Riflessioni Sistemiche n° 28


Rifondare le pratiche umane navigando nella complessità

Il complesso, il cangiante, l'indeterminato
Ted Nelson e la macchina per conoscere sé stessi


di Francesco Varanini

Consulente, formatore, scrittore

Foto di Pexels da Pixabay

Sommario
Il nostro ‘stare al mondo’ è oggi intossicato dalla Weltbild (visione del mondo) che conosciamo sotto il nome di 'computazione', ma anche di 'cultura digitale'. E' quindi interessante ripercorrere la vicenda di Ted Nelson, che negli anni Sessanta concepisce il computer come uno strumento tramite il quale muoversi nella complessità, uno strumento di liberazione, una 'dream machine'.

Parole chiave
Computazione, ipertesto, ADD, salute, complessità.

Summary
Our 'being in the world' today is intoxicated by the Weltbild (worldview) that we know under the name of 'computation,' but also 'digital culture.' It is therefore interesting to retrace the story of Ted Nelson, who in the 1960s conceived of the computer as a tool by which to move through complexity, an instrument of liberation, a 'dream machine.'

Keywords
Computation, hypertext, ADD, health, complexity

 


Ted ricorda: "Facevo scorrere la mano nell'acqua mentre mio nonno remava. Mia nonna era a prua, con i tacchi alti come sempre. Avevo quattro o cinque anni, era al massimo la primavera del 1943; eravamo ancora a Chicago. Sotto di noi passavano forme sfocate. Studiavo la morbidezza cristallina dell'acqua. L'acqua si apriva intorno alle mie dita, passava delicatamente intorno ad esse e poi si richiudeva dietro. Consideravo i diversi punti dell'acqua e le connessioni tra di essi, i punti che in un momento erano uno accanto all'altro, poi si separavano al passaggio delle mie dita. Si ricongiungevano, ma non più nello stesso modo". (Nelson T.H., 1993, pag. 35)

 

Non conosco nessuna descrizione migliore di ciò che astrattamente definiamo 'sistema complesso', o 'adattivo'. Per la sua precisione, per la limpida chiarezza, ma anche perché ci appare intrinsecamente legata alla presenza umana, alla partecipazione umana.

 

"Com'è possibile, mi chiedevo, che in ogni istante la disposizione, nell'acqua e nel mondo, possa essere uguale e differente? Quali mai potevano essere le parole migliori per spiegare come i sistemi di relazioni fossero uguali e differenti? E quante relazioni c'erano? Allora non avrei saputo dire 'relazioni' o 'sistemi', e tantomeno di 'comunanze di livello superiore', ma queste erano esattamente le mie preoccupazioni. Gli interrogativi che mi ponevo e le mie confusioni erano sempre precisi e le distinzioni sottili mi interessavano ancora di più. Ancora oggi è così". (Nelson T.H., 1993, pag. 35)

 

La complessità, ci rammenta Ted, è in fondo sinonimo di vita. Ciò che la scienza può osservare, a livelli di scala differenti, non è che un sottoinsieme di una rete che tutto connette, alla quale noi stessi, esseri umani, apparteniamo.

 

Il settoriale sguardo di una singola disciplina scientifica sarà sempre povero, coglierà solo alcune connessioni. Il linguaggio, sia fatto di parole o di simboli logico-formali, con il quale lo specialista descrive - in modo inevitabilmente parziale - un sistema, non è che uno dei linguaggi possibili. Ed in ogni caso prima delle parole tecniche viene la pura esperienza, viene l'osservazione che coinvolge il corpo e la mente, la ragione e l'emozione del ricercatore.

 

"Questa è la storia della mia vita e dei miei pensieri, e delle connessioni, e riguarda le connessioni tra gli elementi della vita e del pensiero. Come faccio, vi chiederete, a ricordare quei pensieri fluttuanti e vorticosi di cinquant'anni fa? Perché da allora ho pensato a questi argomenti in mille modi diversi, ed anche adesso li ricollego a quel primo momento di studio cristallino e fluttuante, allo scricchiolio degli scalmi, allo scintillio del sole sull'acqua, a mia nonna che si schiarisce la gola, al rumore dei remi, alla serietà di mio nonno; tutti con me mentre scrivo nell'eterno Ora e Allora". (Nelson T.H., 1993, pag. 35)

 

Siamo invitati ad immergerci noi stessi nella narrazione, e ad integrarla: il volto serio e un po' assente del nonno, il tonfo ritmato dei remi, l'idea che si forma e che si prepara a tradursi in progetto. I progetti solidi, vitali, dotati di senso, nascono nella storia personale. Il progetti sono conoscenza e narrazione - due parole che condividono l'origine. I progetti sono visioni che appaiono nei sogni. 

 

"Ricordando questa storia ho cercato di esprimere la mia esperienza infantile di un'epifania di meraviglia, il fascino dell'immensità, della vastità, della complessità, dell'intricato movimento spaziale unificato e dell'inesprimibile." (Nelson T.H., 1993, pag. 35)

 

Sembra qualcosa di quasi inafferrabile. Difficile da raccontare, da descrivere, sfuggente. Eppure, la poesia, l’arte, proprio questo cercano. Anche la ricerca scientifica. Far emergere un progetto dall'immagine primigenia.

La vita di Ted sarà, da quel momento, il tentativo di dar corpo a quella visione.

 

 

Storia di una vita e di una vocazione

Quando Theodor Holm Nelson nasce, 17 giugno 1937, la madre, Celeste Holm, ha vent’anni; il padre, Ralph Nelson, 21. Sono entrambi attori in carriera; la madre vincerà l'Oscar, il padre sarà un famoso regista. La nascita del figlio è un inatteso incidente. Si sposano nel 1938 e divorziano meno di un anno dopo. Ted non ha mai vissuto con loro, è cresciuto con i nonni materni.

Il nonno, Theodor Holm, norvegese, è perito assicurativo per i Loyd’s di Londra. La nonna, Jean Parke, è un’eccentrica artista. Per il lavoro di lui, sono stati a lungo in Europa: Olanda, Francia. Lei, pittrice, firma alcune copertine di Vogue, tra il 1907 e il 1909: stile liberty, decorazioni floreali e giovani debuttanti biancovestite. (Vogue, 1907, 1909) Ma è anche poetessa, romanziera, autrice di testi di musica colta, orientata a riflessioni sugli aspects of God, sulla meditazione e sul misticismo, con punte esoteriche e orientaleggianti. (Parke J., 1915, 1919, 1925, 1925a, 1925b, 1927a, 1927b, 1931)

Ted frequenta le migliori scuole e cresce come artista. L'indole personale e il contesto familiare lo preparano a due possibile carriere: romanziere o regista cinematografico.

 

Le tracce dei suoi primi lavori fanno ritenere che avrebbe saputo eccellere in entrambi i campi.

Ma quella visione infantile lo spinge all'insoddisfazione: entrambe le vie sono da ritenersi insufficienti, non abbastanza capienti. Ha vent'anni nel 1957: siamo nel pieno della stagione in cui il computer appare la promessa più grande. Proprio negli anni in cui si inizia a parlare di Intelligenza Artificiale, Ted immagina il computer alla portata di ogni cittadino, inteso come strumento di liberazione. Ma anche questo è poco: vede il computer come Dream Machine. (Nelson T.H., 1974) Macchina per inverare la visione infantile; macchina per replicare all'infinito quell'epifania di meraviglia, per attingere al fascino dell'immensità, per navigare nella complessità.



Xanadu, a vision in a Dream

Il nome scelto per il proprio progetto dal poco più che ventenne Nelson è di per sé emblematico: Xanadu. Samuel Coleridge, poeta inglese, addormentatosi sotto gli effetti dell'oppio, sogna una poesia di cui, al risveglio, ricorda solo un frammento. Xanadu è la città immaginaria, il luogo del sogno, A vision in a Dream (Coleridge S.T., 1816). Caverne smisurate giù verso il mare, giardini luccicanti e sinuosi ruscelli, muri e torri, sulle rive del sacro fiume, imponente palazzo dei piaceri.

Altrove Coleridge definisce la letteratura “infinity made imaginable” (Coleridge S.T., 1835). La letteratura, le narrazioni umane come infinito reso immaginabile. Così Ted immagina che i libri sono nient'altro che oggetti, provvisori contenitori, e che ciò che in realtà conta non è il libro, ma il testo. Immagina che il libro sia una gabbia dal quale il testo può essere liberato.

Immagina che la sequenza nella quale sono disposti i capitoli, i paragrafi, le frasi, le parole del libro, non sono altro che una delle sequenze possibili. Immagina la letteratura come una rete di testi interconnessi, dove ogni frase di ogni testo, ogni parola di ogni testo può essere connessa con ogni frase, ogni parola di ogni altro libro.

Così Ted lascia gli studi letterari, lascia da parte anche il cinema, di cui aveva dato gran prova nel corto che è la sua tesi di laurea al College, per dedicarsi alla nascente Computer Science. Studia la computazione di Turing, erede della matematica assiomatica di Hilbert. Si interessa all'architettura fisica, hardware, della macchina, definita da von Neumann. Ma immaginando sempre la macchina come un plastico supporto, un substrato reingegnerizzato in funzione della propria visione.

E comunque è preso sul serio dagli adepti della nuova disciplina, accolto nella famiglia professionale. Ventisettenne, nel 1965, il paper che raccoglie i primi frutti dei suoi studi, e descrive gli ambiziosi obiettivi, è accolto nella più importante Conference del nuovo ambito disciplinare.

Il titolo è programmatico: A File Structure for the Complex, the Changing, and the Indeterminate. (Nelson T.H., 1965) Complessità, cambiamento continuo, indeterminazione sono, agli occhi di Nelson, le intrinseche caratteristiche della letteratura intesa come arte, di ogni letteratura specialistica, in senso lato della crescente collezione di conoscenze umane. Nelson non guarda solo a testi scritti: il suo progetto è già dall'inizio aperto ad ogni forma di multimedialità: "film, registrazioni sonore, registrazioni video".

E' difficile per noi oggi tornare a comprendere l'enorme novità che allora, verso la fine di agosto del 1965, Nelson proponeva nella Conference dell'Association for Computing Machinery, alla platea di professionisti della nuova disciplina nascente: possiamo chiamarla Computer Science, ma anche Informatica.

Se leggendo il testo qualcosa oggi tutto questo può apparirvi scontato, quasi ovvio, è perché oggi disponiamo degli strumenti che Nelson aveva per primo immaginato. Strumenti per creare testi, muoversi al loro interno, connetterli tra di loro, creare indici.

Basta qui per dare l'idea delle aperture implicite nel progetto una brevissima citazione:

 

“Voci [Entries]. L'utente [user] può creare nuove voci in qualsiasi momento, inserendovi tutto ciò che ritiene appropriato.

Liste [Lists]. L'utente può creare liste e assegnarvi voci. Può creare a piacere nuove copie delle liste. Può riorganizzare la sequenza di una lista, o copiare la lista e cambiare la sequenza di quella copia. Le liste possono essere combinate; le liste possono essere suddivise in sotto-liste.

Collegamenti [Links]. L'utente può creare collegamenti tra voci appartenenti a liste diverse.” (Nelson T.H., 1965)

 

Preferisco qui intendere la parola user, utente, alla luce di qualche altra: soggetto, individuo, persona, cittadino.

Oggi, infatti, non ci rendiamo più conto di come il computer ci permetta di muoverci nella complessità. A causa dei banali software creati da programmatori viziati dall'idea dell'ordine, della gerarchia, dal controllo, finiamo per subire indicazioni normalizzanti che ci arrivano tramite la macchina. Oppure ci fidiamo ciecamente dell'ordine, o della selezione costruita in base ad un qualche algoritmo: è quello che accade quando le stesse conoscenze che noi umani abbiamo creato ci vengono riproposte dalla Chat GPT, tanto di moda nel momento in cui scrivo questo articolo (Varanini F., 2023a, 2023b, 2023c). In questo caso le conoscenze sono alienate, espropriate. Sono offerte a noi umani in modo tale che il loro valore sembra frutto del lavoro svolto da una macchina. Così il cittadino è ridotto a utente.

Nelson proponeva una via opposta: rendere possibile ad ogni essere umano la connessione di conoscenze.

A sintetizzare il progetto, basta questa figura, che correda l’articolo di Nelson: 

Figura 1: Ipertesto - capacità di archiviazione totale di ELF (Evolutionary List File):
ipotesi di utilizzo da parte dello storico.
Le linee sottili indicano collegamenti; le linee spesse indicano alcune identiche voci.

L’intento non è, ci dice Nelson, “informatizzare [computerize] un compito”, è, all’opposto, “immaginare l’archivio dei sogni”: dei miei sogni; il modo di trattare i materiali che può desiderare un romanziere o uno studioso, o anche un qualsiasi cittadino, impegnati nel proprio lavoro creativo. La macchina qui, lungi dal dettare regole e linguaggi, accompagna i processi mentali, rendendo possibile ad ognuno di seguire il filo del proprio pensiero, e del suo trasferimento in sempre cangiante, fluido testo, gestendo gli appunti e i manoscritti nei modi più sottili e complessi che momento dopo momento appaiono spontanei, necessari.

La novità, la fluidità dell’apparire del senso è spesso imbalsamata dalle parole, dalle denominazioni con le quali finiamo per descrivere il processo. Serve tornare alla scena primaria, al momento dell’emergenza, al momento in cui non esisteva ancora la parola per dirlo. E tutto era solo sorprendente esperienza del bambino che immerge la mano nell’acqua.

Ted, non a caso, è anche un fertile coniatore di nuove parole. Ecco quella che resta forse la più nuova, efficace e sintetica, ipertesto:

 

“Permettetemi di introdurre la parola ‘ipertesto’ per indicare un insieme di materiali scritti o pittorici interconnessi in modo così complesso da non poter essere convenientemente presentati o rappresentati su carta.” (Nelson T.H., 1965)

 

Ma c’è di più. Oltre alla forma ipertestuale, oltre alla motivazione più profonda del passaggio da supporto cartaceo a supporto digitale, Nelson stava proponendo ciò che oggi conosciamo come World Wide Web. Come ebbe a riconoscere Tim Bernes-Lee, colui che conosciamo come creatore del Web, il Web, in effetti, non è che una versione ridotta, semplificata e rozza dell’idea di Ted Nelson.

E’ così che tutti ricordano Tim Bernes-Lee e quasi nessuno ricorda Ted Nelson. E’ così che si considera primo sviluppatore di ipertesti Andy van Dam. Più concreto di Ted, Andy ebbe la fortuna di lavorare con Ted alla Brown University.



Svegliarsi dalla narcosi

Guidato dalla sua visione, Nelson dedica la sua vita alla realizzazione del progetto Xanadu. Agli inizi degli Anni Ottanta torna a descriverlo così:

 

“Immaginate un’accessibilità e un entusiasmo nuovi, che possano schiodare la narcosi da video che oggi incombe come una cappa di nebbia. Immaginate una nuova cultura libertaria dove spiegazioni alternative permettono a chiunque di scegliere l’approccio e il tracciato a lui più confacente; dove le idee siano accessibili e interessanti per chiunque, così che l’esperienza umana possa godere di una nuova libertà e di una nuova ricchezza; immaginate una rinascita della letteratura.” (Nelson T.H., 1990)

Oggi siamo schiacciati da una narcosi ben peggiore. Il broadcasting televisivo - imposizione al cittadino ridotto ad utente di una sudditanza nei confronti del Programma - è ben poca cosa di fronte alla più schiacciante sudditanza di fronte alla Chat-oracolo che risponde ad ogni domanda. 

Eppure, proprio in questi giorni di nuova sudditanza è bello ricordare che in realtà, anche senza rendercene più conto, godiamo in ogni istante dei frutti del progetto di Nelson: l’enorme libertà di poter essere noi stessi, in virtù del nostri progetto e desiderio, a cercare e trovare; l’enorme libertà di creare e ricreare testi, muoverci all’interno di testi, connettere tra di loro testi.

Testi non solo fatti di parole, ma di immagini e di suoni.

Possiamo allora chiederci: perché rinunciamo a cercare, connettere e creare? Perché ci adattiamo di buon grado ai dettami delle notifiche, a ciò che ci impone una app? Perché prendiamo per buone le risposte della Chat?

Anche a questo proposito ci soccorre la storia personale di Ted Nelson. La sua orgogliosa fiducia in sé stesso, il suo intendere la macchina come un mezzo per essere sé stesso.



In cerca dell’integrità

Cosa sogna Ted? Cosa gli appare nelle sue visioni? Cosa cerca, cosa inventa? Sogna un diverso modo di ‘leggere’ - di accedere alla letteratura, di ‘stare dentro’ la letteratura - un modo che non passi attraverso la stampa. Sogna un modo di leggere che non costringa lui, dislessico, a passare attraverso forche caudine: storie chiuse in gabbie di rigidi segni, ostili

Ted non è il tecnologo che per professione disegna le esperienze altrui - è nota ed affermata la figura professionale dell'User Experience Design - è l'essere umano che cerca il proprio essere più pieno.

Ted progetta a partire dalla propria condizione, che qualcuno bolla come sindrome, malattia, per cercare la propria pienezza.

La salute è - stando all’originario senso del latino salvus - ‘interezza’, ‘integrità’. Il senso di salvus è stato poi ripreso da totus, ‘tutto’. Impossibile forse per l’uomo raggiungere il tutto, impossibile essere veramente interi, integri. L’integrità resta desiderio inappagato. La malattia è perdita dell’armonia che contraddistingue l’essere integro. L'essere-sistema che appartiene a più vasti sistemi: il sistema sociale, la rete della vita.

Ted Nelson ci parla senza remore della ‘malattia’ che segnò la sua infanzia, e che poi ha accompagnato tutta la sua vita di adulto. Il piccolo Ted è dislessico, incapace di leggere i segni alfabetici stampati sulla pagina con la rapidità e l’abilità che gli insegnanti conformisti considerano normali.

La sequenza lineare dei segni lungo la riga, riga dopo riga appaiono a Ted solo uno degli ordini possibili, solo una delle possibili forme attraverso le quali il sistema testuale può manifestarsi. Ted dirà poi chiaramente che le parole gli apparivano chiuse, incarcerate nella gabbia della pagina.

Nelson immagina così uno 'scrivere' che abbia la fluidità della mano che si immerge nell'acqua.

Ted diviene adulto e intraprende il suo progetto. Il suo sogno, Xanadu, la città del piacere e della bellezza, è una consapevole ricerca della propria integrità, accettazione di sé stesso non elusiva, o passiva, ma costruttiva.

Passano gli anni e la scienza medica definisce con più precisione. Forse anche con più cattiveria. Sono universalmente note le cavillose definizioni del lessico psichiatrico: ADD: Attention Deficit Disorder; ADHD: Attention Deficit Hyperactivity Disorder. E ancora: LD: Learning Disabilities; detto in italiano, con lo stesso accanimento definitorio dell’inglese: Disturbi Specifici dell’Apprendimento, DSA.



La mente colibrì: il progetto come cura

L'idea del World Wide Web nasce nel 1989 presso il CERN di Ginevra. Il 6 agosto 1991 l'informatico inglese Tim Berners-Lee pubblica il primo sito web. Berners-Lee riconosce onestamente il debito nei confronti di Nelson.

Il progetto Xanadu nel frattempo langue, si inceppa, finisce per arenarsi. Mancano a Ted Nelson i finanziamenti.

Ma c'è anche il fatto che, nell'inseguire il proprio sogno, la propria visione, cerca una perfezione tecnica difficile da raggiungere. Del resto, ciò che per ogni cittadino è possibile fare con un Personal Computer e tramite il Word Wide Web è già molto. Sebbene a Nelson questo non basti, ha compiuto la sua missione.

1995: Gary Wolf intervista Ted Nelson per conto di Wired, (Wolf, 1995) il mensile che è la bibbia della nuova cultura digitale. Nel lungo articolo il cinquantottenne Nelson è presentato come un precursore orami semi-dimenticato. E' descritto anche, con malizia, con una punta di cattiveria, come un eccentrico sopravvissuto, precocemente invecchiato, malato.

Wolf non manca di notare che Nelson si interrompe, passa improvvisamente da argomento ad argomento; scrive che Nelson, per riempire vuoti di memoria, appoggia i suoi ricordi a registrazioni audio. Tutte evidenze del fatto, precisa Wolf, che “the inventor suffers from an extreme case of Attention Deficit Disorder” (Wolf, 1995).

 

Wolf aggiunge anche malignamente:

“L'ansia di Nelson di non avere memoria [about forgetting] è complicata dai farmaci che assume. Per l'ADD, Nelson prende il Cylert; per l'agitazione, il Prozac; per l'insonnia, l'Halcion. L'Halcion può produrre afasia: durante il nostro pranzo, Nelson si è trovato a volte a cercare una parola comune nel bel mezzo di una frase.” (Wolf G., 1995)

 

Wolf, però, non può fare a meno di riportare le parole di Ted Nelson, che nel corso dell'intervista controbatte:

“Il Disturbo da Deficit di Attenzione è stato coniato dagli sciovinisti della regolarità. Gli sciovinisti della regolarità sono persone che insistono sul fatto che bisogna fare sempre la stessa cosa, ogni giorno, e questo manda fuori di testa qualcuno di noi [drives some of us nuts]. Disturbo da Deficit di Attenzione: abbiamo bisogno di un termine più positivo. Mente colibrì, preferisco dire.” (Wolf G., 1995)

Hummingbird Mind - menti che si muovono come rapido frullare d’ali, menti colibrì che si muovono di fiore in fiore. Reagendo alla spiacevole, giudicante arroganza dell’intervistatore, arroganza legittimata da tanta letteratura medica, Nelson propone un'altra denominazione. Una immagine di uso comune (Paul, 1946, p. 208) è ripresa da Nelson, elevata a possibile definizione tecnica. In luogo di ADD, a more positive term, una immagine ricca di poesia.

Disponiamo di molte registrazioni di conferenze e partecipazioni a eventi pubblici di Nelson. Brillante conversatore, non nasconde mai i propri percorsi mentali: “What was I saying?”. “Forgive me”, “I’m just babbling.”. Interrogato a proposito del suo essere affetto da ADD nel corso di una presentazione della sua autobiografia Possiplex, risponde di nuovo: "No, è solo un'altra modalità di elaborazione cognitiva. Un modo diverso di pensare."

Ciò che qualcuno considera deficit può ben essere inteso come differenza. Un altro modo di pensare. Un processo cognitivo che rifiuta la linearità e la sequenzialità, la disposizione gerarchica, la fissità garantita - o imposta - dall’immodificabile apparire delle parole sulla pagina, un processo cognitivo che accoglie invece, senza porli in gerarchia, diversi percorsi di senso.

Da singolari equilibri di mente e di corpo, da eccentrici modi di pensare e di costruire conoscenza considerati dalla ‘scienza normale’ pericolose sindromi, nasce dunque quel modo di intendere, costruire ed usare il computer che espande l’area della personale coscienza.

Nella mente di Ted Nelson, bambino dislessico, incapace di considerare normale l’ingabbiante forma del libro, della pagina, del foglio-supporto-piano, nella mente del bambino che, prima ancora di mettersi alla prova con la tradizionale modalità del leggere e dello scrivere, emerge la visione di qualcosa di più sano, di più ricco, più pieno e più giusto. Più complesso.

Nelson ci insegna a non intendere in modo ostile la complessità, a non cercare riduzioni e difese. La sua vita e la sua opera ci parlano di accettazione di sé stesso, di fiducia in sé stesso, di appartenenza fiduciosa alla rete che connette.



Conosci te stesso

La filosofia perenne che accompagna gli esseri umani nel corso della storia si riassume forse in un motto: gnōthi sautón, nosce te ipsum, conosci te stesso. Ted Nelson ha cercato sé stesso, e ha inteso la macchina come strumento per conoscere sé stesso, per rispettare sé stesso, manifestando orgogliosamente la propria differenza. Il computer come strumento nelle sue mani, protesi del suo corpo e della sua mente.

Oggi abbiamo a disposizione il programma di scrittura che sto usando in questo momento e il Web perché Ted Nelson non ha accettato di essere stigmatizzato come 'malato'. La mente umana disturbata, dislessica, distratta, disattenta è vista a rovescio come mente colibrì, che si muove freneticamente di fiore in fiore. A partire dal proprio modo di essere Ted Nelson ha concepito un modo di pensare e costruire conoscenza che apre nuovi orizzonti a ognuno di noi.

Per quanto ne sappiamo Ted Nelson, ricordato da pochi, vive ancora la delusione per non essere riuscito a portare a termine il progetto tecnico così come sapeva essere possibile, così come desiderava. Vive ancora l'umiliazione di quel colloquio con Gary Wolf, da lui ridefinito non lupo, ma iena. Con tutta la difficoltà implicita nello scrivere in modo sequenziale, dopo vari tentativi, dopo pubblicazioni provvisorie e parziali sul Web, nel 2010 ha dato alle stampe una sua autobiografia, Possiplex. (Nelson T.H., 2010a) Per coprire con la propria voce la voce di Gary Wolf.

Nel frattempo, Gary Wolf ha svelato pienamente sé stesso. Nel 2007, assieme al sodale Kevin Kelly, già caporedattore di Wired, celebrato guru di quella cultura digitale fatta di presuntuose parole nuove e vuote, ha fondato il movimento Quantified Self. (Wolf G., 2011) Conosci te stesso attraverso il cruscotto di un sistema che elabora i dati provenienti da sensori applicati al corpo umano, anche alla stessa matteria cerebrale.

In effetti, la proposta di Kelly e Wolf si oppone frontalmente alla via che Ted Nelson ci indica.

Nelson, intento a cercare sé stesso, rifiuta la sanzione di chi vuole incasellarlo nel ruolo di 'malato'. La diretta conseguenza del conosci te stesso è considerare primo autore del progetto di cura la persona stessa.

Kelly e Wolf - come Turing e come tutto il filone dominante della cultura digitale, che termina nell'esaltazione dell'Intelligenza Artificiale - dicono invece: conosci te stesso attraverso la macchina, rispecchiati nella macchina, preferisci la macchina a te stesso.

Kelly e Wolf invitano ad accettare la definizione di noi stessi che una macchina portatrice di regole e di controllo ci impone. Nelson al contrario ci invita a non arrenderci a ciò che qualsiasi macchina ci dice di essere e ci vuol far credere. (Varanini F., 2016, p. 270)

Nelson ci dice che il miglior progettista non è chi cerca l'esattezza, chi pretende di costruire mondi per gli altri, nella convinzione di conoscere meglio di loro stessi cosa è meglio per loro.

  

Nelson ci dice che il miglior progettista è chi costruisce la macchina per sé, per conoscere sé stesso, ed il mondo, ed i mondi possibili.

 

A lui va la nostra gratitudine.



Bibliografia