La sughereta di Sirividola in una mattina di nebbia (Riserva Naturale di Monte Catillo)
Laureata in Scienze Biologiche presso l’Univ. degli Studi di Roma "La Sapienza" e specializzata in “Genetica Applicata”, ha collaborato per alcuni anni con il Dip. di Biologia ambientale di Roma e ha insegnato Scienze presso le scuole superiori. Dal 1998 è funzionario Biologo presso la Città metropolitana di Roma Capitale. Ha coordinato l'Ufficio SITA (Sistemi informativi Territoriali Ambientali) del Servizio aree protette e alcuni progetti di studio e di conservazione ambientale come il “Merro Scientific Project 2007-2009”, e in qualità di Project Manager il Progetto LIFE+ 2009 RICOPRI "Ripristino e Conservazione delle Praterie aride dell'Italia centro-meridionale". Dal 2016 è referente della Riserva Naturale di Monte Catillo, Città metr. di Roma Capitale, con il compito di coordinamento tecnico e scientifico dell'Area e di responsabile della comunicazione, della promozione e delle attività di educazione ambientale.
Sommario
L’ambiente naturale rappresenta un bene comune, anzi si potrebbe dire “il bene comune” per antonomasia. Quando la gestione di questo bene si traduce nella pratica, come ad esempio nell’amministrazione di un’area naturale protetta, emerge chiaramente la complessità di fattori da affrontare. In questo breve scritto si riporta l’esperienza della gestione della Riserva Naturale di Monte Catillo, piccola area protetta nel territorio metropolitano di Roma.
Parole chiave
Aree naturali protette, monitoraggi naturalistici, gestione delle minacce, educazione ambientale, comunicazione e sensibilizzazione.
Summary
The natural environment represents a common asset, or rather one could say “the common asset” par excellence. When the management of this asset translates into practice, such as in the administration of a protected natural area, the complexity of factors to be addressed clearly emerges. This short article reports the experience of managing the Monte Catillo Nature Reserve, a small protected area in the metropolitan area of Rome.
Keywords
Protected natural areas, nature monitoring, threat management, environmental education, communication and awareness raising.
Introduzione
Monte Catillo è un nome che evoca storie antiche, storie legate alla fondazione dell’antica Tibur, l’attuale città di Tivoli.
Infatti, Tibur e Catillo erano i figli del colono greco Catillo senior, che conquistò questo territorio fondando la città nel lontano 1215 a. C. E questo monte, che in realtà è un rilievo collinare avendo un’altitudine di 350 mt, domina da sempre la città di Tivoli e dà il nome alla Riserva naturale di Monte Catillo, che si sviluppa per 1320 ettari interamente compresi nel territorio comunale della stessa città.
L’istituzione di ogni area protetta nasce sempre da qualche specifica motivazione e nel caso della Riserva naturale di Monte Catillo la sua creazione, nel 1997 con la Legge della Regione Lazio n. 29, trova fondamento nell’incredibile, se rapportata alla sua estensione tutto sommato non così grande, ricchezza in biodiversità vegetazionale e botanica.
Il segreto di tale ricchezza sta nella particolare posizione geografica di questi rilievi collinari, a metà strada tra le prime propaggini dei preappennini e la pianura romana, con un orientamento sud/nord, che consente di passare da ambienti più caldi ad ambienti più freschi, permettendo a specie tipiche della macchia mediterranea di mescolarsi a specie di origine balcanico/orientale. Si percepisce la biodiversità presente già camminando per pochi chilometri lungo i sentieri della Riserva. Anche senza specifiche competenze naturalistiche si comprende la varietà di formazioni arbustive, di garighe, di prati e di boschi di composizione completamente differente tra loro. Bastano poche centinaia di metri di cammino e l’ambiente circostante cambia di continuo.
Questa area protetta, che a ragione può essere definita uno scrigno naturale ricco di bellezza, immancabilmente affascina i visitatori offrendo la possibilità di essere apprezzata a diversi livelli: dall’escursionista, amante dei panorami e dei colori della natura nelle diverse stagioni, fino all’appassionato naturalista che potrà ammirare tante rarità e specie protette. Anche a livello didattico la Riserva di Monte Catillo risulta essere perfetta e prediletta a diversi livelli per le attività di educazione ambientale, coinvolgendo studenti dai primi anni scolastici fino ai corsi universitari.
La gestione di questa Riserva, come di ogni area protetta, comporta un ventaglio estremamente diversificato di interventi e attività non immediatamente percepite da chi visita l’area. Oltre alla cura per la manutenzione, per l’accessibilità e per la qualità dei sentieri, occorre proteggere dalle minacce, gestire le criticità, custodire la biodiversità, monitorare tutte le specie che accoglie, educare la cittadinanza, a partire dai più piccoli, a vivere la Riserva rispettandola. Questo e altro è il ruolo dell’Ente gestore attivando tutte le sinergie possibili con le realtà locali, enti pubblici, enti di ricerca e associazioni. Dal 1997 la Città metropolitana di Roma Capitale, prima Provincia di Roma, è impegnata in questo ruolo di tutela e valorizzazione investendo risorse umane, strumentali, economiche.
Valorizzare un’area protetta attraverso gli studi scientifici
Per poter gestire un bene comune è necessario in primis conoscerne le peculiarità. Dopo l’istituzione di un’area protetta inizia una fase di studio per approfondire le motivazioni che hanno portato alla sua creazione e per acquisire un quadro conoscitivo sui vari aspetti che connotano quel territorio: geologico, zoologico, botanico, storico, culturale, ecc.
La ricchezza del paesaggio della Riserva non si limita alla presenza della sughereta. Il recente aggiornamento della carta della vegetazione ha evidenziato circa 20 diverse tipologie di comunità secondo il codice EUNIS (European Nature Information System) che creano un complesso mosaico. Alcune comunità presenti, comunque, non trovano alcuna corrispondenza con questo sistema di classificazione proprio per le peculiarità biogeografiche della Riserva per cui per queste tipologie di vegetazione si è fatto riferimento a livelli più generali di classificazione EUNIS. Ad esempio, non esiste un codice che identifica la sughereta con presenza di storace, come pure per la vegetazione di pseudomacchia che vede specie di macchia mediterranea frammiste a specie balcanico/orientali. L’elevata biodiversità che ne deriva può essere apprezzata banalmente anche solo osservando la commistione di colori e di poligoni di questa carta.
Così pure la varietà floristica, attestata dalla check list in continuo aggiornamento, anche se non rappresenta un valido indice di biodiversità, dà una misura dell’incredibile concentrazione di specie presenti. Per far meglio comprendere il “peso dei numeri”, si può confrontare l’elenco floristico rapportato alle rispettive estensioni della Riserva di Monte Catillo con quello del vicino Parco Regionale dei Monti Lucretili, che dista poco più di un chilometro a nord dalla Riserva di Monte Catillo e quindi in un contesto territoriale prossimo e simile: Riserva di Monte Catillo circa 520 specie di piante in 1.300 ettari, Parco dei Monti Lucretili circa 1050 specie di piante in 18.000 ettari.
Carta della vegetazione della Riserva Naturale di Monte Catillo (Caucci et al. 2024)
Ma ricchezza in vegetazione e flora necessariamente comporta anche ricchezza in fauna. Negli ultimi anni l’ente gestore ha avviato specifici monitoraggi per testare la componente animale che abita la Riserva, cercando di colmare alcune lacune sulle conoscenze faunistiche che in passato hanno interessato in modo approfondito solo la popolazione ornitologica. Le sorprese non sono mancate e si è documentata la presenza di molte specie tutelate a livello comunitario. Solo per fare qualche esempio, oltre alla presenza del lupo ormai divenuto abbastanza ubiquitario, si sta monitorando il moscardino (Muscardinus avellanarius) e il gatto selvatico (Felix silvestris), il così detto “fantasma dei boschi” per la difficoltà ad osservarlo, e di recente è stato avviato il monitoraggio delle biocenosi di lepidotteri e di coleotteri saproxilici, ossia decompositori del legno morto (che in realtà è pieno di vita per le comunità di organismi che ospita!). Il campionamento della comunità di questi insetti all’interno di una riserva naturale riveste un ruolo fondamentale per la valutazione dello stato di conservazione degli habitat e della biodiversità complessiva; infatti, sono considerati ottimi bioindicatori, in quanto sensibili alle variazioni ambientali, alla qualità degli ecosistemi e alla presenza di specifiche risorse trofiche e microhabitat.
L’analisi della composizione, della ricchezza e dell’abbondanza delle specie presenti consente di ottenere informazioni utili sia per monitorare l’efficacia delle misure di gestione e conservazione, sia per individuare eventuali criticità legate a processi di degrado ambientale, frammentazione o pressione antropica. Inoltre, il confronto tra differenti tipologie ambientali o regimi di disturbo (come il pascolo) può contribuire a delineare strategie di gestione più mirate e sostenibili, a supporto della tutela della diversità biologica all’interno della Riserva. Una conoscenza dettagliata delle porzioni di territorio più sensibili o critiche consente azioni di tutela specifiche, ad esempio sapere dove nidifica il falco pellegrino rappresenta un dato documentato che giustifica e rende necessario il divieto il sorvolo su quel sito di qualunque mezzo aereo nel periodo riproduttivo della specie.
I dati scientifici divengono anche un potente strumento di valorizzazione del territorio di un’area protetta attraverso una divulgazione mediata dai diversi mezzi di comunicazione e di promozione, come verrà descritto successivamente.
Tutelare un’area protetta attraverso la mitigazione delle minacce
Per una corretta programmazione delle attività di gestione, come si conviene in altri ambiti, può essere utile un’analisi SWOT che, partendo dalla individuazione per ogni sistema da gestire degli elementi riconducibili a quattro punti essenziali (forze, debolezze, opportunità e minacce), si pone l’obiettivo di definire le strategie e di pianificare le azioni.
Nel caso di un’area protetta, l’analisi SWOT può fornire indicazioni su come utilizzare e sfruttare i punti di forza (la ricchezza del capitale naturale), come migliorare i punti di debolezza (conservazione ma anche recupero ambientale, se risultasse necessario), come sfruttare e beneficiare di ogni opportunità (ad esempio la fruizione sostenibile) e su come si possa ridurre ciascuna delle minacce.
La gestione di una Riserva, rispetto ad un più vasto Parco Naturale, per le motivazioni volute dal legislatore in fase di istituzione, è maggiormente focalizzata sulla conservazione e la tutela della flora e della fauna, degli habitat e degli ecosistemi presenti piuttosto che sulla valorizzazione della componente antropica. Le dimensioni ridotte di questa tipologia di aree protette, che in genere escludono le zone abitate, sono motivate dalla presenza circoscritta di emergenze naturali il cui valore è documentato dalle indagini scientifiche. Per perseguire queste finalità di conservazione occorre necessariamente individuare le minacce e le criticità esistenti per modulare le attività umane presenti verso forme compatibili o verso gestioni rispettose della componente naturale. Ciò spesso genera tensioni e conflitti a livello locale, in particolare nei primi anni successivi all’istituzione della Riserva naturale.
La Provincia di Roma, ora Città metropolitana di Roma Capitale, sin dalle prime fasi di amministrazione delle proprie aree protette ha istituito le “consulte degli attori sociali”, come organo di gestione partecipata, paragonabili alle “comunità del Parco” di altri Enti di aree protette. Le consulte, coinvolgendo le associazioni del territorio e tutti gli operatori variamente coinvolti e interessati dalla presenza dell’area protetta, favoriscono e sollecitano la partecipazione della comunità alle scelte di gestione che vengono assunte, perché l’ambiente non diventa più tutelato se viene rinchiuso dentro un recinto più alto o più resistente, ma solo se è sentito come un bene comune da difendere da parte di ciascuno di noi.
Il ruolo chiave degli Enti parco è favorito dal loro radicamento territoriale e dalla loro connessione con circuiti non locali. L’essere “al tempo stesso dentro e fuori” aiuta a inventare soluzioni, a uscire dal conflitto con l’innovazione più che con il compromesso. Consulte e comunità possono rappresentare importanti strumenti gestionali per mitigare i conflitti attraverso una corretta comunicazione ed informazione.
Anche per la gestione delle minacce occorre comunque un’analisi di dettaglio, perché ogni territorio ha le sue criticità. Le norme di comportamento da adottare in ogni area protetta, secondo un decalogo abbastanza condiviso, hanno valenza generale e sono sicuramente una buona base di partenza. Vanno però considerati molti fattori, ad esempio: le caratteristiche degli habitat presenti e le loro esigenze, il tipo di attività produttive esistenti, la pressione antropica legata ad una fruizione non sostenibile, il contesto sociale, l’esistenza di viabilità carrabile interna all’area protetta.
Aree protette in contesti periurbani e con facile accesso da strade carrabili hanno spesso un grande problema di rifiuti e di discariche abusive, legate anche alla frequentazione da parte di un’utenza poco sensibile. Aree protette, come la Riserva di Monte Catillo, alle quali è possibile accedere solo a piedi e che prevedono percorsi escursionistici che comportano un certo impegno, non solo per i dislivelli ma anche per i tempi di percorrenza, sono in parte preservate da queste problematiche, seppur presenti ma in modo contenuto. L’escursionista abituato alla montagna ha una maggiore consuetudine al rispetto dell’ambiente rispetto al visitatore del fine settimana che organizza picnic nelle aree raggiungibili solo in auto.
Alcune criticità possono essere riferite alla conservazione e tutela di singole specie minacciate da fattori di origine antropica o ambientali, anche se sempre riconducibili a scelte umane. E’ questo, ad esempio, il caso della gestione del lupo con il complesso di conflitti che storicamente hanno coinvolto questa specie divenuta iconica. Nonostante i recenti monitoraggi condotti a scala nazionale abbiano verificato il ritorno diffuso del lupo in Italia, una delle cause principali di morte per questa specie sono gli incidenti stradali e i bracconieri, a dimostrazione che il conflitto non è stato assolutamente risolto.
Un’altra minaccia alla sua conservazione è l’ibridazione con il cane domestico che sempre di più sta compromettendo l’integrità genetica della popolazione del lupo italiano. In alcune zone dell’Appennino la percentuale di ibridazione arriva al 70%; anche all’interno della Riserva di Monte Catillo ormai diversi individui di lupo mostrano un evidente fenotipo ibrido. L’ibridazione con specie domestiche coinvolge anche il gatto selvatico che presenta quindi lo stesso rischio. Ovviamente per arginare queste minacce non si può operare a livello locale, ma occorrono interventi estensi a livello territoriale. In tale ottica la Città metropolitana di Roma Capitale promuove e finanzia progetti di lotta al randagismo, di sterilizzazione e di adozione di cani e colonie feline per limitare il numero di animali di affezione vaganti.
Esistono, inoltre, minacce caratteristiche di uno specifico territorio e nel caso della Riserva di Monte Catillo il fuoco si è dimostrato essere storicamente il principale nemico. Anche in questo caso, per comprendere il fenomeno, lascerei alle immagini la lettura dell’incidenza degli incendi nella Riserva osservando la cartografia che documenta il tempo di ritorno degli incendi negli ultimi 12 anni.
Tempo di ritorno degli incendi nella Riserva naturale di Monte Catillo dal 2009 al 2021. Come si può osservare in legenda, diverse aree sono state colpite più volte in 12 anni. (Ferrante et al. 2024)
Tutti questi incendi hanno un’origine antropica: quelli colposi legati a pratiche agricole svolte non in sicurezza o alla presenza di cantieri, quelli dolosi dovuti a discutibili pratiche in uso localmente. In passato il fuoco era volutamente innescato dagli allevatori per “rinnovare il pascolo”; qualcuno nel territorio tiburtino appiccava il fuoco per raccogliere gli asparagi, che in effetti dopo gli incendi dimostrano una notevole ripresa, come molte altre specie di piante che presentano adattamenti al fuoco. Il fuoco nella Riserva è stato anche uno strumento di sfregio o di offesa nell’ambito di conflitti sociali locali. L’ultimo incendio che ha colpito la Riserva nell’agosto del 2021 rientra in questa ultima tipologia ed è stato il più devastante avendo interessato circa 320 ettari di territorio.
La frequenza di incendi nella Riserva ha inevitabilmente condizionato anche il tipo di vegetazione delle aree più meridionali, divenendo un fattore ecologico che ha favorito le specie pirofite, ossia quelle piante che hanno evoluto caratteristiche fisiologiche o anatomiche che consentono loro di convivere con il fuoco. Tra queste piante la più emblematica in Riserva è la quercia da sughero che grazie alle proprietà ignifughe della corteccia suberificata è in grado di sopravvivere agli incendi e già dopo un paio di settimane i rami, spogli ed anneriti dal fuoco, si ricoprono di nuove gemme fogliari. L’adattamento in alcune specie è così estremo che il fuoco diventa indispensabile per permettere o velocizzare la germinazione dei semi, come nel caso di Pinus sp. o del Cistus salvifolius che dopo gli incendi crescono rigogliosi e senza competizione da parte di altre specie, divenendo pionieri nel processo di ripresa della copertura vegetale post-incendio.
Per contrastare il rischio di incendio ogni anno nel periodo estivo viene attuato un Piano di Anti Incendio Boschivo (AIB) su tutto il territorio nazionale, coordinato a livello regionale dalla Protezione Civile, che vede le aree protette particolarmente attenzionate con attività di vigilanza e sorveglianza anche da parte del personale degli Enti gestori.
Nel 2023 la Città metropolitana di Roma Capitale ha avviato per la Riserva di Monte Catillo una modalità di monitoraggio antincendio del tutto innovativo per contrastare gli incendi di vegetazione: un sistema di videosorveglianza con due telecamere dislocate nel territorio circostante in posizione elevate, che abbinano ad un obiettivo ottico da alta risoluzione un sensore termico ad alta sensibilità in grado di rilevare anche un fuoco di un metro quadrato di estensione. Il sistema, in modo automatico e senza la necessità di un operatore, sia di giorno che di notte, rileva la presenza di incendi nelle primissime fasi e invia un allarme in diverse modalità a più soggetti consentendo l’avvio repentino delle operazioni di spegnimento. Il sistema in più di un anno di funzionamento ha dimostrato una grandissima efficacia che non si limita al territorio della Riserva ma a beneficio di tutto il territorio circostante per diversi chilometri di distanza.
Promuovere un’area protetta attraverso l’educazione ambientale e la comunicazione
Le aree protette sono “palestre” ideali per esercitare le nuove generazioni alla conoscenza
e al rispetto di questo bene comune: l’ambiente naturale. Le attività degli enti gestori di Riserve e Parchi naturali non possono prescindere dallo svolgimento di articolate iniziative di educazione ambientale rivolte alle scuole, in particolare del territorio di appartenenza dell’area protetta, per farne conoscere la bellezza, l’importanza, il valore. La finalità di tutte le attività di educazione ambientale deve essere il coinvolgimento dei bambini e dei giovani per renderli consapevoli che i veri custodi di quel territorio siamo tutti noi, loro compresi.
Il coinvolgimento in particolare delle scuole del territorio mira a creare quello spirito di appartenenza alla “propria area protetta”; i ragazzi che devono imparare a frequentarla ancora prima di conoscerla nelle sue specificità, perché rispetto al passato si è persa l’abitudine a camminare lungo i sentieri in modo autonomo guidati magari da qualche parente che trasmetta a figli e nipoti la conoscenza del territorio. Questo ruolo di presentazione dell’area protetta è demandato all’ente gestore per il tramite della scuola. Nel caso della Riserva di Monte Catillo, pur essendo l’accesso ai sentieri vicino all’abitato e quindi facilmente raggiungibili, abbiamo riscontrato che molti tiburtini non hanno mai visitato l’area e i bambini ignorano che la cima che sovrasta tutta la città di Tivoli sia appunto Monte Catillo perché da tutti è chiamata “Monte della Croce”.
Nelle ultime generazioni l’ostacolo iniziale a frequentare la Riserva che spesso si osserva è, per assurdo, la presunta difficoltà ad affrontare un percorso di montagna e, infatti, non a caso alcuni progetti che svolgiamo sono organizzati con i docenti di scienze motorie oppure sono promossi dal CAI. Le finalità dei progetti di educazione ambientali diventano, quindi, molto articolate anche in base al grado della scuola coinvolta: educazione all’attività fisica, educazione alle regole di base di frequentazione dei sentieri in contesti pseudo montani, educazione alla conoscenza dei propri limiti e alla capacità di superarli, ma anche al rispetto dei limiti altrui perché le escursioni in Riserva non devono essere una gara a chi prima arriva e tutto il gruppo classe si deve adeguare al passo e alle esigenze dei compagni meno performanti fisicamente.
Al fine di stimolare l’interesse e la curiosità degli studenti vengono proposti progetti che li coinvolgono direttamente con attività esperienziali e sensoriali come: la raccolta di materiale biologico, la partecipazione ad esperimenti chimici in campo, la realizzazione di storie su vicende o specie della Riserva, gare di orienteering, corsi sull’uso del cellulare per realizzare foto naturalistiche. La proposta progettuale si rinnova periodicamente coinvolgendo personale esperto, adattandosi al grado scolastico, all’indirizzo e prevede sempre un percorso articolato con incontri in aula preparatori e post uscita oltre all’attività su campo in Riserva. Questo approccio, differente da quello tradizionale nozionistico e passivo, è estremamente più efficace e imprime nella memoria dei giovani un ricordo più incisivo. Anche attività semplici come il gioco all’aria aperta o la semplice raccolta di piccoli rifiuti abbandonati lungo i sentieri favorisce la sensazione di benessere e il legame con l’area protetta.
Accanto all’educazione ambientale rivolta alle scuole, vengono periodicamente organizzate attività di divulgazione e promozione della Riserva di Monte Catillo rivolte alla cittadinanza con eventi, escursioni, convegni, bioblitz nell’ambito di iniziative di citizen science. In queste occasioni si ha l’opportunità di trasmettere e comunicare la complessità della gestione dell’area protetta ad una utenza in genere motivata e attenta. Queste iniziative rientrano nella ben più ampia attività di comunicazione, collettore di tutto l’operato attuato dall’ente gestore, che costituisce uno strumento trasversale e indispensabile. I diversi strumenti della comunicazione (cartaceo, video, social, sito web, incontri pubblici, ecc.) sono la vetrina di presentazione dell’area protetta, mezzo di informazione per l’utenza e di trasparenza per le scelte di gestione, tramite per mitigare i conflitti.
Per i grandi parchi naturali il settore della comunicazione è strategico e ben organizzato pure a livello di figure professionali coinvolte. Per le piccole aree protette come le riserve naturali, la comunicazione, pur avendo la stessa importanza, ha una dimensione più locale anche perché la conoscenza di queste aree spesso rimane a livello regionale, se si escludono le pubblicazioni scientifiche. Di recente, per uscire da questa dimensione locale, è stato realizzato nella Riserva di Monte Catillo il documentario naturalistico “La Riserva naturale di Monte Catillo: i colori della biodiversità” destinato ai festival internazionali del settore, oltre che ad un uso tradizionale sui propri siti online o per le attività di educazione ambientale. La selezione del documentario ad uno di questi festival è stato innanzitutto il riconoscimento della qualità del video realizzato, tale da poter competere con grandi produzioni internazionali, e ha consentito una visibilità in un contesto extra regionale difficilmente raggiungibile altrimenti.
Conclusioni
Gestire un’area protetta è un sistema complesso, E’ necessario un lavoro di squadra, utilizzando competenze e capacità multidisciplinari. Oltre agli aspetti meramente tecnico-ambientali, occorre considerare aspetti legati alla gestione economica, alla logistica, alla sorveglianza, alle relazioni sociali e a quelle politiche-istituzionali. E’ anche indispensabile creare una rete di collaborazione tra le realtà locali istituzionali, del mondo del terzo settore, degli operatori economici presenti. L’istituzione delle aree protette gradualmente ha creato nuove opportunità lavorative con la nascita di nuove figure professionali legate alla fruizione sostenibile di questi territori nell’ambito di un turismo lento e amante dei contesti naturali. Le guide naturalistiche sono un importante alleato nella promozione di questi territori e il rapporto con l’ente gestore dovrebbe essere garantito.
Ma per gestire il capitale naturale rappresentato da questa tipologia di beni comuni occorre investire nel capitale umano. La maggiore criticità che emerge è propria la mancanza di investimento nel personale che non viene rinnovato con perdita di esperienza, competenze e conoscenze di tutte le dinamiche locali. Si auspica un cambiamento di rotta in tal senso delle pubbliche amministrazioni degli enti gestori di aree protette per garantire continuità con il passato e rinnovamento per il futuro.
Bibliografia
Battisti C., De Angelis E., Galimberti C., Truccia N., 2020. Gestione operativa di un ecosistema: la Palude di Torre Flavia – Un manuale per studenti e volontari. Città metropolitana di Roma Capitale.
Caucci L., Ferrante G., Vinci M., Burrascano S., 2024. Map of the Vegetation of the Natural Reserve of Monte Catillo (central Italy) [Data set]. Zenodo.
Ferrante G., Caucci L., Vinci M., Burrascano S., 2024. Riserva Naturale di Monte Catillo – Guida alla conoscenza dell’ambiente e del territorio. Città metropolitana di Roma Capitale – PM edizioni, Varazze (Savona).
Guidi A., 2007. La Riserva Naturale di Monte Catillo. Provincia di Roma, Assessorato alle Politiche dell’Agricoltura, dell’Ambiente, Caccia e Pesca, collana Biodiversità e Territorio.