Riflessioni Sistemiche n° 28


Rifondare le pratiche umane navigando nella complessità

Paradigmi e Sviluppo dell’Agricoltura


di Fabio Caporali
già Professore Ordinario di Ecologia Agraria all’Università degli Studi della Tuscia

Sommario

Il paradigma riduzionistico industriale ha profondamente cambiato i caratteri dell’agricoltura tradizionale basati sullo stretto adattamento ai vincoli e all’uso di risorse locali. Introducendo più input di energia-materia, si è ottenuto più produzione, ma anche più sfavorevole impatto sociale e ambientale. Una visione sistemica dell’agricoltura, come quella tipica del paradigma dell’agroecologia, può aiutare a trovare soluzioni più socialmente e ambientalmente favorevoli.


Parole chiave

Pensiero sistemico, Agire sistemico, Agroecologia, Agricoltura sostenibile.


Summary

The reductionist industrialisation paradigm has deeply changed the traditional agriculture characters based on strict adaptation to local constraints and use of local resources. By introducing more external energy-matter inputs, more yield but also more adverse social and environmental impact have occurred. A systems view and practice of agriculture, such as that of the agroecology paradigm, may help find solutions for a more socially and environmental friendly agriculture. 


Keywords

Systems thinking, Systems practice, Agroecology, Sustainable agriculture.



    1. Introduzione: il paradigma dominante dell’agricoltura industrializzata


Il pensiero sistemico si è affermato culturalmente nelle società scientificamente e tecnologicamente avanzate solo in tempi recenti, dopo la presa di coscienza degli effetti negativi prodotti sull’ambiente di vita dal progressivo processo di industrializzazione che ha investito ogni campo di attività umana, dagli insediamenti urbani a quelli agricoli (Carson R., 1962). Un esercito di schiavi meccanici, fisici e chimici, creato dalla tecnologia e per lo più alimentato da fonti energiche fossili (prima carbone, poi petrolio e gas naturale), ha contribuito a edificare micro e mega impianti industriali; città metropolitane in progressiva espansione con relative infrastrutture per trasporti locali e internazionali; coltivazioni monocolturali sempre più estese supportate da impianti di irrigazione, concimi chimici e difese fitosanitarie di sintesi;  allevamenti animali senza terra ad alta densità di popolazione alimentati da mangimi importati anche da altri continenti e difesi dagli inevitabili stress e patologie con ormoni e antibiotici sintetici; ma anche a generare - a causa dei prodotti metabolici del processo di tecno-respirazione conseguente alla fabbricazione e al normale uso delle macchine e degli altri dispositivi fisici e chimici - un diffuso inquinamento di tutti i componenti ambientali, dall’aria all’acqua, dalla terra alle reti trofiche che riguardano tutta la comunità biotica planetaria, umanità inclusa. A giudizio di una fonte morale di indiscussa autorità, quale l’enciclica Laudato si’:


La terra, nostra casa, sembra trasformarsi sempre più in un immenso deposito di immondizia.
(Papa Francesco, 2015, LS, 21).


Contemporaneamente, l’espansione dei sistemi monocolturali e dei sistemi pascolivi industriali in tutto il mondo - a seguito anche della appropriazione di ecosistemi forestali naturali nelle zone tropicali da parte delle imprese multinazionali che governano l’economia alimentare su scala globale - ha generato una progressiva riduzione degli ecosistemi naturali a prevalente vegetazione arborea permanente che contribuiscono significativamente a fissare l’anidride carbonica atmosferica in biomassa, con conseguente aggravamento dell’effetto serra a livello planetario.  Le conseguenze di queste tendenze si sono rivelate devastanti anche a livello locale per l’economia rurale delle popolazioni native, spesso costrette all’abbandono dei propri terreni ed alla migrazione verso i     centri urbani sempre più affollati. Il paradigma riduzionistico industriale si è rivelato non solo destabilizzante per la precedente civiltà rurale basata sulla autonomia locale sorretta da un’economia circolare, ma anche destabilizzante agli effetti ambientali per un tipo di agricoltura predatoria che impoverisce il suolo di fertilità, la comunità biotica di biodiversità e di controllo biologico, mentre richiede l’ausilio di input esterni meccanici, fisici e chimici che provocano inquinamento dell’aria, dell’acqua, del suolo e delle relative catene alimentari.  

La prospettiva è quella di correggere il sistema di organizzazione mondiale nel suo complesso, sulla base di una riflessione sistemica a livello globale (UN, 2015) che fissa 17 principi di sviluppo sostenibile, identificando un nuovo modello di sviluppo planetario per tutti i sistemi di attività umana, inclusa l’agricoltura. Alla costruzione di questo nuovo quadro globale di sostenibilità ha contribuito senza dubbio il paradigma agro-ecologico, o del governo del territorio, che ha preso avvio nelle società moderne con l’istituzione di curricula universitari in scienze agrarie; con l’emergenza della scienza ecologica; la sua messa a fuoco con il concetto di ecosistema e la sua applicazione in campo agrario con il concetto di agroecosistema (Caporali F., 2019; Caporali F., 2021).                                        




    2. Il paradigma fondativo dell’agroecologia


L’agroecologia è un campo (o sistema) transdisciplinare di ricerca e azione che fonda la sua essenza su quattro componenti fondamentali da integrare armonicamente: la tradizione della civiltà agraria; la scienza dell’ecologia; il pensare per sistemi (filosofia processuale) ed il fare per sistemi (etica). Il suo fondamento scientifico è quello dell’ecologia che, per sua natura, è scienza delle relazioni, e quindi inevitabilmente sistemica in quanto considera come i componenti di un sistema si relazionano tra di loro per fare funzionare stabilmente, almeno per un certo periodo di tempo, l’intero sistema di cui fanno parte. Per iniziare, è conveniente esaminare la originaria definizione del termine ecologia, che è stata formulata per la prima volta in lingua tedesca dallo zoologo Ernst Haeckel:


“Per ecologia intendiamo l’intera scienza delle relazioni dell’organismo con l’ambiente circostante, da cui possiamo ricavare in senso più ampio tutte le condizioni di esistenza. Queste sono in parte di natura organica e in parte di natura inorganica.”

 (Haeckel E., 1866, pag. 206)


Lo studio delle relazioni delle componenti ambientali sotto il governo dell’uomo è iniziato sperimentalmente quando l’agricoltura è entrata a far parte delle scienze accademiche con una struttura curriculare in tre anni, istituita nel 1844 presso l’Università di Pisa con il rilascio di una “Licenza in Scienze Agrarie”, prima sotto la direzione di Cosimo Ridolfi e successivamente di Pietro Cuppari (Caporali F., 2015). Nei loro lavori di carattere scientifico e tecnico, pur non comparendo il termine ecologia, non ancora introdotto nel linguaggio umano, l’approccio epistemologico adoprato per rappresentare e studiare il sistema agrario allora corrente - quello della fattoria toscana articolata in poderi mezzadrili - era assolutamente di tipo sistemico e prefigurava ciò che oggi identifichiamo come studio dell’agroecosistema. Il seguente brano, tratto dalla “Prelezione inaugurale del Corso di Agraria e Pastorizia, detta nella R. Università di Pisa da Pietro Cuppari”, ne mostra una evidente conferma:


“Fino a qui l’Agricoltura è stata, per quanto io mi sappia, insegnata dalla cattedra in modo generale, e non si è mai pensato di conoscerla nel suo reale aspetto: nell’azienda rurale. Ma io vi condurrò per entro a tale azienda con analisi minuta per ben mostrarvene ogni singola parte; vi farò misurare così nel tempo come nello spazio, e vi farò pesare tutto ciò che sarà misurabile e ponderabile; ecco la nostra analisi. Ma quindi andremo più oltre, mettendo assieme tutte le notizie raccolte, di cui ci varremo per edificare l’azienda rurale: ecco la nostra sintesi.

(Cuppari P., 1860)


Per quanto concerne poi i contenuti e lo studio degli effetti ambientali conseguenti alla organizzazione aziendale agraria, che Cuppari definisce Economia rurale, le sue considerazioni si fanno assai pertinenti con ciò che oggi riguarda il campo transdisciplinare dell’agroecologia:


L’Economia rurale considerata quale arte operativa, modifica la corteccia della terra coi lavori, coi letami, cogli annaffiamenti ecc. Modifica del pari la vegetazione, la consociazione, la successione e la distribuzione geografica delle piante. Altera in vari modi la composizione o la quiete dell’aria atmosferica. Turba la naturale economia delle acque discorrenti su per la superficie della terra. Cangia le native qualità dei cibi e delle bevande agli animali domestici, ed anche all’uomo stesso. Moltiplica la naturale produzione del suolo, e quindi esercita una meravigliosa influenza sulla prosperità delle civili convivenze. Insomma cotesta arte tenuta in concetto di umile, a guardarci dentro un po’ sottilmente si appresenta quale uno dei più efficaci cooperatori a mutare quanto si attiene quaggiù alle sorti dell’umana generazione”.
(Cuppari, 1860, pag. 9)


Gli studi delle caratteristiche aziendali agrarie condotti da Cuppari in molte parti del territorio italiano,  riportati con meticolosa descrizione dei piani culturali e della consistenza degli allevamenti animali,  risultano fondamentali per comprendere come ogni regione, in rapporto alle peculiari condizioni di tipo pedo-climatico e socio-economico allora vigenti, avesse sviluppato in autonomia una organizzazione delle colture e dei carichi animali strettamente aderente ai vincoli socio- ambientali esistenti, generando per ogni regione un paesaggio tipico riflettente i caratteri del proprio contesto socio-ambientale e quindi il segno della propria tradizione e civiltà rurale. L’armonizzazione tra vincoli naturali, organizzazione delle aziende agrarie ed insediamenti umani si è mantenuta in maniera equilibrata e soddisfacente anche dal punto di vista paesaggistico fino alla recente svolta imposta dalla civiltà industriale a partire dagli anni 50 del ventesimo secolo, come confermato dagli accurati studi di Emilio Sereni (1986, prima edizione 1961) che denuncia per quell’epoca “una crescente subordinazione della nostra agricoltura, presa nel suo insieme, al nuovo strapotere dei monopoli, industriali, commerciali e finanziari”(pag. 450).


L’affermarsi del concetto di ecosistema nella cultura contemporanea, declinato e lentamente metabolizzato nella sua potenza pervasiva come rappresentazione verace del mondo in cui viviamo (Golley F.B., 1993) - tanto da essere invocato per promuovere un salto qualitativo, una transizione ecologica dell’intero genere umano verso una cultura della sostenibilità - costituisce l’apice di un processo in corso da decenni che ha prodotto anche in Italia una sostanziale modifica della Costituzione per quanto riguarda l’articolo 9, che è stato recentemente (febbraio 2022) emendato con la seguente aggiunta:


“[la Repubblica] tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.


La coniazione del termine ecosistema è avvenuta in lingua inglese (ecosystem) nel 1935 ad opera di Sir Arthur George Tansley, già presidente della prima Società Britannica di Ecologia istituita nel 1913, al culmine di un acceso dibattito filosofico con l’ecologista sud-africano John Phillips inerente la natura del processo di successione vegetale. Il dibattito comprendeva riferimenti al pensiero filosofico olistico di Jan Smuts e al pensiero filosofico processuale di Alfred North Whitehead; quindi, il concetto di ecosistema è emerso nell’ambito di un argomento teoretico che però soddisfaceva l’esigenza di dare avvio al modello emergente della scienza dei sistemi (Golley F.B., 1993). In pratica, il concetto di ecosistema si colloca in un ambito scientifico di rappresentazione della organizzazione gerarchica della realtà, dall’atomo all’intero universo, a quel preciso livello che può essere interamente percepito e compreso dai sensi e dalla mente umana. Secondo la definizione di Tansley, il concetto di ecosistema è olistico e integrativo in quanto combina gli organismi viventi ed il loro ambiente fisico come parti di un sistema unitario, che funge perciò da unità di base della natura:


“Ma la più fondamentale concezione è, come mi sembra, il sistema intero (nel senso della fisica) includente non solo il complesso degli organismi, ma anche il complesso dei fattori fisici formanti ciò che noi chiamiamo l’ambiente del bioma – i fattori dell’habitat. Sono i sistemi così formati che, dal punto di vista dell’ecologo, costituiscono le unità di base della natura sulla faccia della terra.

Questi ecosistemi, come noi li chiamiamo, sono di vario tipo e di varia dimensione. Essi formano una categoria della moltitudine dei sistemi fisici dell’universo, che spaziano dall’intero universo fino all’atomo”.
(Tansley A.G., 1935, pag. 299)


Con la coniazione del termine di ecosistema da parte di Tansley, la scienza dell’ecologia ha trovato lo strumento epistemologico/ontologico capace di inverare in un unico sistema di studio o di gestione le relazioni tra i componenti della realtà che Haeckel aveva già individuato nella sua definizione di ecologia. Queste relazioni sono di carattere funzionale e nell’insieme forniscono un quadro sistemico complesso della realtà, dove le parti interagiscono tra di loro in maniera sinergica. Le relazioni funzionali sono state scoperte progressivamente col progredire delle scienze analitiche e ricondotte poi in un quadro sintetico condensato magistralmente nel concetto di ecosistema, che rappresenta infine una narrazione del processo di organizzazione spontanea dell’intera natura, di cui l’umanità è parte come popolazione di individui. Iconograficamente, la rappresentazione eco-sistemica prevede l’inquadramento entro gli assi cartesiani di spazio e tempo, ad identificare l’universalità del concetto di ecosistema, cioè la sua applicabilità ad ogni scala: esso può essere applicato indifferentemente ad un micro o ad un macro-ambiente individuato come unità di studio o di gestione, ad esempio ad uno spazio rizosferico confinato nei dintorni di una radice  per indagini sulle relazioni tra pianta e microrganismi del suolo; oppure alla dimensione biosferica dell’intero pianeta per caratterizzare i rapporti tra le attività umane ed i comparti ambientali di aria, acqua, suolo e comunità biotica. Tra queste due estreme dimensioni sussiste una infinita gamma di possibilità investigativa, ossia di posizionamento del livello organizzativo della realtà da indagare o gestire, che rende conto della struttura gerarchica della realtà in cui, una volta individuato un ecosistema di studio, esiste sempre un inevitabile collegamento con un ecosistema che lo comprende, da cui riceve input ed in cui scarica output di energia, materia ed informazione. Di conseguenza, nella rappresentazione iconografica, andranno sempre inserite due frecce, una che precede l’ecosistema, quella delle immissioni, ed una che lo segue, quella delle emissioni. Per quanto riguarda la composizione delle parti, si distingue la componente abiotica che costituisce il substrato fisico e la componente biotica che lo abita, articolando quest’ultima in ulteriori componenti distinti per le funzioni svolte nel metabolismo planetario: a) produttori (tutti gli organismi autotrofi che svolgono la funzione fotosintetica di fissazione dell’energia solare in biomassa vegetale, quali le piante in ambiente terrestre e le alghe in ambiente acquatico); b) consumatori, ulteriormente distinti in erbivori, carnivori ed onnivori, tutti organismi eterotrofi che si nutrono di altri organismi lungo le articolate catene trofiche di pascolo e di detrito; c) decompositori,  microrganismi eterotrofi del suolo e dei sedimenti acquatici che trasformano e infine riportano i detriti organici degli organismi morti a sostanza inorganica a disposizione per essere di nuovo assimilata dalle piante e ricondotta nel ciclo vitale successivo. Ovviamente, scambi di energia, materia ed informazione avvengono tra le componenti di qualsiasi ecosistema, per cui l’analisi input/output è valida metodologicamente sia per le relazioni tra ecosistemi come per le relazioni tra le parti entro un ecosistema. Nel suo complesso, la rappresentazione della realtà in cui viviamo offerta dal concetto di ecosistema rende conto di come l’intero sistema planetario evolva per opera della sua comunità biologica che ne caratterizza la composizione ed il funzionamento di base secondo i principi naturali di ecosviluppo caratterizzati dall’uso della radiazione solare per sostenere lavori fisici e biologici condotti tramite la biodiversità di forme biologiche e di ecosistemi che contribuiscono al riciclo della materia conferendo sostenibilità al sistema biogeochimico complessivo. Infine, tramite lo sviluppo della cultura umana, che è una produzione immateriale o spirituale dell’intero ecosistema planetario connessa all’evoluzione della specie biologica Homo sapiens, il processo evolutivo si completa e si complica fino all’attuale fase di sviluppo secondo la traiettoria indicata da Pierre Teilhard de Chardin (1995, prima edizione 1955) con la formula sintetica “la materia si vitalizza e la vita si spiritualizza”. Oltre alla connotazione di biosfera, si aggiungono anche quella di “noosfera”, per indicare il contributo della mente umana a plasmare le caratteristiche attuali dell’ecosistema planetario, e quella ancora più recente di “Antropocene” per caratterizzare il montante impatto antropico della mal governata tecnologia umana che è ormai paragonabile ad una devastante forza geologica. Per essere intellettualmente onesti, occorre ricordare che la fase antropogenica di sviluppo era già stata profetizzata dal geologo italiano Antonio Stoppani con la dizione “era antropozoica”:


“L’era antropozoica è un’era incominciata: il geologo non può nemmeno prevederne la fine. Quando diciamo era antropozoica non guardiamo allo scarso numero dei secoli che furono, ma a quelli che saranno […] La terra non uscirà dalle mani dell’uomo, se prima non sia tutta profondamente istoriata dalle sue orme”.
(Stoppani A., 1873, pag. 740)



        2.1 Agricoltura e Agroecosistema

L’agricoltura è un grande sistema di attività umana diffuso in tutto il mondo e perdurante da migliaia di anni nelle regioni di antica tradizione agricola. L’applicazione del concetto di ecosistema all’attività agricola consente di riformulare l’intero suo quadro interpretativo entro un orizzonte culturale molto più largo di quanto usualmente considerato. Nella prospettiva sistemica rappresentata in figura 1, l’agricoltura è parte di un più ampio sistema socio-ambientale definito economia (organizzazione delle risorse con fini multipli), che a sua volta è parte di un sistema onnicomprensivo costituito dall’ecosistema Terra.

Figura 1. Agricoltura come sottosistema dell’economia e dell’ecosistema Terra.

A seguito della natura gerarchica della organizzazione sistemica, il sistema di appartenenza più comprensivo pone vincoli per lo sviluppo dei sottosistemi o parti che comprende per cui, data l’interdipendenza dei livelli di organizzazione che sono aperti agli scambi e alle reciproche influenze, occorre un reciproco adattamento delle parti per consentire la massima armonizzazione (o sincronia o complementarietà ecologica tra i livelli). L’ecosistema Terra si articola a propria volta in ampi ecosistemi regionali o biomi, caratterizzati da specifiche caratteristiche climatiche e pedologiche, con flora e fauna adattate a queste situazioni per evoluzione naturale, per cui la biodiversità di ecosistemi e specie è molto elevata sia tra i diversi biomi che entro i biomi per caratteristiche locali, come altitudine delle terre, esposizione dei versanti, pendenza delle pendici, profondità e fertilità dei suoli. In questi scenari così diversificati, le popolazioni umane hanno sviluppato civiltà agrarie peculiari anche per l’ampia gamma delle specie coltivate, gli animali domestici allevati e le diete alimentari seguite. Le civiltà agrarie sono pertanto testimonianze persistenti di complementarietà ecologica tra la situazione ambientale e le scelte decisionali degli agricoltori, in modo tale da significare a livello locale la peculiare identità del sistema di coevoluzione tra uomo e comunità biologica. 

Per questo motivo la tradizione agraria rappresenta, per il campo transdisciplinare dell’agroecologia, il primo criterio socio-ambientale di indagine e di riconoscimento. 

Una volta costituitasi una economia di mercato globale governata principalmente dalle multinazionali e dai criteri tecnocratici e finanziari dell’industrializzazione, questa economia ha progressivamente ignorato (per colpevole negligenza ecologica) il sistema dei limiti imposti dall’ambiente, per cui si potrebbe potenzialmente coltivare anche il 

deserto con l’irrigazione o gli ambienti nordici con il riscaldamento delle serre. Questa stessa economia ha preteso, nell’immaginario distorto e alienato della mente umana, di superare il vincolo reale allo sviluppo costituito dal condizionamento ambientale esercitato dall’ecosistema Terra, la vera casa comune alle cui leggi ecologiche (o principi di eco-sviluppo) occorre adattarsi se l’obiettivo da perseguire è la sostenibilità delle attività umane. Lo strabismo culturale al quale la società industrializzata è soggetta, che guarda con un occhio interessato solo al profitto finanziario (invenzione umana non esistente in natura) mentre non guarda con l’altro occhio disattento ai concreti servizi ecologici che la natura rende (Caporali F., 2019), può essere curato soltanto con una alfabetizzazione agroecologica che riproponga come riorganizzare correttamente l’agroecosistema, dal livello aziendale fino a quello territoriale più ampio, locale e internazionale.


               2.2. Gerarchia degli agroecosistemi

Si intende per agroecosistema un ecosistema consapevolmente modificato e usato a scopo agrario, dove i componenti biotici principali sono colture e animali domestici,  allevati dall’uomo attraverso selezione storica e/o miglioramento genetico recente: i produttori sono prevalentemente colture (erbacee, da granella o foraggere, e arboree da frutto) ed i consumatori sono prevalentemente animali domestici erbivori ( bovini, ovini, caprini, equini) ma anche onnivori ( suini e avicoli), mentre i decompositori sono quelli dell’ecosistema originario, sebbene “disturbati” dalle pratiche di lavorazione del suolo e di coltivazione. L'approccio ecologico all'esercizio dell’agricoltura è di tipo sistemico e riconosce nell'organizzazione umana il fattore decisivo nel determinare struttura e funzionamento dei vari livelli di organizzazione dell’agroecosistema a partire dalla singola azienda agraria per giungere al mosaico territoriale delle aziende che si può riscontrare a livello locale, regionale, statale o anche internazionale. Esiste pertanto una gerarchia di agroecosistemi che teoricamente dovrebbe essere pianificata con coerenza di intenti per raggiungere i fini attesi. Intanto, si deve all'azione umana la conversione iniziale da ecosistema ad agroecosistema, quando la vegetazione originaria viene sostituita da vegetazione colturale e la biomassa accumulata (produttività primaria netta) viene prelevata e destinata o al consumo di animali in allevamento o al consumo diretto umano. Negli agroecosistemi, i livelli trofici realizzati in azienda, le catene alimentari che si sviluppano e il prelievo delle biomasse accumulate sui campi coltivati o nelle stalle del bestiame sono sotto il controllo umano. Questo controllo si esercita in forma diretta, o pienamente consapevole, a livello di azienda agraria sotto la responsabilità del conduttore, sia esso persona o istituzione pubblica o privata. Pertanto il processo decisionale del conduttore per le scelte del tipo di azienda agraria da organizzare è il momento critico per verificare la coerenza tra le aspettative pubbliche e gli interessi privati del conduttore. Infatti è l'azienda agraria, costituita fondamentalmente da una precisa entità di territorio di proprietà o in affitto, che viene organizzata in campi coltivati, destinati ad accogliere le colture e ricoveri per l’allevamento del bestiame, le attrezzature relative per la coltivazione e la raccolta, le eventuali trasformazioni aziendali e i magazzini di conservazione delle produzioni 

vendibili, oltre le necessarie strutture di carattere residenziale. Le decisioni del conduttore in merito all’organizzazione aziendale dipendono in larga parte dagli input di informazione che riceve dal contesto vicino e lontano in cui vive, in particolare sotto forma di: a) leggi che riguardano l'agricoltura; b) struttura e andamento dei mercati per acquisto di input e vendita di output; c) disponibilità di tecnologie; d) informazioni scientifiche e culturali.  L'agricoltura è un grande sistema di attività umana (biofisico e socioeconomico) che trova nell'azienda agraria il punto più elementare di organizzazione (figura 2).

Figura 2. L’agricoltura come sistema di attività umana (Caporali F. e al. 1998; Caporali F., 2010)

Il mosaico delle aziende agrarie si riflette a livello spaziale e temporale nella configurazione del territorio, apprezzabile a livello sovra-aziendale nel paesaggio (landscape ecology) e a livello sotto-aziendale nei sistemi colturali e nei sistemi di allevamento animale. Si individua pertanto, nella continuità dello spazio e del tempo, una gerarchia di agroecosistemi interdipendenti, dalla piccola alla grande scala e viceversa, che aiuta a capire meglio l'organizzazione dell'agricoltura come sistema di attività umana aperto e interdipendente, che prende avvio e conformazione a partire dal livello aziendale fino a costituire l’elemento elementare portante della civiltà rurale. L’agroecosistema, gerarchicamente concepito, è quindi l’unità di studio dell’agroecologia.

L’agroecosistema a livello aziendale ha una valenza socioeconomica e biofisica determinante nel concretizzare il buon rapporto che dovrebbe intercorrere tra l’uomo e la madre Terra.

Intanto la sua rappresentazione iconografica lo manifesta come un complesso processo di governo del territorio con l’ausilio di piante, animali, macchine e tecnologie che implica l’uso di energia, materia e informazione (tra cui anche il capitale) per organizzare un sistema di trasformazione che produce ugualmente energia, materia e informazione, però in forme differenti da quelle impiegate (figura 3).

Figura 3. Modello di azienda agraria come agroecosistema misto (colture e bestiame in allevamento) (Caporali F., 1991)

L’interazione agricoltori/società si manifesta attraverso scambio (input/output) di informazione e di energia-materia. Gli agricoltori recepiscono input informativi di diverso tipo: a) scientifico-tecnico, dal settore della ricerca (pubblica e privata); b) socio-politico, dalle istituzioni politiche e amministrative; c) tecnico-economico, dall’industria, dagli istituti di credito e dal commercio a monte e a valle dell’agricoltura. Sono gli input informativi che maggiormente condizionano le scelte degli agricoltori e che determinano il tipo di organizzazione aziendale per produrre certi output (prodotti vegetali e animali) in funzione di certi input di energia-materia (macchine, combustibili, semi, concimi, fitofarmaci, mangimi, ecc.) da acquistare dal mercato e da introdurre in azienda. Il sistema agricoltura inizia dall’agricoltore e termina con il consumatore, il comune cittadino che, se consapevole, può espletare un ruolo significativo per l’orientamento del sistema agricoltura.

Il modello aziendale di agricoltura mista è senza dubbio quello che rispetta appieno i principi ecologici di eco-sviluppo in quanto realizza nella sua completezza trasferimento di energia e riciclo della materia, attraverso una vera e propria economia circolare che integra nell’azienda agraria la catena di pascolo (erba/erbivoro) con quella di detrito (resti e residui organici di colture e bestiame/ decompositori del suolo), con due

importanti risultati: a) consente di mantenere o addirittura aggiungere fertilità al suolo contando prevalentemente sulla complementarietà ecologica tra i componenti dell’agroecosistema aziendale; b) consente di realizzare un surplus di produzione netta vegetale e animale vendibile che può lasciare i confini dell’azienda agraria per alimentare la popolazione urbana.

Questo modello di agricoltura mista ha retto la sfida dei secoli, come efficacemente documentato da Ambrogio Lorenzetti nel 1343 con l’affresco del Buon governo del territorio nel Palazzo pubblico di Siena (figura 4) e come celebrato da Alfonso Draghetti (1948) con la sua puntuale testimonianza scientifica nel libro “Fisiologia dell’azienda agraria”, dal quale si riporta in figura 5 il modello esemplare di integrazione tra “piccola circolazione”(tra piante e suolo) e “grande circolazione” (tra piante, bestiame e suolo) da attuarsi per sostenere al meglio l’organizzazione aziendale basandosi soprattutto sulle risorse native.

Figura 4. “Effetti del Buon Governo del Territorio” (particolare), Ambrogio Lorenzetti (1343), Palazzo Pubblico di Siena

Figura 5. Modello di funzionamento di un’azienda mista secondo Draghetti (1948)

Sulla base di questo approccio sistemico tradotto nella prassi della organizzazione aziendale, Draghetti (1947) formulava il seguente auspicio: 

“E’ lecito auspicare il grande avvenire per Paesi come il nostro, che basano la loro agricoltura più progredita sul podere famigliare agrario-zootecnico, gloria imperitura della civiltà latina; espressione della più sana individualità biologica; la sola che sa sfidare i millenni senza distruggere le risorse del suolo”.
(Draghetti A., 1947).


    3. Il paradigma normativo dell’agricoltura sostenibile

I concetti di ecosistema e di agroecosistema sono rivelatori e identificano la sostenibilità biofisica come una proprietà ontologica dei sistemi naturali che precede la sostenibilità socioeconomica dei sistemi a gestione umana essendone il vero fondamento. Ogni sistema socioeconomico, e soprattutto l’agricoltura, si basa infatti sul “lavoro” della natura, oggi riconosciuto con la dizione di “servizi ecosistemici o ecologici” di supporto, regolazione, produzione e cultura che sono il fondamento della vita su questo pianeta (Caporali F., 2019). Non può sussistere alcuna sostenibilità socioeconomica senza che sia garantita la sostenibilità biofisica. L’agricoltura va quindi concepita come un servizio di pubblica utilità di cui occorre garantire la sostenibilità socioeconomica nel rispetto della sostenibilità biofisica (Caporali F., 2021). In termini pratici la questione è presentata da Fabio Caporali come segue:

Gli ecosistemi naturali, quali foreste native, praterie e ambienti umidi, rappresentano i serbatoi naturali di biodiversità (vegetale, animale e microbica) in grado di provvedere con continuità alla trasformazione dell’energia solare, al riciclo della materia ed al rinnovamento di se stessi, mantenendo le condizioni di abitabilità planetaria che, allo stato attuale, sono uniche nell’universo.

L’agricoltura è l’attività che consente l’alimentazione del genere umano con il trasferimento della produzione degli agroecosistemi ai sistemi urbani. L’agricoltura svolge pertanto il ruolo fondamentale di legame trofico tra l’umanità e la madre Terra e perciò essa stessa è un componente irrinunciabile per la sostenibilità del genere umano.

La sfida per l’umanità è pertanto duplice, di conoscenza e di gestione, perché richiede di costruire una scienza della sostenibilità che aiuti a capire i meccanismi attraverso i quali le attività creative della natura (espresse dalla biodiversità) e dell’uomo possano coesistere.
(Caporali F., 2008, pag. 1)

Un contributo significativo per costruire la scienza della sostenibilità è stato fornito dalla ricerca in agricoltura orientata a misurarla con indicatori di sostenibilità, ossia strumenti concettuali e algoritmici capaci di valutare le prestazioni degli agroecosistemi e il loro impatto in rapporto alla  loro struttura (composizione e organizzazione) e funzionamento (efficienze o rendimenti di trasformazione degli input in output). L’analisi input/output degli agroecosistemi è iniziata a partire dagli anni ‘70 del secolo scorso ed è tuttora in atto, con lo straordinario risultato di aver prodotto una imponente base scientifica di conoscenza per poter valutare pregi e difetti dei tipi di agricoltura esaminati (ad esempio, convenzionale e biologica), utile quindi ad emanare direttive e norme di politica agraria adatte a riorientare il sistema agricoltura globale e locale verso una maggiore conciliazione tra le emergenti esigenze ecologiche dell’intera società umana e le dominanti esigenze economiche dei Paesi industrializzati. E’ proprio da questa tensione verso il riorientamento dell’intero sistema agroalimentare -  ora presente nei documenti programmatici internazionali e inevitabilmente in quelli di singoli Stati e Regioni - che la sfida della sostenibilità sembra inverarsi in una fase di transizione ecologica capace di cambiare cultura, condotta e coltura (la sfida delle 4C), ossia lo stile di vita delle generazioni presenti e future.


   3.1.  Documenti programmatici e realizzazioni internazionali e nazionali

Il documento onnicomprensivo per tracciare l’auspicabile sviluppo presente e futuro della civiltà umana, ma anche quello dell’intero pianeta che abitiamo, è l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite (UN, 2015), che articola un progetto culturale ed etico di civilizzazione orientato sulla bussola della sostenibilità per tutti i sistemi di attività umana. Per tracciare le vie praticabili, sono elencati 17 principi di sviluppo sostenibile che in maniera sinergica dovrebbero essere perseguiti attraverso un’azione che riguarda tanto i singoli individui quanto tutte le istituzioni di tutti i popoli del mondo, dal livello locale a quello internazionale. L’agricoltura, intesa in senso lato come sistema 

agroalimentare, è talmente pervasiva nella società umana che è praticamente coinvolta in ognuno dei 17 punti. La visione globale dell’Agenda 2030 è quella di ricondurre lo sviluppo dell’umanità entro un rapporto di pacificazione tra gli uomini (i ricchi ed i poveri, i generi, le etnie) e tra gli uomini e l’ambiente, in modo tale da consentire salute, benessere e giustizia per le presenti e future generazioni umane, come parte della comunità di vita planetaria. Il punto finale 17, quello che auspica la cooperazione tra gli Stati ed i popoli, è senza dubbio quello più problematico per il buon esito del progetto globale, per le ragioni che Papa Francesco afferma nella lettera enciclica Laudato si’ al punto 202:

“Molte cose devono riorientare la propria rotta, ma prima di tutto è l’umanità che ha bisogno di cambiare. Manca la coscienza di un origine comune, di una mutua appartenenza e di un futuro condiviso da tutti […] Emerge così una grande sfida culturale, spirituale e educativa, che implicherà lunghi processi di rigenerazione”. 

(Papa Francesco, 2015)

Per la rigenerazione della cultura, e quindi per la costruzione della cultura della sostenibilità, è quindi fondamentale insistere sulla rivisitazione del rapporto uomo/natura alla luce dei paradigmi fondativi dell’ecologia e dell’agroecologia, che amplificano enormemente, rispetto alla comune percezione, l’elemento connettivo della complementarietà o cooperazione delle parti per rendere sostenibile l’intero sistema della comunità vivente planetaria. In questa prospettiva, e specialmente nell’attuale disgraziata contingenza della guerra in Ucraina, risulta assai corroborante e confortante il prezioso suggerimento di Papa Benedetto XVI rilasciato nel sottotitolo del “Messaggio per la giornata della pace” del 2010:

“Se vuoi coltivare la pace, devi custodire il creato”.

A livello nazionale, la già citata recente modifica dell’articolo 9 della Costituzione italiana in favore della tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, è un segno incoraggiante verso un auspicabile modifica dei curricula di studio di tutte le scuole e delle Università perché finalmente si occupino in maniera approfondita di una educazione transdisciplinare che conduca ad un’etica di vita conforme ai paradigmi fondativi dell’ecologia e dell’agroecologia (Caporali F., 2021).

Sul piano della deontologia professionale di chi opera in agricoltura per consulenza ed assistenza tecnico-scientifica, è interessante rilevare come l’Ordine professionale dei Dottori Agronomi e Forestali abbia recepito nel proprio Codice Deontologico i paradigmi fondativi dell’ecologia e dell’agroecologia come evidenziato dai principi esposti nell’articolo 4:

“Gli iscritti all’Albo dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali nell’esercizio dell’attività professionale e della rappresentanza istituzionale ordinistica improntano la loro azione al rispetto dei seguenti principi:

- concorrere allo sviluppo integrato e sostenibile attraverso una pianificazione e progettazione compatibile con la salvaguardia della biodiversità e con l’uso razionale delle risorse naturali e del territorio;

- perseguire nella pianificazione e progettazione delle produzioni agroalimentari e non, zootecniche e forestali l’uso delle migliori tecniche disponibili;

- promuovere e sviluppare la ricerca e l’innovazione nei sistemi agroalimentari, zootecnici e forestali;

- garantire e promuovere la qualità degli alimenti ad uso zootecnico e il benessere animale;

- garantire la sicurezza e promuovere la qualità dei prodotti agroalimentari a tutela del sistema delle imprese e della salute e benessere del consumatore;

- promuovere l’uso razionale delle risorse agroalimentari riducendo gli sprechi;

- promuovere e valorizzare i paesaggi e le culture delle comunità rurali;

- qualificare e valorizzare gli ecosistemi urbani e lo sviluppo del patrimonio vegetale e animale e della biodiversità;

- promuovere la diffusione di buone pratiche agricole per migliorare l’approvvigionamento agroalimentare delle popolazione delle aree in ritardo di sviluppo;

- promuovere la cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro”.

Sul piano della pratica agricola, l’associazione internazionale IFOAM (International Federation of Organic Agriculture Movements), che è operativa sino dall’anno 1972, ha esplicitamente adottato tra i 4 principi informatori delle proprie attività l’Ecologia, insieme ad altri 3 principi a sfondo etico (Salute, Equità e Cura), che nell’insieme si raccordano bene con il paradigma fondativo dell’ agroecologia (Caporali F., 2021). Il risultato di questo impegno internazionale, sostenuto da convegni, seminari, pubblicazioni e azioni di pressione politica, si è concretizzato in un generale riconoscimento legislativo del modello di produzione, certificazione e marketing, qualificato come Organic Farming  (Agricoltura Biologica, nella formulazione italiana) in gran parte degli Stati del mondo. In Europa, la prima legge sull’agricoltura biologica risale al 1992 (Regolamento CEE 2091) e nel quadro prospettico della transizione ecologica europea si auspica una sua ulteriore decisa espansione, come documentato dai due recenti rapporti Green Deal e Farm to Fork Strategy della Commissione Europea.

Fabio Caporali ha pubblicato all’inizio degli anni 2000 un testo intitolato “Agricoltura e Salute”, con un decalogo di regole agroecologiche adatto anche a funzionare come schema di riferimento tecnico-scientifico per la definizione degli standards (norme) adottati dall’agricoltura biologica, che si riporta di seguito:

    1) creare diversità nell’azienda agraria;

    2) integrare la produzione vegetale con l’allevamento animale;

    3) sistemare il terreno e lavorarlo al minimo;

    4) adottare sistemi di colture consociate;

    5) adottare la rotazione delle colture;

    6) impiegare genotipi resistenti agli attacchi parassitari;

    7) trattare il terreno con letame e materiali organici compostati;

    8) praticare il sovescio;

    9) favorire il controllo di erbe infestanti, fitofagi e fitopatogeni;

    10) proteggere e impiantare le siepi
(Caporali F., 2003, pag. 36).

L’agricoltura biologica può attualmente essere riconosciuta come un sistema di attività agraria definito per legge che ha adottato i paradigmi fondativi dell’Ecologia e dell’Agroecologia e con questi ha contribuito non solo a realizzare aziende agrarie efficienti da un punto di vista socio-economico, ma anche a fornire e a diffondere esempi concreti di cultura agroecologica operanti sul campo per una rinnovata alleanza tra uomo e natura.


Conclusioni

In questo contributo è stato delineato nella introduzione il paradigma dominante dell’agricoltura convenzionale (o industrializzata) di tipo riduzionistico, in quanto mirato unicamente a raggiungere incrementi di produzione di colture e animali allevati, senza la considerazione degli effetti negativi indotti sull’ambiente socio-economico locale, sulle risorse naturali, sulla biodiversità e sul benessere degli animali allevati. Successivamente ed in contrapposizione, è stato esposto il paradigma emergente (o alternativo, di tipo sistemico) fondato sulla scienza transdisciplinare dell’Agroecologia, che tiene invece conto dell’intero quadro dei servizi ecologici forniti dall’agricoltura (supporto, produzione, regolazione e cultura). Il complesso di tali servizi mette in chiara luce il ruolo polifunzionale che inevitabilmente l’agricoltura svolge nell’ambiente e la necessità di ottimizzarne le prestazioni per assicurarne la sostenibilità biofisica e socio-ambientale. L’uso di indicatori di sostenibilità per valutare i servizi ecologici di sistemi contrastanti di agricoltura (per esempio, in regime biologico ed in regime convenzionale) è stato un campo di ricerca proficuo per favorire giudizi di merito nei processi decisionali e di supporto politico, che è stato introdotto sin dall’inizio delle ricerche di carattere agroecologico, ossia a partire dagli anni 70’ (Caporali, 2019), ed è tuttora in corso. Le recenti drammatiche alluvioni in Emilia-Romagna segnalano che il buon governo del territorio a livello di bacino idrografico, ossia il bilanciamento dei servizi ecologici di produzione, regolazione, supporto e cultura, è indispensabile per la sostenibilità dell’agricoltura e dell’intera società umana. Le implicazioni etiche conseguenti all’adozione del paradigma agroecologico, quali la responsabilità per la difesa dell’ambiente (ad esempio, per la regimazione idrica e la mitigazione climatica) e per la salute dell’uomo (sicurezza e sanità dei cibi; bilanciamento della dieta), sono trattate in dettaglio in due libri citati nella bibliografia (Caporali, 2019 e Caporali, 2021) di cui raccomando la consultazione. Nella prospettiva agroecologica, accolta oggi con favore a livello internazionale, l’aggiustamento del sistema agro-ambientale e alimentare nella direzione della sostenibilità, a tutte le scale di organizzazione, rappresenta insieme una speranza e una necessità per erogare servizi di pubblica utilità, sia per il salutare governo del territorio che per la salute psico-fisica dell’umanità.


Bibliografia


Sitologia