Riflessioni Sistemiche n° 28


Rifondare le pratiche umane navigando nella complessità

La sfida dell’ “occupabilità sostenibile”
tra aspirazioni, progetto di vita e contesto


di Marianna Capo

Centro di Ateneo Sinapsi, Università degli Studi di Napoli “Federico II”

Se Alice (nel paese delle meraviglie) ti chiede: “Mi scusi volevo solo sapere che strada
devo prendere”, tu rispondile: “Beh, tutto dipende da dove vuoi andare!”.
Il laboratorio interattivo per la promozione di un'occupabilità
sostenibile nel contesto universitario.

Sommario

Il contributo, attraverso la proposta dell’approccio e delle attività realizzate nell’ambito del Laboratorio Interattivo Spo, esplora il tema dell’occupabilità sostenibile in ambito giovanile e, in particolare, nel passaggio dall’Università al mondo del lavoro, con una riflessione su quelli che sono i pregiudizi dominanti e i miti da superare nei giovani affinché tale promozione possa realizzarsi ed essere concretamente proficua.


Parole chiave

occupabilità sostenibile, flessibilità, competenze trasversali, capacità di improvvisazione, progetto di vita.


Summary

The present work, through the proposal of the approach and the activities carried out within the Spo Interactive Laboratory, explores the theme of the sustainable employability in the youth field and, especially, during the transition from university to the world of the work, through a reflection on domain prejudices and myths to be overcome in young people so that this promotion can take place and be concretely profitable.


Keywords

sustainable employability, work flexibility, soft skills, improvisation skill, life project.




1. Introduzione

Il tema dell’occupabilità attraversa tre ambiti principali di intervento: l’orientamento, la formazione e il lavoro. L’interrogativo che sorge, non solo tra i giovani ma anche tra gli studiosi della materia, è il seguente: “quali sono le dimensioni dell’occupabilità che è fondamentale ri-conoscere e incentivare per favorire un deciso impulso di essa?”. Tale quesito diventa più urgente alla luce di un mercato del lavoro caratterizzato da cambiamenti repentini, precarietà, incertezza, ponendo le basi per una crescita dell’occupazione che rimane piuttosto debole, implicando un incremento della disoccupazione, in particolare di quella fascia più critica di giovani che in Italia è rappresentata dai cosiddetti NEET, ovvero giovani inattivi che non studiano e non lavorano e che in tal modo rischiano di rimanere fuori dal mercato del lavoro. Senza demonizzare l’odierno contesto lavorativo bisogna rilevare che di fatto le innovazioni tecnologiche, la concentrazione del potere economico verso i paesi in via di sviluppo, l’introduzione di nuove regole e norme del lavoro, richiedono agli individui di rivedere e riadattare il proprio ruolo nella realtà sociale e lavorativa. Negli anni, esperti e studiosi hanno cercato di individuare i principali fattori, personali e di contesto, in grado di incidere sull’occupabilità individuale, a partire in particolare dalla condizione di “giovane individuo” e del suo sviluppo nel tempo. Pertanto, riteniamo utile riportare una considerazione teorica: 

“…non è chiaro quali siano i fattori e le condizioni utili a tale sviluppo. La letteratura converge nell’affermare che l’occupabilità è da considerarsi come una dimensione non statica, ma il risultato di un certo grado di congruenza tra elementi personali e “situazionali” che trattengono un comune orientamento allo sviluppo…” (Cavenago D., Magrin M., Martini M., Monticelli C., 2013, pag. 135).

Seguendo il riferimento degli autori, sarebbe opportuno porre il focus di riflessione sui seguenti elementi, ovvero le caratteristiche personali e demografiche, le risorse psicologiche dell’individuo, i percorsi e le attività di formazione, così come i servizi per lavoro presenti in un dato territorio:

Fig. 1 Da Grimaldi et Al. (2014). Orientamento, dimensioni e strumenti per l’occupabilità.


Un modello di occupabilità “sostenibile” orientato a “riconoscere il potenziale di risorse interne del soggetto nell’intreccio con variabili contestuali, curricolari e biografiche, in modo da esaltare il rapporto tra individuo e ambiente come legame imprescindibile per studiare e mettere in valore le reali competenze espresse dai soggetti” (Grimaldi A., 2016, pag. 7), puntando su: 

caratteristiche ascrittive (ad esempio, età, provenienza sociale, etnia, appartenenza a reti sociali più o meno ampie e di supporto, ecc.);

obiettivi e percorsi formativi, qualificazioni formali, più o meno corrispondenti alle esigenze dei contesti di lavoro;

fattori esterni alla persona come: a) il mercato (ad esempio, il mercato del lavoro, il suo grado di recettività e apertura); b)
fattori organizzativi come le politiche di reclutamento delle imprese che possono o meno favorire l’accesso al lavoro (anche indipendentemente dalle competenze della persona).


Fattori che rendono conto delle differenze di opportunità lavorative e delle difficoltà di accesso ed inserimento al lavoro di varie categorie sociali (persone con disabilità, donne, migranti, etc.), ma meno sensibili a intercettare e valorizzare il ruolo proattivo del singolo nel costruire la sua occupabilità e adottare strategie efficaci per sostenerla e implementarla, nelle diverse fasi di transizione che possono riguardare gli individui. Si intende, pertanto, tutte quelle fasi di passaggio nel percorso di occupabilità, quindi: conseguimento di un titolo di studio – dalla qualifica professionale ai master post-laurea – primo ingresso nel mercato del lavoro, fasi di transizione nei passaggi da un impiego all’altro (che siano subìti oppure decisi dall’individuo).

Guilbert L., Bernaud J.L., Gouvernet B. e Rossier J. nel 2016 propongono un modello multidimensionale di occupabilità che valorizza la coesistenza e l’interazione dei seguenti fattori, ovvero:

- la persona, responsabile di un proprio progetto di vita;

- i contesti di lavoro con le loro regole e dinamiche di gestione del personale;

- le istituzioni che, con provvedimenti e normative, regolano il mercato del lavoro e le politiche di formazione e di orientamento che condizionano i contesti occupazionali e, quindi, l’occupabilità degli individui” (Guilbert L. et al. 2016 pag. 69). 

Sebbene questo modello di occupabilità comprenda sia dimensioni esterne alla persona sia caratteristiche interne alla stessa, l’interesse e l’attenzione è comunque focalizzata sull’individuo e, quindi, sulle sue risorse per sviluppare e valorizzare le interconnessioni con le altre dimensioni. Questo avviene, in particolare, nelle fasi di transizione, ad esempio dall’Università al mondo del lavoro.




2. Il Passaggio dall’Università al mondo del lavoro


 Questa particolare fase di transizione è una delle più delicate: una giovane donna o un giovane uomo escono da un contesto “protetto” e prevalentemente teorico, il percorso universitario, all’interno del quale hanno acquisito un proprio bagaglio di conoscenze e competenze. Un percorso non breve e poi si trovano catapultati dopo il conseguimento del diploma di laurea nel mondo “reale” quello del lavoro, con i suoi tempi e le sue leggi, spesso spietate, introdotte repentinamente.  Talvolta, e abbiamo ormai numerosissime testimonianze, si tratta di un vero e proprio choc culturale. Uno dei rischi più rilevanti connessi alla transizione università-inserimento nel mondo del lavoro è quello di scoprire di aver investito in percorsi di studio universitari e/o di professionalizzazione che potrebbero non avere un mercato, essere poco appetibili, scarsamente richiesti. A ciò si aggiunge l’eterna difficoltà inerente all’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, caratterizzato da percorsi lunghi, precari, nonché da processi di socializzazione che nei contesti lavorativi divengono sempre più discontinui e frammentati. Si impone, di conseguenza, la necessità di politiche e servizi che supportino le transizioni dall’università al lavoro e intra-lavorative, affinché l’individuo possa sviluppare, e conseguentemente conservare, ri-aggiornare, un proprio profilo professionale, consentendo un’acquisizione e implementazione costante di competenze (hard e soft) che diano coerenza e compattezza alla propria “biografia individuale” (personale e/o lavorativa). Un atteggiamento mentale di apertura e flessibilità che contempli anche la disponibilità al confronto con nuove possibilità e riprogettazioni individuali. Oltre a queste soluzioni di contesto sarebbe opportuno favorire la realizzazione di attività formative finalizzate a sostenere l’individuo nella messa in discussione di stereotipi, pregiudizi e miti da sfatare, alimentati spesso anche da una ricezione ed elaborazione acritica delle informazioni provenienti dalle diverse fonti multimediali e che incide sulla percezione del mercato del lavoro.




3. Occupabilità sostenibile: pregiudizi dominanti e miti da sfatare


La percezione del mercato del lavoro è influenzata sia da bisogni sia da valori diversi per ogni individuo; questo fa sì che essa sia in grado di condizionare le personali convinzioni di autoefficacia nella ricerca del lavoro, soprattutto se il mercato del lavoro è visto come multidimensionale, complesso, incerto ecc. Chi sta per lasciare, o ha appena lasciato l’università, spesso ha idee confuse rispetto al mondo del lavoro, non ha riferimenti e reti a cui attingere per orientarsi nelle diverse scelte, ha bisogno di mettere a punto strategie e strumenti di auto-promozione e di auto-presentazione. A partire da questa necessità nel 2013, presso il Centro di Ateneo Sinapsi dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, nasce il Laboratorio Interattivo per la Promozione dell’Occupabilità (Spo), uno spazio-tempo che offre ai laureati-laureandi federiciani l’opportunità di usufruire di attività di- self-management e self marketing, attività che consentono sia di riflettere ed interrogarsi se le proprie competenze professionali sono compatibili con le trasformazioni del mercato del lavoro, sia di attivare risorse di auto-promozione e valorizzazione. La messa a punto di servizi e attività specifiche dedicate ai laureandi e laureati origina proprio dal riconoscimento di un’esigenza manifestata dagli studenti in procinto di lasciare l’università per affacciarsi al mondo del lavoro: essere in grado di identificare le proprie competenze e di valorizzare le proprie risorse allo scopo di inserirsi e muoversi nel modo migliore in uno scenario occupazionale disorientante e spesso scoraggiante. In particolare, durante i laboratori tale percezione emerge pienamente, soprattutto in studenti che frequentano corsi di studio che non rappresentano – per loro – una promessa di occupabilità futura.  

Dai momenti di confronto attivati nell’ambito delle attività del laboratorio interattivo, emergono i seguenti pregiudizi e immagini stereotipate legate all’ingresso nel mondo del lavoro:

idea di presentarsi come un professionista “hard”, a cui non è richiesto di mostrare la propria individualità, autenticità. Secondo gli studenti  impegnati nei vari percorsi di studio, l’unica soft skill che sembra essere riconosciuta e valutata positivamente dalle aziende è quella della leadership; in effetti, in base al rapporto del World Economic Forum (2020), nelle primissime posizioni tra le 10 skills richieste nel mercato del lavoro vi è la leadership e influenza sociale, ma non è certo la sola, troviamo anche altre competenze, come ad esempio: pensiero analitico e innovazione; apprendimento attivo e strategie di apprendimento; problem solving complex; creatività, originalità e iniziativa, etc.

richiesta di esperienza pregressa. Si pensa che tutte le aziende/organizzazioni assumano personale con esperienza, anche per contratti da stagista, ostacolando paradossalmente l’accesso al mondo del lavoro a tutti coloro che non hanno precedenti esperienze di lavoro. Anche se questa concezione è, purtroppo, realmente diffusa in alcuni contesti lavorativi, non influenza l’intero arco delle possibilità: in realtà si osserva che i giovani non prendono in considerazione il fatto che il lavoro stabile in azienda non sia l’unica soluzione, ma che sia possibile valutare percorsi, opportunità  

lavorative alternative e parallele che valorizzano le proprie capacità imprenditoriali, ovvero quelle capacità che fanno riferimento alla flessibilità, all’adattabilità, alla creatività, che offrono al professionista la possibilità di una poliedricità professionale  invece di concepire l’esperienza lavorativa in un’ottica di linearità (laurea - ingresso in azienda). Spesso si tende a considerare il lavoro esclusivamente sotto la specie di un’attività alle dipendenze di…, di “essere dipendente dell’azienda e dell’organizzazione…”. In realtà, il lavoro non consiste solo nell’essere uno degli ingranaggi di una grossa macchina, aderendo a richieste e prestazioni fisse ma anche nel mettersi in gioco rispetto a prestazioni innovative, ovvero divenire imprenditore di sé stessi. Emerge, infatti, un iper-investimento sul lavoro tradizionale in azienda, con una scarsa considerazione per percorsi alternativi come quelli nel terzo settore e/o di consulenza-collaborazioni con molteplici realtà professionali;

Il fattore età. Strettamente legato al punto precedente, il fattore età sembra giocare un ruolo fondamentale nella costruzione della propria identità professionale. Si percepisce ancora una forte pressione temporale nella necessità di concludere gli studi nel tempo più veloce possibile onde agevolare l’ingresso nel mondo del lavoro… Tale pressione aumenta lo sconforto e l’ansia relativi all’autoefficacia percepita durante il percorso per il primo inserimento lavorativo. Emerge, inoltre, un bias sulla presenza di una correlazione lineare tra un percorso universitario impeccabile, concluso nei tempi previsti, e la facilità di trovare lavoro all’uscita dell’università. Scontrarsi, invece, con percorsi non lineari e complessi come quelli attuali genera un forte sconforto, ansia, sfiducia generalizzata; 

L’esigenza di essere “ultra titolati”. Si rileva ancora la necessità avvertita dai giovani di dover “riempire” il proprio curriculum con esperienze maturate in contesti formali (dove vengono rilasciati attestati e certificati inerenti alla conclusione di percorsi ed esperienze di formazione), mentre poca importanza viene attribuita alle esperienze svolte nei contesti non formali e informali, e alla successiva valutazione data dalle organizzazioni. Viceversa, nei contesti di lavoro diventano centrali non solo le conoscenze di tipo tecnico-specialistico legate alla produzione o alla specificità di determinate prestazioni, ma anche le competenze trasversali che consentono alla persona di avere un ruolo che va oltre quello strettamente stabilito all’interno del contesto professionale e che spesso vengono maggiormente acquisite nei contesti non formali e informali.



4. Il laboratorio interattivo: un luogo per scoprire (di sé) e progettare il futuro. Finalità, approccio e dispositivi.



“Alice rise: “È inutile che ci provi” – disse - “non si può credere a una cosa impossibile”.
“Oserei dire che non ti sei allenata molto” – ribatté la Regina -
“Quando ero giovane, mi esercitavo sempre mezz’ora al giorno.
A volte riuscivo a credere anche a sei cose (im)possibili prima di colazione”. 

(Carrol L., 2021)



Nell’attuale contesto socio-economico gran parte dei giovani vive una “doppia fragilità” che riguarda, da un lato, il timore di non riuscire ad entrare a pieno titolo nel mercato del lavoro perché “non si ha l’esperienza pregressa, adeguata”, dall’altro la mancanza delle cosiddette soft skills. L’obiettivo dell’“occupabilità sostenibile” è invece collegato anche alla “pensabilità” e “possibilità” di un lavoro che abbia valore per sé e che, soprattutto, venga percepito come desiderabile, accessibile. In questo senso, un ruolo fondamentale lo acquisiscono i servizi di orientamento universitari e territoriali che permettono di far fronte allo scoraggiamento che i giovani dichiarano riguardo alla loro “incapacità” di immaginare un futuro lavorativo, generando un sentimento di frustrazione o disillusione nella propria realizzazione professionale (o identità lavorativa). 

Studiare, aggiornarsi, ottenere un lavoro dignitoso, crescere professionalmente non sono sempre le tappe lineari di un percorso biografico. Una sfida questa che, come anticipato in precedenza, ha coinvolto studiosi e professionisti, impegnati a interrogarsi per trovare soluzioni e percorsi formativi innovativi e sostenibili a fronte dei continui cambiamenti che caratterizzano l’odierno mondo del lavoro. In questa prospettiva, i laboratori rappresentano l’avvio di una sorta di processo educativo utile a facilitare le capacità decisionali della persona che si trova a fronteggiare un momento delicato di transizione biografica, ovvero l’uscita dall’Università e l’ingresso nel mercato del lavoro. Processo portato avanti promuovendo l’implementazione delle competenze di progettazione e riprogettazione continua del Sé e lo sviluppo di competenze di auto-orientamento utili a favorire una maggiore consapevolezza rispetto alle proprie aspirazioni, motivazioni, interessi e competenze, contestualmente alla complessità del mercato del lavoro circostante sempre più instabile e incerto. La partecipazione ai laboratori rappresenta il punto di partenza di un percorso durante il quale l’individuo ha l’opportunità di conoscere e riscoprire sé stesso, individuando le aree di miglioramento, acquisendo maggiore auto-consapevolezza circa le proprie risorse e competenze, riuscendo a identificare gli obiettivi concreti del proprio progetto formativo-professionale. Parliamo di un processo di auto-conoscenza che si traduce per l’adulto in un: orientamento all’apprendimento, inteso come propensione ad esplorare l’ambiente, a conoscere contenuti, situazioni e contesti nuovi, ovvero come espressione dell’interesse a cogliere ogni opportunità di apprendimento e a porsi in una prospettiva di sviluppo e miglioramento continuo; orientamento alla pianificazione, inteso come disposizione a perseguire con determinazione gli obiettivi prefissati e ad avviare a questo fine una coerente e funzionale azione di pianificazione (Grimaldi A. et al., 2015;  Grimaldi A. et al., 2014). Il team Spo, a partire da quello che è il costrutto di occupabilità sostenibile, ovvero dall’idea che gli individui nel corso della vita possono cogliere e conseguire opportunità lavorative concrete sulla base di un insieme mutevole di loro risorse e capacità (Vuori J., Blonk R. & Price R.H., 2015), unitamente alla presenza e alla partecipazione di un contesto socio-economico che “faciliti questo potenziale di risorse individuali” (Grimaldi A., 2016, pag. 7),  ha messo a punto una serie di dispositivi per consentire ai laureandi/laureati di sviluppare e autoregolare la propria employability e, quindi, di esplorare e identificare le proprie risorse, ma anche apprendere a leggere il contesto di appartenenza. 

Da questo punto di vista, il laboratorio interattivo è orientato a promuovere l’auto-riflessività dei partecipanti, in modo da favorire la messa in condivisione e discussione di preoccupazioni, timori e punti di vista, modi di essere e fare, valutando il livello di adeguatezza alle richieste che provengono dal contesto lavorativo, oppure dall’interno (desideri, aspettative, vocazioni, ideali, progetti, ecc.). Identificare, riconoscere una distanza tra le risorse individuali (conoscenze e competenze), e ciò che è indispensabile in un dato contesto rappresenta un’importante sollecitazione motivazionale per cercare di colmare il gap mettendo in atto strategie di fronteggiamento idonee a sormontare impedimenti personali o sociali. Premesso che non è agevole sottoporre a valutazione critica le proprie percezioni (ad esempio, la percezione di occupabilità) le interpretazioni e le convinzioni rafforzate nel corso delle esperienze di vita, un approccio auto-riflessivo può rappresentare un dispositivo cognitivo significativo, utilizzabile per autoregolare i cambiamenti degli individui in termini di atteggiamenti, progetti, di conoscenze e competenze, e non messi in atto solo in risposta a sollecitazioni e condizionamenti esterni, un approccio che risulta ancora troppo poco considerato nei diversi contesti dell’Education che dovrebbero incoraggiare o consolidare il ricorso al pensiero critico costruttivo. 

La riflessione dell’individuo su di sé, sulle proprie esperienze, produce una conoscenza tangibile, in seguito il consulente per l’orientamento favorisce la riflessività del soggetto e facilita la pianificazione di nuove azioni, rinforzando i processi di scoperta di sé, di decisione, di auto-monitoraggio e auto-valutazione che sviluppano, o espandono, la responsabilità individuale di farsi carico della propria occupabilità e di realizzare un efficace processo di autogestione dei percorsi di inserimento lavorativo e di carriera (Guichard J., 2016, 2009; Savickas M.L., 2016); processi quest’ultimi cruciali in un contesto come quello attuale nel quale: “i problemi di orientamento ai quali deve far fronte l’individuo delle nostre società contemporanee sono i problemi di un individuo incerto che sa di dover prendere decisioni che impegneranno la propria esistenza, ma 

che non ha alcuna certezza del futuro» (Guichard J., 2006, pag. 36).

I dispositivi messi a punto, a seconda delle finalità, si distinguono in: strumenti di ricognizione, progettazione e di self marketing. Nel primo incontro il team si presenta agli studenti, al tempo stesso consentendo ad essi di presentarsi a loro volta, viene poi illustrato il percorso, articolato in 5 incontri, infine, l’incontro si conclude con la somministrazione dei questionari Avo (Grimaldi A. et al., 2015) e BdC (Striano M. & Capobianco R., 2015), due dispositivi funzionali all’auto-valutazione del potenziale di occupabilità e delle competenze trasversali. 

Il secondo incontro si focalizza sulla condivisione con gli studenti dei profili di occupabilità derivanti dall’elaborazione dei questionari Avo, un’attività che, per come è stata ideata dal team, consente ai partecipanti di comprendere e contestualizzare le dimensioni dell’occupabilità. Attraverso tale attività, che utilizza il profilo Avo in una prospettiva auto-riflessiva, gli studenti scoprono che il mercato del lavoro non è un dato oggettivo, e che ciascuno di essi ha una diversa percezione, definita dall’interazione tra la percezione delle proprie competenze (adattabilità, strategie di coping, autoefficacia, etc.) e l’offerta presente nel mercato del lavoro. Nel terzo incontro viene proposta la condivisione dei profili delle competenze trasversali, generati dall’elaborazione dei questionari BdC; in tal modo gli studenti scoprono l’importanza delle competenze trasversali, che non sono stabili e geneticamente definite ma possono svilupparsi, implementarsi nei diversi contesti di apprendimento formale, non formale e informale. Attraverso questa attività si punta a smontare un pregiudizio insito nella mente dei giovani, ovvero che le hard skills siano più importanti delle competenze trasversali ai fini di un inserimento lavorativo. Se le hard skills sono misurabili, quantificabili, e soprattutto si possono apprendere con lo studio e la pratica, le competenze trasversali sono abilità soggettive, di tipo comportamentale e relazionale, molto difficili da quantificare e che riguardano il modo in cui l’individuo interagisce con le altre persone. Tali competenze lavorative, in genere, permettono al selezionatore di valutare quale comportamento potrebbe adottare un candidato sul posto di lavoro e pertanto assumono un’importanza decisiva nel processo di selezione. Nel primo e secondo incontro, attraverso la condivisione dei profili Avo e BdC, lo studente scopre le risorse sulle quali può puntare in una prospettiva autopromozionale, ma al tempo stesso anche le aree di miglioramento rispetto alle quali è opportuno lavorare per trasformarle progressivamente in punti di forza (Almonte R., 2022; Pellerey M., 2016). Avo e BdC si rivelano due dispositivi che consentono agli studenti di avviare una prima riflessione sulle esperienze formative-professionali effettuate, sui turning point del proprio percorso biografico, su desideri, ideali e prospettive future, sulle caratteristiche di un dato contesto territoriale, etc. e questo facilita la pianificazione di percorsi lavorativi non lineari, puntando sulle proprie competenze, ovvero le competenze realmente possedute e percepite di valore nella prospettiva della continua ricerca, acquisizione o creazione e mantenimento del lavoro. 

Oltre alle competenze trasversali riconosciute come fondamentali per l’inserimento nel mercato del lavoro, e tra queste, in particolare, il pensiero analitico, il pensiero creativo, la resilienza, la flessibilità, l’autoconsapevolezza, la curiosità, l’apprendimento permanente, l’affidabilità e l’attenzione al dettaglio, l’empatia, l’ascolto attivo, la leadership e l’influenza sociale (World Economic Forum, 2023), gli studenti vengono incoraggiati a prendere in considerazione altre competenze, in particolare quelle relative alle capacità di anticipazione (ovvero il comprendere in anticipo ciò che può favorire la propria crescita professionale), così come la capacità di mettere in sinergia bisogni personali e organizzativi (Van Der Heiide, 2006), ancora, la capacità di improvvisazione: “un’azione basata su intuizione e spontaneità”, un “processo creativo e spontaneo per il raggiungimento degli obiettivi attraverso modalità nuove” (Crossan M.,  e al., 2005, p. 129) sembra particolarmente adatto agli attuali contesti di lavoro, caratterizzati da incertezza e instabilità (Chédotel F., 2006, 2005) e, quindi, in grado di migliorare la qualità delle azioni realizzate spontaneamente. Il nostro proposito è dimostrare che talvolta la gestione del progetto di vita può comportare un'attività di improvvisazione che può a sua volta variare durante la vita del progetto, con la consapevolezza che l’improvvisazione relativa al fronteggiamento di determinate situazioni specifiche inerenti alla gestione del progetto di vita, può innescare un duplice coinvolgimento: se da un lato, Cunha M.P. et al. (1999) mostrano che l'improvvisazione può generare effetti negativi come ansia o bias di apprendimento, che se non controllati possono portare al fallimento dell'intero progetto, dall’altro, l'identificazione di queste situazioni specifiche offre la possibilità di beneficiare dei loro effetti positivi. Ci riferiamo, in particolare, a una certa flessibilità e apprendimento utili per l’individuo a definire meglio la situazione e ad agire in modo efficace (de Fornel M. e Quéré L., 1999) ricombinare le risorse in modo creativo e consentire un adattamento al lavoro collettivo attraverso un'innovazione (Adrot A., 2010).

Dopo questo approfondimento teorico, utile alla comprensione delle dimensioni rispetto alle quali gli studenti vengono incoraggiati a riflettere e a confrontarsi, si procede con la descrizione degli altri step. Nel terzo incontro gli studenti vengono introdotti in un primo momento ad un’attività utile per approfondire la conoscenza delle professioni di proprio interesse, attraverso la proposta di alcune risorse online per rintracciare i repertori dei profili professionali, riguardanti le descrizioni dei contenuti delle attività afferenti a specifiche categorie di lavoratori/professionisti. Viene richiesto agli studenti di avviare la propria ricerca d’informazioni non limitandosi a un unico profilo ma indagando su almeno due profili di interesse, utili nella prospettiva di procurarsi un piano A e uno B di carriere possibili. Questa attività favorisce la conoscenza e la comprensione:

- delle funzioni relative a ciascun profilo;

- dei contesti organizzativi in cui può operare;

- delle modalità organizzative (es. tempi, spazi, strumenti di lavoro, ecc.);

- degli scenari di carriera possibili;

- dei percorsi formativi indispensabili al raggiungimento della posizione e validi ai fini dell’aggiornamento professionale.

In un secondo momento, i partecipanti vengono indirizzati all’utilizzo di un dispositivo 

narrativo-– autobiografico, il “Digital portrait”, che ha una duplice valenza: 1) auto-conoscitiva e di consolidamento progettuale; per come è stato ideato lo strumento consente in primis agli individui 

una ricognizione e ri-significazione delle esperienze formative-professionali, prevedendo un ancoraggio alle motivazioni per la scelta del corso di laurea; di accesso alle attitudini, talenti e disposizioni attraverso l’identificazione con un personaggio noto (realmente esistito o incontrato in un libro o in un film), l’identificazione e la riflessione sulle cosiddette lessons learned, le aspirazioni e i progetti per il futuro, mettendo a punto, come ribadito in precedenza, un piano A (l’ideale a cui si aspira) ma anche un piano B (la concretezza basata sulle richieste del mondo del lavoro, ricerca parallela svolta in attesa dell’eventuale realizzazione del piano A, etc.); 2) auto-promozionale; i partecipanti attraverso l’offerta di indicazioni per la scrittura di uno story board e la successiva realizzazione di un video apprendono e/o implementano tutta una serie di strategie per presentarsi al meglio nelle selezioni, valorizzando le proprie caratteristiche e risorse. 

Certo il CV Europass resta il principale dispositivo di self marketing, attraverso il quale siamo chiamati a presentarci e a presentare tutte le nostre caratteristiche migliori, ritenute utili e dotate di appeal per l’inserimento nel mercato del lavoro. La sintesi è fondamentale in un CV, ma ci si domanda: quanto questa sintesi riesce a descrivere e rappresentare pienamente chi siamo, che cosa può e vuole essere una persona? 

È un invito rivolto agli studenti per riflettere su come le nostre individualità possano correre il rischio di essere banalizzate, appiattite per poter aderire esclusivamente a richieste e canoni imposti dall’esterno, da una società nella quale contano esclusivamente la performance, l’apparire, le "operazioni di cesello" per dire in poche righe chi siamo... Malinconicamente orfani del "da dove veniamo", "dove vogliamo andare..." 

Il team, partendo dalla consapevolezza che “l'esperienza non è ciò che accade a una persona, ma è piuttosto ciò che una persona riesce a fare con quel che gli accade”, punta ad offrire agli studenti Federiciani l’opportunità di lavorare autenticamente al racconto di sé, attraverso la realizzazione di un digital portrait, una sorta di “big picture” che ricostruisce e rappresenta il proprio percorso biografico, permette all’individuo di mantenere una direzione e una relazione nel/col mondo (Damen J., 2008). Uno spazio di ricognizione e ri-significazione per comprendere come funzioniamo (risorse, abilità, aree di miglioramento…), quali motivazioni ci animano e ci spingono ad andare avanti, quali sentimenti ed emozioni ci creano delle difficoltà e quali strategie adottiamo per gestirle, gli obiettivi formativi che nascono strada facendo, e così via.  

L’esortazione è a non prendere le distanze da sé stessi, quasi come se si volessero evitare eccessivi coinvolgimenti, piuttosto i ragazzi vengono incoraggiati, attraverso la proposta del Digital portrait, ad accogliere la sfida di narrare di sé in modo autentico e personale, dando una forma creativa ed espressiva alla propria “sintesi dell’eterogeneo”, ovvero a quell’“unità intelligibile che compone circostanze, fini, mezzi, iniziative, conseguenze non volute” (Ricoeur P., 1986 pag. 14). 

Il digital portrait, esaminato in quest’ottica, si rivela un dispositivo che non propone la necessità di conformarsi e iscriversi in narrazioni pre-definite, quanto piuttosto consente di riconoscersi competenze e focalizzare interessi per definire un progetto personale e professionale aderente alle proprie attitudini, motivazioni, nonché al contesto di riferimento. In particolare, l’opportunità per i laureandi e laureati di lavorare al proprio progetto professionale è fondamentale in un contesto come quello attuale, caratterizzato da percorsi biografici non lineari, ecco allora che il costrutto di progetto di vita assume una dimensione rilevante nella nostra società (Boutinet J.P., 2005).

Oggi, l'ingiunzione al progetto di vita è tale da diventare "una sorta di dogma, avere un progetto è una condizione, se non necessaria comunque determinante per la realizzazione” (Coquelle C., 1994, pag. 25) ovvero per facilitare la loro inclusione in un mercato del lavoro sempre più selettivo. 

Nel quarto incontro si procede alla simulazione di colloqui di selezione, in modo da favorire negli studenti l’implementazione di tecniche e strategie di self-marketing per affrontare le prime esperienze di colloqui e, quindi, essere in grado di gestire le emozioni e lo stress ad esse associate, oltreché apprendere a comunicare in modo più efficace. Sempre in merito ai colloqui viene aperta, attraverso la visione di video, una parentesi sul sessismo in modo da orientare le studentesse rispetto ai comportamenti che vengono in genere perpetrati nell’ambito dei colloqui, assumendo rispetto ad essi uno sguardo critico e consapevole. Il sessismo, ribadisce Abbatecola, “è ovunque, nascosto dietro parole, gesti, sguardi e azioni la cui violenza è spesso sfuggente poiché invisibilizzata dalla tradizione, dal dato per scontato, da consuetudini riprodotte acriticamente. La banalità del sessismo è ovunque e il mondo del lavoro contemporaneo - ancora estremamente sessuato - non fa eccezione. Cosa significa lavorare in contesti non previsti occupando ruoli nei quali la società fatica ancora oggi ad immaginare le donne? Quali strategie vengono attuate per ristabilire un ordine di genere binario, e implicitamente etero-normativo, perturbato da soggettività impreviste? Accanto alla più tradizionale forma di sessismo ostile, esplicitamente aggressivo e svalutante nei confronti del genere femminile, c’è una forma di sessismo benevolo, molto meno esplicito, più sottile e difficile da riconoscere poiché nascosto sotto forme paternaliste di apparente valorizzazione” (Abbatecola E., 2020 pag. 1).  Più sottile, si è detto, e forse, a parer nostro, ancora più insidioso proprio per questo motivo: l’apparente bonomia, disponibilità che nasconde un pregiudizio sessista non meno feroce.

Infine, nel quinto incontro, mentre in un primo momento, vengono offerte agli studenti una serie di informazioni e consigli per produrre in modo ottimale diversi format di curriculum cartacei, richiesti a fini selettivi (CV Europass, infografica, etc.); in un secondo momento viene proposta la condivisione da parte degli studenti dei Digital portrait, partendo dal presupposto che tale attività può mobilitare “…le risorse esperienziali di coloro che sono in ascolto. Accogliere una storia “altra” porta la persona a collegare tale storia alla propria biografia esperienziale, entrando in un rapporto di risonanza con le esperienze altrui, una risonanza che apre ad una migliore conoscenza di sé e, quindi ad una migliore prefigurazione e identificazione di possibilità lavorative” (Capo, 2021, pag. 147).



Conclusioni


L’occupazione giovanile, le strategie per realizzarla colmando il decennale gap tra l’Italia e gli altri paesi europei, i maggiori ostacoli ad essa e, infine, la percezione stessa che le fasce giovanili hanno del loro profilo professionale rispetto alle richieste del mondo del lavoro sono temi che periodicamente si impongono all’attenzione sia del pubblico sia degli esperti. Difficile non ripetersi e tentare di suggerire uno sguardo nuovo sull’argomento. Il nostro intervento si propone, in particolare, di provare a indagare quest’ultimo punto: come si percepiscono i giovani in merito all’appeal dei loro profili rispetto alle richieste esterne e quali sono gli stereotipi da essi coltivati nei confronti di un mondo del lavoro visto come precario, incerto e, soprattutto, di ardua lettura.

Si è detto, in apertura, che l’attuale mercato del lavoro è percepito con ansia e timore non soltanto, aggiungo, dalle fasce giovanili ma in particolare da quelle a maggior rischio di espulsione e/o di inserimento molto difficile, quali i NEET, per restare in tema giovanile, e le donne, senza l’ingresso delle quali non arriveremo a raggiungere i target europei di occupati tra la popolazione. Parlare di “occupazione sostenibile” implica non solo esaminare politiche e provvedimenti atti a sostenerla ma anche chiedersi cosa rappresenti nell’immaginario collettivo dei lavoratori di ogni età questa definizione. Come illustrato, la visione del mercato del lavoro proposta dai nostri giovani partecipanti è caratterizzata sia dal ricorso a stereotipi e convinzioni improprie in merito alle reali richieste aziendali sia da un palpabile sentimento di inadeguatezza che, in alcuni casi, raggiunge lo sconforto. Il peso sempre maggiore che le più moderne realtà industriali attribuiscono alle soft skill non è recepito dai giovani con la necessaria evidenza. Eppure, tale consapevolezza, se assimilata, potrebbe modificare a loro favore sia la ricerca che l’inserimento successivo. Altri dati che emergono con forza sono relativi alla mancata percezione del rilievo dell’apprendimento in contesti informali e non formali e, naturalmente, al ruolo dell’occupazione femminile (si tratti di lavoratrici giovani o mature) tra stereotipi di genere e politiche salariali penalizzanti.

Più ancora degli interventi formativi, pure essenziali, sarebbe opportuno programmare, su larga scala e in maniera permanente, serie politiche in ambito di orientamento, per attrezzare le persone a leggere il contesto, verificare i propri requisiti, riconoscere dove colmare le lacune, ragionare sui propri punti di forza e utilizzarli al meglio durante il tormentato percorso di inserimento e/o reinserimento al lavoro e, non ultimo, per sfatare pregiudizi e luoghi comuni. Tante più conoscenze e relative acquisizioni di consapevolezza diventeranno patrimonio individuale, maggiormente l’individuo saprà affrontare con successo le molteplici e complesse attività che si richiedono oggi a coloro che si pongono sul mercato del lavoro.




Bibliografia