata la possibilità di adozione per persone singole e coppie di fatto, indipendentemente dal sesso e dall’orientamento sessuale, fatte salve semplicemente le condizioni di idoneità genitoriale.

La violenza sulle donne non è disgiunta dalla violenza sull’ambiente; l’uomo ha infatti concepito la donna e la natura come “a sua disposizione”. Ora che le donne affermano e praticano con più determinazione la loro soggettività, femminicidi e altri crimini sessuali si intensificano.

Va fermata ogni forma di mercificazione del corpo femminile e garantita la piena applicazione della Convenzione di Istanbul contro la violenza maschile sulle donne e la violenza domestica anche nel rispetto dei richiami del GREVIO (Gruppo di esperte sulla violenza contro le donne, organismo indipendente del Consiglio d’Europa che monitora l’applicazione della Convenzione di Istanbul in tutti i paesi che l’hanno ratificata.)

Va diffusa la formazione e l’informazione di operatori ed operatrici, prevista la sospensione della potestà genitoriale per chi agisce violenza; l’uso del braccialetto elettronico; l’allontanamento immediato dalla dimora, che va preservata per la donna. Vanno previste azioni per abolire il fenomeno della prostituzione, con conseguente difesa della Legge 75/1958 (Legge Merlin) e introduzione del modello nordico che prevede punibilità dei clienti e sostegno alle donne per uscire dal sistema prostituente.

Va abrogata la Legge 54/2006 che impone la bigenitorialità, per la quale centinaia di minori sono stati strappati da madri che avevano denunciato il padre per violenze e abusi sessuali; va impedito l’utilizzo nei tribunali in forme subdole della PAS, o sindrome di alienazione genitoriale, (già dichiarata inesistente sul piano scientifico), a danno delle donne e dei minori.

é anche l’ora di aiutare e risarcire le donne vittime delle mafie e di dare maggiori investimenti e maggiore diffusione del protocollo “liberi di scegliere” che permette alle madri, mogli di boss mafiosi, di strappare se stesse ed i loro figli ad un destino già scritto.

Con il governo Meloni e i ministri incaricati sarà difficile mettere in pratica una nuova politica sull’immigrazione per fermare le morti dei migranti e delle migranti in mare, sui confini europei e nei lager libici, gli stupri e le violenze sulle donne “bottino di guerre”, come chiedevamo. Uno dei primi atti di resistenza è stato quello di alcune militanti che si sono incatenate davanti al nuovo parlamento per impedire il rinnovo automatico del Memorandum Italia-Libia. Non è più tollerabile una narrazione delle migrazioni come invasioni e come problema di sicurezza e l’abbandono delle persone nelle mani dei carnefici libici pagati da noi per fermarle ed agire in base ad una politica umana e civile che salvaguardi le vite, in accordo con l’UE. Il blocco dei porti, già sperimentato, è tornato purtroppo di attualità e saranno ostacolate anziché promosse le realtà virtuose di accoglienza e inclusione sociale e lavorativa, dove migranti possano vivere in armonia e crescere con le comunità che li accolgono. L’acquisizione della cittadinanza con forme di automatismo per chi nasce in Italia sarà resa ancora più difficile.

 

Tornando alla complessità e ai rischi della fase che stiamo vivendo voglio ricordare quanto ha scritto recentemente il giurista Luigi Ferrajoli, allievo di Norberto Bobbio:

 

“L’umanità si trova di fronte a emergenze globali che mettono in pericolo la sua stessa sopravvivenza: il riscaldamento climatico, destinato, se non verrà arrestato, a rendere inabitabili parti crescenti del nostro pianeta; la minaccia nucleare proveniente dalle migliaia di testate atomiche sparse sulla Terra e dotate di una capacità di distruzione totale, la crescita delle disuguaglianze e della miseria e la morte ogni anno, per fame, per malattie non curate o rare, di milioni di esseri umani; la diffusione di regimi dispotici che violano sistematicamente le libertà fondamentali e gli altri diritti proclamati in tante carte costituzionali e internazionali; lo sviluppo del crimine organizzato e delle economie illegali, che hanno mostrato una straordinaria capacità di contagio e di corruzione dell’economia legale; il dramma, infine, di centinaia di migliaia di migranti, ciascuno dei quali fugge da una di queste tragedie. A causa della catastrofe ecologica, per la prima volta nella storia il genere umano rischia l’estinzione: non un’estinzione naturale come fu quella dei dinosauri, ma un insensato suicidio di massa dovuto all’attività irresponsabile degli stessi esseri umani. Tutto questo è ormai da molti anni sotto gli occhi di tutti, documentato concordemente da una letteratura sterminata. Perfino coloro che di queste emergenze e di queste minacce sono i responsabili – i governanti delle maggiori potenze e i grandi attori dell’economia mondiale – sono totalmente consapevoli che il cambiamento climatico, l’innalzamento dei mari, la distruzione della biodiversità, gli inquinamenti e i processi di deforestazione e desertificazione stanno travolgendo l’umanità e sono dovuti ai loro stessi comportamenti. Eppure continuiamo tutti a comportarci come se fossimo le ultime generazioni che vivono sulla Terra.” (Ferrajoli L., 2022, pag, 6).

 

Anche lui dimentica purtroppo gli stupri, i maltrattamenti e i femminicidi e i parricidi che avvengono in famiglia ogni giorno in tutto il mondo, anche in Italia, e su cui ben pochi uomini, politici, intellettuali, giornalisti si soffermano a riflettere, commentare e condannare, quasi si trattasse di un’inevitabile realtà, così come “il più antico mestiere del mondo”. Mettere in discussione la propria sessualità e la violenza che comporta sembra essere una pratica impossibile. Il fatto che tanti adolescenti si formino alla sessualità su “You porn” e simili e agiscano in branco, che uomini ricchi e famosi usino droghe, vendute per tutti anche in rete, per stordire e ridurre bambine, giovanissime, donne incapaci di opporsi alle loro voglie, e il fatto che il “me too” non li preoccupi più di tanto è o non è un problema? Parlarne insieme, come tra donne facciamo da decenni, collegando questo ai disastri che stiamo attraversando, è sempre più imprescindibile. Mi piace ricordare qui il lavoro che Monica Lanfranco fa da anni con la pièce teatrale “Manutenzioni-Uomini a nudo” portando sul palco volontari a parlare della propria sessualità. Possiamo inventarci tante forme d’incontro e di comunicazione se si capisce che questa è l’unica via. Noi siamo curiose e interessate al confronto con chi diserta il patriarcato.

Françoise d'Eaubonne nel 1974 in “Le féminisme ou la mort " (Eaubonne F., 1974, 2022) aveva preconizzato quello che sarebbe successo se non si superava il modello patriarcale e ne aveva teorizzato che il dramma ecologico deriva direttamente dal sistema patriarcale, che ha legittimato l'appropriazione dei corpi delle donne e della natura da parte degli uomini. Creò il gruppo Ecologia e femminismo all'interno del Movimento di liberazione delle donne dando origine al termine "ecofemminismo" e al movimento.

Tra i filoni di critica dello sviluppo attenti all’incrocio tra questione ambientale e differenze tra i sessi, alcune elaborazioni ecofemministe successive hanno messo radicalmente in discussione il progetto di dominio sulla natura verso cui sono orientate la scienza e la tecnologia, a partire dall’Ottocento fino ad oggi. Molti contributi di questa “controcultura” sono venuti dalle donne del Sud del mondo: Vandana Shiva e Arundathi Roy in India, Wangari Maathai e Esther I. Njiro in Africa. (ampia bibliografia in Balsamo F., Donini E., Maher V., Segre A., 1996). Il movimento si è fatto portavoce di una posizione che va oltre sia alla rivendicazione femminile di uno statuto di razionalità e di diritti paritario, sia all’affermazione della specificità femminile e dell’alternativa femminista alla cultura maschilista, quindi oltre parità/emancipazione e differenza/estraneità.

Alcune autrici italiane e internazionali hanno evidenziato come l’ecofemminismo voglia superare i modelli discriminatori attraverso una rivalutazione, celebrazione e difesa di tutto quello che la società patriarcale ha svalutato interpretando la realtà secondo metafore dicotomiche in cui il femminile è sottostimato in quanto associato a ciò che riguarda la corporeità, le emozioni, la sapienza intuitiva, la cooperazione, l’istinto alla cura, la capacità simpatetica e quella empatica; mentre il maschile è celebrato poiché accostato a concetti opposti, quali teoricità, razionalità, intelletto, competizione, dominio. Questa controcultura comprendeva all’inizio posizioni varie: liberali, marxiste, radicali e socialiste da una parte e uno spiritualismo legato all’esaltazione del principio femminile in rapporto alla madre-terra, dimostrando grande eterogeneità, ma anche ricchezza nelle differenze. Essa si è intrecciata con il pacifismo, il movimento antinucleare, la critica all’industrialismo inquinatore e alle politiche aggressive verso l’ecosistema.

Sfruttamento delle donne, sfruttamento della natura: il principale nemico era ed è il sistema patriarcale. Spesso rimuoviamo che originariamente "il patriarcato” si riferisce a un’organizzazione sociale nata per contrastare la matrilinearità e le dee madri: il padre, il capofamiglia o i figli maschi che gli si ribellano e lo sostituiscono, e per estensione gli uomini, sono depositari dell'autorità e hanno potere di vita o di morte su mogli e figli. Nonostante la stagione dei diritti e la sua evoluzione nello stato moderno, le dinamiche che ancora modellano in parte le società contemporanee conservano presupposti rilevati da molti, a partire da Engels e Bachofen: la ricerca continua da parte degli uomini di un potere simbolico che rafforzi quello reale (religioni monoteiste, elaborazione di concetti filosofici a partire da Aristotele,  storia, arte), il possesso delle donne e la loro la riduzione in schiavitù e alla funzione riproduttiva, così come la subordinazione della loro sessualità a quella degli uomini e la divisione sessuale del lavoro. Afghanistan e Iran e la loro storia ne sono ancora oggi emblematiche, ed è evidente la povertà estrema che pagano per mantenere il modello di stato teocratico, in realtà patriarcale.

In tutto il mondo le donne forniscono gratuitamente sesso, figli e lavoro di cura, mentre il potere politico ed economico è nelle mani degli uomini.

Scrissi sulla rivista “Reti” (Cima L., 1990) dell’invidia dell’utero e oggi l’UE finanzia la ricerca sull’utero artificiale. Mentre la legge e le istituzioni rafforzano questa divisione gerarchica, la religione, la scienza e la medicina la legittimano. La lingua, conferma e rafforza questa situazione, il maschile prevale sempre sul femminile e lo comprende, sostituito oggi dalle più giovani con la schwa. Unico esempio meritorio è la Treccani, che recentemente ha messo il femminile prima del maschile nel suo dizionario, il primo vocabolario in Italia a inserire le forme femminili in ordine alfabetico. Un cambiamento significativo che ha suscitato clamore mediatico, ma non è un cambiamento rivoluzionario: come spiega la direzione dell’opera, quando sentiamo dire che medica o sindaca o la presidente non suonano bene dobbiamo chiederci perché visto che cuoca, badante, operaia sono in uso da sempre. La risposta è che non siamo abituati a sentire quelle parole o l’articolo femminile che le precede perché si tratta di ruoli monopolizzati da maschi, ma se ci abituassimo, se fossimo spinti a lavorare in questa direzione, queste forme non susciterebbero più meraviglia (Giannetta E., 2022). La scelta di farlo nasce da una convinzione e dalla constatazione che l’uso onnicomprensivo del maschile era dovuto solo ad una convenzione patriarcale.

Ovviamente disertare il patriarcato non può essere un mero cedere il passo alle donne, lasciandole libere di decidere della propria vita e smettendo di minacciarle di morte se disobbediscono, perché per vivere in armonia sul nostro pianeta cancellando le realtà distopiche che ci attorniano, è necessaria una rivoluzione, un processo anche interiore che deve scardinare un ordine molto invasivo risalente alla notte dei tempi. Né basta avere per la prima volta una giovane donna alla presidenza del Consiglio come succede oggi nel nostro paese con il governo di Giorgia Meloni, che ha portato al successo un partito di destra dal nome Fratelli d’Italia. Il presidente, come ha preteso subito di farsi chiamare, forse nell’illusione di mantenere una autorevolezza che sa sarà messa sempre in discussione perché donna, ha nominato ministri una stragrande maggioranza di uomini con un’età media alta e rappresentanti di un patriarcato sovranista. (Pesenti R., 2022; Lanfranco M., 2022). Il linguaggio del corpo è rivelatore anche per i maschi, molto più di tante parole, lo abbiamo notato da quando ha fatto il suo primo discorso con gli sguardi d’intesa scambiati tra i due alleati messi da parte. E’ passato in tutte le cronache l’atto di scortesia subito dalla presidente della Commissione UE da Erdogan e Michel che non le hanno lasciato il posto.   

Con tutti i gravissimi problemi nazionali e internazionali che il nuovo governo si trova ad affrontare, non solo donne impegnate nei movimenti e nelle associazioni ma molta parte dell’informazione, è sembrata prestare attenzione particolare a come la nuova ministra Roccella, che in gioventù accompagnava con il Cisa le donne a farlo in clandestinità, interverrà rispetto all’aborto. Lo stesso è successo nelle recenti elezioni midterm negli Stati Uniti, dopo che la Corte suprema lo ha messo in discussione. Il voto femminile ha determinato la tenuta dei democratici e fermato l’ascesa di Trump, di cui conosciamo maschilismo e minacce alla democrazia, e la complicità nell’ invasione di Capitol Hill. Simbolicamente il governo Meloni segnerà nel nostro paese una fase nuova e imprevedibile, come lo ha segnata anche nel recente G20 con tutti capi di stato maschi eccetto lei, dove ha riscosso curiosità e successo.

Per chi vorrà fare opposizione nelle istituzioni e nella società sarà difficile continuare a ripetere gli stessi mantra obsoleti che hanno portato alla sconfitta. Le donne che credono nella generica necessità di perseguire una società paritaria, e le giovani che manifestano contro stupri e femminicidi ma non vogliono impegnarsi nelle istituzioni e nella politica, o le politiche che sono rimaste gregarie e insignificanti, tutte dovranno posizionarsi in altro modo per incidere. Ma soprattutto i tanti politici che per la prima volta si sentono messi da parte (non solo Berlusconi e Salvini), riluttanti a riconoscere una giovane donna alle cui decisioni devono adeguarsi, ma anche Letta e gli altri oppositori di centro sinistra che non hanno ascoltato e lasciato spazio autonomo alle loro elette militanti e dirigenti, dovranno davvero mettersi da parte se non sapranno inventarsi il nuovo modo di stare al mondo.

Sarà sempre più importante capire i comportamenti individuali, violenti o empatici, noiosi o creativi, capaci di autocritica o ottusi, per decodificare cosa sta succedendo e orientarsi per incidere e fermare tutto ciò che il patriarcato morente sta distruggendo per sopravvivere. E i figli non sempre sono migliori dei padri e sono spietati nella loro ricerca spasmodica di potere. Ne sono la prova le figure che attorniano Putin o il comportamento di Jinping nell’atto finale del Congresso, l’allontanamento a forza del suo predecessore, con la conferma del terzo mandato e un potere pressoché assoluto. Vi ricordate lo Zelensky che abbiamo conosciuto all’inizio della guerra e nella telenovela comica “Servitore del popolo” che ci hanno propinato? Oggi chiede sempre più armi e non vuole trattare, contrasta chi manifesta per por fine a questa guerra spaventosa e conta di vincere e far sparire Putin. Identificandoci con lui possiamo capire la sofferenza spaventosa di ogni giorno nel veder distrutto il proprio paese e contare i morti, soprattutto i civili, ormai oggetto dei bombardamenti giornalieri. La guerra è barbarie.

Ovunque aumentano dittature, anche se mascherate da riti vuoti di democrazia. Che fine hanno fatto Kamala Harris, Nancy Pelosi e Alexandria Ocasio-Cortèz? Avrebbero potuto correggere la politica di Biden e impedire che i trumpiani concorressero ancora al potere dopo Capitol Hill?  Che potere hanno le pochissime donne a capo di Stati nel determinare svolte significative in Europa e nel mondo occidentale e orientale, nel Nord e nel Sud? E se cerchiamo nel passato del nostro paese le costituenti, Nilde Iotti e Tina Anselmi quali svolte hanno segnato? E come sono state messe a tacere? Voglio ricordare qui solo il lavoro dell’Anselmi sulla P2 e il fastidio del suo partito che poi la emarginò. O il processo subito dalla Iotti per la doppia morale degli uomini del suo partito in seguito alla relazione con Togliatti, che la portò all’aborto del figlio.

Le ecofemministe del “Sole che ride” avevano conquistato il 40% del possibile elettorato, soprattutto femminile, (secondo il sondaggio SWG), e guidarono per un anno il gruppo parlamentare alla Camera con un direttivo di sole donne; ma furono presto messe a tacere, nella legislatura successiva furono eletti solo maschi! L’arcipelago fu trasformato in un partito tradizionale dalla lista concorrente degli Arcobaleno, creata da Rutelli e Ronchi allo scopo di utilizzare il successo politico delle liste verdi con il suggerimento del Pci e la complicità di Mattioli, che si dichiarava cocomero, verde fuori e rosso dentro. Nel giro di non molti anni la carica rivoluzionaria degli ecologisti fu svuotata fino a che si arrivò a percentuali ininfluenti che non permisero più di eleggere rappresentanti né al parlamento italiano né a quello europeo, mentre in Germania e in altri paesi europei governavano. Ultimamente anche l’unione di Si e di Europa Verde, che ha eletto rappresentanti grazie all’adesione alla coalizione Letta, si è vantata di essere come i cocomeri. La storia ritorna. Ma è tempo di cambiare davvero con coraggio, creatività e passione.



Bibliografia