Riflessioni Sistemiche n° 29


Volti molteplici di un’appartenenza

Una pensione non quiescente

di Tiziano Scarponi


medico di medicina generale
docente nel corso di formazione specifica in Medicina Generale
Socio Ordinario AIEMS, Roma

Sommario

Con il pensionamento l’azione tradizionale per un medico di famiglia cambia. Non più un una presa in carico diretto del paziente, ma la partecipazione a momenti di progettazione per un’assistenza territoriale basata sulla complessità.


Parole chiave

Medicina Narrativa, Costruttivismo, Medicina Territoriale, Decreto Ministeriale 77.


Summary

With retirement the traditional action for a family doctor changes. No longer taking direct care of the patient, but participation in planning moments for territorial assistance based on complexity.


Keywords

Narrative Medicine, Constructivism, Local Medicine, Ministerial Decree 77.

 


E’ luogo comune che dopo una certa età non convenga più fare bilanci sulla propria vita in merito al lavoro, agli affetti o su come hai gestito i vari ruoli che hai avuto. Oramai sei in pensione e per quello che ti rimane da vivere non ha più senso fare programmazione e fissare degli obiettivi... tanto!

Non nascondo che la tentazione di immobilizzarsi in una specie di viver quotidiano aspettando magari davanti alla televisione l’ora dei pasti o di andare a dormire è stata forte, ma per fortuna quella curiosità e voglia comunque di far qualcosa che probabilmente fa parte della mia epigenetica ha prevalso e anche quei momenti di scarsa attività li sfrutto, direbbe Jung, come una fase di introversione per acquisire consapevolezza interiore per poi comunque dirigere certe scelte.

Nella presentazione che faccio di me stesso nel mio blog recito testualmente: “Sempre curioso e alla ricerca di una risposta all’enigma della Sfinge: “Chi è l’uomo?”. Dopo aver cercato nella Medicina ho indagato nella Psicologia, poi nell’Omeopatia ed ora sono approdato alla Sistemica e alla Complessità, ma sono sempre più convinto che la risposta esaustiva non sarà mai data in questa vita.”


Proprio così! Se percorro a ritroso e in maniera introversa le mie scelte, forse inconsapevolmente sono state dettate da un postura di ricerca continua: studiare l’uomo da un punto di vista biologico e organicista e questo spiegherebbe la laura in medicina. Cercare di comprendere anche le istanze psichiche mi ha fatto fare un percorso di formazione in psicoterapia e il valutare la possibilità anche di un’altra medicina mi ha spinto a studiare l’Omeopatia. 

Non mi sentivo soddisfatto e navigando nella rete alla ricerca di qualche nuova meta, usando la parola epistemologia nei motori di ricerca, mi sono imbattuto in dei siti che parlavano di complessità, di sistemica. 

Uno di questi mi colpì in modo particolare, quasi a pelle, ed era quello dell’AIEMS che stava anche organizzando un convegno nazionale presso l’Auditorium dell’Unicef a Roma nell’aprile del 2013. La curiosità era tanta, così di buon’ ora sono partito alla volta della capitale e sono approdato alla riva della sistemica. Non nascondo che all’inizio quello che riuscivo a capire era poco o nulla, ma poi con il susseguirsi degli interventi è stato un po’ come sentirsi in casa propria: umanità nella cura, soggettività, comprensione dell’altro, erano dei concetti che giravano da tempo sopra di me, ma forse in modo superficiale e sentivo che in quel momento della mia vita potevo probabilmente avere la possibilità di approfondirli.

E’ poi seguita la vacanza studio a Monteluco di Spoleto e qui è avvenuta la mia “iniziazione” alla complessità. Lo stare insieme e confrontarsi tra medici, psicologi, educatori, antropologi, filosofi mi ha dato la possibilità di vedere il problema con un’ottica veramente multidisciplinare e sono tornato a casa pieno di stimoli e suggestioni e tanta voglia di rimettermi a leggere e studiare.




La Medicina Narrativa come preludio alla Complessità


La prima tappa è stata quella della scoperta della Medicina Narrativa (MN) o meglio della NBM (Medicina Basata sulla Narrazione) come strumento oramai quasi indispensabile per contestualizzare i sintomi che un paziente presenta e comprenderlo in modo totale: il cosiddetto approccio bio-psico-sociale risulta quasi automatico facendo narrare la propria storia di malattia.


Devo precisare che in più di una circostanza ho preso e ancora sto prendendo posizione nel definire la specificità della Medicina di Famiglia nei confronti della MN. Troppo spesso vedo i tavoli dove si teorizza e si rende quasi dogmatico lo strumento narrativo senza esponenti della Medicina Generale che sono gli unici operatori sanitari che possono avere una visione di interezza: “Noi partiamo da un osservatorio privilegiato in quanto del Nostro conosciamo in partenza la sua ecologia, il suo essere-nel-mondo con le sue prerogative…il cosiddetto approccio bio-psico-sociale si dà o si dovrebbe dare in modo quasi automatico. Che voglio dire con questo? No di certo che per noi la Medicina Narrativa sia innata come dote naturale, ma che mentre per il riabilitatore, il diabetologo o l’oncologo la narrazione inizia con i capitoli posti a metà o prossimi alla fine del libro del nostro paziente, per noi la storia comincia con il primo capitolo se non addirittura con la prefazione perché come dice ancora Sergio Boria nei nostri confronti:” ho spesso verificato in loro una sorta di “conoscenza sistemica incarnata” (embodied)…….”.e con questa conoscenza possiamo spesso percorrere scorciatoie impensabili per altri operatori e arrivare a risultati incredibili. Il vero problema è far acquisire a tutti i colleghi questa consapevolezza che richiama poi il vecchio concetto di M. Balint su come il medico stesso sia di fatto una medicina con indicazioni, controindicazioni ed effetti collaterali (Scarponi T., 2015).


Così scrivevo e ho scritto in altre occasioni (Scarponi T., 2018)) e ancora oggi insisto in questo concetto, per questo motivo sto partecipando ad un ciclo webinar dal titolo: “Narrando…narrando…si cura” tenuto dalla Società Italiana di Medicina Generale di Modena e l’Università di Modena e Reggio Emilia in cui si cerca di delineare la Medicina Generale Narrativa.




Costruttivismo e relazione medico-paziente


Con le storie raccontate dai pazienti viene introdotta una modalità soggettiva nel compiere atti medici definiti scientifici e questo prelude a un cambio di paradigma epistemologico, di metodo, in cui le decisioni vengono di fatto costruite dalla relazione tra due soggetti ed ecco farsi strada il costruttivismo. 

Questo è un punto cruciale che potrebbe dare adito a incomprensioni e a fraintesi se ci confrontiamo con un’ottica radicale dell’Evidence Based Medicine. Quest’ultima si basa sul concetto di misurabile e ripetibile, sulle linee guida di comportamento clinico derivante dai risultati delle ricerche cliniche randomizzate e controllate in doppio cieco e i conseguenti percorsi diagnostici e terapeutici che in questo momento sono presi quasi a verità apodittica. 


Ogni medico però, soprattutto se ragiona in termini di complessità e con onestà intellettuale sa bene che la cura di un essere umano ha tante sfaccettature e se vogliamo costruire la sua cura come un abito sartoriale su misura ogni tanto si deve superare il protocollo diagnostico terapeutico e decidere il meglio che deriva dalla relazione curante e curato.


Non è semplice per me parlare in termini filosofici o psicologici di costruttivismo, ma proverò a scrivere come credo che tale epistemologia abbia di fatto cambiato il mio modo di essere medico soprattutto nell’attenzione alla relazione ed al rapporto che ho con i miei pazienti. 


Con molti di questi ho iniziato un percorso di presa in carico da decenni, abbiamo vissuto insieme esperienze di gioia e di sofferenze e abbiamo avuto un rapporto tale per cui man mano che si sono susseguiti i nostri contatti ci siamo “vicendevolmente costruiti” di volta in volta.

Questa consapevolezza dovrebbe portare a riformulare la figura ed il ruolo del medico di famiglia in un’ottica anche di salute, meglio di educazione alla salute e alla vita stessa. 

Avvallare in un’ottica di terapia farmacologica, per esempio, le difficoltà esistenziali di un giovane è quanto di più pericoloso si possa fare nel generare patologia dapprima psichica e poi anche fisica.

Mi si perdonerà la non padronanza di un linguaggio consono alla portata dei concetti che vorrei esprimere, frutto forse di una scarsa confidenza in termini di linguaggio con l’impalcatura teorica del costruttivismo e della cibernetica per cui proseguo nel descrivere quello che attualmente sto portando avanti in un’ottica di complessità e sistemica nel raggio di azione per me ancora possibile.




Servizio Sanitario Nazionale e approccio sistemico


In questa fase storica tutta la nostra nazione sta progettando il futuro dietro la spinta del cosiddetto Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). E’ curioso come la parola resilienza, sino a poco tempo fa appannaggio quasi esclusivamente della psicologia, sia diventata di uso comune nei tavoli della politica e della programmazione socio-economica. Di fatto è da più di un anno che in ambiente sanitario non si fa altro che parlare del Decreto Ministeriale (Dm77), vale a dire l’evoluzione del Dm 70 facente parte della missione 6 del sopracitato PNRR in cui si dovrebbe ridisegnare tutta l’assistenza sanitaria territoriale (Agenas, 2022) configurando tutta l’organizzazione del distretto sanitario (Fig.1)

Fig. 1 - Organizzazione del Distretto Sanitario dal Quaderno AGENAS Documento di Indirizzo del metaprogetto della casa di comunità. Agosto 2022 

Il modello organizzativo disegnato, infatti, ruota intorno al Distretto sanitario che diventa il centro di riferimento per l’accesso a tutti i servizi delle ASL. All’interno del Distretto opera la Casa della Comunità che rappresenta il fulcro della nuova rete territoriale dal momento che è il luogo dove i cittadini potranno trovare assistenza h24 ogni giorno della settimana in un modello organizzativo di approccio integrato e multidisciplinare costituito da medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialisti, infermieri di famiglia e tutti gli altri professionisti coinvolti nel processo di cura. Non credo che sia il caso di fare l’esegesi di tale decreto di cui tanto si discute e del quale ancora, nonostante i tempi per la realizzazione e quindi il finanziamento da parte dell’Europa si stiano facendo incalzanti, sembra ancora abbastanza remota l’attuazione. Quello che mi preme sottolineare, però, è come l’approccio complesso e sistemico sia indispensabile per poter veramente, una volta per tutte, dare il giusto risalto alle cure primarie di cui durante la pandemia di Covid si è capita l’importanza: nelle regioni in cui il territorio non è stato in grado di assolvere al proprio compito è andato in crisi tutto servizio sanitario regionale. Chi ragiona in termini sistemici direbbe “nulla di nuovo”: la crisi di una parte si riverbera su tutto il sistema. 

Tutto il Disegno del Dm77 rimanda ad un concetto pregiudiziale: il concetto di rete e della connessione tra i vari nodi della rete. A questo punto ripropongo ciò che ho scritto in altra sede (Scarponi T., 2022). Tale decreto pianifica l’assistenza territoriale stabilendo il finanziamento, il numero delle strutture con i servizi offerti, quali e quanti professionisti da coinvolgere, fissando cioè degli standard quantitativi. Manca, però, quasi del tutto l’indicazione su come debbano funzionare e soprattutto sulla relazione fra le varie strutture dei vari “nodi” delle reti.

Si fa presto a parlare di integrazione e multiprofessionalità ma manca l’indicazione e la formazione su come lavorare in modalità integrata e multiprofessionale. Non si tiene conto, come al solito, che gli operatori del territorio abbiano contratti di lavoro diversi e pertanto problematiche sindacali e retributive diverse; soprattutto non è esplicitato come i medici ed i pediatri di famiglia si connettano all’insieme del sistema e inoltre come l’infermiere di comunità possa diventare il coordinatore reale della quotidianità della Casa di Comunità.

Ottima l’indicazione sulla Medicina di Popolazione ma anche qui si corre il rischio di mappare il territorio solo in un’ottica di consumi sanitari tralasciando tutto quello che potrebbe essere salutogenesi e promozione della salute.

Quest’ultima non può essere definita solo in una cornice medica, ma è sempre inserita in un contesto culturale, sociale e soggettivo. Viene favorita da “contesti di apprendimento, creatività, progettualità, evolutività, bellezza (qualsiasi forma essi assumano dai più modesti e quotidiani ai più complessi) e circolarmente li favorisce. Inoltre, l’esperienza della salute è sostenuta dal riconoscimento e dall’accettazione dell’incertezza e del limite quali aspetti costitutivi e ineliminabili della vita umana, così come la malattia e la morte”. (AIEMS, Manifesto Laboratorio di Ecologia della Salute, 2019)

Anche il coinvolgimento delle associazioni di volontariato e del terzo settore viene valutato non in maniera piena e i Comuni non vengono quasi presi in considerazione.


Comunque sia, se pure con diverse ombre, siamo difronte ad un notevole passo in avanti. Dovremo superare la grossa criticità delle risorse umane: sempre più difficile trovare medici ed infermieri disposti a lavorare nel servizio pubblico. Qui la politica dovrà fare delle scelte sul tipo di investimento che vorrà fare in tal senso, in quanto è impensabile garantire un buon livello assistenziale senza allocare risorse finanziarie aggiuntive, il PNRR pare che sia finalizzato solo per creare strutture.

Spetterà poi a noi tutti saper mediare questa nuova realtà entrando nella soggettività dei cittadini.

Chi ha sempre lavorato nel territorio sa benissimo che le regole e le linee guida dettate dalla scienza medica per essere assimilate e metabolizzate necessitano di una decantazione soggettiva. In ospedale la maggior parte delle domande ed offerte poggiano su dei criteri più o meno oggettivi e quantitativi. Le linee guida, l’accesso alla tecnologia permettono delle risposte misurabili e attendibili 


Nel territorio entrano in giuoco fattori di contesto, ambientali, sociali, emozionali, spirituali che influenzano l’andamento delle cure, per cui l’approccio medico da solo non è più sufficiente. Si dovrà imparare dalla psicologia, dalla sociologia e soprattutto dall’antropologia medica la dimensione culturale secondo i “Modelli Esplicativi “della malattia per ogni paziente. Vale a dire “l’insieme delle nozioni impiegate dai vari soggetti coinvolti nella cura per ricostruire le cause e il significato di un episodio di malattia ed elaborare il sapere utile per una possibile azione terapeutica”. (Kleinman, 2006, pp. 5-29). 


Tutto ciò rimanda ai ben noti concetti di Illness-desease-sicknes, a come viene vissuto e capito il rischio asintomatico rispetto alla patologia conclamata, alla discrasia tra esperienza soggettiva e valutazione probabilistica di malattia.

Ecco pertanto che sarà indispensabile, per garantire un buon livello alla “Primary Healt Care”, fissare i seguenti concetti:


• MEDICINA NARRATIVA

• MEDICAL HUMANITIES

• COUNSELLING

• INTERDISCIPLINARIETA’

• MULTIPROFESSIONALITA’

• PROSSIMITA’

• CONTESTO


Da quando sono in pensione senza dubbio il mio modo di operare è cambiato. I momenti di contatto diretto nel rapporto medico-paziente sono molto diminuiti, ma i momenti di confronto in vari tavoli istituzionali, in convegni medici e del terzo settore in cui sono chiamato come stakeholder per quanto attiene la progettazione e programmazione della politica sanitaria e professionale non mancano. E’ proprio in queste occasioni che più che mai sottolineo l’importanza del poter fare rete in modo sistemico approcciando la complessità.

Certo dovrà essere fatta molta formazione, dovremo abbandonare il mero riduzionismo organicista e insegnare a ragionare in modo sistemico e che tutta l’organizzazione sanitaria “deve essere assimilata ad un sistema complesso cioè ad una rete interconnessa che funziona con delle regole molto spesso identificate dal basso da cui emerge un comportamento collettivo non riconducibile alle singole componenti del sistema stesso” (AIEMS, Manifesto Laboratorio di Ecologia della Salute, 2019).


Bibliografia