È stato Direttore Soprintendente del Parco Nazionale d’Abruzzo nel periodo del suo riscatto (1969-2002) e svolge tuttora attività di naturalista, ricercatore, scrittore e giornalista. Titolare del primo Corso d’Italia in Conservazione della Natura e delle sue Risorse presso l’Università di Camerino (1973-1986), Prof. Associato, poi Docente di Ecologia Applicata presso l’Univ. di Napoli e di Economia del Turismo presso l’Univ. di Siena-Grosseto. Ha scritto centinaia di articoli ecologisti, prodotto oltre 30 libri e circa 200 pubblicazioni scientifiche; è stato insignito di importanti riconoscimenti nazionali ed internazionali.
Sommario
Nell’ultimo mezzo secolo, grazie all’impegno del mondo ambientalista in difesa di Madre Terra, e quindi a favore del Bene Comune, l’Italia aveva raggiunto importanti traguardi nella Conservazione della Natura, creando una vasta rete di Aree Protette, tra cui spiccano 25 importanti Parchi Nazionali, e vincendo così la storica “Sfida del 10%” per la tutela di un decimo del Bel Paese. Oggi questo prezioso Patrimonio Naturale, sotto le pressioni di interessi contrari e politici poco lungimiranti, si trova in serio pericolo. Occorre quindi che la cittadinanza si mobiliti in sua difesa per il Bene Comune e per le future generazioni.
Parole chiave
Conservazione della Natura, Madre Terra, Bene Comune, Aree Protette, Parchi Nazionali, Sfida del 10%, Patrimonio Naturale.
Summary
In the last half century, thanks to the engagement of ecologists in defence of Mother Earth, and therefore for the Common Good, Italy reached considerable goals in Nature Conservation, creating a big network of Protected Areas, including 25 wonderful National Parks, and winning the historic 10% challenge to save one tenth of our Beautiful Country (Bel Paese). To-day this precious Natural Heritage, under the pressure of vested interests and politicians without vision, is seriously at risk. It is therefore imperative that the most sensible citizens mobilize to save it, for the Common Good and for future generations.
Keywords
Nature Conservation, Common Good, Protected Areas, National Parks, 10% Challenge, Natural Heritage.
Premessa
Mai come oggi il perseguimento del Bene Comune ha assunto fondamentale importanza, per superare le enormi sfide del nostro tempo, in cui tutti sembrano protesi a soddisfare soprattutto i propri interessi: potere, ricchezza, profitto, successo, narcisismo… È dunque urgente ritrovare gli autentici obiettivi da prefiggersi a vantaggio della collettività, e dello stesso avvenire della terra. Tra le finalità prioritarie spicca la salvaguardia di ambiente, biosfera ed ecosistemi, attraverso la tutela delle aree protette e della biodiversità. Un compito impegnativo, ma non impossibile, la vera strada maestra da imboccare per conservare la vita in armonia con il pianeta. Come aveva preconizzato un fortunato e lungimirante slogan lanciato nel secolo scorso, occorre avere “La Terra in Testa”.
Nell’anno 2022, Centenario dei Parchi Nazionali, il nostro Paese afflitto da una crisi climatica, socioeconomica, sanitaria ed ecologica senza precedenti, aveva ripreso, sia pure tardivamente, ad interrogarsi sul significato e sul ruolo dei Parchi Nazionali. Si tratta di Istituzioni benemerite, molto popolari e rispettate in altri Paesi, ma in Italia ancora non del tutto comprese, e spesso associate soltanto all’idea di vincoli e divieti. Perdendo così di vista l’enorme valore della tutela di territori ancora inviolati, della difesa di aria, acqua e suolo, della salvaguardia di flora e fauna, e della conservazione degli ecosistemi naturali nel loro equilibrio dinamico. Quali sono dunque i sacrifici, e quali i vantaggi collegati a un Parco? Quali i costi, e quali i benefici che ne derivano? In realtà, in un Paese schiavo della mala politica e della asfissiante burocrazia, qualcuno si chiede: sarebbe meglio avere “mille parchi”, oppure “pochi parchi, ma gestiti bene”? Si tratta, in realtà, di un falso problema, perché le due ipotesi non sono certo antitetiche. Si possono avere pochi Parchi, tutti insoddisfacenti: pensiamo all’Italia del “miracolo”, che pur proteggendo soltanto l’1,5% del territorio, lo faceva poco e male: Parchi considerati poco più di Etichette,
Luna-Park o Parking, con Abruzzo e Circeo sfigurati dalla sfrenata speculazione edilizia dei “palazzinari” romani e napoletani. Oppure si possono avere molti Parchi Nazionali, tutti ben condotti, perché considerati il fiore all’occhiello del Paese: pensiamo alla Costa Rica, che difende in modo esemplare il 25% del proprio territorio, attirando da tutto il mondo consistenti flussi ecoturistici. Quando nel 1980 il Comitato Parchi lanciò la storica “Sfida del 10%”, per proteggere almeno un decimo del Bel Paese prima dell’avvento del Terzo Millennio, nessuno credeva che sarebbe stato possibile vincerla. E invece oggi l’Italia può vantare, tra Parchi, Riserve e altre Aree Protette, circa il 20% del territorio sotto tutela. Con alcuni Parchi ben condotti, e molti altri piuttosto discutibili, che occorrerà comunque riportare sulla retta via. È pur vero che l'iter per istituire un Parco appare lungo e complesso… Se poi l’attuazione di ottime leggi è affidata a una burocrazia che eccelle in cavilli, rinvii, fughe da responsabilità e complicazioni degli affari semplici, l’affossamento delle migliori intenzioni è inevitabile. Ma nella crisi dei Parchi ha giocato un ruolo ancor più negativo l’invadenza della mala politica, che li ha considerati comodi trampolini per carriere, e facili strumenti di potere. Quello che in molti casi è mancato, invece, è la figura del manager-naturalista competente, capace di conduzione moderna, creativa e innovativa, che esalti le infinite potenzialità di un’Area protetta. E ancor più latitante è stata la partecipazione sociale alle battaglie d’avanguardia per salvare gli ecosistemi, dato che l’Italia, intrisa di cultura umanistica, ha tardato a prendere coscienza della realtà naturalistica e delle dinamiche ecologiche, da cui in sostanza dipendono la vita e il benessere della nazione.
Effetto Parco
Quello che molti Italiani ignorano, o spesso dimenticano, è lo straordinario “Effetto Parco” che un’Area ben condotta può sprigionare, come dimostrano numerosi esempi in ogni parte del Mondo. Ecco qui esposte in sintesi le caratteristiche fondamentali di un vero Parco Nazionale efficiente:
1) I Parchi non sono zone residuali vincolate, ma Infrastrutture essenziali per un Paese moderno;
2) I Parchi sono vero Presidio di Cultura, Paesaggio, Ecologia, indice della Civiltà della Nazione;
3) I Parchi sono prezioso Marchio di qualità (Brand) di territori emarginati, altrimenti abbandonati;
4) I Parchi garantiscono la ripresa e la Rinascita di ambienti montani ed insulari, oggi dimenticati;
5) I Parchi sono gli Attrattori del Turismo ecologico e fotografico, che rivitalizza gli antichi borghi;
6) I Parchi richiamano Visitatori responsabili di ogni provenienza e stagione, con minimo impatto;
7) I Parchi sono Patrimonio nazionale, di elevato valore, che contribuisce al prestigio dello Stato;
8) I Parchi sono potenti volani di Occupazione diretta, indotta, stagionale, qualificata e dignitosa;
9) I Parchi fermano l’esodo dei giovani, offrendo lavoro come Guide-Interpreti-Custodi-Assistenti;
10) I Parchi sono Fucina di Volontariato internazionale, ponte di conoscenza e di pace tra Popoli;
11) I Parchi rappresentano, con i loro Centri Visita, autentiche Scuole di Educazione Ambientale;
12) I Parchi portano il proprio messaggio nelle Scuole, e le Scuole debbono frequentare i Parchi;
13) I Parchi sono Laboratori di Economia non limitata ma diffusa, e non immediata, ma durevole.
La creazione di un nuovo Parco può offrire infatti una occasione unica di riscatto per territori afflitti da crisi economica, spopolamento, mancanza di lavoro, eccessivo sfruttamento delle risorse, come numerosi esempi concreti hanno dimostrato. E l’attuale crisi ha fatto comprendere quanta importanza rivesta, per Paese come l’Italia ricco di straordinarie attrattive paesaggistiche, storiche, monumentali e naturali, l’apporto di un turismo sano, civile e moderno. La presenza di un Parco Nazionale ben condotto, con la sua immagine e il suo “marchio”, funziona infatti da efficace catalizzatore per un afflusso di visitatori motivato, crescente e pluristagionale, costituito da turismo naturalistico (ecoturismo), fotografico, scolastico, giornalistico, culturale, sportivo, religioso, esperienziale, enogastronomico, e via dicendo.
Missione Natura
Un Mondo migliore sarà possibile solo quando si comprenderà che la “Missione Natura”, che pone come obiettivo prioritario la tutela del pianeta in cui viviamo, è l’unica via di salvezza per un’umanità irresponsabile, in discesa libera verso abbrutimento, materialità e auto-dissoluzione. Occorre allora cogliere i segnali positivi, irradiati dallo spirito migliore della società contemporanea. Ne indicheremo in sintesi qualcuno dei più importanti e significativi per il futuro della vita sulla terra:
1.- UK.- Dopo un secolo di declino della biodiversità, della flora, della fauna, e di attacchi
agli ecosistemi, la Gran Bretagna ha deciso di compiere un grande passo avanti, ritornando alla conservazione della natura, al motto “Save Nature Now”, prefiggendosi di proteggere almeno il 30% di territorio e di mare entro l’anno 2030.
2.- UNEP-UNESCO.- Attualmente solo il 7% dei mari e degli oceani del pianeta è tutelato, mentre il resto è pesantemente sfruttato, riducendo sempre più la vita marina. Le Organizzazioni internazionali puntano alla creazione di almeno il 30% di Parchi e Riserve, essenziali per la riproduzione e la ripresa della biodiversità, e per l’incremento della produttività del mare.
3.- UE.- L’Unione Europea ha destinato alle Aree Protette ingenti fondi, ponendo come obiettivo imperativo del Programma Biodiversità la protezione del 30% del continente. Riconoscendo che Parchi e Riserve sono fattori attivi di contrasto al cambiamento climatico, sostegno alle zone interne e peri-urbane, e spazi naturali preziosi per la salute e l’equilibrio psicofisico.
4.- USA.- Il Governo ha stimolato gli Americani a unirsi nella missione comune di conservare e restaurare almeno il 30% delle terre e delle acque entro l’anno 2030. Un obiettivo ambizioso, che mira a salvare l’ambiente da cui dipendiamo, difendere la qualità di ciò che mangiamo e beviamo, combattere il cambiamento climatico, e offrire a ogni giovane americano la possibilità di godere delle meraviglie della natura. Manifestando anche la volontà di sostenere la gente e le comunità che si impegnano su base volontaria per la conservazione.
5.- ITALIA.- In conclusione, se nel 1980 il Comitato Parchi aveva lanciato, e poi vinto, la “Sfida del 10%”, perché almeno un decimo del Bel Paese fosse protetto all’avvento del Terzo Millennio – una sfida che sarebbe poi diventata, al Congresso UICN di Bali del 1982, l’obiettivo planetario -, oggi il Centro Parchi Internazionale ha lanciato l’ambiziosa “Sfida del 30%”. Con la quale intende tutelare, entro l’anno 2030, circa un terzo delle terre e delle acque, con una articolata strategia: estendere progressivamente, e rafforzare, la rete dei Parchi Nazionali e delle Riserve Naturali; e poi, anche al di fuori delle Aree Protette, sostenere ogni impegno delle comunità locali in difesa della natura, attraverso corridoi biologici, ricostituzione degli ecosistemi, politiche e normative lungimiranti a favore della biodiversità. Perciò il Centro Parchi Internazionale, nella primavera 2021, aveva lanciato il “Progetto Centenario” per la rinascita dei Parchi Nazionali del Bel Paese, riscuotendo crescente interesse e molteplici adesioni alle proposte di istituzione dei nuovi Parchi. Come l’attesissimo Parco Nazionale dell’Amiata, la “Montagna Sacra degli Etruschi”, considerato prezioso volano di riequilibrio territoriale, culturale, ecologico, socio-economico e demografico, in un’Italia mai come oggi di fronte a scelte fondamentali per il futuro. Obiettivo che il nostro Paese sta ora cercando, sia pure tra molte difficoltà, di raggiungere. L’ultima tappa significativa è stata (finalmente!) la recentissima istituzione del Parco Nazionale del Matese, il 25° Parco d’Italia, nell’omonima, poco nota, ma splendida, catena montuosa a cavallo tra Molise e Campania.
Al soccorso del Territorio
Ma naturalmente il problema ambientale non si risolve soltanto attraverso le Aree protette, perché occorre ampliare lo sguardo a tutto il territorio, agli ecosistemi naturali, e all’intero Pianeta Terra. Nell’attuale situazione, possiamo dire di essere ormai al momento della verità: se vogliamo davvero uscire dalla crisi, sarà necessario che almeno una buona metà del Paese (e del Pianeta) non venga antropizzata, devastata, cementificata, “mineralizzata”: in altre parole resa sterile e improduttiva. Se vogliamo avere acqua, aria, cibo e vita normale, dobbiamo impegnarci a salvare gli ecosistemi terrestri e marini dell’altra metà. E soprattutto, vanno lasciate intatte sia le foreste primarie, naturali e seminaturali, che le acque oceaniche, che sono le vere sorgenti, e l’autentico carburante inesauribile che alimenta la vita.
Molti si chiedono se il modello italiano - Parchi parzialmente abitati e antropizzati, con attività economiche e turistiche al loro interno – possa risultare accettabile, rispetto ad alcuni modelli americani, che propugnano una wilderness integrale. Si tratta di un dilemma fondamentale, che va affrontato e risolto non con opposti estremismi, ma con sensibilità, gradualità e flessibilità. Senza dimenticare che il nostro non è un continente ricco di terre vergini, e che l’Italia è un Paese di antica civiltà, densamente popolato e intensamente vissuto.
Oggi va riconosciuto che la validità dell’esempio italiano è stata confermata dal successo di esperienze ben note e inconfutabili, come quella del Parco Nazionale d’Abruzzo nel periodo d’oro. Le quali avevano dimostrato che dove si praticava la conservazione più attenta, come a Civitella Alfedena, la gente non pativa vincoli e sacrifici, ma godeva di benessere e qualità della vita superiori, aprendo nuove attività economiche, con notevoli possibilità di occupazione.
Un successo dovuto al metodo della Zonazione, che applica le regole della conservazione in modo intelligente e articolato, da un minimo nei centri abitati ad un massimo nelle Riserve Integrali (alle quali andrebbe sempre destinato almeno il 20% del territorio). In questo modo, il Borgo svolge il ruolo di base di partenza e soggiorno per la visita al Parco, e la comunità locale si dedica all’accoglienza, all’assistenza e alla guida dei visitatori, diventando la più motivata custode della natura protetta.
Ma non va dimenticato che oggi anche i Parchi americani, sempre più affollati, non sono più pura wilderness, e sarebbe sufficiente una visita a Yellowstone, Grand Canyon, Mount Rainier o Yosemite per rendersene conto. Qualcosa che non tutti sanno, infatti, è che già da molto tempo specialisti americani, per fronteggiare adeguatamente il crescente afflusso di visitatori, hanno visitato il Parco Nazionale d’Abruzzo, in modo da osservare con i propri occhi la situazione, e imparare come può essere organizzata la convivenza tra uomo e natura.
In definitiva, quella della Riconciliazione con la Natura rappresenta oggi la vera Strada Maestra da imboccare. Infondendo maggiore energia ai Parchi e alle Riserve esistenti, ma promuovendo anche la creazione di nuove Aree Protette, sia terrestri che marine. Riprendendo e rinvigorendo, così, l’ambiziosa e lungimirante “Missione Natura” delineata e perseguita nel secolo scorso, e riconoscendo che l’autentica vocazione del Bel Paese” è quella di rappresentare, nel cuore del Mediterraneo e dell’Europa, “Una Terra di Parchi Verdi” circondata da “Un Mare di Parchi Blu”.
Ecoturismo per riscattare le zone interne
In Italia a trainare l’economia può essere, come si sta tardivamente comprendendo, un turismo rispettoso dei luoghi e apportatore di vero benessere alle popolazioni locali. Negli ultimi anni, infatti, il movimento turistico nel nostro Paese è cresciuto a ritmo incalzante, fino a creare problemi per le presenze eccessive nelle località più ambite, come Roma, Firenze, Venezia, Dolomiti, Laghi alpini, Costiera Amalfitana, Salento, e via dicendo. Un turismo che indubbiamente apporta notevoli benefici, ma che se non viene controllato e regolamentato rischia di causare anche seri danni. Come un abbraccio troppo soffocante, che minaccia la conservazione dei luoghi amati, e la stessa qualità della visita. La soluzione ideale sarebbe, evidentemente, che questi consistenti flussi turistici fossero indirizzati anche verso le zone interne, ricche di attrazioni, ma oggi troppo spesso trascurate o sottovalutate. Ma in che modo sarebbe possibile? Anzitutto, facendone conoscere le straordinarie caratteristiche talvolta ignorate. E soprattutto, includendo la località in una meta più ampia, di grande richiamo internazionale, quale un Parco Nazionale adeguatamente organizzato e promosso. Gli esempi concreti di quanto un’Area Protetta può catalizzare l’attenzione del pubblico e stimolarne la visita davvero non mancano, dal Gran Paradiso ai Laghi di Plitvice, e dal Coto Doñana alle Gole di Samaria... Fino a località subdesertiche come la lontana Cappadocia, che incredibilmente si dimostra capace di attrarre ogni anno oltre 2 milioni di visitatori delle più varie provenienze. Per non dire del caso ben noto del Parco Nazionale d’Abruzzo, dove un piccolo borgo sconosciuto, Civitella Alfedena, balzò a suo tempo all’onore delle cronache per l’altissimo livello dei risparmi individuali, che addirittura superavano quelli degli abitanti del triangolo industriale. Quale magica strategia aveva potuto compiere un simile miracolo? Non si trattava, come qualcuno volle credere, di rimesse degli emigrati o di traffici clandestini... Semplicemente, vi era stato creato un Centro Natura dedicato al Lupo appenninico, con adiacente Area Faunistica, dove un branco di questi predatori poteva essere ammirato e fotografato in semi-libertà. Un fenomeno geopolitico che ogni zona interna montana economicamente debole, afflitta da spopolamento, dovrebbe prendere in seria considerazione, per attrarre dalle zone forti metropolitane, litoranee e industriali, robusti flussi di ecoturismo portatori di benefici economici, sociali e culturali. In altre parole, fu proprio il temuto ma affascinante “lupo cattivo” a far rinascere il paesino agonizzante, e a salvare i giovani altrimenti costretti ad emigrare.
Per riscattare i paesi tra le montagne, quelli che il “paesologo” Franco Arminio definisce “l’Italia intensa, piena di sacro”, sarà necessario riscoprire il valore delle comunità e culture locali, rianimare la vita dei borghi, promuovere l’accoglienza dei visitatori e coinvolgere i giovani, offrendo loro nuove occasioni di lavoro. Per far sì che non siano costretti a fuggire altrove per trovare dignitosa occupazione, ma si rendano conto di poter
prosperare a casa propria, coltivando le antiche tradizioni e rilanciando i prodotti tipici, come in varie parti d’Italia recenti esperienze innovative hanno spesso dimostrato. Formando un pacifico esercito di Guide Naturalistiche, interpreti competenti dell’ecosistema e fedeli custodi della biodiversità e della bellezza. Ma anche pronti a fungere da Assistenti turistici dei visitatori, capaci di introdurli nella realtà rassicurante dei borghi e delle comunità locali, facendo scoprire una realtà mille volte migliore della rumorosa e frenetica vita metropolitana, della triste solitudine delle periferie, e del tempo perduto senza scopo.
Questo presuppone un cambiamento radicale, con un graduale ribaltamento della scala di valori tradizionale, che aveva sempre accettato, quasi senza rendersene conto, la spoliazione delle ricchezze del comprensorio. La storia insegna infatti che la gente della montagna è stata troppo spesso sfruttata e colonizzata dalla gente della pianura, la quale si è appropriata delle sue risorse – minerarie, boschive, idriche, geotermiche – senza lasciare alcunché di utile per l’avvenire del territorio e della popolazione.
La soluzione virtuosa va invece trovata proprio in una strategia opposta, che blocchi la rapina di risorse naturali, e si impegni nella salvaguardia del patrimonio naturale e culturale dei borghi grandi e piccoli, vera ricchezza insostituibile finora mai abbastanza apprezzata e valorizzata. Ricordando le parole premonitrici di un personaggio lungimirante come Bernhard Grzimek: “Nei prossimi decenni e nei prossimi secoli gli uomini non andranno più a visitare le meraviglie della tecnica, ma dalle città aride migreranno con nostalgia verso gli ultimi luoghi dove vivono pacificamente le creature di Dio. I Paesi che avranno salvati questi luoghi verranno benedetti e invidiati dagli altri, perché saranno la meta di fiumi di turisti. La natura e i suoi liberi abitanti non sono come i palazzi distrutti dalla guerra. Questi si possono ricostruire, ma se la natura sarà annientata, nessuno potrà farla rivivere”.
“Forse si arriverà finalmente a comprendere – aggiungeremo noi – che in questa epoca tanto povera di valori ideali, di cultura e di ispirazione artistica, i veri monumenti da perpetuare intatti al domani non sono rappresentati da manufatti e prodotti dell’uomo, ma da ciò che resta dell’antica creazione della natura”. Perché un Parco Nazionale rappresenta oggi una preziosa Arca di Natura Protetta per il futuro, ma è sicuramente molto di più. Esso può essere anche un poderoso meccanismo di pianificazione e promozione, un essenziale fattore di crescita culturale e socioeconomica, e un efficace strumento di strategia politica verso il solo obiettivo perseguibile, l’ecosviluppo. E può guidare la società contemporanea, dopo i molti disastrosi errori del passato, con la forza e la verità della natura, sulla via giusta per recuperare un armonioso rapporto con il proprio ambiente.
Per fortuna, non mancano oggi segnali significativi di una progressiva presa di coscienza del fatto che la missione da perseguire per un sano e prospero avvenire non risieda nello sfrenato saccheggio dell’ambiente, ma nella sua conservazione oculata e responsabile. Da un lato infatti si moltiplicano gli sforzi per sottrarre i boschi allo sfruttamento eccessivo, e dall’altro sono sempre più numerosi i Rifugi Naturalistici, territori in cui sono gli stessi
proprietari ad optare per una conduzione ecologica rispettosa della natura. Per concludere, ci piace ricordare un pensiero ambientalista, in cui il fervore scientifico e protezionistico si sposa con la poesia: “Vi sono luoghi tranquilli, frammenti di terra vergine scampata per miracolo alle ruspe e al cemento. Come natura primitiva, non richiedono miglioramenti: debbono restare integri... messi da parte per l’arricchimento e la gioia che si può trarne ammirandoli in punta dei piedi, o semplicemente sapendo che luoghi come quelli esistono... ancora”. E non è questo puntare al “Bene Comune”?
Effetto generale sull’ambiente
Come è noto, la strategia dell’Unione Europea punta al disinquinamento e all’aria depurata entro il 2030, ma occorrerà una azione ancora più decisa, come risulta dai suoi ultimi Rapporti ufficiali. Gli obiettivi di “Inquinamento Zero e Aria Pulita entro l’anno 2030” vengono qui espressi nel dettaglio:
· Ridurre di oltre il 55% l’impatto sulla salute (morti premature) dell’inquinamento atmosferico;
· Ridurre del 30% la percentuale di persone cronicamente disturbate dal rumore dei trasporti;
· Ridurre del 25% gli ecosistemi dell’UE in cui l’inquinamento atmosferico minaccia la biodiversità;
· Ridurre del 50% l’uso di pesticidi chimici più pericolosi;
· Ridurre del 50 % la vendita di antimicrobici per gli animali da allevamento e per l’acquacoltura;
· Ridurre del 50% i rifiuti di plastica in mare;
· Ridurre del 30% le microplastiche rilasciate nell’ambiente;
· Ridurre significativamente la produzione totale di rifiuti.
Questi Rapporti mostrano che le politiche dell’UE hanno già contribuito a diminuire notevolmente l’inquinamento atmosferico, l’uso di pesticidi e i rifiuti di plastica in mare. Tuttavia, i livelli di inquinamento sono ancora troppo elevati, in particolare a causa del rumore nocivo, delle emissioni di microplastiche nell’ambiente, dell’inquinamento da nutrienti e della produzione di rifiuti.
Ciò che appare evidente è che gli sforzi, pur lodevoli, delle Istituzioni – non solo Unione Europea, ma anche Stati, Regioni, Provincie, Comuni e via dicendo – non sono sufficienti a fronteggiare la crisi ambientale: non riescono a limitare l’inquinamento, la contaminazione degli ecosistemi, la perdita di biodiversità, l’alterazione del paesaggio e la devastazione del territorio.
Cosa fare allora per garantire il Bene Comune? Come conservare la ricchezza del Creato? Sarà possibile scongiurare la rovina del Patrimonio Naturale?
Queste sono le domande che si sono sempre poste le persone ecologicamente più sensibili e attente al futuro dell’umanità, degli esseri viventi e del pianeta stesso. Non è facile trovare una risposta sicura, e le soluzioni escogitate appaiono spesso volenterose e apprezzabili, ma in ogni caso inadeguate. Né sembrano capaci di operare meglio i poteri attualmente dominanti: politico, accademico, mediatico, burocratico, tecnologico. Forse, se una soluzione esiste, va ricercata in quel mondo oggi sottomesso e manipolato, indifferente e sfruttato, che è “Il Popolo Sovrano”, al quale in verità spetterebbe l’ultima parola sul proprio destino. Qualche segnale positivo non manca, sia sul piano collettivo che su quello individuale, ed è proprio in questa direzione che occorrerà spingersi, per far tornare in primo piano il perseguimento del Bene Comune.
Sul piano collettivo, va considerato che se la comunità si lamenta, spesso giustamente, delle decisioni poco illuminate di quanti detengono il potere, le andrebbe però ricordato che a riverirli, eleggerli e mantenerli nelle stanze del “Palazzo” sono stati gli stessi cittadini, con le loro scelte, la loro indifferenza e la loro inerzia. Un cambiamento pacifico, almeno graduale, è auspicabile: ma sarà possibile soltanto attraverso la crescita culturale, la maturazione politica, la cooperazione sociale e il risveglio della coscienza e della responsabilità comune.
Sul piano individuale, invece, cambiamenti significativi potranno avvenire solo quando ciascuno si renderà conto che le decisioni da prendere non possono prescindere dai valori morali, e debbono quindi fondarsi sull’etica, a sua volta ispirata ai principi religiosi e a “comandamenti” oggi troppo spesso dimenticati. In questo senso, appare convincente l’appello, sintetico ma efficace, ad agire per il Bene Comune “secondo scienza, conoscenza e coscienza”. Un appello che, pur senza ignorare i “dati scientifici”, abbia sempre come bussola il “buonsenso”, e non dimentichi mai la “dimensione spirituale”.
Restaurare la Natura
Secondo le ultime analisi, l’80% degli ecosistemi naturali d’Europa versa in pessime condizioni, a causa dello sfruttamento intensivo dei mari e del territorio. Nell’ultimo decennio è sparito l’80% degli insetti, a causa delle coltivazioni intensive, dell’uso di pesticidi, della carenza di nutrimento, dell’inquinamento elettromagnetico e della crisi climatica: e senza di loro la catena alimentare si sfalda e la piramide ecologica crolla. Mancando la loro opera di impollinazione, essenziale per il 75% delle piante alimentari, l’agricoltura collassa e la produzione di frutta va perduta. Ma a livello mondiale la situazione non è meno preoccupante, e da qualche tempo si sta sempre più affermando non solo la necessità di arrestare questa rovina ecologica, ma anche l’urgenza di compensarla, ricostituendo gli ecosistemi. Restaurare la natura è possibile, e sta diventando quindi uno degli obiettivi prioritari dell’umanità. Come aveva previsto con lungimiranza, nell’anno 1992, lo scienziato Edward Osborne Wilson, affermando che “The next century will, I believe, be the era of restoration in ecology” (= Il prossimo secolo sarà, io credo, l’era del restauro ecologico).
Sempre più numerose sono, infatti, accanto alle attività di conservazione della natura, le iniziative di “re-wilding” (= rinaturalizzazione), che puntano al ripristino degli ecosistemi, salvando dalla estinzione le specie minacciate, o reimmettendole progressivamente nei loro ambienti originari.
Si tratta spesso di imprese individuali di coraggiosi pionieri, che hanno assicurato grandi risultati a beneficio della collettività, e che andrebbero ricordati come veri “Benefattori dell’Umanità”. In molti casi sono imprese ben note, come il salvataggio dello Stambecco alpino e del Camoscio d’Abruzzo, della Vigogna e dell’Orice d’Arabia, del Condor della California e della Foca monaca. Ma altre volte, iniziative di straordinaria importanza sono ignorate, e meriterebbero invece di essere ricordate, celebrate, studiate ed imitate. Come la straordinaria impresa dell’australiano di origine italiana Tony Rinaudo, il “Creatore di Foreste” che ha ideato un metodo di rigenerazione verde nelle zone aride, denominato FMNR, Farmer Managed Natural Regeneration (= Rigenerazione naturale gestita dai contadini), facendo così rinascere “La Foresta invisibile”, il reticolo di radici e semi sotterranei sopravvissuto al deserto. Dall’Africa all’America Latina, ha ricreato milioni di alberi, 250 milioni nel solo Niger, con enormi benefici per il clima, la natura, l’agricoltura e le comunità locali. Nello sforzo di dominare la natura, infatti, l’uomo aveva dimenticato che tutta la vita sulla terra dipende da un ambiente sano e funzionante. Ecco perché, anziché continuare a distruggere il Manto Verde del pianeta, noi dovremmo proteggerlo, estenderlo, ricostituirlo, in modo da godere con parsimonia dei suoi incommensurabili benefici.
Diritto alla Natura
Negli ultimi decenni, accanto agli incontestabili “Diritti dell’Uomo” hanno incominciato ad affacciarsi alla ribalta i “Diritti degli Animali” prima, e poi “I Diritti degli Alberi”. Eppure questo non ha impedito che la strage di alberi continuasse, non solo in boschi, foreste e selve, ma anche nei parchi, giardini e nelle zone urbane e periurbane. Una situazione diventata sempre più intollerabile, che ha portato i cittadini alla ribellione, costituendo comitati attivi, producendo esposti, ricorsi e denunce, e spesso organizzando manifestazioni pubbliche di persone indignate di fronte all’arroganza della politica, al silenzio dei media e alla complicità dei cosiddetti tecnici ed esperti.
Esemplare il caso del Ricorso ex articolo 700 del Codice di Procedura Civile, presentato al Tribunale di Roma per richiedere un provvedimento d’urgenza contro le “capitozzature” e gli ”abbattimenti” degli alberi effettuate dal Comune, con “pregiudizio imminente e irreparabile” del “decoro” stradale, nonché della “fruizione” dei benefici ecologici degli alberi, dal “disinquinamento” dell’aria all’“abbassamento” della temperatura, negli ultimi anni sempre crescente, e prevista in forte aumento per la prossima estate. Un Ricorso ben argomentato e sostenuto da Giuristi del calibro del Professor Paolo Maddalena, Vice Presidente emerito della Corte Costituzionale, che ha messo in evidenza, oltre alle fondate motivazioni, anche l’incontestabile Legittimazione ad agire da parte dei cittadini, titolari di un diritto reale di “uso pubblico” delle strade di cui si tratta, diritto la cui lesione può ben essere fatta valere in sede giudiziaria. Il Ricorso ha posto in evidenza che la causa dei gravissimi danni va individuata nel modo in cui il verde urbano viene gestito dall’Amministrazione comunale, la quale opera in base ad un principio errato, detto della “riqualificazione-alberature”: secondo cui la sostituzione di alberi rigogliosi maturi con nuovi alberelli sarebbe benefica. Un principio assolutamente smentito dalla botanica, dato che gli alberi hanno una durata di vita prolungata, e l’apporto dei loro benefici ecologici aumenta con la loro crescita, e con la maggiore capacità di assorbire gli elementi inquinanti presenti nell’aria, produrre ossigeno, ombra e frescura, favorire la vita e la nidificazione degli uccelli, e più in generale la biodiversità, nonché moderare il clima e il deflusso idrico. Quel che è certo è che, in base a questo erratissimo principio, Roma Capitale è stata devastata, e privata della ricchezza arborea, che non solo produce questi benefici ecologici, ma offre anche incomparabile “bellezza” e “decoro” alla Città. Un danno evidente sul piano ambientale e paesaggistico, idrogeologico, climatico, ecologico e naturalistico. Altro elemento di danno per i residenti nelle strade in cui sono stati effettuati tagli e abbattimenti di alberi consiste nel fatto che, compromettendo il “decoro” e l’“amenità” delle strade, questi interventi comportano una sensibile diminuzione del valore degli immobili. Inoltre, l’illogico e immotivato taglio di alberi incide sul diritto fondamentale alla “salute”, bene primario del singolo cittadino e dell’intera comunità. Il diritto alla salute è tutelato dall’art. 32 della Costituzione, in cui si legge che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, e che sulla base di questa norma, in collegamento con l’art. 3 della Costituzione, la Corte di Cassazione sancì, con la sentenza n. 5172 del 1979, il “diritto all’ambiente salubre”. Con riferimento al diritto alla salute, è opportuno ricordare che il novellato art. 41 della Costituzione ha posto come limite all’iniziativa economica privata appunto la salvaguardia della salute. Vi si legge infatti che “l’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
Se ne deduce che ad essere impunemente conculcati, oggi, sono proprio i diritti fondamentali degli individui e delle collettività, quelli che potremmo sinteticamente comprendere nella definizione generale di “Diritto alla Natura”. Che significa anche Diritto all’Ambiente, alla Salute, alla Vita.
Conclusione
Nella ricerca della via maestra per conseguire il Bene Comune, resta dunque in primo piano il rapporto tra Uomo e Ambiente. Natura Madre o Matrigna? Dominio assoluto, o convivenza armoniosa? Sfruttamento senza limiti, oppure custodia responsabile?
La soluzione del dilemma va trovata nella sapienza antica, ricordando le parole del profeta Isaia: “Ed io vi ho portato in un paradiso, per mangiarvi dei frutti squisiti. Ma voi avete
profanato la terra, avete reso la mia eredità abominevole”. E non meno significativi appaiono lo stupore, la meraviglia e la gioia che ispirarono San Francesco nel suo Cantico delle Creature: un messaggio di lode della terra, che indicava chiaramente la strada da seguire, ma che troppo spesso è stato dimenticato, violentando la natura per l’egoismo umano, lo sfrenato potere e il delirio di onnipotenza.
Fino a che, a sorpresa del mondo, un pontefice venuto da lontano, Papa Francesco, ha voluto richiamare l’attenzione su questo fondamentale indirizzo di civiltà, con l’enciclica “Laudato sì…”. Per ricordare che la terra è la “Casa Comune” in cui tutti abitiamo, e che abbiamo il sacro dovere di amare e rispettare. Purtroppo individui e nazioni, impegnati in conflitti e guerre, corse agli armamenti e assalti alle risorse naturali, non sembrano ancora comprendere l’altezza e il valore di questo messaggio. E continuano, irresponsabilmente, a devastare la biosfera e gli ecosistemi base della loro esistenza. Ma quando si renderanno conto finalmente che occorre cambiare rotta, per non affondare nell’oceano della catastrofe ambientale?
Un vigoroso appello giunge ora dal nuovo Papa Leone XIV, che continua nel magistero e nella tutela dell’ambiente, sulla scia del suo predecessore. Affermando che “il dominio sulla natura” non deve essere “tirannico”, ed auspicando “un rapporto di reciprocità”. Questo vuol dire, in parole povere, non rapinare e prendere sfrenatamente dalla natura, ma anche limitarsi nel consumi, dare e restituire per rispetto all’ambiente, alle altre creature viventi e a chi verrà dopo di noi.
Quale sarà la risposta a questa esortazione? Assisteremo a un pronto e deciso cambio di rotta? Questa è la vera sfida del futuro, e la soluzione del dilemma dipenderà da ciascuno di noi.