Riflessioni Sistemiche n° 28


Rifondare le pratiche umane navigando nella complessità

Quale bellezza?
L’avventura dell'invisibile


di Silvana Kühtz
Ricercatrice e docente di Ascolto, Comunicazione, Creatività e di Estetica cdLaurea Architettura, Università della Basilicata, Matera;
fondatrice del collettivo artistico Poesia In Azione

Foto di Victoria da Pixabay 

Sommario

In un’era di incertezze, alcuni pilastri del vivere civile del mondo occidentale ormai assodati, dati per scontati nella seconda metà del Novecento, vacillano. Fra questi il concetto di bellezza ci interroga per essere in un certo senso rifondato, consentendoci forse di innescare nuove possibilità, a partire dall’esperienza anche di ciò che bellezza non è, la bruttezza, da demolire e trasformare.

Parole chiave

bellezza; bruttezza; cambiamenti climatici; sviluppo sostenibile; desideri; ricerca scientifica; complessità; patrimonio culturale; nuove definizioni di sviluppo sostenibile.


Summary

In an era of uncertainties, some pillars of civilized life in the Western world, which were considered unquestionable in the second half of the 20th century, are now wavering. The proposal is to reconsider beauty, to redefine it in a certain sense, and perhaps trigger new possibilities. This paper indulges also with what beauty is not, the ugliness to be demolished and transformed.


Keywords

beauty; ugliness; climate change; sustainable development; desires; scientific research; complexity; Cultural heritage.



Com’ero, ero: figlio della gente e dei posti che avevo frequentato

Paul Auster (1995, pag. 17)



Introduzione

Nella Convenzione di Faro del 2005 il patrimonio culturale è al centro della vita della comunità locale, la Dichiarazione Unesco di HangZhou del 2013 lo ha identificato come un pilastro della sostenibilità. Nel 2018 per l’anno Europeo del patrimonio culturale la cultura diventa il campo intersettoriale per creare prospettive condivise con gli altri settori chiave.


“La ratifica della convenzione di Faro segna un momento fondamentale per il nostro ordinamento che riconosce, finalmente, il patrimonio culturale come fattore cruciale per la crescita sostenibile, lo sviluppo umano e la qualità della vita e introduce il diritto al patrimonio culturale. Un testo lungimirante che amplia le modalità di tutela e valorizzazione, così come è lungimirante la nostra Costituzione, unica al mondo a individuare la tutela del paesaggio e del patrimonio culturale tra i principi fondamentali”. 


Così il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini, il 23 settembre 2020.


Nel 2012 Salvatore Settis espone un’interessante tesi su come gli italiani siano diventati nemici del loro patrimonio culturale, delle loro bellezze. L’Italia è stata la prima a integrare la tutela del paesaggio e del patrimonio culturale nei principi fondamentali della sua Costituzione. Eppure, questo complesso sistema di tutela funziona male, la distruzione del paesaggio è sempre più drammatica.


Uno studio di Niklas Potrafke su 125 Paesi, condotto nel 2012 ha rilevato che dove ci sono livelli più alti di prestazioni intellettuali/culturali c'è meno corruzione, che è uno dei fattori che danneggiano maggiormente la crescita di un Paese. Anche se alcuni Paesi fingono di ignorare questo dato, è l'ennesima prova che il capitale cognitivo e culturale è il fattore chiave per lo sviluppo. 

Alla luce della modernità e dell'incertezza, in questo nuovo ventennio inaugurato con pandemia e guerre, dobbiamo probabilmente ridefinire e riaffermare ciò che davamo per scontato, per esempio, rifondare il concetto di Bellezza. È nato già dal 2015 il progetto di ricerca Quel che resta del bello che ancora mi appassiona e mi spinge a interrogare anche attraverso l’esperienza nei luoghi e dei luoghi, bellezza/bruttezza, territori e narrazioni (Kuhtz S. 2018; 2021), città e abitanti. Uno dei pregiudizi più diffusi a questo proposito confonde il gusto personale (la polarità mi piace non mi piace) con la Bellezza come sentimento essenziale insito nelle cose del mondo. O, ancora, anche nei campi dell’architettura la bellezza è a volte ritenuta una cosa superata o qualcosa che ha a che fare col maquillage, non con la sostanza.  

L'attenzione non è solo sui beni materiali e fisici, ma anche su quelli immateriali e sulle idee che possono aggiungere nuove possibilità all'azione. Florida (Florida R. et. al 2011) in un articolo di ricerca del 2011 sottolinea che i fattori legati alla bellezza di un territorio giocano un ruolo considerevole nella percezione del grado di soddisfazione di una comunità.




Bruttezza

Che cosa è il brutto? come si presenta nella nostra vita? Possiamo cominciare da qui, e possiamo cominciare a chiedercelo usando il camminare come pratica sovversiva di esperienza ed esplorazione di categorie filosofiche e spazi reali. La risposta che la città dà alle nostre domande può essere nuova e inaspettata. Per esempio quando attraversiamo uno spazio urbano possiamo forse accorgerci che il brutto non è solo un concetto estetico, visivo. Un luogo, un’abitazione, un edificio, è brutto soprattutto quando è inospitale, incoerente, quando crea disarmonia nei suoi abitanti, quando è respingente, squallido, ciò che Perec chiamava l’inabitabile (Perec G., 1989). Che cosa provoca in noi la presenza di una bruttura architettonica ad esempio? E quella bruttura è irrecuperabile? Forse non lo è se da inospitale diventa altro. Se una bruttura è trasformabile o trasformata attraverso una abitabilità che la rende ospitale, coerente, brutta non è più. 

Una possibilità che questa domanda offre è anche quella di riappropriarsi culturalmente e socialmente di spazi e luoghi dismessi, e investire concretamente su se stessi, sul proprio territorio, sulla propria comunità, puntando al bello quale principio sul quale intrecciare comunità. Investire cioè sulla cultura del territorio, esperire i luoghi da questo punto di vista diventa una miccia di possibilità.


Ci sono diversi esempi urbani cui ognuno di noi può di fatto pensare, da Officine Grandi Riparazioni a Torino al Palais de Tokyo a Parigi, moltissime aree delle nostre città hanno comportato in questi ultimi decenni azioni di trasformazione profonda; tanto è stato il lavoro fatto negli anni dalla buona pianificazione, per esempio a Roma nei quartieri di Tor Bella Monaca, Quadraro, Tor Sapienza.


Una possibilità è quindi la rivalutazione di un paradigma. La seconda possibilità, che ne consegue, è attraversare gli stessi spazi chiedendosi nella massa di brutture dov’è il bello. Forzarsi cioè, a indossare occhiali che partono dalle risorse anziché dalle lamentele. 

Ancora, provocatoriamente, si può immaginare di attraversare le nostre città e demolire idealmente tutto ciò che risponde a questa definizione di brutto: “Demoliamo il brutto, l’incoerente l’inospitale. Ricerchiamo l’armonia dei luoghi e la loro semplice bellezza, stimolando tutti alla loro comprensione, agendo per sottrazione e liberando quanto soffocato” (Kuhtz S., Rizzi C., 2019, pag. 37).


La demolizione ci interroga allora come atto di trasformazione, apertura, di riprogettazione di comportamenti e diventa generativa, laddove può anche portare alla generazione di un vuoto, che, come scrive Alberto Ulisse (2018, pag. 50) “non è il negativo di una parte solida. Il vuoto non è rappresentato dal silenzio di una composizione, dall'assenza o dalla mancanza di una parte o di una componente. Il vuoto non è il bianco. Il vuoto non è il nero. Il vuoto è dinamico. Il vuoto è denso. Il vuoto è enfatizzante. Il vuoto è una modalità di configurazione dello spazio. Il vuoto è attivo. Il vuoto è una struttura spaziale fondativa”


E qui, sebbene in Italia le demolizioni di questo tipo siano ancora rare, un esempio da fare fra gli altri è il Parco urbano di Punta Perotti a Bari: fu demolito nel 2006 un grande complesso edilizio perché creava l’effetto “saracinesca” nella visuale panoramica del litorale.


Lo spazio estrae da noi e traduce le cose: perché ti riesca l’esperienza di un albero, gettagli intorno parte di quell’intimo spazio che abita in te. Da ogni lato contienilo. Da sé non si delimita. Solo se gli dà forma la tua rinunzia si fa vero. 

Rainer Maria Rilke (2000, pag. 525)

 

Il tempo presente e la condizione attuale che viviamo può essere vissuto e interpretato attraverso il diodo Bruttezza/Bellezza, facendo riferimento sia a cosa si intenda a livello personale (non solo riferendosi a una estetica dell’apparenza, ma piuttosto all’esperienza di una autenticità interna), che a livello di territorio, di luoghi, di scambi fra diversi punti di vista nel contesto della comunità.


James Hillman (2002) ha sottolineato come la costante esposizione al brutto ci porti a non tenere conto del mondo e renda incapaci di vedere «l'importanza che il bello, riveste per l'anima» e come tale «stato di ignoranza», una simile «an-estesia» caratterizzi la condizione umana attuale, fino a suscitare un vero e proprio “ottundimento psichico [...] che ho il sospetto favorisca la passività politica del cittadino euro-americano, e quindi aiuti i poteri dominanti a proseguire, senza impedimenti, sulla loro rotta rovinosa” (Hillman J., 2002, pag. 15). Con Hillman, va detto che la risposta estetica è azione politica e che questa azione non consiste nel prendere parte a campagne o a marce o a proteste ma nel “coraggio del cuore di battersi per le sue percezioni, perché questo tipo di risposta personale, per quanto semplice possa sembrare, va ancora più in profondità delle consuete proteste; in essa non ci sono "ismi", non c'è ideologia: siamo al servizio dell'inestinguibile desiderio di bellezza che ha l'anima, sono fermamente convinto che se i cittadini si rendessero conto della loro fame di bellezza, ci sarebbe ribellione per le strade” (ibid. pag. 16).


Allo stesso tempo che cosa saremmo senza Bruttezza? è possibile un mondo senza bruttezza? 

Immediato è il collegamento con la famosissima citazione di Italo Calvino da Le città invisibili: “L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” (Calvino I., 1993, pag. 164).


Riconoscere, distinguere, è la parola chiave, dividere il chicco dalla pula, setacciare, scegliere continuamente da che parte stare, usare tanto il grano che la pula, ma per scopi diversi. 

Anche le fiabe per bambini sono disseminate di brutture, orchi, incantesimi, aghi, foreste nere e tempestose, prove da attraversare, verità e menzogna da distinguere.


L'umanità può vivere senza la scienza, senza pane, ma senza la bellezza non potrebbe
più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. 

Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui.
Fëdor Dostoevskij (2021, pag. 478)



Bellezza e sostenibilità

A volte ho l'impressione che l’umanità non abbia chiara la possibilità di imparare dagli errori e dalla storia. Le preoccupazioni per la sostenibilità e lo sviluppo sostenibile non sono nuove. I precursori dell'idea odierna di sostenibilità sono apparsi già tra il XVII e il XVIII secolo. Ricordiamolo, la definizione oggi più diffusa di sviluppo sostenibile è poi quella varata nel 1987 dalla commissione coordinata dalla ministra e presidente del WCED (Commissione mondiale su Ambiente e Sviluppo) Gro Harlem Brundtland, che recita così:

«sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni attuali senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni».

È vero che va letto tutto il report della Commissione, e va apprezzato lo sforzo contenuto in più di 200 pagine in cui si affrontavano tutti i temi del vivere, è anche vero che in molti documenti ufficiali l’essere umano è considerato solo nei suoi bisogni essenziali (basic needs), base per la sopravvivenza e non certo per la vita, per dirla con il Dostoevskij citato poco sopra. Il linguaggio della scienza e dei documenti di questo tipo spesso dimentica l’essere umano, pur citandolo. Più raramente si parla di aspirazioni in questi documenti ufficiali. Questo essere umano è visto insomma come un grumo di ossa e cose materiali, bisogni fisiologici che devono esser soddisfatti ed espletati, questo essere umano che nei documenti fa capolino, è a volte separato dal mare, dalla terra, dall’aria, cui sono dedicate ampie altre sezioni, come se la vita procedesse a compartimenti stagni, come se non ci fosse un lato invisibile, di ispirazione e bellezza, altrettanto essenziale per questo essere umano qua. 

Come se ciò di cui siamo veramente preoccupati fosse il pianeta (che invece continuerà a vivere per almeno altri cinque milioni di anni prima di venire ingoiato dal sole) anziché le condizioni di temperatura, pressione, volume, che consentono la vita di queste specie animali, fra cui l’essere umano. Il pianeta continuerà la sua corsa anche senza di noi. 


E viene da chiedersi, la transizione è veramente impossibile? per dirla con Ferraris nell’articolo pubblicato nel numero precedente di questa rivista (Ferraris S., 2022).


Anche un bambino oggi conosce a menadito la lista di azioni della sostenibilità che si può sintetizzare così: valorizzare il rapporto interumano e uomo-natura, cambiare i modelli di consumo, coltivare una cultura di inclusione sociale, innovazione, e si traduce in fare la raccolta differenziata, riciclare, riusare, spesa a km zero, etc., “ma poi prof, come si fa”, mi rispondono i miei studenti “a non comprare certi prodotti, a fare una spesa a zero rifiuti?”

Ciascuno dei 17 obiettivi dell'Agenda 2030 è una specie di padrenostro che per molti è segno di qualcosa di difficile da realizzare nella realtà su larga scala laddove la politica non arrivi, un breviario per i coraggiosi. 

In effetti l'Agenda 2030 pone – magari con parole diverse – quanto già affermato in precedenti documenti internazionali, ad esempio nella Dichiarazione di Rio sull'ambiente e lo sviluppo, 1992, e nelle cosiddette COP (conference of Parties) delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si organizzano ogni anno fin dal 1995 e che riuniscono centinaia di Paesi. Sulle pagine di questa stessa rivista, nel 2017, in un articolo che già evidenziava alcune questioni legate all’idea di rivoluzione sostenibile, la sottoscritta sottolineava ad esempio che: “Percorsi di formazione che intreccino conoscenza, immaginazione e vita, costituiscono allora la vera possibilità, non già per dare risposte, ma per vivere le domande per dirla alla Rilke”, e una delle parole chiave era responsabilità, del singolo e della politica (Kuhtz S., Gallinari L., 2017).


La bellezza è in un certo senso l'espressione visibile del bene, come il bene è la condizione metafisica della bellezza, 1999,
Lettera di Giovanni Paolo II agli artisti


È importante sottolineare che molti confondono lo Sviluppo Sostenibile con uno sviluppo verde tout-court, mentre invece riguarda tutte le aree della vita e tutte le sfere, sociale, economica, ambientale e culturale. Attenzione, i pilastri sono almeno quattro, non tre come tradizionalmente sempre indicato perché in effetti la parola cultura, patrimonio culturale, sono sempre stati visti forse come orpelli, raramente come pilastri. Linguaggi metaforici e percorsi creativi contribuiscono a creare lo spazio per una cultura della sostenibilità. Scienza e arte, tecnologia e bellezza si intrecciano, si arricchiscono e si rafforzano a vicenda; la vita non è a compartimenti stagni e la bellezza è per tutti come si legge in Building More, Building Beautiful del 2018: “beauty is a universal value that should be universally enjoyed”(Airey J. et al 2018, pag. 41), o in Cabiddu 2021 “la bellezza ha direttamente a che fare con il senso di appartenenza, di identità e memoria, con il benessere e la (qualità della) vita delle persone e delle comunità, insomma con una cittadinanza pleno jure e se è così nessuno deve rimanerne escluso” (Cabiddu M.A., 2021, pag. 51).


Nessuno dei 17 punti dell’Agenda 2030 cita però esplicitamente la bellezza. Per questo la mia proposta è di trasformare intanto la definizione classica di Sviluppo Sostenibile aggiungendo altre parole chiave:

«sviluppo sostenibile è uno sviluppo capace di assicurare bellezza e di soddisfare bisogni, aspirazioni e desideri di una generazione senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare a sua volta bisogni, aspirazioni e desideri».


Per Desiderio qui intendiamo l’accezione chiarita da Massimo Recalcati.

Il filosofo e psicoanalista italiano Massimo Recalcati ne ha data una definizione illuminata al Convegno sull'Educazione 2016: "La parola 'desiderio' è una parola chiave (...): in tedesco si dice Wunsch (...) voto, vocazione, il desiderio è cioè l'opposto del capriccio, del fare ciò che si vuole (...), il desiderio è ciò che dà senso alla vita, (…) ciò che dà unità, senso, profondità alla vita. Che cos'è la sofferenza psichica?” Recalcati afferma ancora: "è quando una vita si accorge di essersi allontanata dalla legge del suo desiderio. Di essere andata in un'altra direzione". Il dono della vita, dunque, ci restituisce una responsabilità. Responsabilità significa "capacità di rispondere". Essere responsabili del proprio desiderio e del proprio talento significa rispondere alla propria vocazione, vivere seguendo la propria direzione e trovare la propria strada verso la piena espressione.


Per Bisogni, per intenderci, dobbiamo almeno riferirci oltre ai bisogni essenziali fisiologici, di cibo e di un tetto, ai bisogni di sicurezza, di amore e appartenenza, lavoro, stima e rispetto, realizzazione, autonomia e trascendenza.

Uno studio condotto nel 2011 da Tay e Diener in 123 Paesi ha dimostrato che il soddisfacimento di alcuni bisogni base ha effetti indipendenti sul benessere soggettivo, e che questo è a sua volta legato al benessere sociale del Paese in esame.


If somebody'd said before the flight, ‘Are you going to get carried away looking at the Earth from the moon?'
I would have said, ‘No, no way.' But yet when I first looked back at the earth, standing on the moon, I cried.
Alan Shepard, comandante Apollo 14.


Come il comandante dell’Apollo 14, migliaia, forse milioni di persone furono anch'esse così sopraffatte dalle prime fotografie della Terra dallo spazio che sorse un movimento ecologico globale, acceso dalla pura bellezza del pianeta. Sappiamo che la terra è bella. Quando piangiamo la perdita della vita, sappiamo anche che piangiamo la perdita della bellezza. E guardiamo alla bellezza come un segno di vita, anche la vita che è stata gravemente mutilata. Eppure, l'importanza di collegare la bellezza alla sostenibilità è sottovalutata. La bellezza è stata trattata come un valore puramente soggettivo, come nient'altro che un'opinione personale, un di più. 

Ma invece possiamo ripensare alla bellezza come a un valore ontologico. Quella cosa che ci fa tutti umani, come esseri che hanno bisogni essenziali e trascendenti.


Il paradigma da abbracciare è che anche il brutto, il rifiuto, sia una risorsa. Una dimensione di questa definizione di bellezza ha sicuramente a che fare con la durabilità, la continuità d'uso, la riparabilità, l'attenzione ai dettagli, modi praticabili per ridurre gli sprechi. Ci sono tanti esempi virtuosi in questa direzione, qui cito solo LA DISCARICA PECCIOLI, una vera e propria discarica, ormai esempio di bellezza, classificata come modello di azienda pubblica di prim'ordine e di gestione ambientale avanzata. Il lavoro iniziato negli anni '90, ha permesso al territorio di ottenere la Bandiera Arancione, riconoscimento di qualità assegnato dal TouringClubItaliano. 

La stessa discarica, affrescata da Sergio Staino e da David Tremlett, è una sorta di museo d'arte contemporanea a cielo aperto, con un anfiteatro inaspettato e un palcoscenico sorprendente. 

Nel 2021 Peccioli è stato scelto come esempio virtuoso delle comunità resilienti esposte nel Padiglione Italia della XVII Biennale Internazionale di Architettura di Venezia.



Bellezza e città - i laboratori Abitare Poeticamente la città


È un dato di fatto che le città sono fra i predatori delle risorse ambientali e grandi inquinatori, cui c’è da aggiungere l’occupazione di suolo e la trascuratezza verso i beni comuni. 

Non sempre facciamo caso al fatto che abitiamo i luoghi che a loro volta ci abitano, come geografie interne concentriche. La casa, la città, il territorio e il suo paesaggio, il Paese…

È un dato di fatto che ci portiamo dentro i paesaggi interiori, la bellezza dei luoghi, della casa, delle città in cui abbiamo vissuto, i rifiuti, le montagne bruciate, i mari neri di petrolio. 


C’è bisogno di un innovativo e antico modo di intendere la vita culturale di una città e il ricorso alla bellezza al di là della retorica può forse innescare circoli virtuosi. La diade bellezza e città sembra più una coppia di opposti. Ma l’esperienza condotta in questi anni di studio e ricerca, anche attraverso i laboratori Abitare Poeticamente la città in varie città mi fa dire che la bellezza è un’atmosfera e si può vivere con la bellezza accanto se si riesce a trasformare lo sguardo.


Nel Report Living with beauty (2020) è sottolineata la riflessione che la bellezza non è proprietà esclusiva dei ricchi. Può appartenere a tutti noi. Dovremmo sforzarci di garantire che ogni cittadino, per quanto svantaggiato, ne abbia una quota adeguata, invece la bellezza è distribuita in modo diseguale. “La bellezza comprende tutto ciò che alimenta il senso di essere a casa in un mondo condiviso. Le persone fanno sacrifici per la bellezza così come fanno per l'amore. (…) La bellezza include tutto ciò che promuove una vita sana e felice, tutto ciò che trasforma un insieme di edifici in un luogo, tutto ciò che trasforma qualsiasi luogo in un luogo e nessun luogo in casa. (…) Mentre per brutto si intendono edifici inadatti, malsani e antiestetici, che violano il contesto in cui sono inseriti” (Building Better, Building Beautiful Commission- UK, 2020, pag. 1).


Come sottolineano Gallese e Gattara, lo spazio ha la capacità di esprimere immediate reazioni emotive, somatiche e viscerali (2015). Partendo da questo assunto si può riflettere sul ruolo della città come esperienza del corpo e dei sensi tutti. Mallgrave (2013) afferma che l’emozione è il mezzo chimico e neurologico reale con cui entriamo in contatto e percepiamo il mondo.


A volte è importante iniziare a esplorare un luogo togliendo la vista perché le percezioni siano amplificate e usate in modo mirato anche come strumento di formazione all’esperienza dei luoghi. Il senso della vista implica qualcosa di esterno, mentre il suono (col tatto, il gusto e l'olfatto) crea un'esperienza di riflessione e poi di relazione tanto con lo spazio, che con gli altri presenti. Come sottolinea De Matteis (2019, pag. 186) “Non possiamo descrivere lo spazio come una cosa esterna a noi (…) siamo sempre parte dello spazio (…). Occorre riconoscere il primato del sentimento”. 


Durante i laboratori Abitare poeticamente la città con i partecipanti bendati, durante le camminate di esplorazione, e le esperienze sensoriali proposte, viene riferito con sorpresa ed entusiasmo quanto di più "vediamo" senza vista. I partecipanti fanno riferimento al fatto che la vista in qualche modo isola, alza barriere, filtri; invece quando non vediamo gli altri, e poniamo un limite alla visione, consentiamo agli altri sensi di aprirsi e valutare gli spazi, la loro armonia, riusciamo a tenere le antenne della percezione più sintonizzate con quanto accade intorno, riusciamo a creare un patrimonio immaginato e comune (Kuhtz S., Raffa A., 2023).

“Abitare un luogo vuol dire impossessarsene? a partire da quando un luogo diventa veramente vostro? (...) Quando si sono provati i tormenti dell’attesa o le esaltazioni della passione o i supplizi del mal di denti?” (Perec G., 1989)


Camminare senza vedere, per esempio, permette di conoscere la città attraverso l’immersione e il contatto, le orecchie e il tatto, gli odori, invece che a distanza, gli spazi diventano incarnati e acquistano spessore, e poi la vista restituisce una dimensione generale solo in un secondo momento.



La sensorialità come dispositivo prêt-à-porter

Corpo uguale sensi, corpo uguale punto di vista (di esperienza). Ci sono diverse percezioni dello stesso posto a seconda di come si è disposti nello spazio con il proprio corpo; possiamo attraversare un confine di spazio e punto di vista, abitando lo spazio e il punto di vista e di svista senza vista (Kühtz S. 2019, 2021; Kuhtz S., Raffa A., 2023). Attraversare con il corpo contiene in sé anche un principio di uguaglianza e democrazia, di rispetto delle differenze.

Imparare a usare le percezioni sensoriali è un'esperienza comune a tutti gli esseri umani, sebbene spesso inconscia. In realtà, i sensi sono la base del processo di apprendimento che consente all'individuo di plasmare la propria percezione del mondo. La sollecitazione dei sensi fatta in modo esplicito e distinto porta ad ampliare l'esperienza già codificata. Per un abitante di un luogo, l’esperienza sensoriale e sensuale di un territorio e della sua possibile bellezza va di pari passo con quella del senso di appartenenza al territorio. 

Fare una passeggiata è un conto, fare una passeggiata con un compagno bendato è un'altra cosa, essere bendati un’altra ancora. Cercare la bellezza anche quando non è conclamata, cambia la percezione del quartiere in cui si vive, di quella porzione di città che a volte si attraversa distrattamente. 

La percezione sensoriale definisce la natura della rappresentazione che stimola insieme all'immaginario e alla memoria. Nei laboratori ed esperienze sensoriali possiamo usare, dunque, i metodi della creatività, dell’estetica dei sensi che ti fanno avvicinare alla terra con naso, orecchie, gusto, percezioni del corpo. Si tira fuori una sapienza del corpo che poi intreccia il suo sapore con e senza la vista. 

Questo approccio multidisciplinare che unisce bellezza, sostenibilità, sensi, architettura, poesia e didattica è alla base della sperimentazione avviata dal 2006 all'interno dell'Università degli Studi della Basilicata dove conduco la mia ricerca. 

La metodologia di lavoro è lo sviluppo interdisciplinare delle esperienze di Poesia in azione (progetto nato nel 2005 con azioni urbane di lettura e condivisione, diffuso in varie città italiane), Walking on the line e Questo (non) è un paesaggio, Quel che resta del bello.


Si tratta di un'osservazione e una ricerca anche attraverso un linguaggio metaforico, la possibilità della poesia che in più casi si è fatta strumento di partecipazione con i residenti di alcune periferie a Matera (e a Bari, Trento, Bitonto, Conversano etc.). È sempre un affinare lo sguardo aprendolo anche alle infinite possibilità dell’incertezza verbale, lessicale, metaforica che la poesia sempre lascia aperta, perché non definisce, ma apre mondi possibili. 


Gregory Bateson scriveva che la metafora è la forma stessa della realtà. Ed è forma della realtà in quanto è forma della stessa conoscenza umana: “Se vogliamo parlare di esseri viventi, non solo in veste di biologi accademici, ma di esseri viventi a nostra volta, in mezzo a esseri viventi, sarebbe opportuno adottare un linguaggio che fosse in qualche modo isomorfo, che fosse coerente con il linguaggio in base al quale gli esseri viventi stessi sono  organizzati.”(Bateson G., 1997, pag. 458) e “la metafora non è solo una belluria poetica, non è logica buona o logica cattiva, ma è di fatto la logica con cui è stato costruito il mondo biologico, è la principale caratteristica e la colla organizzativa di questo mondo del processo mentale.” (Bateson G., Bateson M.C., 1989, pag. 53)


Uno dei risultati di questa ricerca è l'approfondimento di un processo che coinvolge gli studenti (laurea in Architettura e laurea in Paesaggio, UniBas, Matera; corsi di management al PoliBa, Bari) in un percorso di apprendimento che unisce gli aspetti tecnici a quelli percettivi. I sensi, e in particolare l'udito, non sono solo uno strumento per interpretare lo spazio, ma anche per immaginare qualcosa che ancora non esiste e per il design degli spazi. Osservare (!) il mondo attraverso tutti i sensi, e non solo con gli occhi, ha tutti i vantaggi e le conseguenze già dibattute nei paragrafi precedenti ed è anche uno strumento per allargare il proprio punto di vista, la propria visione della vita se non della città. 


L’altro risultato è quello con le comunità locali, che in questo modo possono creare e condividere storie, sentimenti e visioni, questa ricerca applicata favorisce così opportunità di dialogo e scambio di conoscenze, nonché di sviluppo di nuove competenze e pratiche creative, co-progettazione e innovazione sociale. Nelle periferie, dove l'accesso alle risorse e alle opportunità può essere limitato, queste opportunità di esplorazione sensoriale possono essere particolarmente preziose se suscitate da un ascolto profondo. 

Ancora, altre esperienze portate avanti dal 2005 in Italia sono i concerti sensoriali (con il collettivo artistico Poesia In Azione) dove il pubblico è bendato per quasi tutta la durata della performance. 

Ciò che è emerso è che questi progetti poetici sensoriali promuovono benessere, rilassamento e calma, senso di appartenenza, riconciliazione con il territorio. Molte persone tra il pubblico hanno riferito sensazioni di benessere e armonia, oltre a miglioramenti dell'umore e attenzione al mondo esterno, i laboratori di sensorialità sono diventati una pratica di co-design, di progettazione partecipata.


La sensorialità mirata all’esperienza della bellezza è sempre a disposizione. Si direbbe che poterla usare così è un dispositivo prêt-à-porter-filtro di bellezza, non già per portare occhiali rosa, né per mettere la testa sotto la sabbia, ma per cominciare ad accendere una possibilità. Nelle periferie in cui ho lavorato fino a ora, le lamentele sono sempre le stesse, indipendentemente dal reale contesto, la bellezza è sempre specifica e su questa poi si può cominciare a costruire una intesa con le amministrazioni. Il processo è lungo e allo stesso tempo per questo interessante.



Bellezza e cura

A quanto suggerito fin qui si può associare l’esperienza di ascolto proposta dal progetto che è diventato una piattaforma di immediata consultazione per gli audio, labellezzadellacura.it.

Leggere a voce alta e ascoltare questa forma di musica significante è una possibilità di scoperta di sé e degli altri, ed è essenziale come respirare. 

Le parole hanno un valore espressivo e curativo, aiutano a fare ordine e a prendere il controllo in situazioni fuori dal nostro controllo. Ascoltare leggere a voce alta ha forti impatti sulla salute degli esseri umani in generale e dei pazienti in strutture sanitarie di vario genere. 

L’approccio metodologico del progetto "la bellezza della cura", rientra nell’ampio filone dell’umanizzazione delle cure, ormai ampiamente riconosciuto dalla comunità scientifica come elemento cruciale per la realizzazione di un sistema sanitario efficace.

Nato come progetto di formazione ECM per le strutture sanitarie dal 2014,  ha offerto strumenti che consentono di sperimentare, senza aggravio del lavoro sanitario e dell’organizzazione ospedaliera e di cura, una vera e propria somministrazione di tracce di musica e parola ai pazienti (in ospedali ed RSA), trasmettendo ad orari fissi tracce audio (dai 5 agli 8 minuti) negli spazi comuni dei reparti e nelle stanze, garantendo in questo modo una presenza discreta di musica e poesia e al tempo stesso sicura e solida nella sua manifestazione uditiva ed emotiva. 

Il progetto ha coinvolto una squadra composta da moltissime persone, attori, musicisti, esperti di registrazione sonora, artisti, poeti, programmatori, grafici e musicoterapeuti. Il sito labellezzadellacura.it è stato poi duplicato in francese labeautedusoin.net portando a coinvolgere lettori madrelingua e poeti, di lingua francese.

In questa sperimentazione sono già tante le ricadute positive ed esperienziali che si traducono in commenti degli operatori sanitari e dei fruitori del metodo. Gli operatori sanitari formati all'uso del metodo sanno che è importante ogni volta che somministrano le tracce, scrivere un diario degli ascolti che arricchiscono l'esperienza e la sua narrazione. Qui di seguito solo uno dei tantissimi esempi:

“Ho fatto ascoltare la traccia di Leopardi con L’infinito e A Silvia, a una residente italiana che conosce a memoria la poesia il sabato del villaggio ed è stato un momento emozionante…non stava più nella pelle, continuando a stare seduta agitava le braccia, batteva le mani e ridendo con gli occhi ha detto: “Oddio che bella”!  Si ricordava alcune parole, ma soprattutto quelle poesie le parlavano. La sua reazione è paragonabile a quella dell’incontro con qualcuno che non vedeva da tempo. Alla fine mi ha detto, sfiorando la sua testa con le mani, “questo mi aiuta a ricordare”. 

Si tratta di un'esperienza in continua evoluzione. Si può evidenziare come i partecipanti ai corsi di formazione e i fruitori delle tracce hanno sentito un senso di universalità, di partecipazione, rilassamento e riflessione su di sé; si è creata un’atmosfera di supporto che molti non vivevano in altre situazioni; ci sono state connessioni molto profonde tra le persone; è stata una bella esperienza alla scoperta delle proprie capacità creative. Ci dice come la poetry therapy (che nel mondo anglosassone è nota fin dagli anni ‘60), sia di supporto e si integra perfettamente con le terapie farmacologiche e tradizionali, e come sia sempre più importante integrare bellezza, arte e metafora nella formazione delle figure fondamentali che sono a stretto contatto con la terapia e la cura (Mazza N., 2019).


“Ero intero e tutte le cose erano per me naturali e confuse, stupide come l’aria; credevo di veder tutto e non era che la scorza. Se mai tu diventerai metà di te stesso, e te l’auguro, ragazzo, capirai cose al di là della comune intelligenza dei cervelli interi. Avrai perso metà di te e del mondo, ma la metà rimasta sarà mille volte più profonda e preziosa. E tu pure vorrai che tutto sia dimezzato e straziato a tua immagine, perché bellezza e sapienza e giustizia ci sono solo in ciò che è fatto a brani.”
(Calvino I., 1957, pag. 57).




Esercitazioni


1. Andate in giro nella vostra città alla ricerca della bellezza, anche quando non è evidente. Annotate questi dettagli di bellezza, fatene un inventario. Che cosa vi colpisce?

2. Trovato un posto che ritenete adatto, sedete e chiudete gli occhi per ascoltare il territorio (se possibile usate una benda per gli occhi). Questo ascolto come vi fa sentire?

3. All'esercizio precedente fate seguire una camminata (se in due, uno sarà bendato uno no), se da soli provate a muovere qualche passo da bendati (occhio alla sicurezza del luogo ovviamente). Che cosa avete scoperto?

4. Tolta la benda, camminate annotando tutto ciò che vedete con una precisione puntuale e dovizia di particolari, bellezza e bruttezza. Sapete distinguere le due? come?

5. Fate nuovamente l’esercizio 1, stavolta ascoltate la traccia del giorno che trovate su labellezzadellacura.it (o labeautedusoin.net), e continuate ad ascoltare il luogo anche quando la traccia è conclusa. che cosa notate?

6. Camminate nuovamente facendo caso a distinguere due percorsi uno molto noto, uno meno noto per andare da A a B. Percepite il ritmo. Conoscete la vostra città?

7. Come suggerisce Marianella Sclavi, “Non abbiate fretta di arrivare alle conclusioni, le conclusioni sono la parte più effimera della ricerca” e “Per divenire esperto nell’arte di ascoltare devi adottare una metodologia umoristica. Ma quando hai imparato ad ascoltare, l’umorismo viene da sé”
(Sclavi M., 2003).



Bibliografia