Riflessioni Sistemiche n° 27


Decostruendo miti e pregiudizi del nostro tempo

La funzione adattativa della cultura sistemico-complessa
ad un mondo sempre più’ complesso


di Pierluigi Fagan

Studioso indipendente. Independent scholar

Foto di scartmyart da Pixabay

Sommario
Negli ultimi settanta anni il mondo ha subito una inflazione di complessità. Né le nostre forme istituzionali, né quelle culturali corrispondono in senso adattivo a questo mutato scenario. Analizzeremo quindi le necessità di trasformazione delle une e delle altre alla luce della cultura della complessità e di come questa si riflette sugli “studi sul mondo”.


Parole chiave
Era complessa, cultura della complessità, onto-gnoseologia complessa, mondologia, adattamento.


Summary
Over the past seventy years, the world has undergone an inflation of complexity. Neither our social nor cultural forms correspond positively in an adaptive sense to this changed scenario. We will therefore analyze the transformation needs of both in the light of the culture of complexity and how this is reflected in 'world studies'.


Keywords
Complex Age, complexity culture, complex onto-gnoseology, worldology, adaptive system.

 


L’invito a partecipare alla riflessione sistemico-complessa di questo numero della rivista chiedeva di analizzare, in senso critico, le forme del nostro mentale rispetto al “nostro stare al mondo”. Il mondo è il contesto ultimo, lì dove l’estrema varietà dei vari modi individuali e collettivi, mentali, comportamentali ed istituzionali, intessuti assieme (cum-plexus), formano la realtà. Mondo-realtà oggi in sempre più rapida e profonda trasformazione, evento che impone a tutti i soggetti individuali e collettivi umani, di verificare il loro adattamento.

La prima edizione dell’Origine delle specie di Darwin (1859) non conteneva il concetto di “evoluzione”, stante che il termine introdotto poi da Herbert Spencer, era mutuato dal latino ciceroniano dove aveva il semplice significato di “svolgimento”. Si trattava dello svolgimento dei due rotoli della pergamena che contenevano testi scritti. Lungo qui sarebbe ripercorrere le avventure del concetto che da descrittivo è poi diventato teleologico, quasi che l’evoluzione fosse una scala di progresso (Gee H., 2016). In effetti, H. Spencer non fu solo il coniatore del concetto di evoluzione come poi inteso in biologia evolutiva e più in generale nella nostra immagine di mondo generale, ma anche quello di progresso (Spencer, H., 2018). Quest’ultimo fu poi assunto nello Zeitgeist della fine XIX secolo ed inizio XX, come cifra dell’epoca della grande esplosione delle attività economiche moderne e della affermazione di potenza della modernità occidentale a guida anglo-britannica.

Ebbe grandi meriti concettuali l’opera di Darwin. Innanzitutto, ponendo il problema del tempo, del tempo molto lungo. È noto che nella mente di Darwin, i diversi pezzi della sua nuova immagine di mondo rispetto al problema delle specie, fecero un salto anche in seguito alle prime scoperte fatte in geologia da Charles Lyell. Il concetto di “tempo” ai tempi di Darwin era limitato alle verità bibliche, nella versione precisata dai calcoli del vescovo anglicano James Ussher che tra creazione e contemporaneità di metà Ottocento, contava poco meno di 6000 anni. Questo era lo spazio mentale del “tempo del mondo” a metà Ottocento e solo lungo i successivi decenni, a fatica, la geologia lo allargò sino agli attuali 4,5 miliardi del tempo della Terra e poi la cosmologia agli attuali 13,8 miliardi di anni dell’Universo.

Nel tempo, e questo è il secondo apporto decisivo dell’Opera dell’inglese, si svolge il cambiamento. Sembra strano dover sottolineare tale banalità oggi per lo più acquisita, ma va ricordato quale fosse lo stato della mentalità generale della nostra area culturale, l’area occidentale, ancora solo un secolo e mezzo fa. La creazione era perfetta, quindi non aveva alcuna ragione per cambiare. Ci sono due concezioni principali della metrica del cambiamento: continuo o a salto e Darwin poggiava la sua idea di formazione anche di strutture molto complesse, ad esempio l’occhio, proprio sulla lunga estensione temporale e quindi sommatoria di micro-cambiamenti adattivi. Negli anni ’70 invece, in paleontologia, coi lavori di S. Jay Gould e N. Eldredge, si fa strada la Teoria degli equilibri punteggiati ovvero improvvisi e radicali cambiamenti ad esempio dei piani corporei, ove le novità si concentrano su geni strutturali. Salti di strutturazione di un sistema possono avvenire per cumulo continuato di piccole modifiche, come per cambiamenti puntiformi di nodi delle reti particolarmente determinanti.

Cambiamento del contesto generale che è il mondo fisico, di cui poi abbiamo scoperto lentamente la storia fatta di chimica emergente in biologia, ecologia e dipanatasi in un clima altalenante tra lunghi periodi glaciali e più brevi stagioni miti, tra cui il nostro, l’Olocene, “solo” 13.000 anni in un tempo di 4,5 miliardi di anni. In questo tapis roulant sempre in movimento che è il contesto, si ambienta la vita delle specie, da circa 3 milioni di anni anche il nostro genere e da 300.000 anni circa quella della nostra specie Sapiens. Il vivere invece in grandi forme di vita associata con estranei, la civiltà, conta poco più di 5/6000 anni. Il gioco dell’esistenza è appunto esistere per un tratto di tempo nel più generale flusso cangiante del contesto che è il mondo. Noi come individui, come gruppi informali, come gruppi formali istituzionalizzati, come umanità, assieme a tutte le altre specie animali e vegetali, adattandoci gli uni con gli altri, come individui e come sistemi, e adattandoci tutti al più generale contesto di un mondo in cambiamento fisico-chimico-termodinamico perenne con moto costante o a volte a salto.

Tempo, cambiamento, adattamento. Questi, tra gli altri, i tre concetti che ci ha portato in dote il sistema di pensiero di Darwin. Ma come per la “relatività” di Einstein, non sempre i concetti di un sistema di pensiero o l’intero sistema, in questo caso un sistema interno al pensiero naturalistico, percolano velocemente ed in maniera precisa all’interno delle nostre immagini di mondo generali. A volte non percolano affatto, a volte lo fanno in tempi piuttosto lunghi, asincroni, contrastati, a volte se ne estraggono concetti che partono con certi significati e nell’interpretazione delle nostre immagini di mondo dominanti e più ampiamente condivise, prendono significati diversi. Si adattano anche loro essendo il linguaggio e la sua sottostante trama di significati anch’esso un sistema nel tempo, in cambiamento adattivo.

Possiamo ora passare alla verifica del “nostro modo di stare al mondo”, rispetto ad un mondo descritto per tempo, cambiamento e problema adattivo che pone.

Come per il tempo, anche il concetto di mondo andrebbe analizzato criticamente. A parte segnalare la molto complessa composizione di sfere di sistema tra il nostro ambito più prossimo (amici-famiglia) e quelle sociali ed istituzionali, varrà la pena sottolineare un tipico errore di percezione da mentalità occidentale ovvero identificare il mondo col nostro mondo. Per andar a vie brevi, segnalo solo che tutta l’Unione europea conta meno del 6% della popolazione mondiale, l’intero Occidente (Europa più Anglosfera) arriva intorno al 13% del mondo umano nella sua interezza. Tra l’altro il “nostro” mondo ha sempre crescenti tassi di anzianità e sempre minori tassi di natalità; quindi, va a contrarsi come peso percentuale nelle previsioni per i prossimi trenta anni. Dovendo revisionare la nostra percezione di consistenza, dovremmo anche moderare la nostra sfrenata passione per le dichiarazioni di universalità. Queste, semmai possibili, richiederebbero quantomeno una minima conoscenza etno-antropo-geostorica e quindi culturale delle varietà umane sul pianeta. Tendiamo spesso a dire cose anche con una certa presunzione di verità ultima, pur non avendo mai aperto -ad esempio- il Corano (1,8 mld di credenti) o ignorando i principi della cultura sinica (anche oltre i cinesi propriamente detti somma anche altri popoli-culture, ad occhio 1,6-1,7 mld di individui) o indiana o africana. Tendiamo un po’ troppo spesso a far coincidere il nostro limitato mondo col mondo esteso e questa errata percezione del contesto non può che generare immagini di mondo idealistiche, autocentrate e prive di realistico portato adattativo.

Ma veniamo al contesto ultimo a cui dobbiamo adattarci, il mondo nel suo complesso, in quanto tempo e come è cambiato. Il mondo umano, nei soli ultimi settanta anni, si è triplicato. Eravamo circa 2,5 miliardi negli anni ’50, oggi siamo secondo gli statistici delle Nazioni Unite, 8 miliardi a novembre ‘22. Si stima tra 9,3 e 10,0 miliardi al 2050, ma sulla precisione delle stime c’è inesauribile dibattito (Dorling D., 2021). L’intero registro della storia umana non nota alcuna triplicazione in soli settanta anni e comunque mai partendo dalla già rilevante cifra di 2,5 miliardi. Ciò non porti a credere si voglia qui iniziare un lamento malthusiano sul “siamo troppi”, il problema è lo stile di vita. Ad esempio, il pianeta basterebbe ed avanzerebbe in termini di spazio e risorse se vivessimo tutti all’indiana, ce ne vorrebbero cinque se vivessimo tutti all’americana (Butera F.M., 2021). Poiché sembra difficile poter convincere noi stessi e gli americani a vivere all’indiana, ma anche convincere gli indiani ed in genere gli asiatici (l’Asia è il 60% della popolazione umana) e poi gli africani a non aspirare all’agio di vita occidentale per quanto reinterpretata a modo loro, si comincerà anche a capire quale lungo elenco di problemi adattivi in termini di reciproca convivenza e generale compatibilità con lo stesso limitato pianeta abbiamo, in questa fase storica.

Non sono solo aumentati gli individui in questa che possiamo definire “grande inflazione” recente, dove inflazione qui ha il significato che ha in cosmologia, sono aumentate ovviamente anche tutte le forme istituzionali. Gli stati si sono altresì triplicati. Da circa 70 ad anni ’50, oggi ne contiamo poco più di 200 all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Del resto, sono cinquemila anni che in varie forme (regno, impero, città-Stato, Comune, principato, khanato, califfato e via così) si stabiliscono domini giuridici, politici ed amministrativi con bordi più o meno precisati e sovranità interna. Sistemi cioè, noi viviamo in forme associate creando sistemi di diritto oltreché di fatto (Buckley W., 1998). E lo facciamo per l’ottima ragione che, com’è noto, “l’intero è qualcosa più delle parti” (Aristotele, 2000, pag. 387). Infatti, noi ci adattiamo ai sistemi di vita associata ed usiamo questi come veicoli adattivi. Questi sistemi sono i nostri riduttori di complessità che danno ordine e prevedibilità, nonché la “forza” delle unioni. Questa grande esplosione varietale di accompagno alla grande inflazione umana, oltre agli Stati, ha contato molte altre forme, da quelle delle organizzazioni multilaterali, le multinazionali, le ONG, le organizzazioni criminali e molte altre tipologie. Per lasciare sempre una quantificazione del nostro specifico mondo, l’Europa conta poco meno di un quarto del totale degli stati del mondo (23%), come detto con ben meno del 10% della popolazione. Se ne deduce un certo nanismo stato-nazionale, figlio della nostra complessa geostoria. Ma la nostra geostoria che era ad ambiente interno locale (il nostro sub-continente) per lungo tempo, ha poi approfittato del resto del mondo con colonie ed imperi, mentre oggi deve trovare forme di convivenza mondiale con soggetti molto più massivi in un sistema-mondo di vastità planetaria. Sono dunque amentate di molto le varietà componenti il “sistema umano planetario” e di conseguenza sono molto aumentate le interrelazioni grazie a nuovi mezzi e modi di usarli. Nei trasporti, nelle telecomunicazioni, negli scambi di persone, di idee, di prodotti e servizi, di reciproci investimenti (Vegetti M., 2017).

Infine, e per limitare al canonico “tre” (Johnson N., 2009) l’elenco dell’inventario della radiografia della “grande inflazione” in breve tempo occorsa a livello umano-planetario, va segnalato che ormai, in tutto il pianeta, più o meno ogni comunità umana e sempre in descrizione a grana grossa, organizza la propria attività economica con le forme moderne. La forma moderna di economica (tecnica-scienza, mercato, capitale) è detta anche capitalismo ma di capitalismo esiste un numero di definizioni poco minore di “complessità”, qualche decina abbondante (Ingham G., 2010). Su “modo economico moderno” si deve considerare la dipendenza delle condizioni iniziali e dal percorso. Le condizioni iniziali erano quelle di una isola (l’Inghilterra del XVII secolo, la Gran Bretagna del XVIII, il Regno Unito del XIX) inizialmente con scarsi cinque milioni di abitanti, piena di energia fossile (carbone), quindi potente energia a basso costo, del cui utilizzo ignoravamo limiti ed impatti eco-ambientali, con una certa propensione all’andare a rapinare genti e risorse altrui in giro per il mondo, con navi, armi a scoppio ed armi ideologiche non meno potenti. Lo si segnala non per ragioni etico-morali, ma funzionali, ciò era funzione della viabilità del sistema di economia moderna. Va da sé che anche in forme mutate, il sistema di economia moderna potenziato dai nostri avanzamenti tecno-scientifici che però risponde per lo più alla logica interna del sistema (quindi il profitto ad ogni costo), esteso a grandi parti di un mondo ad 8-10 mld di persone, con grandi parti di esso che per altro hanno appena cominciato a fare quello che noi abbiamo fatto per duecento anni e che aspirano, legittimamente, a livelli di benessere simili ai nostri, crea un irrisolvibile problema adattivo. Tra tutti noi e tra noi ed il pianeta.

È in ragione di questa appena accennata descrizione dei tempi recenti e logica dei sistemi che compongono il mondo umano, che vediamo in emersione una fenomenologia appena un gradino prima del fatidico caos. Che sia problema virologico, ecologico, climatico, demografico-migratorio, culturale (es: “scontro di civiltà”), economico, finanziario, valutario, politico interno e politico esterno ovvero il grande problema delle relazioni internazionali o geopolitico. Con relativo seguito di cascate di nuovi problemi concettuali, dal mai da noi considerato concetto di “limite”, alle interdipendenze, alle democrazie in assenza di consapevolezza diffusa e relativa partecipazione politica, alla salute mentale media, alla dogmatica sulla “crescita” del valore economico, allo stress per i treni di perturbazioni (dalla crisi dei mutui subprime al Covid, dalla guerra attuale alla nuova fase di de-globalizzazione o annunciata grande guerra tra “democrazie ed autocrazie” promossa dall’attuale amministrazione americana). Il tutto, quanto a società occidentali, con società allungate da livelli inediti di vari tipi di diseguaglianze (Innerarity D., 2022). Siamo al compiersi di una parabola di modernità alla fine della quale sembra noi non sia più in grado di immaginare il “dopo che si fa?”, prorogando ormai da qualche decennio, il precario utilizzo del prefisso “post-…”. Un lungo funerale del moderno che non riesce a voltare pagina.

Potremmo dire, in sintesi, che il mondo oggi è di una complessità cresciuta enormemente in poco tempo, le nostre forme sociali ed istituzionali provengono da un passato molto meno complesso e così le nostre immagini di mondo. Tempo ristretto, cambiamento vasto e profondo, adattamento problematico. La diagnosi è quindi semplice: severo rischio di disadattamento all’Era complessa. Prima di preoccuparci dell’universo mondo dispensando consigli agli altri sette miliardi di condomini planetari dovremmo forse cominciare dal mettere ordine al nostro sistema, concreto e mentale, poiché il rischio disadattivo è prevalentemente nostro visto che gli ultimi quattro secoli ci hanno visto in posizione dominante. La stessa nostra credibilità a discutere con gli altri condomini planetari è fortemente intrisa di sfiducia nei confronti della nostra onestà intellettuale e delle stesse nostre intenzioni (Mahbubani K., 2019). Nelle comunità la reputazione conta.

L’invito che mi è stato fatto a partecipare alle riflessioni di questo numero della rivista, chiedeva altresì di mostrare come quanto detto criticamente a proposito del mondo, si riflette nel mio lavoro di studio, che è ciò che ho fatto sull’oggetto “mondo” in questi anni. Per farlo dovremo prima inquadrare più precisamente quella che qui chiamo “cultura complessa”, poi vedere come applicarla agli studi sul mondo.

Dal mio punto di vista la cultura sistemico-complessa è una onto-gnoseologia. È una ontologia in quanto si tratta di inquadrare a priori ogni oggetto del discorso (ed ogni discorrente e ricevente del discorso o co-dialogante) come un sistema, parti in interrelazione che creano un qualcosa che ha coerenza interna maggiore di quanto si abbia con l’esterno. Esterno che è fatto da altri sistemi con cui si hanno interrelazioni e che più in generale si può anche dire contesto o ambiente. Non solo le interrelazioni e relative interdipendenze tra sistemi sono importanti e modificanti, ma anche quella più generale col contesto. Da qui l’importanza del concetto di adattamento o viabilità direbbe Ernst von Glasersfeld (1995).  Ogni sistema ha una storia, un tempo. Varietà (parti, meglio se varie nella loro comparazione relativa), interrelazioni (ad una, due, molte vie, rientranti o meno, portanti segnali lineari o non lineari, feedback, ricorsività etc.), sistemi maggiori che nascono dall’interrelazione tra sistemi minori, tempo (breve-medio-lungo), queste le coordinate di una ontologia sistemica.

Tale apriori, applicato al mondo concreto, non mostra eccezioni di corrispondenza ovvero tutto può esser descritto come un sistema. Non abbiamo idee chiare sul livello primo, semmai esista (il livello micro, precedente i quark), o del livello ultimo (uno o più universi e varie problematiche della sua/loro definizione spazio-temporale), ma tutto ciò che sta in mezzo, risponde a questa descrizione sistemica. Che siano quark che fanno adroni o adroni ed elettroni che fanno atomi o atomi che fanno molecole o molecole che fanno qualsiasi altra cosa, minerale, gassosa, liquida, vegetale, animale, umano-sociale, dalla goccia d’acqua agli ammassi di galassie, tutto risponde ad una descrizione sistemica. Vale per il mondo materiale, ma vale anche per quello ideale dai caratteri agli alfabeti, le lingue, le idee, i concetti, i paradigmi, le teorie, le ideologie, le credenze, i discorsi, le immagini di mondo, le culture che nel tempo diventano tradizioni. Nonché i nostri vari tipi di istituzioni sociali. Lo stesso nostro cervello/mente, l’organo adattivo per eccellenza, è fatto di varietà e sistemi neuronali collegati a breve (dendriti) ed a lungo (assoni), con molte strutture a rientro (feedback) su cui viaggiano segnali elettrochimici, nel contesto corporeo e sociale, cambiando nel tempo.

Come credo molti ben sanno tra coloro che condividono questa impostazione, fertile e distintiva è questa forma di inquadramento degli enti. Evita l’eccessiva semplificazione (riduzionismo) che non è dote di natura del mondo sebbene sia spesso richiesta specifica della nostra povera mente che cerca di catturarla, mostra la pluralità di strati emergenti costitutiva tutti i sistemi-enti, immunizza dell’eccesso di aspettativa di precisione definitoria (determinismo), dinamizza l’essere, convoca la relazioni come ingrediente primo dell’essere stesso, le interdipendenze, porta a leggere il testo col contesto,  il diretto e l’indiretto, la grana fine e la grana grossa, i limiti che le cose hanno (tutte), al contempo le aperture sempre presenti in ogni presunta chiusura, il relativo al posto del sempre vagheggiato assoluto, il tempo, quindi il cambiamento nelle sue varie metriche, l’imperativo adattivo e molto altro.

Se questa è la breve definizione dell’ontologia, studio delle forme dell’ente in generale, la gnoseologia attingerà più direttamente al grande sviluppo del pensiero complesso. Il termine “gnoseologia” non è molto usato, si usa in genere epistemologia. Lunga e complicata la storia del perché il secondo termine che è restrittivo rispetto al primo, è l’unico ad esser usato. Non la possiamo qui sviluppare, diremo solo che dipende molto dalla logica delle immagini di mondo tipicamente anglosassoni che sono dominanti in Occidente. Le forme di conoscenza umane (gnosi) sono ben più ampie delle sole forme di conoscenza scientifica (episteme), quindi se epistemologia alla fine è una filosofia della scienza, gnoseologia è la riflessione sulle forme di conoscenza non solo scientifica ma anche umano-sociale ed umanistiche.

In gnoseologia complessa, si usano ovviamente logiche di deduzione ed induzione, ma anche spesso di abduzione (Bonfantini M., 1987). Le forme duali di categorizzazione saranno plurali e non solo dialettiche nel senso neoplatonico-hegeliano. Il sistema categoriale andrebbe analizzato a parte rivedendo le sistematizzazioni date da Aristotele e Kant, ma particolar rilievo avrà il concetto di “relazione” che modifica dinamizzandolo il concetto di ente al suo interno e nel suo rapporto con l’esterno. Ampio lo sciame dei concetti trovati nell’indagine sistemico-complessa degli ultimi settanta anni. A puro titolo di esempio citiamo: emergenza, auto-organizzazione, non linearità, strutture ricorsive, dipendenza dalle condizioni iniziali e dal percorso, approssimazione statistica, vari principi di indeterminazione etc.

Un aspetto specifico è decisivo soprattutto quando inquadriamo oggetti molto grandi e complessi come “uomo” o “mondo”. Si tratta del necessario sviluppo di una seconda forma di conoscenza accanto a quella verticale delle discipline e delle sotto-specializzazioni delle varie discipline tipica del moderno, una forma orizzontale che unisce più discipline tra loro (interdisciplinare), le attraversa (transdisciplinare), ne usa più d’una al contempo per indagare l’oggetto (multidisciplinare). Le due forme, specialismo-verticale e generalismo-orizzontale, sono legate da un principio di indeterminazione per cui la prima va più vicino agli oggetti ma ha difficoltà ad inquadrarli nell’insieme e nei rapporti col contesto, la seconda pagherà in precisione avvantaggiandosi però dell’ampiezza di inquadratura. Anche se questa seconda, in fondo, usa al contempo tutti i guadagni specifici delle varie specifiche discipline e non è solo uno sfocato “olismo”. Proveniamo da almeno quattro secoli di sviluppo della conoscenza mono-disciplinare e la forma multi-inter-transdisciplinare è ancora tutta da sviluppare, provare e correggere, formalizzare creando tradizioni di metodo, corpo teorico stratificato, nuovi concetti e sintesi di sintesi. Lascia francamente sbigottiti il nostro attuale metodo di studio del mondo. Economisti che scorporano l’economico dall’ambiente si alternano ad ecologhi esperti di ambiente ma non di economico, che sopravvengono ad analisti politici che sanno tutto del dentro gli Stati ma niente di politica internazionale così come i secondi nulla sanno degli oggetti e fenomeni che studiano gli altri. Analisi di entità non ambientate in geografia, non pesate con demografia, con nessuna conoscenza geostorica o geoeconomica, ignara almeno dei contorni delle principali culture e mentalità del mondo, incluso almeno un minimo di storia del pensiero religioso che tanta importanza ha ancora nella composizione delle immagini di mondo non europee. Così c’è sembrato che il mondo fosse un unico grande mercato globale imponendoci le totali aperture dei mercati delle merci, dei servizi e del lavoro quando dominava il sacerdote economico. Poi abbiamo scoperto che ciò sta rendendo parimenti ricca una parte del mondo diversa dalla nostra, una parte che minaccia di chiederci di partecipare a pari grado almeno nelle definizioni e gestioni dei regolamenti del mondo. Cosa che non ci conviene. Allora ecco che con un ribaltamento sconcertante la globalizzazione stile WTO è archiviata e con essa i sacerdoti economici, è il momento dei dai sacerdoti geopolitici che ci istruiscono sulle insidie minacciose dell’eterno conflitto di potenza. Da Smith siamo retrocessi ad Hobbes. Con breve intermezzo degli inquietanti sacerdoti virologici. Avevamo di recente appena cominciato a prestare orecchio ai lamenti dei sacerdoti ecologico-climatici (dopo averli ignorati per decenni), ma ecco che quelli economici ci avvertono che ora è il momento di tornare a scavare ed usare carbone perché il nostro fornitore di gas in Europa è diventato un “nemico”. Adattarsi all’era complessa con questa confusione nell’area della conoscenza, per non parlare della sua distribuzione e condivisione, non sembra proprio alla nostra portata.

L’adattamento al mondo cambiato e che cambia non può che richiedere un adeguamento delle immagini di mondo e queste rispondono primariamente all’inquadramento degli enti (ontologia) e le modalità con cui tentiamo di conoscerli (gnoseologia).

Per chiudere questo breve auto-esame della cultura sistemico-complessa sarà utile dire qualcosa sulla sua breve e recente storia. Non è forse un caso che tale forma mentale si è andata sviluppando praticamente in corrispondenza con la “grande inflazione” umana, sociale e politica, degli ultimi settanta anni (McNeill J.R., 2018). Cambia il mondo, cambia il nostro modo di osservarlo prima che di viverlo. I due fondamenti teorici che più di altri si riconoscono tali provengono da un biologo teoretico, Ludwig von Bertalanffy quanto a Teoria Generale dei Sistemi (2004) e da un fisico matematico, Norbert Wiener, quanto alla Cibernetica (2001). Il metodo pluridisciplinare, già teorizzato come necessario da Bertalanffy, si manifesta nelle famose Conference Macy dove il primo set di concetti contamina antropologia, psicologia, economia, sociologia oltreché biologia e fisica. La cibernetica sarà poi la base dello sviluppo di ricerca in scienze cognitive fino ai progetti di Artificial Intelligence, a vari tipi di modellizzazioni (automi informatici). La matematica della complessità diventa geometria (frattali), teoria del caos, fisica computazionale, network e reti. Ingegneria, urbanistica, teorie dell’organizzazione e quindi management ne sono fortemente attratte. Abbiamo prime ricezioni in psicologia (Piaget) a cui seguono quelle in sociologia (Luhmann), che comunque nasce sistemica già di suo. Anche la linguistica nasce come sistemica anche se, per via di altre vicende, verrà poi identificata con il concetto di struttura. Gli studi storici si arricchiscono del contributo epistemico della scuola francese delle Annales, in pratica fondazione della geo-storia (Braudel F., 1988) coi suoi fenomeni di “lunga durata”. Stranamente impermeabili risultano l’economia ed in parte la stessa filosofia. Esistono oggi studi e sviluppi di economia delle complessità (Hidalgo C., 2016) ma si è dovuto attendere la lunga sequenza di fallimenti teorico-pratici recenti (bolle, crisi mutui subprime, crisi della crescita, disordini da globalizzazione), prima che la ricerca cercasse di capire cosa evidentemente non aveva capito del suo oggetto di studio. A partire dalla surreale definizione di “uomo economico” (Hirschman A.O., 2011) che è però base di tutto lo sviluppo successivo delle teorie principali dal campo. L’economia è oggi la disciplina dal più forte connotato ideologico essendo le sue pratiche ciò che ordina i nostri sistemi di vita associata, da qui la resistenza teorica all’auto-revisione con fissazione dogmatica come sempre avviene quando un sistema è recalcitrante al cambiamento. Quanto alla filosofia il discorso è ovviamente molto complesso in sé. Diremo solo che il grande lavoro di Edgar Morin (1977-2004), non ha al momento più di tanto figliato in senso sistemico-complesso generale. Ma qui dovrebbe intervenire una più specifica analisi della crisi storica che investe il “pensiero che pensa sé stesso” (Aristotele, 2000), forse già dalla seconda metà del XIX secolo. La teoria del paradigma di T. Khun (1969-99), nel campo delle immagini di mondo generali, porta a pensare molto idonea l’idea di poter dare questo ruolo al concetto sistemico/complesso. Sociologia della conoscenza e politica (a vari livelli) sono però sistemi di attrito che condizionano lo sviluppo di nuove forme di immagini di mondo.

Come si vede, la stessa cultura della complessità è un fenomeno emergente, come se la complessità intrinseca del mondo, dei suoi oggetti, dei suoi fenomeni, del nostro sguardo individuale e collettivo, fosse un modo di esser dell’ontologia generale che però le nostre forme storiche di pensiero hanno per lungo tempo evitato di riconoscere, semplificandole. Almeno fino a che la “complessità” del mondo non ha cominciato ad esplodere nella recente “grande inflazione”.

Su questo ultimo punto, mi permetto una breve osservazione sulla differenza tra complicato e complesso. Personalmente, credo che ripetere questa differenziazione per cercar di comunicare all’esterno il campo del pensiero sistemico-complesso, renda la questione più complicata del necessario, in senso occamiano. Dal mio punto di vista, semplicemente “tutto” è complesso visto che l’ontologia, che è filosofia prima, è sistemica in senso universale. Al suo interno si potranno avere differenti gradi quali quelli che per comodità chiamiamo “semplici” e quelli più prevedibili ed ordinati che chiamiamo “complicati”. Ma poiché l’impianto complesso, essendo una onto-gnoseologia, afferisce alle forme fondamentali del pensiero umano che poi si estrinseca in immagine di mondo che applichiamo all’immensa varietà di oggetti e fenomeni del mondo, dell’essere umano, della relazione tra uomo (individuale ed associato, mentale e materiale) e mondo (fisico, biologico, sociale, politico), converrebbe darlo come paradigma generale (in senso kuhniano) e trattare le altre come regioni specifiche piuttosto che chiedere ai pensanti di domandarsi se e quando applicare l’impianto complesso, quando quello complicato o quando quello semplificato quasi avessimo un intero armadio di abiti mentali da scegliere secondo occasione ed umore. La mente umana non funziona così, l’immagine di mondo ha un paradigma centrale che per lungo tempo ha orientato alla “semplificazione” mentre oggi, in termini adattivi, è richiesto l’orientamento alla complessità. Il complesso è nativo dell’ambito della vita, quindi dalla biologia in su. Ma lo è altrettanto della chimica (Kauffman S., 2005), disciplina che ha avuto purtroppo pochi epistemologi (Bencivenga-Giuliani, 2014) che ne vantassero la mitologia specifica che invece è ricchissima ed assai istruttiva di cos’è la complessità del reale a livelli molto basici ed universali.  Per non parlare di quanta complessità emerge obiettivamente dalla fisica (Gell-Mann M., 1996). È il paradigma dell’immagine di mondo settata sui principi del XIX secolo basati sulla Rivoluzione industriale (le “macchine”), a sua volta figlia della meccanica newtoniana e coordinato con i principi dell’economia moderna, che va relativizzato. Meglio allora fare la rivoluzione paradigmatica fino in fondo e stabilire che il sistema mentale legge complessità ovunque ed egli stesso ne dovrebbe assumere forme e principi stante che il singolo oggetto più complesso che conosciamo è proprio il cervello/mente umano (Tononi G., 2014).

Nel mio specifico campo di studio che è una forma di geopolitica complessa che diventa nei fatti una nuova disciplina, la mondologia, applico quindi di default l’ontologia sistemica che siano Stati o sistemi regionali o sistemi economici e valutari, culturali o quant’altro. Ne leggo l’ambientazione geografica. Ne debbo però anche leggere la sostanza in geografia umana che spesso è demografia: quanto grandi o piccoli, con quante e quali fasce di età, con quale momento dinamico (anzianità, natalità) etc. Per evitare la trappola determinista-riduzionista è bene poi ricordarsi che gli umani interpretano le condizioni date in geografia in molti modi da cui la geostoria specifica dei vari popoli o aree continentali o subcontinentali. Così per la geoeconomia che oltre ai grandi concetti sfocati come “globalizzazione” impone la conoscenza di minima del suo numero-peso-misura generale. Questo quanto a “geo” (Cerreti-Marconi-Sellari, 2019). Quanto a “polis”, va da sé la necessaria conoscenza delle metriche di politica estera ed internazionale, ma non meno quella delle varie politiche interne che condizionano le scelte di politica estera dei decisori. Se non proprio l’impossibile conoscenza di tutto ciò, almeno il possesso di buone mappe sul dove andar a reperire le informazioni necessarie all’analisi specifica. Il conflitto tra attori nel mondo può spesso prender forme belliche; quindi, nozioni di militare e strategia (polemologia) sono necessari. Ovvia la necessità di conoscere più nello specifico le forme economiche, finanziarie, valutarie dell’unità metodologica base che per il campo è lo Stato, per “n” Stati e loro interrelazioni. Così per le necessarie nozioni aggiornate in campo tecnologico, a sua volta oggi in grande accelerazione che impatta militare ed economia, ma spesso anche sociologia e politica. Poiché però la sostanza dell’unità metodologica statale sono gli umani, occorre conoscere anche le principali forme delle varie culture. La nostra ignoranza dell’Asia (60% del mondo umano) o dell’Africa (sarà il 25% nel 2050) è vasta e profonda. Infine, poiché lo scenario è il mondo, non si può prescindere da considerazioni ambientali, ecologiche, climatiche stante che queste scienze sono giovani, i loro consolidati sono ancora incerti e precari, la loro sensibilità agli interessi dominanti e sfidanti massima, la loro complessità intrinseca altrettanto alta. Impossibile iniziare un dibattito in questi campi se non si accetta per convenzione una comune logica abduttiva. Tutto questo lo abbiamo dato ad elenco, ma va messo a sistema facendo interferire i vari saperi tra loro, conoscendo anche gli statuti epistemologici delle varie discipline che ci forniscono idee e modi di organizzarle oltreché i famosi “dati”, con loro impostazioni sempre criticabili e rivedibili. Se l’avalutatività weberiana è un miraggio, occorrerà però star ben attenti a non abusare di tagli ideologici a priori (politici, filosofici o anche solo epistemici di questa o quella disciplina) che distorcono la nostra percezione del mondo nel suo complesso.

Se questo è l’oggetto mondo ovvero “spazio” va ricordato anche il suo “tempo”. Sempre settanta anni fa circa, nasceva una nuova disciplina che è la futurologia (Gidley J.M., 2017). Questa è una disciplina vera e propria, con sue cattedre universitarie, metodo, letteratura, dibattito epistemico. Cercar di prevedere i corsi principali di sviluppo del cambiamento complesso del mondo è sempre più necessario, se non altro come ipotesi abduttive. Più o meno quello che oggi sappiamo sul cambiamento climatico, lo sapevamo anche negli anni Ottanta. Avessimo allora preso sul serio queste conoscenze, avremmo avuto quaranta anni per spalmare gli interventi di adeguamento. Ora ci rimangono per lo più quelli di mitigazione degli effetti irreversibili. Il mondo è diventato un sistema denso occorre prevederne gli andamenti per rilasciare nel tempo azioni di cambiamento adattativo. In un mondo così complesso, quando si manifestano i problemi è sempre troppo tardi per risolverli. 

Il fine di tutto ciò, di questa richiesta nuova “mondologia”, è l’adattamento all’era complessa. Il concetto di adattamento in biologia prevede una lotteria di copiatura con errore e ricombinazione genica da cui scaturirebbe la novità che può poi diventare elemento adattativo che si espande nelle popolazioni tramite riproduzione. A livello di specie umana, già da tempo si studia l’adattamento in termini di novità culturale che porta poi gli umani a trasferirla ai loro sistemi di vita associata (Cavalli Sforza L.L., 2004). Per altro anche in biologia, si sta tentando di uscire dai dogmi individualistici, deterministici e riduzionisti, (Jablonka E., Lamb M.J., 2007), inserendo la complessità epigenetica ed il ruolo delle popolazioni, dei livelli emergenti che dal genoma porta all’individuo o al gruppo, plasticità e selezione multilivello, biologia dello sviluppo etc. Conseguente è stata la comparsa, ad esempio, del concetto di “costruzione di nicchia” ovvero non solo l’accettazione passiva, l’adeguamento per autotrasformazione al dettato del contesto cui adattarsi. In logica adattiva, molte specie cambiano il proprio ambiente, la nostra più di tutte le altre, modificando i nostri modi di pensare ed agire, ma anche i sistemi istituzionali in cui viviamo e l’ambiente stesso cui dovremmo adattarci. Queste auspicate trasformazioni intenzionali richiedono oggi, senza eccezioni, di saper dove metter le mani. Siamo passati dal credere che l’ordine del mondo avesse garanzie divine, per poi affidarci alla “mano invisibile” del mercato, sarà il caso di diventare un po’ meno infantili, consapevoli e responsabili.

La grande inflazione degli ultimi settanta anni, oltretutto generatrice di metriche accelerate a cascate sempre più intrecciate di fenomeni inusuali, ci dice che il contesto è e sta cambiando profondamente. Dovremmo cambiare anche il nostro modo di stare al mondo. Ma prima dobbiamo forse cambiare il modo con cui pensiamo di conoscere il mondo ed il modo con cui pensiamo di progettare non solo i meccanismi ma anche i sistemi sociali ed istituzionali, le interrelazioni economiche, sociali e politiche che fanno il nostro modo di stare al mondo. Progettare qui significa curare le “condizioni di possibilità”. In metafora, un po’ meno ingegneria, un po’ più agricoltura. Portare la cultura sistemico-complessa a candidarsi come paradigma subentrante il razionalismo modernista che nacque in altro tempo e condizione del mondo, è forse la via politica più utile e saggia per evitare la lunga sequenza di catastrofi cui saremo destinati (Servigne et alt., 2020) se non saremo in grado di rimanere al di qua del caos che si prospetta con il serio rischio di fallimento adattivo.