Riflessioni Sistemiche n° 29


Volti molteplici di un’appartenenza

Dall’allevamento intensivo alla visita sistemica. Racconto di un lungo percorso di cambiamento all’interno della professione veterinaria


di Carla De Benedictis

Medica Veterinaria Libera Professionista
Socio Ordinario AIEMS, Roma

Sommario

In 35 anni di professione veterinaria ho avuto modo di osservare e di riflettere sul rapporto essere umano-animali-ambiente. Le mie scelte professionali si sono dirette verso un modo diverso di concepire la cura sia degli animali che dell’ambiente, in modo da prevenire piuttosto che curare, con la consapevolezza che siamo tutti immersi nella stessa rete. Si illustra il percorso che ha portato a scegliere l’Omeopatia come prima scelta terapeutica. 


Parole chiave

medicina veterinaria, allevamenti intensivi, agroecologia, animali, visita sistemica, omeopatia


Summary

In my 35 years as a veterinarian I have had the opportunity to observe and reflect on the human-animal-environmental relationship. My professional choices have turned towards a different way of conceiving the care of both animals and the environment, so as to prevent rather than cure, with the awareness that we are all immersed in the same network. The article illustrates the path that led to choosing Homeopathy as the first therapeutic choice.


Keywords

veterinary medicine, intensive animal husbandry, agroecology, animals, systemic examination, homeopathy



Negli anni 2000, dopo 12 anni di professione divisa tra allevamenti intensivi di vacche da latte, di suini e di polli, clinica e anestesiologia sui cavalli, clinica di piccoli animali e consulente per industria mangimistica, il malessere che provavo nello svolgere il mio lavoro, nonostante fosse quello che fin da piccola avevo sempre sognato, si tradusse nel tempo in una profonda crisi che riguardava l’etica e il metodo. Abbastanza presto arrivai alla certezza che la maggior parte dei casi che affrontavo poteva essere risolta semplicemente prendendo misure di tipo strutturale, ambientale, alimentare: diminuire lo sfruttamento dell’animale (anche in ambito sportivo), nonché il sovraffollamento, limitare in modo considerevole l’uso dei farmaci, ma soprattutto trattando gli animali con rispetto.

Ma la logica del profitto non permetteva neanche di affrontare questi temi, le mie riflessioni erano inedite. Solo quando l’antibiotico resistenza iniziò a provocare delle limitazioni alle terapie per danni alla salute pubblica e all’ambiente e di conseguenza all’economia, si cominciò a scrivere di questi temi in ambito scientifico.  

Doveva esserci un’altra strada di approccio alla salute, perché la maggior parte delle patologie degli animali da allevamento erano tecnopatie, malattie indotte da un sistema di produzione che richiedeva standard sempre più performanti. Negli anni ‘90 era in voga per esempio la BLAP, una bovina da latte ad alta produzione, che riusciva a produrre fino a 60 litri di latte al giorno, con effetti devastanti sulla sua salute, con un grande impiego di farmaci e grande sofferenza animale. Analogo il caso dei broilers, polli da carne modificati, che dovevano crescere in tempi sempre minori dando le performance maggiori in resa di carne (in gergo tecnico si chiama “indice di conversione”). O i cavalli sportivi, messi in pista o a gareggiare troppo giovani, il che dava luogo a patologie articolari degenerative e a problemi comportamentali, tanto che all’età di 3-4 anni, ancor prima di aver completato lo sviluppo, non erano più idonei all’attività sportiva agonistica.

Ho sempre percepito l’animale, molti anni prima che questo venisse ratificato dalla scienza, come un essere senziente, capace di provare emozioni. Avevo scelto di vivere e crescere mia figlia in campagna già adottando trent’anni fa il concetto di biodiversità. Nel nostro giardino crescevano differenti specie vegetali, alcune autoctone, altre piantate da me rispettando le esigenze della pianta, potate in modo armonioso, fino ad arrivare a fare l’orto secondo il metodo Fukuoka, dove le “infestanti” coesistevano con le piantine coltivate proteggendole dai parassiti. Successivamente conobbi il Dr. Marotta, omeopata, che nel suo centro di medicina integrata ha dedicato molto spazio a queste tematiche, legandole alla salute umana.

Adiacente a casa c’era un bosco che mi avvicinava al mondo selvatico e custodivo animali domestici che interagivano tra loro.  Questo mi ha permesso di arrivare a riflessioni e osservazioni che nessun corso o testo mi avrebbe fornito. Trascorrevo il mio tempo libero ad osservare. La mattina presto, mi rintanavo nel mio pensatoio, e cioè i ricoveri dei cavalli, dove spalando sterco producevo idee già “concimate” per affrontare la mia giornata e il mio futuro.  Rimanevo incantata dalla capacità che hanno gli animali di comunicare tra loro, anche quando sono di specie diverse, e di completarsi a vicenda in una sorta di etologia collaborativa, di tolleranza, compassione ed espressione delle emozioni, che ancora adesso mi commuove. Eravamo una comunità e loro avevano capito che il fulcro era la casa e appena potevano si infilavano dentro per stare con noi; trovavo le oche sedute nell’atrio, il cavallo che guardava dentro la grande finestra del salone, l’asino che cercava cibo in cucina, la maiala che ci faceva compagnia nei momenti di relax. Loro avevano ben chiaro cosa fossero le relazioni e me le stavano insegnando. Osservando queste interazioni mi chiedevo come si possa solo pensare che gli animali non abbiano intelligenza o non provino emozioni. 


Fig. 1 - L’asino Tiberino reclama un pezzo di ciambella entrando in cucina.

Che impatto ha nell’infanzia la relazione con la natura?

Fig. 2 - Giulio Cesare mi guardava mentre lavoravo al computer,

 dopo aver escogitato una fuga dal suo recinto.

Loro mi hanno insegnato la comunicazione non verbale e il mettersi “nei panni dell’altro”, di come vede la vita e quali sono i confini da non superare.

Il sacrificio degli animali meritava condizioni di allevamento adeguate e rispettose anche perché ero sicura, e poi questo è stato dimostrato successivamente da studi scientifici, che migliori condizioni di vita avrebbero aumentato anche le loro performance. 

Diminuendo il numero dei capi allevati, evitando il sovraffollamento, i vantaggi erano che si ammalavano meno, crescevano meglio, il consumo dei farmaci era ridotto così come l’inquinamento.

Gli animali da allevamento erano/sono considerati res, merce di scambio, alcuni sostenevano che non provavano sofferenza, erano solo animali, numeri. Le brutalità a cui assistevo mi colpivano profondamente ed era difficile muoversi in quell’ambiente senza conflittualità e discussioni con i colleghi del servizio pubblico e gli allevatori.

Da tenere in conto che essere donna non semplificava le relazioni con un mondo prevalentemente maschile, le obiezioni che facevo venivano sempre catalogate come “troppa sensibilità femminile”.

Anche se il movimento animalista era già attivo in quegli anni, non mi sono mai riconosciuta in quelle forme di protesta, benchè gli riconosca di aver portato all’attenzione dell’opinione pubblica il problema del benessere animale, questione che neanche la comunità scientifica veterinaria era in grado di affrontare, se non nei vincoli della produttività economica.

La ricerca di una forma più rispettosa e intelligente di allevamento degli animali doveva passare attraverso un sistema che proponesse una alternativa valida in tempo reale piuttosto che l’utopica abolizione di ogni forma di sfruttamento.

Quello per cui avevo studiato con fatica non poteva risolversi, dopo diagnosi anche elaborate, con pochi farmaci, sempre i soliti: la soluzione non doveva essere medicalizzare, bisognava agire a monte, investire sull’informazione corretta e su pratiche virtuose di coltivazione, di allevamento e di cure alternative per il suolo e gli animali.

Fu così che cercando e dopo varie riflessioni, non trovando nel mondo accademico ciò che cercavo, che nel 2000 mi iscrissi al corso triennale di agopuntura e a quello di omeopatia classica.  Non potevo cambiare la realtà, ma almeno proporre terapie dietro le quali c’era un pensiero su come curare un sistema e non un singolo organo malato.

Fu come partire verso l’esplorazione di nuovi mondi, in cui trovai le connessioni che cercavo.

Il concetto di “relazione rispetto a”, lo sentii alla prima lezione del primo anno di agopuntura. Tutto in medicina cinese è in relazione a qualche altra cosa.  La medicina cinese è infatti nata dall’osservazione della natura, di un sistema vivente, su cui sono state fondate analogie e relazioni che sono valide ancora oggi dopo migliaia di anni.

Schema 1 - La teoria dei 5 movimenti illustra come tutto è in relazione

Con gli anni e la pratica clinica, dopo aver preso calci, cornate, graffi e morsi per effettuare terapie sintomatiche iniettabili spesso inefficaci quanto inutili e valutando che a casa c’era sempre una figlia ad attendermi, ho pensato che una medicina dolce potesse efficacemente guarire senza nuocere (anche al veterinario), grandi numeri di animali contemporaneamente.

L’Omeopatia diventò così la mia scelta terapeutica privilegiata.

L’avversione del mondo scientifico a questa materia mi spinse fin dall’inizio a sottoporre a verifica, quanto più obiettivamente possibile, l’efficacia del metodo omeopatico. Per prendere coraggio, subito dopo il diploma (2003), sperimentai su 1500 maiali una terapia per le affezioni respiratorie e reumatiche tipicamente proprie del confinamento, per le quali si utilizzavano quintali (in senso stretto) di antibiotici in polvere e centinaia di flaconi di un prodotto a base di penicillina e cortisone.  Si trattava dell’allevamento intensivo di 15.000 suini di cui ero veterinario aziendale. Erano 10 capannoni, ogni capannone conteneva 1500 maiali. Ne presi due che avevano le stesse caratteristiche, uno lo trattai omeopaticamente, l’altro mi serviva come controllo.  Chiesi la collaborazione degli operai che somministravano i trattamenti allopatici, di scrivere su fogli prestampati le quantità di farmaci somministrate ad ambedue i capannoni. Gli omeopatici li facevo somministrare in acqua, aggiungendoli alla broda (mistura di siero di latte e cereali). L’allevatore mi minacciò: avrei dovuto rimborsare personalmente ogni maiale morto a causa della sospensione degli antibiotici e della somministrazione di questa terapia sconosciuta.

Fig. 3 - Interno del capannone di allevamento intensivo di maiali per produzione del prosciutto di Parma, dove ho sperimentato la cura omeopatica. Gli animali, arrivati al peso stabilito, non hanno più neanche lo spazio per sdraiarsi. Sono sporchi delle loro stesse feci, mentre etologicamente i maiali sono animali molto puliti.

Con mia sorpresa alla fine del ciclo produttivo, nel gruppo sperimentale la necessità di antibiotici si ridusse dell’80% rispetto al capannone di controllo, ma anche le lesioni da morso provocate dai conflitti tra gli animali erano scese notevolmente. Seguii poi gli animali anche nella catena di macellazione, per constatare la validità della cura: coinvolgendo il collega addetto all’ispezioni delle carni verificammo la presenza/assenza di lesioni anatomo-patologiche relative alle polmoniti da micoplasma.  Il risultato fu eclatante e molto diverso rispetto al capannone di controllo.

Non solo avevo subito confutato l’evergreen dell’effetto placebo, ma anche il fatto che l’Omeopatia poteva funzionare in condizioni avverse come l’inferno di un allevamento intensivo, non solo sulle malattie organiche, ma anche sulla psiche, come in seguito potei sperimentare su scrofe e maialini, polli e bovini da carne e cavalli. Questo fu il mio inizio, sperimentare su grandi numeri ed avere dati per dare un senso al grande cambiamento che stavo intraprendendo, non scevro da effetti collaterali importanti sulla mia vita.

Quando “il Biologico” iniziò a prendere piede, ho sperato veramente che potesse cominciare un cambio nel modo di concepire l’allevamento, infatti nei primi regolamenti CEE era caldamente suggerito di utilizzare le medicine non convenzionali per la cura degli animali, di limitare i trattamenti antiparassitari a due l’anno, così come i medicinali di origine chimica, se non in casi eccezionali.   Ma questa speranza è durata poco, quando si è compreso il business che poteva portare il biologico, i regolamenti allargarono le maglie interpretative e si adeguarono alle grandi produzioni. 

Tutti i buoni propositi con cui era nato questo sistema alternativo a quello intensivo si è perso per strada, mostrando anche notevoli ambiguità lessicali (faccio un esempio: si parla che gli animali devono stare in spazi aperti o pascoli per alcuni mesi l’anno, ma l’uno non è il sinonimo dell’altro. Uno spazio aperto può essere un recinto fangoso, un pascolo è un campo aperto dove l’animale può camminare e alimentarsi). L’idea del consumatore di consumare prodotti biologici provenienti da animale felici e liberi nei prati a razzolare o pascolare, nella maggior parte dei casi non è aderente alla realtà. Partecipai per anni ai Gruppi di Acquisto Solidale portando avanti le istanze “animali” e questo mi creò non poche conflittualità, perché il problema non era molto sentito e a mio avviso si perse una grande occasione di cambiare le cose. Accettai l’incarico della Confederazione Italiana Agricoltura di scrivere un vademecum per una Fad (formazione a distanza) rivolta all’allevatore tradizionale che era intenzionato a passare dal metodo convenzionale al metodo biologico.  Senza ancora avere alcun tipo di conoscenza sistemica, scrissi un capitolo che si intitolava “Mantenimento della salute”, come si poteva incrementare la salute dell’animale partendo dalla realtà in cui viveva, migliorando il suo benessere mentale e fisico, senza sottoporsi a costosi cambi strutturali, ma allargando lo sguardo e abituandosi a vedere la realtà nel suo insieme. Anni dopo mi trovai nel gruppo del LES a partecipare nella stesura del primo manifesto sulla salute.

Esempio del capitolo

APPROCCIO INTEGRATO ALL’ALLEVAMENTO SUINO (2010)

Mantenimento della salute

Schema 2 - Per funzionare un sistema biologico ha bisogno che tutte le sue componenti siano in armonia o che si lavori perché lo diventino.

Un incontro molto importante fu con il collega veterinario omeopata Marco Verdone, che si occupava di gestire l’allevamento nella casa di reclusione dell’isola di Gorgona, dove i detenuti in semi libertà allevavano gli animali e vendevano i loro prodotti, utilizzando l’omeopatia come cura delle patologie più comuni.  Ebbi la fortuna di visitare questa realtà insieme al collega Verdone e mi resi conto della fitta rete di relazioni tra interno ed esterno che gravitava intorno a quella comunità, nonché di equilibri molto delicati, tra detenuti, agenti di custodia, lavoro con gli animali e dalle condizioni metereologiche per raggiungere o far arrivare il necessario dalla terraferma.

Fig. 4 -  Intervento di emergenza per una frattura del corno durante la visita alla colonia penale dell’isola di Gorgona.

Conobbi anche il gruppo di omeopati ed ecologisti che si recava nel Saharawi spagnolo (Marocco), attivando corsi e fornendo un know-how alla popolazione riguardo ad agricoltura, allevamento, alla desalinizzazione dell’acqua con pannelli solari e alla cura con medicine alternative, che potevano essere fabbricate da loro. Nonostante fosse uno dei peggiori posti della terra per sopravvivere, avevano trovato il loro equilibrio adottando pratiche virtuose.

Non avevo ancora la consapevolezza di essere immersa in una rete, fino a quando non conobbi in ambito omeopatico collega Dr.ssa Francesca Pisseri che già si occupava di agroecologia, di complessità e di sistemica. Dal nostro incontro è nato uno scambio stimolante tra chi come me era stata dall’altra parte della barricata e conosceva bene il sistema intensivo e lei che aveva studiato a fondo l’agroecologia e i modi per applicarla all’allevamento.  Quella è stata una tappa fondamentale in cui ho iniziato a mettere insieme tutte le riflessioni maturate in venti anni di professione. Mi fu presentato anche il prof. Caporali, colui che ha rilanciato l’agroecologia in Italia, che ebbi modo di conoscere e ascoltare molte altre volte.

Fig. 5 - L’osservazione della fertilità del suolo in una azienda biologica di agrumi in Calabria

Era possibile coltivare ed allevare in un altro modo, con rispetto verso gli animali, la natura, gli umani, dove le persone coinvolte, dai professionisti al personale, si parlavano e interagivano perché il sistema fosse sempre in equilibrio.  Ognuno di loro era portatore di un sapere, che non veniva calato dall’alto, ma le pratiche nascevano dalla collaborazione di tutti.  È stata una esperienza veramente entusiasmante, ho visitato aziende in cui si lavorava in modo straordinario e dove ho constatato l’importanza di conoscere a fondo sia le pratiche agronomiche sia l’etologia e il comportamento di ogni singola specie domestica. 

Fig. 6 - Allevamento di bovini da carne semibrado in azienda agroecologica. Si può osservare un pascolo rigoglioso, animali in libertà che non hanno paura del genere umano perché c’è stata un’ottima interazione tra il personale e gli animali. Questo tipo di relazione entra nel concetto di etologia collaborativa, perché semplifica le operazioni di spostamento del bestiame nelle rotazioni dei pascoli.

Conoscere come si comporta l’animale non serve solo a migliorare il suo benessere, ma può essere utilizzato come collaborazione nella gestione aziendale. Viene chiamata etologia collaborativa (es. si usano i suini per dissodare i campi di patate o di tuberi, o i polli e galline per arieggiare i terreni e eliminare i parassiti, le capre e gli asini per pulire i terreni in pendenza e incolti, le vacche più anziane che organizzano un asilo per i piccoli mettendoli in sicurezza, mentre quelle in lattazione vanno in cerca di cibo, ecc).

Schema 3 - Inserimento dei suini nella rotazione delle colture nell’allevamento sperimentale biologico di Ekhaga, facoltà svedese delle Scienze Agrarie. Nel sistema di Ekhaga, le scrofe partoriscono una volta all’anno, in primavera. Di preferenza sono portate nei pascoli della foresta dopo aver partorito. In alternativa vengono lasciate in un campo tenuto a prato (A). Dopo il raccolto del secondo anno, i suini sono “messi all’opera” nella rotazione delle colture (inizio luglio). Per prima cosa ripuliscono un campo del secondo anno (B), che viene seminato con grano invernale dopo che i suini sono stati rimossi. Dopo la raccolta del grano continuano l’opera nei campi, dove mangiano i residui del raccolto e le erbacce (C). Sono quindi portati nei campi di avena e di piselli (D) dopo la raccolta e infine nei campi di patate o di altre radici commestibili, come rape e carote (E). Nelle ultime 2-3 settimane prima della macellazione (a circa 7 mesi di età), i suini da ingrasso sono quindi tenuti in campi più piccoli e nutriti con un’integrazione di cereali in aggiunta al foraggio (F), mentre le scrofe sono portate nei loro ricoveri invernali (G). Vaarst, M., Roderick, S., Lund, V., Lorckeretz, W., Salute e benessere animale in agricoltura biologica, Ed. Agricole, Bologna, 2006. Ripreso dal libro “Convivere l’allevamento del futuro”

Decidemmo così di portare questa nostra esperienza in un libro, unico nel suo genere Con-vivere, l’allevamento del futuro, dove si parla di agroecologia, già di per sé un approccio sistemico, applicato all’allevamento etico e a una cura alternativa per le patologie. Il libro ha vinto il “Premio Maiella 2015” nell’ambito di una manifestazione sull’editoria “verde”, ed è stato presentato alla trasmissione Fahrenheit di Radio 3. Il libro, che è ancora attuale benchè siano trascorsi nove anni dalla pubblicazione, è la condensazione delle nostre esperienze ed è una guida per chi vuole allevare in modo etico e sostenibile e conoscere l’etologia degli animali che intende allevare, per non fare errori grossolani che purtroppo si tramandano da generazione, come confondere le pecore con le capre. 

Perché è così importante l’etologia e l’ambiente in cui vivono gli animali? 

Come si afferma nel Manifesto del Les 2019, formulato per gli umani, ma che possiamo adeguare anche agli animali, la salute non è solo di pertinenza medica e che condizioni di contesto e di sistema ostacolano la salute.  

Ne ho tratto quelle che ostacolano l’espressione della natura animale ….”isolamento, conflittualità,, alienazione dai propri bisogni, disconnessione dalla natura, alimentazione eccessiva, insufficiente o sbilanciata, povertà di spazi di vita e esperienza nella natura

quelle che incidono sull’ambiente  inquinamento ambientale, progressiva soppressione della biodiversità,  

quelle che incidono sulle emozioni, alienazione dall’esperienza corporea, dal contatto con le emozioni, , carenza verso la genitorialità, e al successivo sviluppo dell’infanzia e dell’adolescenza, scarse cure parentali, impoverimento delle relazioni,

quelle che incidono anche sulla nostra salute, medicalizzazione della vita, (from stable to table, dal piatto alla tavola, tutto ciò che viene somministrato all’animale e alle piante,  anche in minima parte (ppm, parti per milione), lo ritroviamo nel cibo.

quelle che incidono sulla disconnessione dalla natura per manipolazioni genetiche delle specie, cioè selezioni spinte di razze più produttive, come polli che crescono in massa muscolare velocemente, ma dopo la data prevista di scadenza non sono adatti a proseguire la vita, oppure razze esteticamente attrattive per modificazioni di alcuni tratti somatici, che provocano empatia nell’acquirente, ma vivono una vita piena di sofferenze, razze di cane selezionate ad avere gli occhi grandi a scapito della scatola cranica, come il cavalier king, che soffre di siringomielia (condizione neurologica dolorosa per compressione del midollo spinale).

Fig. 7 - Cucciolo di Cavalier King. Le manipolazioni genetiche hanno cambiato la fisionomia di questa razza, selezionando occhi più grandi a scapito del volume della scatola cranica e sono causa di patologie dolorose, sofferenza e spese veterinarie ingenti.

E’ necessario che ogni specie animale esprima i propri bisogni sia di comportamento individuale che sociale, che eserciti il diritto alla maternità/paternità  e cura della prole, al gioco nell’infanzia e nell’adolescenza, che non siano sottoposti a traumi che bloccano le emozioni, che non vengano medicalizzati per sopperire a carenze igieniche e strutturali, che abbiano diritto alle relazioni sociali tra loro e con altre specie, e la possibilità/spazio di sottrarsi alle prepotenze e alle conflittualità, che si rispetti l’invecchiamento e il diritto alla pensione per gli animali sportivi.

Queste considerazioni valgono anche per gli animali da compagnia, cane e gatto, dei quali da diversi anni mi occupo a tempo pieno.

La cura degli animali e di conseguenza la visita con approccio sistemico ha delle caratteristiche differenti da quella tradizionale ambulatoriale o specialistica.

La prima cosa che dedico al proprietario e al paziente è il tempo. È importante stabilire una relazione con chi si occupa dell’animale e con l’animale stesso. Si può iniziare con una breve passeggiata, se si tratta di un cane, per rompere il ghiaccio, prima di entrare in studio.

Al tempo è strettamente legato l’ascolto della storia che lega questa persona all’animale, partendo sempre dal racconto spontaneo per poi arrivare al motivo della visita.

Succede sempre che, una volta che il proprietario si siede davanti a me e capisce di essere ascoltato e di avere tempo per parlare, inizia a raccontare della sua vita, delle sue malattie che si intersecano con quelle dell’animale in visita e anche degli altri animali che ha lasciato a casa. Entro così nella vita delle persone, nei loro drammi personali ai quali si aggiunge la malattia dell’animale, che crea tanta preoccupazione ed ansia. A volte le persone presentano proprio disturbi del “care giver”, se il caso è cronico e se si sono occupati di parenti con gli stessi problemi. Con loro c’è bisogno di ulteriori attenzioni a non caricarli troppo di cambiamenti da mettere in atto.

L’ascolto dell’animale avviene attraverso l’osservazione di come l’animale percepisce un nuovo ambiente, della dinamica proprietario animale e dell’animale nei miei confronti, della relazione che c’è tra di loro.

L’ambiente in cui visito è un altro valore aggiunto. Ricevo nella mia casa, in uno studio accogliente e silenzioso.

La visita

La parte sistemica della visita si svolge attraverso molteplici interazioni e scambi molto complessi. Si inizia con il motivo della visita, quale patologia deve essere curata e l’iter che li ha portati fino da me.   La maggior parte delle volte mi trovo di fronte a patologie complesse e persone scoraggiate da terapie inefficaci e da un investimento economico notevole. 

In genere questo tipo di cliente ha fretta di risolvere il problema e la parte più difficile è comunicargli che invece in questo caso devono avere pazienza perché la cura non si risolve con un farmaco, ma con un insieme di azioni che vanno nella direzione della salute.

Il Tempo ritorna anche come mezzo di guarigione, ma ciò che lo innesca è il cambiamento dello stile di vita e di abitudini non corrette. 

È importante dare informazioni non solo di tipo sanitario, ma anche sul comportamento dell’animale, sulla alimentazione, su come leggere i segnali che l’animale ci manda.  

Le informazioni ricevute dal proprietario sono essenziali per stabilire un dialogo e per comprendere attraverso il suo racconto la personalità dell’animale, che solo lui/lei conoscono a fondo, vivendoci insieme.

Se ci sono molti cambiamenti da fare preferisco suddividerli in step, riconoscendo al proprietario le sue esigenze di vita e cercando il compromesso migliore per iniziare. La frase che mi sento ripetere spesso è che durante le visite “tradizionali” non vengono ascoltati e questo accresce il loro senso di frustrazione. L’ascolto attivo rompe il divario tra il medico “sul piedistallo” portatore di verità inconfutabili e il paziente passivo che deve eseguire senza contestare.  Si trova sempre una soluzione e in questo modo il proprietario è incoraggiato ad iniziare un nuovo corso, anche se a piccoli passi.  È importante che vengano elogiati e sostenuti gli sforzi davanti a un cambiamento di gestione e di cura in situazioni croniche o come affrontare il fine vita, la sofferenza e la morte. 


La visita clinica

Al colloquio segue la visita clinica e anche da lì si ottengono molte informazioni, anche contraddittorie rispetto al colloquio, non solo sullo stato fisico, ma emozionale dell’animale e relazionale del proprietario. 

Si valutano i trattamenti allopatici prescritti e in corso, sui quali mi viene chiesto il parere e illustro i pro e i contro, suggerisco eventuali altre indagini per approfondire il problema, un piano alimentare più consono alla specie, delle soluzioni a problemi comportamentali e relazionali sia del proprietario con l’animale, sia dell’animale con i suoi simili e l’ambiente circostante. Illustro al cliente i benefici e/o i limiti anche della terapia omeopatica in quel caso specifico, ipotizzando una prognosi energetica.


La visita omeopatica

Il fattore che mi differenzia di più dai miei colleghi è che utilizzo l’Omeopatia come prima scelta terapeutica, e non i farmaci convenzionali, eccetto casi particolari dove indicati. 

La mia osservazione è che la medicina ufficiale di tipo riduzionista non è efficace ad affrontare malattie complesse. Ogni specialista prescrive i propri farmaci atti a sopprimere il sintomo, ma questi farmaci tra loro hanno interazioni sconosciute. Sono prescrizioni di protocollo in base ad analisi statistiche della EBM e questo genera un’impasse del sistema dove poi è veramente complicato districarsi. 

Il sintomo diventa un nemico da distruggere, piuttosto che una informazione importante, individuale e soggettiva e quando ce ne sono molti non vengono visti nel loro insieme, ma affrontati individualmente, ognuno con la propria terapia.

In omeopatia invece i sintomi vengono presi nella loro totalità e la terapia è unica, costruita sul paziente.  Attraverso la sperimentazione pura, tutti i medicinali omeopatici unitari sono stati sperimentati su persone sane con la finalità di osservare e raccogliere tutte le sensazioni e sintomi che la sostanza è in grado di provocare nei soggetti sottoposti a sperimentazione. Il medicinale omeopatico induce una malattia artificiale che si va a sovrapporre a quella presentata dal paziente e deve essere estremamente precisa nel coprire tutti i sintomi. Questo innesca il processo di guarigione, secondo leggi ben precise.

L’omeopatia non cura solo lo stato fisico ma agisce anche sulla psiche del soggetto. Per questo motivo la storia biopatografica dell’animale, si delinea il suo carattere, le sue modalità di miglioramento o peggioramento della malattia e si individuano i sintomi più caratteristici e peculiari che portano alla scelta del medicinale. Si dà dunque importanza sia alla individualità morbosa sia all’individualità medicamentosa.  Una malattia con la stessa sintomatologia, avrà bisogno di medicinali diversi se i malati la esprimono in modi differenti.

L’omeopatia stimola il processo di autoguarigione che non interessa solo il distretto malato, ma l’intero sistema nella sua rete complessa di interazioni biologiche. Si innesca una reazione che va letta e interpretata caso per caso, settimana dopo settimana.  Agendo sull’intero sistema, si ha una risposta complessa di aggravamento dei sintomi in prima battuta, poi si innesca il processo di guarigione che passa attraverso fasi di ritorno di tutti i sintomi fino ai più vecchi avuti anche nell’infanzia. Lo stimolo medicamentoso deve adeguarsi alle risposte, che sono individuali e dunque il rapporto con il proprietario deve essere costante, per aumentare, diminuire, cambiare o sospendere il trattamento. In visita lo istruisco su come “leggere” le risposte al trattamento e suggerisco di utilizzare un taccuino per scrivere quotidianamente le osservazioni. Spesso mi dicono:” Ho iniziato a vedere il mio animale con occhi differenti, mi accorgo di atteggiamenti a cui non avevo mai fatto caso”.

Fig. 8 -  Lola è una mia paziente. Ha stretto relazioni differenti con gli umani con cui vive.

Se il caso necessita l’intervento di altre professionalità, metto in contatto il proprietario con il clinico, l’ortopedico, l’ecografista, il nutrizionista, l’educatrice cinofila, il laboratorio di analisi e con i quali ho scambi sul caso in questione. Segue la delicatissima fase di scelta del medicinale omeopatico, la dose, la diluizione, la frequenza e la durata del trattamento idonei al caso.

Il medicinale viene fornito da me in modo tale da non oberare ulteriormente il proprietario con la ricerca in farmacia e per non interrompere il processo di guarigione, che è già scattato durante la visita, che non ha niente a che vedere con l’effetto placebo, ma è un ulteriore prendersi cura del binomio in difficoltà. 

Questa è una parte molto importante del lavoro, le attenzioni che dimostro di avere nei confronti del proprietario mi ritornano in termini di compliance, diventano molto esperti nel riferire ciò che succede.

Anche per loro diventa un percorso di cura, tanto che molti vedendo i risultati sugli animali, iniziano a curarsi omeopaticamente. Mi dicono “Mi presenti un medico che abbia la stessa cura che lei ha avuto per il mio cane”.

Questo approccio ha un duplice vantaggio, si prende cura non solo del paziente animale ma anche del suo proprietario ed è il professionista che fa la differenza. Non si delega al farmaco la guarigione. Spesso invece, a fronte di una visita convenzionale breve, incentrata sul problema e non sulla totalità della persona, si prescrivono farmaci ed esami che superano di gran lunga il costo della visita stessa.


Conclusioni

In piena emergenza climatica e ambientale, guardandomi indietro posso affermare di aver colto l’aspetto che più ci ha portato a questo punto, lo sfruttamento di tutte le risorse naturali senza una minima visione a lungo raggio del futuro. La proposta di modelli alternativi deve passare attraverso una visione sistemica e nel mio piccolo ho cercato di dare un contributo all’interno di una professione in cui la relazione essere umano-animale-ambiente è inscindibile.


Bibliografia 


Sitografia