Laureata in giurisprudenza, ha conseguito il titolo di dottore di ricerca e ha vinto il concorso per ricercatore universitario. Oltre a essere stata assistente di studio presso il CSM, ha maturato negli anni un’ampia esperienza nelle attività di relazione e rappresentanza istituzionali con Ministeri, Amministrazioni centrali, regionali e locali. Ha frequentato master e corsi di perfezionamento in diritto parlamentare e relazioni istituzionali ed è autrice di diverse pubblicazioni scientifiche. Attualmente svolge la propria attività per l’Ufficio Studi e Documentazione del Forum Terzo Settore.
Sommario
Il contributo indaga il legame tra le nozioni di “bene comune”, “beni comuni” e “interesse generale” anche in relazione all’operato del Terzo settore. In particolare, la cura dei beni comuni è uno dei modi con cui si può perseguire il bene comune (oltre che l’interesse generale, secondo quanto disposto dalla Costituzione); il Terzo settore, i volontari e i cittadini attivi tutti che si prendono cura dei beni comuni contribuiscono alla costruzione del bene comune. In questo senso, il bene comune, in quanto insieme di condizioni della vita sociale che consentono alle persone di realizzare il proprio pieno sviluppo, dipende in gran parte proprio dalla produzione, cura e sviluppo dei beni comuni, materiali e immateriali.
Parole Chiave
Bene comune, Beni comuni, Interesse generale, Terzo settore.
Summary
The essay investigates the connection between the notions of “common good”, “common goods” and “general interest” in relation to the Third Sector. In particular, the care of common goods is one of the ways in which the common good can be pursued (as well as the general interest, as provided for by the Constitution). The Third Sector, volunteers and all active citizens who take care of common goods contribute to the construction of the common good. In this sense, the common good, as a set of conditions of social life that allow people to achieve their full development, depends largely on the production, care and development of common goods, both material and immaterial.
Keywords
Common good, Common goods, General interest, Third sector.
Nel “Codice del Terzo Settore” (d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117) la locuzione “bene comune” – che esprime, in linea generale, l’insieme delle condizioni di vita di una società volte a favorire il benessere e il progresso, culturale, spirituale, morale ed economico, di tutti i cittadini – è presente all’art. 1, comma 1 che così riporta:
“Art. 1 – Finalità ed oggetto
Al fine di sostenere l’autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune, ad elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, favorendo la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona, a valorizzare il potenziale di crescita e di occupazione lavorativa, in attuazione degli articoli 2, 3, 4, 9, 18 e 118, quarto comma, della Costituzione, il presente Codice provvede al riordino e alla revisione organica della disciplina vigente in materia di enti del Terzo settore.”.
Questa disposizione definisce oggetto e finalità del Codice, in coerenza con quanto peraltro già disposto dalla delega contenuta nella l. 6 agosto 2016, n. 106: in particolare, il testo della norma è evidentemente costruito in modo tale da rendere assai stringente il nesso tra l’oggetto dell’intervento normativo (nello specifico, il riordino e la revisione organica della disciplina già vigente in materia di enti del Terzo settore) e le finalità in cui risiede il suo presupposto.
Se difatti il legislatore del 2017 ha chiarito che lo scopo del Codice non è introdurre nuove figure giuridiche, bensì svolgere una necessaria opera di manutenzione straordinaria della normativa preesistente relativa ai c.d. enti del Terzo settore, ha anche inteso dare maggiore organicità e coerenza alla disciplina previgente di tali enti sostenendo espressamente l’autonoma iniziativa dei cittadini impegnati per promuovere il bene comune, la cittadinanza attiva, la coesione e la protezione sociale, la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona.
Tale formulazione completa e precisa delle finalità del Codice è quindi densa di concetti che ben rappresentano il patrimonio di valori, esperienze e sensibilità del Terzo settore italiano.
Un patrimonio di rilevanza costituzionale.
Tant’è che risulta tracciato un nesso diretto fra le finalità del Codice e l’attuazione dei principi fondamentali sanciti dalla Carta costituzionale: i diritti della persona, singola e nelle formazioni sociali, e il dovere di solidarietà (art. 2), l’eguaglianza sostanziale dei cittadini (art. 3), il diritto/dovere del lavoro (art. 4), lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica (art. 9), la libertà di associazione (art. 18), il principio di sussidiarietà (art. 118, quarto comma).
Peraltro, tali principi/finalità di rilevanza costituzionale trovano diretta corrispondenza sia negli scopi istituzionali propri degli enti (il perseguimento delle finalità civili, solidaristiche e di utilità sociale), sia nella loro stessa natura soggettiva, di cui il Codice del Terzo settore riconosce all’art. 2 “il valore e la funzione sociale”.
In particolare:
“Art. 2 – Principi generali
È riconosciuto il valore e la funzione sociale degli enti del Terzo settore, dell'associazionismo, dell'attività di volontariato e della cultura e pratica del dono quali espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo, ne è promosso lo sviluppo salvaguardandone la spontaneità ed autonomia, e ne è favorito l'apporto originale per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, anche mediante forme di collaborazione con lo Stato, le Regioni, le Province autonome e gli enti locali.”.
Proprio nell’art. 2 del Codice è difatti esplicito il riferimento al multiforme universo di esperienze associazionistiche, di volontariato, pratica del dono e della partecipazione civica che nel tempo hanno contribuito ad alimentare la vocazione comunitaria e pluralista e la cultura del civismo e della solidarietà quali tratti peculiari della società italiana. E, oltre a riconoscere il valore e la funzione sociale di queste esperienze, la stessa disposizione stabilisce che è compito della Repubblica, in collaborazione con le Regioni, le provincie e gli enti locali, promuoverne lo sviluppo.
Tale ultima previsione richiama quasi testualmente l’ultimo comma dell’art. 118 Cost. e il principio ivi previsto di sussidiarietà orizzontale, in forza del quale “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.”. In altre parole, il principio di sussidiarietà si realizza quando i cittadini si attivano autonomamente per svolgere “attività di interesse generale”, che consistono nella produzione, cura e sviluppo dei beni comuni.
Ciò considerato, supponendo che sia corretto tradurre l’espressione “interesse generale” usata dalla Costituzione con “cura dei beni comuni”, alcuni Autori si sono chiesti se sia corretto considerare la cura dei “beni comuni” come uno dei modi con cui si può perseguire il “bene comune”?
Gli stessi Autori hanno evidenziato che bene comune e beni comuni sono evidentemente concetti diversi, se non altro perché quello di bene comune è un concetto astratto, che in quanto tale non può essere oggetto di diritti, mentre i beni comuni, sia materiali sia immateriali, possono invece essere oggetto di diritti.
Di “bene comune” si possono dare diverse definizioni.
Particolarmente significativo è il riferimento alla Costituzione conciliare Gaudium et Spes (1965) secondo la quale il bene comune è “l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente”.
In una prospettiva laica si può notare una certa assonanza fra questa definizione di bene comune e la formula utilizzata dalla Costituzione all’art. 3, secondo comma, laddove si afferma che “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
Sia pure con diverse prospettive, entrambe le citate disposizioni mirano certamente al raggiungimento di un obiettivo che è la pienezza della persona, lo sviluppo dei suoi talenti, l’affermazione della sua dignità come individuo unico e irripetibile.
E questo, secondo autorevole dottrina, se da un lato coincide con la sopracitata definizione conciliare di bene comune, al tempo stesso è nell’interesse generale anche dal punto di vista costituzionale.
Il pieno sviluppo della persona non è infatti un obiettivo “egoistico”, così come non lo è l’obiettivo di cui all’art. 32 Cost. di garantire a tutti la salute considerata non soltanto un “fondamentale diritto dell’individuo” ma anche un “interesse della collettività “. Infatti, così come è nell’interesse generale vivere in una comunità di persone in buona salute, altrettanto lo è consentire a tutti di poter sviluppare pienamente le proprie capacità, in quanto una comunità di persone pienamente realizzate è una comunità in cui tutti vivono al meglio.
Se dunque al centro del concetto di interesse generale, così come di bene comune, c’è la persona, la sua dignità, le sue capacitazioni, non c’è dubbio che la cura dei beni comuni realizzata dai cittadini attivi, dai volontari e dal mondo del Terzo settore abbia come obiettivo proprio la realizzazione dell’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono alle persone di realizzare il proprio pieno sviluppo.
In altre parole, se dalla qualità dei beni comuni dipende la qualità della vita delle persone, allora “dietro” i beni comuni ci siamo tutti noi: la cura dei beni comuni è uno dei modi con cui si può perseguire il “bene comune” (oltre che evidentemente l’interesse generale, secondo quanto disposto dalla Costituzione) e il Terzo settore, i volontari e i cittadini attivi tutti che si prendono cura dei beni comuni contribuiscono alla costruzione del bene comune.
Come noto, il Terzo settore è l’insieme degli enti privati (associazioni di volontariato, cooperative sociali, organizzazioni non governative, associazioni sportive dilettantistiche, imprese sociali, società di mutuo soccorso, enti religiosi civilmente riconosciuti) che, senza scopo di lucro, promuovono e realizzano attività di interesse generale. Dalla tutela dell’ambiente all’animazione culturale, dai servizi sanitari all’assistenza a persone con disabilità. Vanta oggi una rete particolarmente ricca e vivace in Italia della quale il volontariato rappresenta una delle colonne portanti, espressione autentica della solidarietà e della partecipazione attiva dei cittadini alla vita sociale.
In questo senso, il bene comune, in quanto insieme di condizioni della vita sociale che consentono alle persone di realizzare il proprio pieno sviluppo, dipende in gran parte dalla produzione, cura e sviluppo dei beni comuni, materiali e immateriali e, quindi, dall’azione posta in essere soprattutto dal mondo del Terzo settore e dalla cittadinanza attiva tutta.
Bibliografia essenziale
Arena G., 2011. Interesse generale e bene comune, sul sito web https://www.labsus.org/2011/11/interesse-generale-e-bene-comune/, 1° novembre 2011.
Fici A., E. Rossi, G. Sepio, P. Venturi (a cura di), 2019. Dalla parte del Terzo settore. La riforma letta dai suoi protagonisti, Bari, Laterza.
Frosini T.E., 2008. Sussidiarietà (principio di) (dir. cost.), in Enc. dir., Annali, II.2, Milano, Giuffrè.