Urbanista, saggista e scrittore; già Ordinario di Urbanistica presso Sapienza di Roma, più volte direttore del Dip. di Architettura e Urbanistica e Coord. Naz. del Dott. in Arch. e Urb., si occupa di problemi legati all’ambiente e alle trasformazioni della città. E’ autore di numerosi articoli e libri. Membro del CdA della Fondazione per la Critica Sociale, di diverse redazioni, del C. Scientifico della Rivista “Il Ponte” e della rivista Città Bene Comune di Milano; ha collaborato a Il Manifesto dal 1994 al 2024, a Terzogiornale, all’Oss. Romano e alla Riv. “Volere la luna” e “il Ponte”.
Sommario
La città come Bene comune. Il Bene comune nella storia e tradizione della città.
Parole chiave
Bene comune, città.
Summary
The city as a Common good. The Common good in the history and tradition of the city.
Keywords
Common Good, City.
Bene comune è parola che si è aggiunta al già copioso vocabolario delle parole spendibili per molti usi, come: sviluppo sostenibile, nucleare sostenibile, pace giusta, democrazia partecipata, valorizzazione, ecc.
Anche nella disciplina urbanistica questo genere di manipolazione semantica si è, in tempi recenti, arricchita di nuove espressioni che, dietro una facciata progressista, nascondono intenzioni ambigue se non nettamente regressive. Così è per rigenerazione urbana, housing sociale, bosco verticale, città della gioia, ecc.
Torniamo all’espressione Bene comune che, secondo Wikipedia, risale a Tommaso D’Aquino che nella Summa Theologiae (1265-1274), afferma che: “costituendosi la legge innanzi tutto per riferimento al bene comune, qualsiasi altro precetto sopra un oggetto particolare non ha ragione di legge sino a quando non si riferisce al bene comune. Pertanto tutta la legge si riferisce al bene comune” (T. D’Aquino, Summa Theologiae, Prima Secundae, Quaestio 90, art. 2). Nella chiesa cattolica il bene comune è la salvezza delle anime.
Bene comune significa anche Casa comune, una casa minacciata da una crisi ambientale che distrugge il pianeta. Bene comune, Casa comune, Biosfera, Madre terra, Gaia, Matria, in altre parole, la parte del pianeta che abitiamo e del quale siamo parte. Perché, come diceva un noto filosofo francese, siamo 100% cultura ma anche 100% natura.
Bene comune, nell’Enciclica di Papa Francesco, Laudato sì, è più volte citato quando si parla del cambiamento climatico, e della necessità di riconoscere il clima stesso come supremo bene comune planetario, in considerazione della sua capacità di influenzare tutta la vita sulla Terra.
“Il problema”, afferma Margherita Corona, è “che attualmente chi prende le decisioni rispetto agli interventi da fare sui territori è completamente scollegato dalle comunità che su questi territori vivono e non segue dunque le regole del bene comune ma gli imperativi categorici di far denaro a tutti i costi nel modo più veloce e massimizzato possibile”. (M. Corona, Volere la luna)
Restringendo il campo di ricerca alla città, per Bene comune si intende: l’aria, l’acqua, la bellezza, l’accoglienza, la vivibilità e poi l’istruzione, il verde, gli alberi, l’educazione, la gentilezza, la pietas, il contrasto alla povertà, l’inclusione, la tolleranza, la risposta ai problemi abitativi, la cura dell’urbanità e della qualità urbana dei luoghi, l’attenzione alla convivenza e alla bellezza civile, insomma tutto ciò che rende piacevole la vita in città, che ne esalta le tradizioni e le sue virtù civiche.
In un bel libro di Giancarlo Consonni, l’autore afferma che “non si salva il pianeta se non si salvano le città” (G. Consonni, 2024), in quanto queste ultime costituiscono la più grande impresa collettiva e, dunque, immensi patrimoni delle qualità della vita associativa.
Da Aristotele fino al Seicento, le città sono sempre descritte come convivi umani e non come insiemi di edifici, strade, mura, come noi facciamo ai tempi di oggi. Per Aristotele, infatti, essa, la città, era una maniera per raggiungere la felicità, così come per Torquato Tasso è un modus vivendi che gli uomini si davano per vivere meglio. Giovanni Bottero, sulla scia di Tasso, parla delle città come ragunanza d’uomini ridotti insieme per vivere felicemente.
Fino a tutto il Cinquecento e anche all’inizio del Seicento, la città viene rappresentata come nell’affresco, in Siena, del Buon Governo di Lorenzetti - dove i simboli raffigurati sono la pace, la concordia e la prosperità -, attraverso le sole persone che l’abitavano; solo sullo sfondo apparivano le mura o le merlature di castelli ovvero, l’urbs, l’aspetto materiale, la città di pietra. Detto in altri termini, prima della modernità la città era un’entità immateriale nella sua sostanza.
Con l’avvento del Moderno la città viene rappresentata da modelli spaziali cartografici nei quali scompare la presenza umana che resta esclusa dalla logica cartografica bidimensionale.
La crisi della città in cui ci dibattiamo è tutt’uno con la caduta di tensione all’abitare condiviso e all’urbanità. Questioni e aspetti, questi, quasi assenti nelle nostre città che ora hanno nel loro dna evolutivo la competizione, la spettacolarizzazione, l’individualismo, la delega totale ai rappresentanti eletti, le disuguaglianze, il controllo poliziesco della sfera pubblica, la privatizzazione degli spazi. E in primo luogo l’assurgere della proprietà privata a entità giuridica priva di vincoli, depositaria di una libertà incondizionata a cominciare dallo jus aedificandi che si è affermato come diritto connaturato alla proprietà del suolo.
“Contro le attuali città non c’è solo l’azione devastante delle guerre” (G. Consonni, 2024, pag. 40); c’è l’attacco alla solidarietà, alla convivenza, all’urbanità. La bellezza civile, misura della grandezza sociale, da tempo è stata sostituita da una presunta bellezza che si manifesta in costruzioni spaesate, sradicate dal contesto, autoreferenziali; “caratterizzata dalla stravaganza, dall’eccesso, da una estetizzazione esasperata perché la forma si è ridotta a maschera che mal nasconde il vuoto di significato e di senso” (G. Consonni, 2024, pag. 52).
La città è un Bene comune poiché lo sono le piazze, le strade, gli spazi pubblici, gli edifici per il culto, insomma tutto ciò che concorre all’urbanità, alla vita in comune, al benessere, alla socialità; ciò che potremmo anche chiamare: l’atmosfera urbana. Tuttavia i nostri governanti (gli eletti) praticano politiche di svendita di tali patrimoni nelle nostre città. Afferma l’urbanista Ilaria Agostini che: “La finanziarizzazione, ovvero lo sviluppo urbano trainato dagli investimenti di capitali privati trans-nazionali (i quali, come è nella loro natura, rispondono dei risultati di natura economica delle loro operazioni, senza porsi questioni in merito al benessere degli abitanti), tende ad assoggettare spazio costruito e suoli a una logica prettamente economicista che interpreta spazi urbani ed edifici come prodotti finanziari” (I. Agostini, 2025).
A riprova di questo processo di privatizzazione c’è il moltiplicarsi, ogni anno, di fiere dell’immobiliare dove si incontrano amministratori pubblici della città e capitali finanziari con l’obiettivo di fare investimenti privati sulla città.
Un episodio emblematico è quanto accaduto a Firenze a maggio di quest’anno. I residenti del quartiere di Santo Spirito si sono visti recapitare una lettera di Gucci S.p.A. nella quale si informavano i cittadini di quel quartiere che si sarebbe svolto un evento di Moda, per cui l’accesso alle strade sarebbe stato interdetto (salvo ai residenti!). Così che uno spazio pubblico prezioso (e di pregio) viene sottratto ai suoi abitanti per reclamizzare prodotti di marchi di lusso “trasformando la città in una quinta di cartone” (T. Montanari, 2025) a beneficio di società private.
“Il destino dei contesti urbani” afferma Giancarlo Consonni (pag. 52) “è in prevalenza nelle mani dei grandi fondi finanziari sovranazionali, da un lato, e della selva dei medi e piccoli operatori dall’altro”.
Sono questi processi di privatizzazione che si appropriano di parti della città, con la compiacenza e la complicità degli amministratori che rincorrono eventi “spettacolari” per attirare turisti e trasformano i beni comuni (dei quali dovrebbero godere gli abitanti) in luoghi esclusivi destinati a pochi e ricchi clienti. Senza contare che tali processi sono gli stessi che determinano l’espulsione degli abitanti più deboli verso zone sempre più periferiche con conseguente desertificazione del centro (gentrificazione).
Il risultato di questi processi è la perdita della bellezza (intesa come virtù civica) e di biodiversità, poiché “semplificazione uniformità hanno preso il posto della complessità e della variazione; solitudine ed espressioni narcisistiche hanno surclassato di gran lunga coordinamento e senso della misura: sono questi processi a contrassegnare la rottura con tutta la storia precedente” (G. Consonni, 2024, pag. 25), di cui si è detto sopra.
Il Bene comune diventa così variabile dipendente delle politiche urbanistiche, a loro volta dipendenti dalle forze economiche e finanziarie in campo con il risultato di svilimento della vita pubblica associata e dello stesso senso di fare città. Chiunque oggi abbia attraversato una grande città, sia essa Roma, Venezia o Firenze, ha potuto osservare in prima persona, attraversando le strade del centro, come questo luogo di convivenza civile e di ricchezze architettoniche sia scaduto a luogo di mercato, di compravendite di beni appartenenti agli abitanti in nome di fantasmagoriche modernizzazioni sradicate dalle tradizioni e rispondenti alle sole “regole” di attrarre eventi e turisti come se la città fosse una vetrina, un’esposizione continua al servizio dei clienti più facoltosi.
Servirebbe un’inversione di rotta avendo la consapevolezza che ogni intervento ha delle conseguenze nella costruzione o distruzione della città, nei paesaggi, nella vita associata, nella produzione o distruzione della bellezza civica: “armare la città di convivenza civile: è questa la strada da seguire” (G. Consonni, 2025, pag. 71) per riportare al centro il Bene comune, oggi in svendita.
Bibliografia
Agostini I., 2025. “Quando la città (s)vende se stessa,” in La città invisibile. Rivista per un'altra città, Newsletter 239, 14 maggio.
Consonni G., 2024. “Non si salva il pianeta se non si salvano le città”, Quodlibet, Macerata.
Corona M., 2025. “La biodiversità perduta” in Volere la luna del 12 maggio.
Montanari T., 2025. “Strettamente confidenziale. Il 14 e 5 maggio “chiude” Santo Spirito”, in La città invisibile. Rivista per un'altra città, Newsletter 239, 14 maggio.
Papa Francesco, 2013. “Laudato Sì”, Edizioni Piemme.
Pileri P., 2024. “Dalla parte del suolo. L’ecosistema invisibile”, Laterza Ed., Bari-Roma
Scandurra E., 2025. “Trasformare la crisi climatica in opportunità”, in Volere la luna del 28 aprile, Torino.
Scandurra E., 2024. “Fate riposare la terra”, in Volere la luna del 26 luglio.
Viale G., 2025. “Crisi climatica e adattamento dal basso”, in Info-Comune dell’8 gennaio, Roma.