Nome d'arte che è stato scelto da Mariarita Micaletto, omaggio alla linea materna, alle voci femminili che l’hanno preceduta. Insegna matematica per mestiere, disegna (al femminile) per salvarsi con stile da se stessa e dalle aspettative degli altri.
Sommario
La crisi non è soltanto caduta o ferita: è soglia, passaggio, occasione di metamorfosi. Come il grande sasso di Piero Gilardi, ciò che appare schiacciante può diventare gioco, incontro, leggerezza. Un invito a ripensare la crisi non come condanna, ma come possibilità di creare legami e nuovi inizi condivisi.
Parole chiave
Crisi contemporanea, Estetica relazionale, Partecipazione collettiva, Resilienza sociale, Creatività condivisa.
Summary
The crisis isn't just a fall or a wound: it's a threshold, a passage, an opportunity for metamorphosis. Like Piero Gilardi's great stone, what seems overwhelming can become play, encounter, lightness. An invitation to rethink the crisis not as a condemnation, but as the opportunity to create bonds and new shared beginnings.
Keywords
Contemporary Crisis, Relational Aesthetics, Collective Participation, Social Resilience, Shared Creativity.
La crisi, una condizione permanente
Viviamo in un’epoca che sembra scandita dalla parola crisi. Non più un’eccezione temporanea, non un passaggio breve da un prima a un dopo, ma una condizione permanente che si insinua in ogni dimensione della vita. Crisi ecologica, crisi climatica, crisi economica, crisi sociale, crisi comunicativa. Non c’è ambito che non sia attraversato da rotture, squilibri, paure di collasso. Ma cos’è una crisi? È, etimologicamente, un momento di scelta. Dal greco krísis, la parola indica lo che costringe a ripensare, a mutare direzione, a inventare nuovi percorsi. Eppure, nella percezione collettiva contemporanea, la crisi è diventata soprattutto peso: una pietra che schiaccia, un macigno che incombe sulle nostre vite. Ogni giorno, siamo testimoni di segnali di collasso: la terra che si surriscalda, i ghiacciai che si sciolgono, la biodiversità che diminuisce, i conflitti che esplodono, le comunità che si frammentano. Ma la crisi non è mai solo esterna: si insinua dentro di noi, nella psiche, nel modo in cui ci relazioniamo, nel senso di impotenza e frammentazione che permea la vita quotidiana.
Ed è proprio una pietra che Piero Gilardi mise al centro della sua riflessione artistica, molti anni fa, anticipando la sensazione di oppressione che oggi conosciamo bene. Solo che la sua pietra, pur apparendo enorme e inamovibile, era in realtà fatta di gommapiuma: leggera, giocosa, sgonfiabile. Gilardi trasformava l’immagine della crisi in un’esperienza collettiva, capace di liberare energie inattese. La sua intuizione era chiara: l’arte non doveva più limitarsi a rappresentare la realtà, ma a trasformarla, a far emergere la capacità di relazione, di gioco, di resistenza.
Il grande sasso di gommapiuma Torino, anni Settanta. Le piazze e le strade si animavano non solo di manifestazioni politiche, ma anche di performance artistiche che volevano rompere la distanza tra arte e vita. In questo clima di sperimentazione, Piero Gilardi e il Collettivo Primo Maggio inventarono un gesto tanto semplice quanto rivoluzionario: far rotolare per le strade un enorme sasso, apparentemente minaccioso, ma in realtà realizzato in gommapiuma.
La performance era concepita come un paradosso visivo. Da lontano, chi lo vedeva arrivare poteva spaventarsi: la massa sembrava pronta a travolgere, a schiacciare. Ma appena la pietra toccava la folla, tutto cambiava. Non era dura, non era pericolosa: era un invito al gioco. Le persone iniziavano a spingerla, a inseguirla, a ridere. I bambini, con la loro immediatezza, erano i primi a comprenderne il segreto: riuscivano perfino a sgonfiare la pietra, trasformandola da simbolo di oppressione in oggetto malleabile, quasi fragile.
La scelta del materiale non era casuale. La gommapiuma, morbida, leggera e deformabile, incarnava l’idea che anche le grandi sfide della vita potevano essere affrontate con leggerezza, con partecipazione e con creatività. L’opera diventava esperienza, relazione, partecipazione attiva. Gilardi aveva trasformato il gesto artistico in una forma di laboratorio sociale, dove il pubblico non era spettatore passivo, ma co-creatore dell’evento. In questa performance, il sasso di gommapiuma diventa metafora perfetta della crisi contemporanea: apparentemente minacciosa, ingombrante, incomprensibile, ma, se affrontata insieme, può essere toccata, manipolata, trasformata. La crisi non è più destino, ma possibilità.
La collettività come opera
Ciò che rende indimenticabile la performance del grande sasso non è soltanto l’oggetto in sé, ma la reazione che esso produceva. La folla diventava scultura vivente, la città si trasformava in scena. Adulti e bambini, uomini e donne, anziani e giovani si ritrovavano uniti, senza ruoli prestabiliti, attorno a un’azione semplice e liberatoria. In questo gesto ludico si condensava un’intuizione potente: le crisi non si affrontano da soli. Il sasso che sembra travolgente diventa gestibile solo quando tutti lo toccano, lo spingono, lo piegano, lo trasformano. È la collettività, con la sua energia, a mutare il senso della minaccia.
L’esperienza collettiva si trasforma in processo creativo, dove l’opera non è mai conclusa, ma continua a vivere nell’interazione tra individui. Questo principio anticipa l’idea dell’arte relazionale: l’opera d’arte non è più oggetto statico, ma evento, esperienza condivisa, occasione di generare relazioni. Non ci si domandava cosa è quella opera d’arte ma cosa accade intorno a essa Gilardi aveva messo in scena la possibilità di un mondo diverso: un mondo in cui la crisi non è condanna, ma occasione di invenzione collettiva e l’arte, palestra di resilienza sociale, laboratorio di comunità e di empatia.
Arte relazionale e crisi: oltre Bourriaud
Molti anni dopo, Nicolas Bourriaud coniò l’espressione “estetica relazionale” per descrivere queste pratiche artistiche. L’arte, secondo lui, non produceva più oggetti, ma relazioni umane. In un certo senso, Gilardi ne fu un anticipatore: il suo lavoro non poteva essere rinchiuso in un museo, perché viveva solo nell’atto collettivo, nel contatto tra i corpi, nel gioco improvvisato in strada.
L’arte relazionale offre oggi uno strumento potente per comprendere la crisi contemporanea. In un mondo segnato dall’individualismo, dalla frammentazione e dalla solitudine, la creazione di relazioni autentiche diventa necessaria. L’arte può allora fungere da catalizzatore: non produce semplici emozioni, ma comunità, partecipazione, responsabilità condivisa.
Ma oggi, possiamo ancora credere che l’arte relazionale sia uno strumento capace di aiutarci a superare le crisi? Oppure rischia di trasformarsi in evento spettacolare, in simulacro di partecipazione? Quante volte assistiamo a progetti che parlano di comunità, ma che in realtà si limitano a organizzare esperienze a pagamento, effimere, dove il pubblico è più consumatore che co-creatore?
Il rischio è reale. L’arte relazionale, nata come gesto di rottura e di condivisione radicale, può facilmente diventare un format, una formula replicata senza quella forza trasformativa originaria. Eppure, il bisogno che essa aveva colto rimane intatto: la necessità di sentirsi parte di un tutto, di costruire legami, di affrontare insieme le sfide del presente. Non sentirsi soli.
Crisi contemporanee e la necessità di relazione
Oggi, più che mai, le crisi si accumulano come onde che si infrangono senza sosta. La pandemia ha mostrato quanto fragili siano le reti sociali e quanto necessario sia il contatto umano, non solo fisico ma emotivo e simbolico. La crisi climatica ci obbliga a ripensare il nostro rapporto con la Terra, a immaginare nuovi modi di abitare gli spazi comuni. Le crisi economiche e politiche mettono in discussione equilibri consolidati e producono insicurezza diffusa.
In questo contesto, la lezione del sasso di gommapiuma assume un significato ancora più profondo. Se affrontiamo le crisi da soli, esse ci schiacciano; se le affrontiamo insieme, con creatività e partecipazione, diventano opportunità di crescita. La collettività non è solo strumento di protezione, ma laboratorio di trasformazione.
L’arte relazionale, in questo scenario, può offrire modalità concrete di sperimentazione sociale: spazi dove le persone imparano a negoziare, a cooperare, a creare senso insieme. Il gesto artistico si intreccia con la vita reale, diventa ponte tra individui, tra generazioni, tra comunità frammentate, tra popoli.
Rischi e derive dell’arte relazionale
Non tutto ciò che viene presentato come “arte relazionale” mantiene la forza trasformativa che caratterizzava le prime esperienze come quelle di Gilardi. L’arte può diventare spettacolo, evento mediatico, intrattenimento. La relazione diventa superficiale, effimera, e l’esperienza condivisa si dissolve in un tempo breve, senza lasciare traccia significativa.
Il rischio più grande è che la crisi venga banalizzata. La pietra che schiaccia diventa attrazione, l’esperienza collettiva diventa performance vuota. L’intento di creare legami autentici si perde, e con esso il potenziale di trasformazione sociale. La sfida, allora, è mantenere vivo il cuore dell’esperienza, la tensione tra gioco, partecipazione e consapevolezza della fragilità.
Preservare il cuore dell’esperienza
Come possiamo, oggi, preservare il cuore di ciò che Gilardi e altri pionieri avevano intuito? Forse il primo passo è comprendere che l’arte relazionale non è formula, non è oggetto da replicare, non è spettacolo da fruire passivamente. È pratica, gesto, dialogo, attenzione all’altro. È ascolto, capacità di leggere le tensioni, di trasformare la minaccia in opportunità. E’ cura.
Il sasso di gommapiuma diventa simbolo di questo approccio: la leggerezza non è superficialità, ma apertura; la morbidezza non è debolezza, ma elasticità; il gioco non è evasione, ma possibilità di sperimentare nuove modalità di relazione. È un invito a non temere la crisi, ma a viverla come laboratorio collettivo.
La crisi, dunque, non è solo un evento esterno: è dimensione interna, condizione che ci attraversa, opportunità di reinventarci. Il grande sasso di gommapiuma ci insegna che ciò che sembra minaccioso può diventare occasione di incontro, partecipazione, attraversamento di vite. Che l’arte può trasformarsi in palestra di resilienza sociale. Che la collettività, quando si mette in moto, ha la capacità di alleggerire ciò che pesa.
In un mondo in continuo mutamento, dove le crisi si moltiplicano e si intrecciano, questa lezione resta attuale: affrontare insieme ciò che ci schiaccia, trasformare la minaccia in esperienza condivisa, e non smettere mai di sperimentare. Il sasso ci ricorda che il peso della realtà non è destinato a paralizzarci, ma può diventare materia per la creatività, per il gioco, per la costruzione di relazioni autentiche.
Letture consigliate
Piero Gilardi, 2000. Arte e vita negli anni Sessanta, Mazzotta.
Nicolas Bourriaud, 2010. Estetica relazionale, Postmedia Books.
Achille Mbembe, 2023. La comunità terrestre, Cortina. Franco “Bifo” Berardi, 2021. La seconda venuta, Nero. Anna Maria Crispino, 2017. Corpi e crisi. Narrazioni del presente, Iacobelli.