Pedagogista, psicologa e psicoterapeuta sistemica. Negli anni ’80 ha fondato con Giorgio Bert una scuola di comunicazione, counseling e medicina narrativa, l’Istituto Change di Torino. Ha approfondito i temi della genitorialità contemporanea, in particolare il nuovo ruolo dei padri, e su questi pubblica libri e articoli per l’editore UPPA.
Sommario
Negli ultimi 50 anni il modello genitoriale maschile è cambiato: molti padri hanno sperimentato la relazione di accudimento dei figli, e quell’esperienza ha prodotto modificazioni inaspettate nel cervello maschile, rendendo i padri più sensibili e più emotivamente responsivi. Un cambiamento che non avviene senza difficoltà, ma che potrebbe migliorare anche la relazione fra maschile e femminile nella società di domani.
Parole chiave
Crisi, cambiamento, paternità, genitorialità, accudimento, ruoli, maschile, femminile, modelli, relazioni, coppia, famiglia, trigenerazionalità, incel.
Summary
Over the last 50 years, the male parenting model has changed: many fathers have experienced the child-rearing relationship, and that experience has produced unexpected changes in the male brain, making fathers more sensitive and emotionally responsive. This change isn't easy, but it could also improve the relationship between men and women in tomorrow's society.
Keywords
Crisis, change, fatherhood, parenting, caregiving, roles, models, relationships, masculine, feminine couples, family, trigenerational, incel.
“Crisi: stato più o meno permanente di disorganicità, di mancanza di uniformità e corrispondenza tra valori e modi di vita”. È la definizione che trovo sul dizionario Treccani on line, che prosegue così, “situazione, più o meno transitoria, di malessere e di disagio, sintomo o conseguenza del maturarsi di profondi mutamenti organici o strutturali”. Per chi osserva i fenomeni sociali dall’ osservatorio della psicoterapeuta, la corrispondenza fra cambiamento, crisi e malessere appare evidente. Per chi li osserva con uno sguardo sistemico, superando la descrizione lineare che ci parla di “sintomo o conseguenza”, ogni crisi appare come il risultato imprevedibile di eventi e di microcambiamenti che si sono susseguiti nel tempo senza apparenti conseguenze. Un risultato spesso sfaccettato, come un prisma; finché, a un certo punto, uno dei lati del prisma viene illuminato, attira l’attenzione e diventa IL cambiamento, il segnale della crisi. Sottratto alla correlazione con gli altri elementi in gioco, un cambiamento configura sempre un prima e un dopo; un meglio e un peggio. La descrizione di quel cambiamento può così diventare una narrazione al negativo. I padri sono cambiati. Non ci sono più i padri di una volta. Dove andremo a finire? Nella narrazione catastrofistica di alcuni opinionisti alla moda, e dei loro affascinati ascoltatori, andremo a finire molto, molto male! Come erano meglio i padri con la cinghia, inflessibili difensori dell’ordine e dell’obbedienza senza discussioni. Senza tutte quelle moine che snaturano la loro natura virile, capaci di rendere ben chiaro a tutti che di padri si tratta, non di “mammi”.
Nel linguaggio, ancora oggi, la femminilizzazione di una parola è automaticamente svalutante. È quello che è successo quando è comparsa, nel linguaggio quotidiano, la parola “mammo”. Quando è successo?
Nel 2004 sugli schermi TV compare una sitcom dal titolo “Il mammo”, destinata a mediocre successo: il protagonista è un vedovo “costretto” ad occuparsi dei figli dopo la morte della moglie, e fortunatamente supportato da giovani e volenterose vicemamme, piuttosto interessate alla sua compagnia oltre che al benessere dei suoi figlioletti. Nessuna rivoluzione di ruoli, insomma. Ma il termine aveva già cominciato a essere utilizzato, in senso ironico o dispregiativo, da alcuni anni. Mammo. Rappresentato in genere con abiti sciatti e grembiulino, con un biberon in mano o con la borsa della spesa e il passeggino, privato insomma di tutto ciò che caratterizza la mascolinità genuina, abito formale da manager o tuta da meccanico, borsa da ufficio o attrezzi da lavoro; ridicolo, perché tutte quelle altre incombenze non spettano a lui, ma alla donna.
Nelle descrizioni lineari, un cambiamento in peggio ha una causa, anzi un colpevole. Se i padri hanno perso, anzi hanno dovuto rinunciare, alla posizione di autorevole serietà che li collocava fuori di casa, intenti a garantire la sopravvivenza e se possibile il benessere economico alla famiglia, e in cambio sollevati dalle umilianti funzioni della cura e dell’accudimento, la colpa non può che essere dell’altro attore (attrice!) in gioco: la donna; la mamma. Sono le donne che pretendono dall’uomo, dal papà, qualcosa che non si è mai visto, che non fa parte delle sue mansioni e neppure delle sue naturali inclinazioni, forzandolo ad obbedire alle loro richieste di “aiutarle” in casa e con i bambini. In questo senso il mammo non è solo ridicolo: è patetico, un uomo succube di donne che comandano, che pretendono, che snaturano quello che è da sempre l’ordine delle cose.
Il fatto è che l’ordine delle cose era già cambiato da un pezzo. Era cambiato, per cominciare, il modo in cui un uomo e una donna diventano genitori: da evento imprevedibile, e dalle conseguenze spesso destabilizzanti sul futuro della donna e della coppia, a scelta consapevole e condivisa. Parlo della legalizzazione della pillola contraccettiva, e poi della diffusione di luoghi e contesti di educazione alla procreazione responsabile. Un cambiamento che in Italia è avvenuto in modo faticoso, con diseguaglianze legate alla condizione sociale e culturale della coppia, ostacolato dalla politica e dall’ideologia. Ma è avvenuto. Siamo all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso.
Sono passati 50 anni. I padri che vediamo oggi per strada, all’uscita dai nidi e dalle scuole materne, nei giardinetti e nei parchi gioco, i papà che incontro nelle consulenze genitoriali o nei gruppi di discussione, non erano immaginabili negli anni ’70: il cambiamento nel ruolo genitoriale maschile avvenuto in questi 50 anni non ha precedenti storici, né per quello che riguarda la rapidità con cui è accaduto né per quello che riguarda la sua profondità. Ed ecco comparire la preoccupazione di chi vede nel cambiamento un peggioramento: tutto questo non sarà innaturale? Questi padri modificati, più accuditivi, più sensibili e più emotivamente responsivi non comprometteranno l’equilibrio della specie, consolidato nei secoli a partire da una posizione ben diversa del maschio, al quale “la tradizione occidentale ha assegnato da sempre l’attributo della forza come condizione per l’esercizio del potere, con il presupposto implicito del riconoscimento di una auctoritas e di una forza superiore a quella della madre”? (Gilodi R., 2025)
Questa frase è tratta dalla recensione a un libro recente, Il padre sulle spalle (Ficara G., 2025). Un libro che mette in discussione quella rappresentazione consolidata, e individua nei personaggi della letteratura figure di padri assai meno potenti, autoritari e rigorosi di quanto proponga la descrizione semplificatoria del padre forte e dominante: padri deboli, padri inconsistenti. Padri a cui si può disobbedire senza problemi, dopo averli doverosamente ascoltati senza peraltro dare il minimo peso alla loro predica: come il padre di Robinson Crusoe, che lo esorta senza alcun effetto a seguire la tradizione borghese che lo destina a una vita agiata e tranquilla; Robinson, come sappiamo, seguirà ben altra strada e con ben altri destini. E anche padri inaspettatamente amorevoli e accuditivi, come il padre di Giacomo Leopardi, Monaldo, che nelle lettere al figlio rivela una tenerezza e una vicinanza fatte di comprensione e preoccupazione: “Figlio mio, voi siete per la prima volta solo in mezzo al mondo” scrive Monaldo a Giacomo, che ha deciso di partire da solo per Roma.
Eccezioni, dirà qualcuno; ma la legge della natura non è ben visibile in tutte le specie animali? La conservazione della specie non si è basata da sempre su quella caratterizzazione chiara, il maschio forte e minaccioso anche in funzione protettiva nei confronti della femmina e della prole, la madre tenera e accuditiva anche nei confronti del potente maschio? Un altro libro recente smonta anche questa descrizione del maschile come naturalmente e strutturalmente estraneo alle pratiche di accudimento e di cura, alle quali il maschio umano attuale avrebbe cominciato a dedicarsi solo perché costretto dalle nuove madri femministe e prevaricatrici. Lo fa in modo ironico e rigorosamente documentato Sarah Blaffer Hrdy, docente di antropologia alla University of California, mescolando storia naturale, sociologia e autobiografia
“Quando è nata la mia prima figlia – scrive – ero impegnata in una ricerca sulle strategie riproduttive femminili delle scimmie… Come primatologa, non avevo ragione di mettere in dubbio la naturalezza del sistema in cui ero cresciuta: accudire i bambini giorno dopo giorno, nutrirli e pulirli in continuazione era un lavoro da donne” (Blaffer Hrdy S., 2025, pag. 21).
Sarah è nata nel 1946. Come tutte le donne della mia generazione si è sentita dire che la sua “carriera” poteva essere un ostacolo alla felicità e alla salute dei suoi figli: il suo tutor ad Harvard disse di lei pubblicamente “Sarah dovrebbe dedicare più tempo e impegno a crescere una figlia sana. In questo modo l’infelicità non verrà tramandata alle prossime generazioni”. Niente di tutto questo sarebbe mai stato detto di suo marito, impegnato anche lui nella carriera accademica e “autorizzato” a dedicare la maggior parte del suo tempo a portarla avanti con il maggior successo possibile. Naturale, no?
Ma Sarah ha anche assistito agli effetti concreti che i cambiamenti sociali e culturali degli anni successivi hanno prodotto nei comportamenti delle nuove generazioni: “Con la nascita del nostro primo nipote per la prima volta nella mia vita ho visto un uomo totalmente immerso nella cura di un neonato, e per scelta. Osservandolo, mi sono meravigliata nel vedere l’“uomo cacciatore” davanti a una bacinella” (ib, pag.26).
Sarah parla di meraviglia: di immagine strana, inconsueta a confronto con tutte le sue esperienze precedenti. Nel suo libro c’è la foto di papà David, barbuto e baffuto vicepreside di un prestigioso college newyorkese, che fa il bagnetto al figlio di poche settimane. La nonna Sarah si sorprende e si commuove, Sarah antropologa si chiede: “le cure paterne sono davvero così inconsuete come la mia esperienza personale e la mia educazione accademica mi hanno fatto credere?”
La Hrdy rispolvera le ricerche di Margaret Mead in cui, con la tecnica collaudata dei suoi studi sul campo, la Mead mette a confronto due tribù dagli usi e costumi opposti: i miti arapesh, gentili, affettuosi, usi a occuparsi dei piccoli quando le madri erano occupate in altre mansioni, e i feroci e violenti cacciatori di teste mundugumor, che non avevano alcun contatto con i loro figli fino a quando non arrivava il momento dei riti di passaggio che li avrebbero trasformati in guerrieri.
Da questo però la Mead traeva la conclusione che i modi della paternità fossero frutto della cultura, in modo rigorosamente unidirezionale “la maternità, scrive la Mead, è una necessità biologica, la paternità è un’invenzione sociale”.
Una paternità imposta, in ogni caso: qualcuno, la società, o la natura, “impongono” ai maschi una posizione predefinita nei confronti dei loro figli; in prevalenza, una posizione distante, non coinvolta nelle pratiche di accudimento, finalizzata al risultato richiesto: fare dei figli ciò che la natura o la società richiedono loro, tramandare i ruoli. Mantenere tutto come è sempre stato.
Quello che si chiede Hrdy invece è: gli arapesh “nascono” con la propensione alla gentilezza, e quindi sono accuditivi nei confronti dei loro bambini, o essere accuditivi nei confronti dei loro bambini li rende gentili e affettuosi in tutte le relazioni? E, potremmo aggiungere, come potrebbe cambiare un mundugumor se avesse modo di vivere un’esperienza precoce di contatto e cura di un bambino piccolo? E, per tornare al nostro mondo di oggi, come si spiegano i David, i “nuovi” padri che hanno iniziato “a impegnarsi direttamente in attività come portare in braccio, lavare e nutrire i figli, a occuparsi di bambini molto piccoli a volte fin dalla nascita? Quegli uomini non erano stati allevati per occuparsi dei bambini. Non avevano modelli a cui ispirarsi. Eppure, una volta cominciato, hanno scoperto di essere bravi a farlo”. (ib, pag. 379)
Non solo: hanno scoperto che amano farlo. Hanno scoperto che quell’esperienza, della quale non avevano modelli, aveva vantaggi inaspettati. È curioso scoprire che lo stesso Darwin, parlando delle caratteristiche del maschile selezionate dall’evoluzione, usa un aggettivo che non ci saremmo aspettati
“L’uomo [maschio] rivaleggia con i suoi simili; gli piace competere, e questo lo porta ad essere ambizioso, il che costituisce il primo passo verso l’egoismo. Tali qualità sembrano essere un suo naturale sfortunato diritto di nascita “. (Darwin C., 1871)
Sfortunato. Sembra di avvertire un rimpianto per ciò che la “natura” sottrae al maschio per renderlo competitivo, efficiente, vincente. Ma è poi vero che la natura assegna in modo così rigoroso le armi della caccia e della guerra al maschio, e gli attrezzi della cucina e della cura alla femmina?
La Hrdy smonta in modo documentato e scientifico questa semplificazione: la natura assegna alle specie un unico, fondamentale compito, la sopravvivenza della prole, del gruppo e della specie. Per raggiungere questo scopo, in ogni specie maschi e femmine mettono in atto strategie diverse, in base alle condizioni ambientali in cui si trovano a vivere.
Nei casi in cui la strategia più efficace preveda la presenza del maschio accanto alla femmina durante la gravidanza e durante la fase di accudimento della cucciolata, per difenderla e scoraggiare gli attacchi degli estranei, il suo comportamento diventa più attento agli stimoli provenienti dai cuccioli, e più affettuoso e più accuditivo anche nei confronti degli altri individui del branco.
Parliamo di scimmie?
Scrive ancora la Hrdy: “Gli antropologi sanno da tempo che le società in cui gli uomini passano più tempo a contatto con le madri e con i bambini sono meno bellicose e mostrano tassi di violenza minori. Gli psicologi sociali dicono che gli uomini esposti ai bambini tendono a essere più generosi e orientati al prossimo”. (ib. pag. 16)
Ma la domanda che si fa, da scienziata, osservando suo genero e meravigliandosi della naturalezza con cui si occupa del suo cucciolo, è: “Come è possibile?”. In che modo il contatto con i cuccioli della specie rende i maschi più affettuosi e più accuditivi?
La risposta viene delle ricerche su ciò che accade nel corpo e nel cervello degli uomini che si occupano di bambini piccoli. Gli studi sugli effetti del comportamento accuditivo dei padri si sono moltiplicati negli ultimi anni, a partire dalle osservazioni sull’ importanza del contatto precoce pelle a pelle fra papà e neonato nei casi di neonati gravemente pretermine. (Vogl J.L., Dunne E.C., et al, 2021, pp. 1521-1533)
Le testimonianze dei padri che hanno fatto questa esperienza parlano di un iniziale ritrosia e preoccupazione, legate al timore di non essere in grado di comportarsi adeguatamente, o di poter danneggiare una creatura così piccola e fragile, e poi di una crescente sensazione di benessere e di tenerezza, che chi aveva già avuto figli senza avere sperimentato quel contatto non aveva provato.
Gli studi neuroscientifici spiegano questa esperienza emotiva evidenziando le modificazioni che la partecipazione attiva del padre al periodo della gravidanza e poi alla cura del neonato induce nelle strutture cerebrali, e di conseguenza nelle emozioni e nei comportamenti dei maschi. Quegli studi stanno dimostrando che l’esperienza di accudimento dei figli mobilita nel padre le stesse reti di circuiti cerebrali che si attivano nella madre, in particolare per quello che riguarda l’area cerebrale deputata all’accudimento. (Fedelman, R., Abrahama E., et al , 2014)
In concreto, nei papà che si dedicano in modo sia secondario (cioè a fianco della mamma) sia esclusivo alla cura del bambino, quelle strutture cerebrali appaiono più sviluppate rispetto ai padri più “lontani”, e danno luogo a quelle risposte di appagamento e di piacere nel contatto con il bambino che i padri accuditivi descrivono, che rappresentano il “vantaggio” emotivo di quella esperienza. Niente a che fare insomma con la lettura lineare “padre accuditivo=uomo femminilizzato e/o succube della donna”: i nuovi papà sono nuovi maschi, protagonisti appagati e sereni nella propria relazione con i figli; e il modello del “maschile” che caratterizza questo nuovo modo di essere padri potrebbe essere l’attivatore di un cambiamento nella relazione maschio femmina nelle future generazioni. Un modello, forse, finalmente libero dal copione della contrapposizione fra chi impone e chi subisce.
Perché è vero che, come dice la Hrdy, “qualcosa” ha reso possibile che il maschio entrasse in contatto con quell’esperienza da cui il suo “sfortunato” diritto di nascita lo aveva escluso: la partecipazione fisica, concreta e attiva, alla gravidanza della sua compagna e poi il contatto con il suo bambino. Un contatto precoce (Early) paritario rispetto al ruolo materno (Equal) attivo (Engaged) empatico e accuditivo (Empathetic) come propone il progetto europeo 4E https://4e-parentproject.eu/. Ed è vero che questo contatto è stato reso possibile da “una lunga concatenazione di eventi storici, trasformazioni economiche e cambiamenti sociali dettati dalla cultura …. Per quanto fosse improbabile, è stato solo grazie all’unione di circostanze disparate che alcuni uomini si sono trovati in condizioni che hanno richiesto un contatto prolungato con i bambini, contatto sufficiente a superare la soglia oltre la quale avvengono le trasformazioni neurobiologiche (ib. pag. 359)
Quel cambiamento sta producendo cambiamenti nei sistemi famigliari e nella società, e come tutti i cambiamenti non avviene senza reazioni di resistenza e senza tentativi di ripristinare la situazione precedente. Ho parlato delle invocazioni alla legge di natura, delle previsioni catastrofiste sul futuro delle nuove generazioni, sulle sorti dei figli di quei padri che sono stati definiti “pallidi”, padri inconsistenti che lascerebbero a quelle future generazioni “radici marce”, come ha tuonato in una trasmissione televisiva un noto psicologo, danneggiate dalla loro eccessiva apertura alla relazione affettiva con i figli. Oltre a ciò, c’è anche la reazione negativa che il singolo papà subisce da parte dei suoi sistemi di riferimento, a cominciare della sua stessa famiglia, e poi del mondo del lavoro, delle reti amicali, del “mondo” dei maschi.
Già: i nuovi padri si sono trovati a dover combattere quotidianamente contro pregiudizi, critiche, proteste e con un crescente senso di solitudine.
Lo sguardo intenerito e complice con cui molte di noi guardano un papà che sale sull’autobus piegando faticosamente un passeggino e reggendo contemporaneamente una borsa della spesa e un bebè, o che spinge la carrozzina per strada o fra le corsie di un supermercato, non è necessariamente quello che riceve nell’esercizio di quelle funzioni in famiglia, o che si sente rivolgere dai superiori e dai colleghi in ufficio, o dagli amici che incontra su quell’autobus o in quel supermercato.
Ci sono alcune domande che accompagnano l’esperienza di questi nuovi padri: Chi te lo fa fare? Domanda che arriva dai loro genitori, da quei padri, ora nonni, che mai si sarebbero sognati di dedicare tempo a quelle incombenze, e anche dalle madri, ora nonne, che vedono in quelle attività una ingiusta resa del figlio alla sua compagna, un ingiusto peso caricato sulle sue spalle già così affaticate dal lavoro. O dagli amici con i quali non condivide più quelle attività di svago che gli spetterebbero di diritto, e da altri padri che temono che quell’esempio si traduca in richieste analoghe anche per loro.
Cosa ci guadagni? È una domanda che ne sottintende un’altra: ti rendi conto di cosa perdi? Spesso non è neppure formulata direttamente, ma emerge dalle reazioni del mondo del lavoro alle richieste dei padri di utilizzare il congedo di paternità, di cambiare un turno, o di uscire fuori orario per accudire il figlio, per accompagnarlo dal pediatra, o perché qualcuno ha telefonato dal nido chiedendo di andarlo a prendere perché vomita. Devi proprio andare tu? Ma allora la riunione… il progetto da completare… quella promozione di cui stavamo parlando... come si fa a fidarsi che tu continui ad essere all’altezza, presente, disponibile?
Perché non stai più attento? Questa è, invece, la domanda/accusa/giudizio che crea il circuito paradossale fra l’esigenza della mamma di essere supportata dal suo compagno nella fatica dell’accudimento e la sua resistenza a lasciarsi sostituire davvero in quel compito, e a fidarsi del modo in cui lui lo esegue.
In tutte queste domande ciò di cui si parla sono compiti, obiettivi, diritti e richieste.
Parliamo di accudimento, e della sua componente emotiva più profonda, la preoccupazione. La preoccupazione della madre, e della coppia genitoriale, nei confronti del figlio e del suo benessere si declina variamente da famiglia a famiglia, si modifica con la crescita, ma non sparisce mai del tutto. Nel sistema trigenerazionale che si costituisce con la nascita di un bambino la preoccupazione si muove principalmente sull’asse mamma/bambino, ma coinvolge anche gli altri elementi del sistema: la nonna materna, madre “esperta”, preoccupata per il nipote e anche per la figlia, madre inesperta e affaticata; la nonna paterna, madre “esperta” e preoccupata per il nipote, accudito da una madre inesperta, e per il figlio privato dell’accudimento della sua compagna; i nonni maschi, coinvolti dalle preoccupazioni delle nonne femmine e preoccupati, oggi, dalla differenza fra il modo con cui hanno svolto il loro ruolo di papà e ciò che vedono fare dal padre del loro nipotino; il papà del bambino, preoccupato per il figlio, per la sua compagna affaticata e inesperta, e per se stesso, solo, spaesato e travolto dal vortice delle preoccupazioni di tutti gli altri.
Tutta ciò si traduce in comunicazioni che contengono richieste e giudizi: che indicano ciò che bisogna fare e ciò che è giusto o sbagliato fare. In una realtà in cambiamento, giusto e sbagliato si sfumano, si disallineano, e possono generare conflitti. In sintesi, il maggiore coinvolgimento dei papà nella relazione con il bambino non produce la standing ovation che ci aspetteremmo, ma spesso provoca invece litigi fra i due genitori, e fra i genitori e i nonni sui “modi” di accudire il bambino, sulla suddivisione dei compiti, e su valori, principi, obiettivi che non sono più condivisi.
I papà che “non si sentono allineati con i modelli delle generazioni precedenti - ho scritto nel mio libro A cosa serve un papà (Quadrino S., 2024, pag. 12) - si trovano nella necessità di disegnare la propria immagine di papà a mano libera”. Ma anche, aggiungerei, a conquistarla e a difenderla.
Mentre utilizzo queste parole però mi accorgo di stare commettendo l’errore che dovremmo invece evitare nella ricerca di un nuovo paradigma della relazione fra uomo e donna: un paradigma che superi e non renda più necessaria la contrapposizione, la lotta di conquista o di difesa, la logica del “chi vince e chi perde”
Per questo sono convinta che il discorso “nuove paternità” incroci oggi il tema della crisi del maschile e della relazione maschio-femmina, che in una logica mai superata di contrapposizione si sta bloccando in una alternanza di vincitori e vinti, di vinti che si ribellano e si uniscono fra loro per riconquistare le posizioni perdute. Una contrapposizione che produce violenza.
Machos alfa è una sit com della TV spagnola, comparsa nel 2022 e poi riprodotta dalla serie italiana Maschi veri nel 2025. Sit com: situation comedy, una forma di commedia dei nostri tempi. La commedia come genere letterario e teatrale nasce con precisi e riconoscibili riferimenti alla realtà quotidiana, trattati in modo umoristico e solitamente in vista di un lieto fine. Nella serie di cui parlo, i maschi protagonisti vanno alla ricerca di un modo per riconquistare le posizioni perdute e per “combattere” la minaccia proveniente dal politicaly correct e dalle critiche al patriarcato e ai comportamenti maschili definiti “tossici”. Lo fanno rivendicando ciò che è stato loro tolto, il diritto al corteggiamento magari un po’ “pesante”, all’esonero dalle incombenze domestiche giustificato da “impegni di lavoro”, alla prevalenza della propria carriera lavorativa rispetto a quella della compagna. Il tutto nella chiave ironica e divertente della commedia.
Ironia e divertimento che mancano nei veri gruppi di maschi rivendicativi, che si incontrano nella parte oscura del web: maschi che scambiano, diffondono e commentano oscenamente foto intime delle mogli e delle compagne; giovani maschi che si riconoscono nel mondo Incel, che molti hanno scoperto di recente con la serie TV Adolescence, ma che è vivo e pericolosamente attivo da anni anche in Italia.
Gli Incel – celibi involontari – attribuiscono tutti i mali della società contemporanea alle conquiste ottenute dalle donne, come la parità di diritti, la libertà sessuale, la lotta per l’uguaglianza salariale, le leggi a sostegno delle vittime di violenza e la demonizzazione del patriarcato. Questo rappresenta a loro avviso una minaccia per la stabilità sociale, e per contrastarla invocano il ritorno “alla tradizionale famiglia patriarcale e al concetto di potestà maritale, difeso dagli ordinamenti giuridici occidentali fino a pochi decenni fa; l’obiettivo di un generico “ritorno al patriarcato”, condiviso da molti Incel, fa riferimento a una società “ideale” nella quale è il pater familias a decidere il matrimonio delle figlie, mediante contratto stipulato con il futuro marito, e da quel momento in poi la potestà della donna passa al marito, che esercita sulla moglie una sovranità assoluta, tutelata anche dal delitto d’onore nel caso di infedeltà.” (Paura R., 2018)
L’inchiesta recente di una giornalista italiana (Petrella B., 2024) indaga a fondo sulle radici del fenomeno, il cui inizio in Italia si può collocare nel 2008 con la comparsa del “Forum dei brutti”. Uomini, sempre più numerosi, che a partire dalla frustrazione per il sentirsi esclusi dai successi sessuali dei maschi più belli o più ricchi, per colpa a loro avviso del diritto che le donne hanno conquistato di scegliere i propri partner e di dirigere le proprie scelte di vita, oltre ad auspicare il ritorno dei “valori naturali”, rivendicano il diritto di punire le donne che li rifiutano, spesso con truci riferimenti glorificanti al delitto del Circeo o ad altri episodi di violenza contro le donne.
Eccessi? Il numero di uomini che fanno riferimento a queste reti è preoccupante. Ma forse lo sono anche di più i commenti apparentemente innocui di maschi “normali” che – scherzosamente – irridono il movimento MeToo e la perdita del loro diritto a tutto ciò che ritengono semplice corteggiamento, compresa la necessità del consenso (liquidato come spoetizzante ed eroticamente depotenziante).
E, ancora più preoccupanti, le esternazioni di politici che parlano di “patrimonio genetico maschile” che ne caratterizzerebbe la prevalenza sulla donna, e inneggiano alla famiglia naturale e al ritorno della donna al focolare domestico per lasciare ai maschi i posti di lavoro e di comando.
Come si collega tutto questo al nuovo modello di paternità? Anche i padri accuditivi, protagonisti partecipi e coinvolti della crescita e dell’educazione dei loro figli, sono nel mirino di questi movimenti: la loro colpa, cedere alle rivendicazioni delle donne e accettare una innaturale parità anche nell’accudimento dei figli.
Il cambiamento che vediamo in atto coinvolge però positivamente anche il rapporto all’interno della coppia genitoriale. In effetti “non si può parlare di costruzione di una identità paterna prescindendo dal rapporto con la compagna e futura madre” come scrive Fiorella Monti (2021, prefazione a Mori L, Diventare padre, pag. 21). E non si può parlare di costruzione di una nuova identità maschile nella realtà di oggi prescindendo dalla immagine di relazione di coppia che i padri rappresentano per i figli della attuale e prossima generazione.
Nel triangolo delle relazioni costituito da padre, madre, bambino, i nuovi padri hanno la possibilità di dare vita a una immagine di coppia all’interno della quale il maschio “trova nel rapporto con i figli non solo l’esecuzione di un dovere ma anche l’appagamento profondo di un bisogno di intimità, contatto fisico, tenerezza senza conflitto”. (Argenteri L., 2014, pag. 10)
Intimità, contatto fisico, tenerezza senza conflitto anche nei confronti della madre, non antagonista nella suddivisione dei compiti e dei carichi ma partner solidale, con cui condividere tutte le sfumature dell’esperienza genitoriale.
In quel triangolo, il padre accuditivo ha anche la possibilità di svolgere una funzione “ecologica”, cioè sviluppare una presenza e dei comportamenti che consentano di ridurre progressivamente la condizione di “preoccupazione materna primaria” caratteristica delle prime fasi della relazione mamma - bambino, e di ridurre l’ansia della madre facilitando un distacco progressivo e sereno che accompagni e faciliti la spinta esplorativa che attrae il bambino verso il mondo esterno ma lo allontana dalla protezione materna. Contemporaneamente, permette al bambino di percepire e osservare un legame fra i suoi genitori in cui non c’è contesa sui diritti e i doveri o sugli obblighi rigidi di un ruolo definito dal genere o dalla legge di natura.
Anche quel legame è tutto da inventare: alla psicoterapeuta, alla terapeuta di coppia, alla consulente genitoriale i “nuovi padri” chiedono sostegno per gestire l’ansia e l’insicurezza che provano nell’attraversare l’esperienza genitoriale senza un modello di riferimento convincente, e per trovare un equilibrio, fra il desiderio di essere attivi e coinvolti in ogni aspetto della cura del loro bambino e la “difesa del territorio” delle madri, ancora incerte riguardo alla competenza del maschio, e non sempre così disposte a rinunciare alla prevalenza della loro relazione affettiva con il bambino.
L’elemento chiave che consente alle coppie di trovare e mantenere questo equilibrio è il reciproco riconoscimento, come persone e come genitori: lo scambio di sguardi di valorizzazione e di sostegno fra il padre e la madre, la verbalizzazione autentica e calorosa della approvazione di modi, azioni, comportamenti dell’altro è, stranamente, poco diffusa e poco spontanea; ma è la materia con cui si costruisce la nuova immagine di una coppia genitoriale che è anche coppia affettiva e relazionale, e in cui maschile e femminile non competono e non si arroccano sulle differenze e sui diritti. È un esempio di relazione che potrà, forse, cambiare la relazione fra uomo e donna nelle generazioni future, completando il ciclo del cambiamento e superando la fase faticosa della crisi.
Bibliografia
Argenteri S., 2014. Il padre materno, Einaudi ed. Torino.
Blaffer Hrdy S., 2025. Il tempo dei padri. L’istinto maschile nella cura dei figli, Bollati ed., Torino.
Darwin C., 1871. L'origine dell'uomo, traduzione di Michele Lessona, UTET ed. Torino.
Fedelman R., Abrahama E. et al., may 27 2014. Father’s brain is sensitive to childcare experiences in Proceedings of the National Academy of Sciences, 111 (27) 9792-9797
Gilodi R., 2025. Il peso dei padri, Doppiozero settembre 2025
Mead M., 1935. Sex and Temperament in Three Primitive Societies, William Morrow and Company ed. New York.
Mori L., a cura di, 2021. Diventare padre: sguardi sulla paternità interiore” , prefazione di Monti F, Mimesis ed., Milano-Udine.
Petrella B., 2024. Oltre – un’inchiesta sull’universo incel italiano
Quadrino S., 2024. A cosa serve un papà. Essere padri superando modelli e ruoli del passato. Uppa ed , Roma.
Vogl J. L., Dunne E. C., et al, 2021. Kangaroo father care: A pilot feasibility study of physiologic, biologic, and psychosocial measures to capture the effects of father-infant and mother-infant skin-to-skin contact in the Neonatal Intensive Care Unit, Developmental Psychobiology, 63.