Riflessioni Sistemiche n° 29


Volti molteplici di un’appartenenza

La lunga via dal pensiero sistematico al pensiero sistemico


di Francesco Farina

preside in pensione
Socio Ordinario AIEMS, Roma

Sommario

Nella prima parte racconto per quali tappe sono giunto, nelle mie esperienze di docente e di dirigente scolastico, partendo da una cultura di matrice cartesiana tipica del mondo culturale italiano degli anni ’40, ’50, ad un approccio sistemico scoperto grazie lo studio del pensiero di G. Bateson e di E. Morin, di M. Cini, di Paolo Ceruti. Nella seconda parte parlo dei due temi che sto cercando di approfondire: “come definiamo il pensiero sistemico”, “quale relazione c’è tra pensiero sistemico e complessità” e del tentativo di realizzare un’esperienza che dovrebbe essere l’occasione per rispondere alla domanda “come elaborare in modo sistemico proposte di esperienze attraverso le quali si possa far apprendere ad altri come adottare l’approccio sistemico nell’apprendimento”.


Parole Chiave

Sistema, sistematico, sistemico, complessità, evento, incertezza, vincolo, possibilità, probabile, imprevedibile, errore, correlazioni, interazioni, contesto educativo, ricerca, laboratorio, deutero-apprendimento, etica, interconnessione, solidarietà, bene comune.


Summary

The first part describes how I arrived, through my experiences as a teacher and school manager, starting from a culture of Cartesian matrix typical of the Italian cultural world of the 40s and 50s, to a systemic approach discovered thanks to the study of G. Bateson and E. Morin, Paolo Ceruti and other authors. In the second part I talk about the two themes that I am trying to explore in depth "how do we define systemic thinking", "what relationship is there between systemic thinking and complexity" and about the attempt to create an experience that should be an opportunity to answer the question “how to systematically develop proposals for experiences through which others can learn how to adopt the systemic approach in their teaching work”.


Keywords

System, systematic, systemic, complexity, event, uncertainty, constraint, possibility, probable, unforeseeable, error, correlations, interactions, educational context, research, laboratory, deutero-learning, ethics, interconnectedness, solidarity, common good.

 

 

Sistemico e sistematico: due modi di concepire la pratica educativa

 

Osservando “la parabola della mia vita” da un punto che ormai sta nel tratto discendente, della curva posso dire che, quando ero nel tratto ascendente, negli anni ’50, inizio anni ’60, le parole sistemico e complessità erano del tutto ignorate da noi studenti e anche dai docenti. Consuete fin dai primi anni del liceo mi erano invece espressioni quali sapere sistematico e procedere per idee chiare e distinte.

Non è stato l'approccio sistemico a influenzare la pratica professionale, è stato il modo di condurre la mia pratica professionale, ad aprirmi la strada verso l’approccio sistemico.

         Nell’ambiente di formazione da me frequentato, liceo e università, e ancora nei miei primi anni di insegnamento, era convinzione comune che la conoscenza del tutto fosse la sommatoria delle conoscenze dei suoi distinti elementi e che per comprendere qualsiasi problema fosse necessario e sufficiente la sua trattazione analitica attraverso la quale lo si poteva ridurre ai suoi costituenti semplici e risolverlo.

Il punto di arrivo di ogni percorso di conoscenza era l’acquisizione, attraverso l’analisi, di nozioni sotto forma di idee chiare, evidenti e la loro ordinata sistemazione in un quadro di sintesi, come se le si potessero immaginare in distinte caselle tra loro separate. 

Gli strepitosi successi raggiunti dal pensiero occidentale negli ultimi 400 anni nei campi scientifici e tecnologici potevano giustificare la fiducia che avevamo in questo modello di pensiero di cui il paradigma cartesiano era la matrice. L’immagine che avevamo della scienza e della conoscenza in generale ispirava fiducia in un progresso che procedeva crescendo senza sosta.  Il sistema di classificazione degli elementi di Mendeleev, la classificazione gerarchica del mondo naturale del Systema Naturae di Linneo sembravano rappresentare in modo quasi iconico quale dovesse essere il modello di pensiero a cui ci si doveva riferire per perseguire la conoscenza.

Per noi formati ad una scuola ancora ottocentesca, le cose, cambiarono dopo il ’68: l’anno in cui, per usare l’immagine in cui E. Morin traspose metaforicamente il MAGGIO 68, si aprì la “breccia” attraverso la quale trovarono modo di diffondersi i nuovi paradigmi del sapere che in quegli anni si andavano sviluppando e dentro la quale si riversarono i movimenti nati in quel tempo: i movimenti ecologisti, operaisti, femministi, pacifisti.

Avemmo così l’opportunità e sentimmo la necessità di aprirci a nuovi modi di pensare per comprendere il mondo contemporaneo nei suoi nuovi aspetti creati dagli sviluppi della scienza e della tecnologia. Sempre più diventammo consapevoli dell’insufficienza dei vecchi paradigmi di pensiero: ci trovammo a vivere quel passaggio descritto da Marcello Cini in Un paradiso perduto, dall’universo delle leggi naturali al mondo dei processi evolutivi, dalle narrazioni che usavano il linguaggio della certezza, alle narrazioni che richiedevano l’uso del linguaggio dell’indeterminazione e della complessità, che richiedevano di passare da una visione sistematica ad una visione sistemica.

Tutto questo, per i più avvertiti, influenzò il modo di concepire la relazione apprendimento/insegnamento.

Riflettendo oggi su quelle esperienze, penso che, se riuscissimo a raccogliere le idee che ne ispirarono i metodi e che le orientarono nell’interpretazione della realtà culturale, sociale e politica, nel prendere iniziative per operare in essa e riuscissimo a comporle in un quadro organico, potremmo avere un qualcosa di molto vicino all’idea di visione sistemica e che si discosta dalla visione sistematica. Vi troveremmo molti elementi utili per le definizioni di pensiero sistemico e di complessità.

L’idea di contesto educativo, inteso come soggetto che apprende e che apprende trasformandosi, è concepibile solo se il contesto è considerato nelle relazioni sistemiche che ne tengono assieme i suoi elementi: alunni, famiglie, docenti, strutture, risorse economiche e culturali, relazioni, città, ambienti naturali.

Appartiene già al pensare sistemico l’avere a cuore sia il tutto della classe che le singolarità di ogni allievo, il tener conto della relazionalità tra le parti di cui l’istituto scolastico è composto, il raccordare le iniziative educative della scuola alla cultura, ai bisogni, alle prospettive dell’ambiente a cui la scuola appartiene.

Era riferibile al pensiero sistemico il nuovo significato dato alle parole ricerca e laboratorio.

Ricerca non era più intesa come pratica puramente didattica, che non tiene conto né del contesto istituzionale, né delle forze che agiscono nella società, era intesa come ricerca e applicazione di metodologie adatte ad affrontare problemi visti nella loro veste pre-disciplinare, quali si presentano nelle varie situazioni reali della vita, nei vari settori delle attività umane.

          Nella nuova accezione la ricerca assumeva i caratteri del lavoro di gruppo, caratterizzato da spirito di collaborazione più che da spirito di competizione; il lavoro era volto a realizzare un bene comune, più che un prodotto destinato al consumo individuale. Veniva riconosciuto nella ricerca di gruppo un metodo che aveva le caratteristiche per essere un forte mezzo di incentivazione dei processi di apprendimento e di produzione, e di sviluppo di energie creative.

         Il metodo della ricerca fu visto come metodo generale di approccio alla conoscenza che si raggiunge attraverso un processo di trasformazione delle relazioni che costituiscono il contesto educativo; contesto formato dalla rete di relazioni reciproche tra docenti, allievi, strutture, ambiente, istituzioni scientifiche, mondo della produzione, tradizioni, cultura locale.

“Il laboratorio era inteso oltre che come "luogo fisico attrezzato", come "luogo mentale". È il luogo dove “discutendo si impara”, luogo di interazione sociale dove la discussione che accompagna esperienze concrete, diviene modalità di elaborazione collettiva del sapere da parte di soggetti impegnati nella costruzione delle proprie conoscenze. È il luogo in cui si intrecciano attività finalizzate alla produzione di oggetti concreti, alla trasformazione di ambienti fisici, attività attraverso cui si acquisiscono abilità, competenze ed idee nuove. Si ricercano risposte a questioni teoriche; vi si svolgono libere ricerche guidate dal "pensiero disinteressato" e attività di gioco”, (F. De Bartolomeis    1969, pag. 157)              

 

 

 

I riferimenti teorici: Bateson, Edgar Morin

 

Nell’opera di Gregory Bateson e di Edgar Morin, che cominciammo a conoscere negli anni ’80, ’90, trovammo un quadro teorico fondativo, atto a guidare le esperienze che andavamo conducendo ed in cui erano già presenti, seppur in modo frammentario e disordinato, categorie concettuali che formavano il nucleo del pensiero sistemico quale era prospettato da Gregory Bateson in Verso un’ecologia della mente, da Edgar Morin in Il metodo. Ordine, disordine, organizzazione e in Il metodo la conoscenza della conoscenza.

         Nelle opere di G. Bateson e di E. Morin trovammo due idee chiave, che furono essenziali per definire l’orientamento da dare alle innovazioni che volevamo introdurre con le nostre esperienze: il concetto del deutero-apprendimento di Bateson e l’idea di un’etica di interconnessione e di solidarietà di E. Morin.

         Il deutero-apprendimento, è l’apprendimento inteso come l’apprendimento della capacità di trasferire metodi tecniche apprese in un contesto ad altri contesti, simili, anche nuovi ed imprevisti; è apprendimento inteso come acquisizione di un’abitudine, di uno stile di comportamento. È deutero-apprendimento apprendere a risolvere non solo problemi posti singolarmente, cioè problemi di apprendimento semplice, ma apprendere a risolvere problemi visti nella complessità con cui si presentano nella realtà, prima di essere “sfogliati” nei loro aspetti disciplinari. Attraverso gli esiti del deutero apprendimento si possono attivare processi di empowerment, si può favorire l’autonomia morale degli allievi, la formazione, cioè di allievi protagonisti del proprio apprendimento.

Il deutero-apprendimento è proprio dell’operare della mente, ma può essere favorito od ostacolato, la scuola spesso lo ostacola. Puntare sulla valorizzazione del deutero-apprendimento poteva essere il modo per rigenerare l’azione educativa della scuola italiana.

Lo sguardo nuovo con cui nel pensiero sistemico veniva vista la relazione educativa, rivelava istanze etiche che erano già presenti nella mia esperienza di docente e di dirigente.

Per G. Bateson “nuove pratiche nel pensiero e nell'azione sono necessarie per far sì che il mondo vivente ritrovi un equilibrio e un'armonia con il proprio ambiente”.

Scriveva Edgard Morin: è necessario "Un modo di pensare capace di interconnettere e di solidarizzare le conoscenze separate … capace di prolungarsi in una etica di interconnessione e di solidarietà fra umani" (E. Morin, 1993), e ancora, in riferimento all’azione educativa, (è necessario ricercare) “il senso dell’apprendimento e della vita in un’etica di interconnessione e di solidarietà con i viventi, con il pianeta Terra” (E. Morin, 2000).

 

 

 

Due luoghi di riferimento: IL CIRCOLO BATESON e l’AIEMS

 

IL CIRCOLO BATESON si definisce: gruppo di studio e di ricerca sull'epistemologia dei sistemi viventi, si costituisce nel 1990, per iniziativa di un piccolo gruppo di persone, interessate a saperne di più si Gregory Bateson, da allora organizza incontri per conoscere ed approfondire il suo pensiero.

l’AIEMS nasce nel febbraio del 2008 per l'iniziativa di un gruppo di persone amiche provenienti da diversi ambiti disciplinari, ma tutte accomunate dall'obiettivo di approfondire insieme e diffondere l'approccio sistemico.

          Le relazioni che si sono instaurate in entrambi i gruppi hanno reso possibili esperienze culturalmente arricchenti, i momenti di incontro e di confronto, le letture e lo studio comune sono stati occasioni per apprendere idee nuove.

         Ambedue i gruppi sono stati così vivaci e ricchi di idee perché animati dalla spinta propulsiva data da partecipanti che portavano nel gruppo la ricchezza delle loro esperienze maturate altrove. Per converso, molti dei componenti dei due gruppi avevano occasione di portare altrove, nei luoghi dove lavoravano o studiavano le idee acquisite negli incontri e dalle pubblicazioni dei due gruppi.  Questa osmosi garantiva la loro vitalità. Qualora venisse meno ai due gruppi l’apporto da esperienze realizzate dai loro membri altrove, nel mondo esterno, quella vitalità che trae il suo nutrimento dalla realtà della vita, si spegnerebbe.

È in questo spirito che presento la piccola esperienza che stiamo conducendo tra Firenze, Prato, Vallombrosa, Roma, sul tema come introdurre il pensiero sistemico nella pratica educativa.

 È un’esperienza difficoltosa nella realizzazione, incerta nei risultati, ma, mi auguro, possa essere un’esperienza che in qualche seppur minima misura sia interessante per l’associazione, e trovi modo di raccordarsi con altre esperienze.

 

 

 

Gli attuali temi caldi di mio interesse

 

Attualmente i temi caldi per me sono due: il primo tema è la ricerca di una risposta alle domande “come definiamo il pensiero sistemico” e “quale relazione c’è tra pensiero sistemico e complessità”; il secondo tema è “come elaborare in modo sistemico proposte di esperienze attraverso le quali si possa far apprendere ad altri come adottare l’approccio sistemico nel loro lavoro di docenza”.

Il primo tema: “come definiamo il pensiero sistemico” e “quale relazione c’è tra pensiero sistemico e complessità”, lo affronterei partendo da una delle idee che orientano la pratica educativa: l’idea del come intendere la ricerca di spiegazione.

Pensare in modo sistemico significa intendere la ricerca di spiegazione a livello di totalità considerando “la realtà come un insieme di relazioni tra costituenti che formano un tutto che è più della somma dei costituenti, perché al suo livello si presentano emergenze: qualità, proprietà nuove per il fatto che il tutto retroagisce sulle parti e le parti a loro volta retroagiscono sul tutto, e un tutto che è meno della somma delle parti perché per effetto delle costrizioni, dei vincoli provenienti dall’organizzazione del tutto”.  (E. Morin, 2000, pag. 56)

L’introduzione del pensiero sistemico produce una intellegibilità fondata sulla circolarità costruttrice della spiegazione della totalità con le parti e delle parti con il tutto.” apre il pensiero alla complessità del reale.

Questo gioco della circolarità ci conduce a introdurre la complessità a livello paradigmatico

Pensare “la Complessità della realtà significa pensare l’uno e il molteplice assieme, pensare insieme il certo e l’incerto, il logico e il contraddittorio; significa guardare noi stessi mentre guardiamo il mondo: il nostro mondo fa parte della visione del mondo, la quale fa parte del nostro mondo. L’oggetto della conoscenza non è il mondo, è la comunità noi-mondo. Scopo della conoscenza non è scoprire il segreto del mondo, è dialogare con l’incertezza e l’indeterminato, non è cercare di eliminarli, ma di lavorare e negoziare con l’una e con l’altro” pensando che nell’universo vi è qualcosa di irrazionalizzabile con cui dobbiamo dialogare.” (E. Morin, 1988, pag. 86 e seg.), pensando che “il disordine precede l’ordine ed è il solo reale” (M. Serre, 2000).

Il secondo tema è “come elaborare in modo sistemico proposte di esperienze attraverso le quali si possa far apprendere ad altri come adottare l’approccio sistemico nel loro lavoro di docenza”.

Elaborare proposte in modo sistemico significa passare dalla presentazione analitica del pensiero sistemico, in una esposizione articolata e ordinata, quale si può fare in una lezione, in una tavola rotonda, in una trasmissione TV, sui social”, alla realizzazione di esperienze attraverso le quali si può giungere alla comprensione sintetica, globale, intuitiva del pensiero sistemico.

Se si ammette che la realtà in ogni suo frammento è complessa, potrei partire da un’esperienza che si svolge in una qualunque porzione di essa.

Per elaborare proposte in modo sistemico potrei partire dall’accadere di  un evento nell’esperienza scolastica dalla classe e dalla sua realtà complessa formata dagli allievi e dai loro docenti e approfondire la ricerca all’interno della classe medesima,  potrei partire dall’istituto scolastico, dalle relazioni che si sviluppano al suo interno, nel sistema formato dalle classi, dai dipartimenti, dagli uffici amministrativi, potrei partire dal contesto in cui si trova l’istituto scolastico, considerando le relazioni che si sono instaurate tra istituto, anti locali, famiglie, associazioni culturali.

Qui si propone, invece un evento che accade nell’incontro tra il sistema scuola e altri sistemi che appartengono all’ambiente in cui è collocata l’istituzione scolastica, (sistemi, culturali, produttivi della società civile, giornali, associazioni di volontariato, Enti Locali, ecc. ecc.), al più vasto ambiente virtuale del web.  

     Come ognun sa, attività che nascono da incontri tra scolaresche, classi, istituti scolastici, e soggetti del mondo esterno sono diventate da molto tempo quasi consuetudine nel mondo della scuola, in particolare nello svolgimento di attività relative alle cosiddette “educazioni”. Generalmente però esse mantengono più un carattere pedagogico che non di ricerca. (cfr.. F. De Bartolomeis op. cit.), si svolgono spesso scandite in unità didattiche più o meno definite, hanno la loro indubbia utilità didattica.

         Qui si intende qualcosa di diverso: la scuola si predispone ad accogliere una diversa forma di apprendimento che non avviene per l’azione dell’educazione

parentale, per l’azione di insegnamento dei docenti: è un apprendimento che avviene per un evento che procede con azioni che vengono da altrove, che nascono dall’incontro del sistema scolastico con altri sistemi. Si sviluppano nell’ambiente complesso che è il luogo dove si apprende vivendo eventi: accadimenti singolari, concreti, situati nell’irreversibilità temporale, che hanno di per sé qualcosa di imprevedibile, di incerto di inaspettato, di non “interamente programmabile”. 

Ci si educa così ad affrontare le incertezze di una realtà che non è leggibile in modo inequivoco.  Saper affrontare situazioni simili è uno dei saperi che servono nella contemporaneità e probabilmente all’educazione del futuro: imparare a vivere l’imprevedibile, l’incerto, l’inaspettato, che neppure il calcolo delle probabilità più accurato aiuta a prevedere, educarsi a tener conto dell’incertezza che avvolge l’anello fini – mezzi, l’anello azione – contesto.

         Non si ha un programma che stabilisca una sequenza di azioni da eseguire in un ambiente stabile, qui si esige l’elaborazione di strategie che possono modificarsi in funzione dei cambiamenti di contesto, dei casi nuovi che si presentano.

In particolare, sono interessanti gli eventi che derivano da incontri, interazioni, tra sistemi che hanno principi d’ordine diversi: organizzazioni diverse, tra cui avvengono scambi, interazioni.

Questi eventi possono avere carattere modificatorio, sono infatti eventi che, nascendo e sviluppandosi attraverso incontri, interazioni tra due o più sistemi organizzati, ognuno dei quali ha un suo principio d’ordine, possono indurre in ognuno dei sistemi, sviluppi e trasformazioni. Ogni sistema riceve dagli altri sistemi informazioni idee che può far proprie modificandosi, trasformandosi. Il sistema apprende modificando la propria configurazione e il proprio contesto, ogni componente di ciascun sistema apprende modificando il proprio comportamento.

 

 

 

 Il punto di partenza per affrontare i temi caldi è una proposta di esperienze

 

Per aprire la mente alla visione sistemica, è essenziale che gli allievi e la loro classe partecipino da protagonisti: cioè, partecipino ad esperienze, che potremmo chiamare esperienze di progettazione partecipata in cui siano chiamati a prendere decisioni e ad assumere responsabilità per le decisioni prese.

         La partecipazione degli allievi dipende in gran parte da “quale risposta” sappiamo dare alla loro domanda: che cosa dobbiamo fare? come dobbiamo farlo?

     Non si può rispondere con frasi del tipo “bisogna fare in modo che…”, né il docente per rispondere potrà limitarsi a: leggere un testo, raccontare una storia, proiettare un video, ricorrere alla presentazione di esperienze che si trovano sui social media, su YouTube, ecc. perché questo significa dare risposte dormitive, nel senso con cui lo intendeva Gregory Bateson.

Se nella risposta è insita una proposta di un qualcosa da fare la risposta non sarà dormitiva, risveglierà interesse e motivazione (“dategli uno scopo e il più svogliato diventerà un alunno volenteroso” Don Milani – citato a memoria).

Sul “cosa debbono fare gli allievi” e sul “come debbano farlo” è incentrato tutto il discorso sulla partecipazione motivata che è essenziale per promuovere un approccio sistemico.

Gli allievi non si aspettano una risposta “parlata”, attendono una risposta che sia insita nella proposta di un qualcosa da fare.

La risposta non può essere un prontuario di indicazioni da seguire, perché il prontuario, anche se nel comporlo ci si sforza di mettere in evidenza le relazioni che interconnettono gli elementi del sistema, sarà, costruito in modo sistematico e non sistemico. Senza informazioni, impulsi che provengano dall’esterno, non si potrà fare altro che dare indicazioni utilizzando idee che il proponente l’esperienza ha già sistemate nella sua testa.

La risposta che apre la strada alla visione sistemica, in base a quanto detto più sopra, non potrà consistere quindi nella presentazione con una trattazione analitica del pensiero sistemico, ma dovrà essere insita nell’accadere di un evento che mette in relazione i soggetti partecipanti (scuola, associazione, ecc.) e che coinvolga gli allievi tanto da dar loro ruoli che consenta loro di viverlo da protagonisti.

Sarà un evento non programmabile totalmente, le procedure da adottare non potranno essere totalmente definite, perché il farsi del percorso dipende da anche da variabili sconosciute, potrà presentare aspetti inattesi perché il suo accadere dipende dalle decisioni di più soggetti,

Ogni sistema partecipante ha proprie configurazioni che si caratterizzano per loro specifici tratti costanti; sono invarianti che riguardano organizzazione, metodi, contenuti, relazioni con il mondo esterno. Non si deve escludere, anzi qualche volta è augurabile, che la partecipazione ad eventi che abbiano il carattere di “eventi imprevisti, di natura singolare ed evolutiva” possa indurre trasformazioni permanenti, di “strutture”, “di sistema”. Ciò potrebbe rappresentare una evoluzione positiva del sistema stesso.

L’unico modo che permette di raggiungere questo fine è di fare esperienza senza temere che questo possa metterci nelle condizioni di sbagliare, ma mantenendo viva la disponibilità ad osservare come correggere le proprie azioni in un sistema di autocorrezione condiviso.  È questo l’unico modo che abbiamo per risalire alle premesse implicite, ineliminabili, in base alle quali il pensiero opera,”, premesse di cui non si è consapevoli, e dalle quali dipendono molti nostri errori epistemologici, che ci impediscono di avere una visione sistemica, come ha autorevolmente affermato Marianella Sclavi in un seminario di studi organizzato dal Circolo Bateson.

           Si intende per visione sistemica un modo di considerare la realtà come un insieme di relazioni tra costituenti che formano un tutto che è più della somma dei costituenti, perché, per il fatto che il tutto retroagisce sulle parti e le parti a loro volta retroagiscono sul tutto, al suo livello si presentano emergenze: qualità, proprietà nuove e un tutto che è meno della somma delle parti per effetto delle costrizioni, dei vincoli provenienti dall’organizzazione del tutto.


 

La nostra esperienza – i soggetti protagonisti – il loro ruolo

 

La proposta viene costruita per iniziativa mia, cioè per iniziativa dell’AIEMS, partendo da una richiesta dell’associazione IL VERROCCHIO, con la partecipazione dell’Istituto liceo Carlo Livi di Prato e seguita per la documentazione dell’esperienza da un videomaker di Prato.

 

Descrivo qui di seguito i ruoli di ciascun soggetto:  

 

-   l’associazione Verrocchio,

L’associazione Verrocchio con questo progetto si propone di organizzare nel parco di Vallombrosa un soggiorno di alunni e alunne, per svolgere attività educative immersi nella natura.  I partecipanti saranno accolti dallo staff del Verrocchio e dai suoi partner. Il progetto prevede personalizzazioni in base alle esigenze scolastiche. Il campo scuola che può avere una durata compresa tra un minimo di due giorni fino a una settimana. Si propone la finalità di far acquisire agli allievi le competenze per tutelare la natura in quanto bene comune.

Quando si parla di bene comune si fa riferimento non solo a un bene comune come un parco o un museo pubblico, ma all’idea del prendersi cura dell’altro (del vicino) valorizzando il concetto di comunità, per preservare la sostenibilità della vita. Il metodo che si propone si richiama alla riscoperta della bottega come luogo di sapere (oggi si chiama hub), e di diffusione del sapere, partendo dal parco di Vallombrosa, riproducendo iniziative simili nelle località da cui gli alunni provengono.

Durante la permanenza dovranno pensare a una zona, un posto dalla propria terra di provenienza, da migliorare, dove fare delle azioni di innovazione sociale.

L'obiettivo è quello che la scuola partecipante crei una propria “bottega del sapere e del fare”. Potranno essere progetti semplici o più complessi; come prendersi cura di un orto, di un parco pubblico, la creazione di iniziative sociali come il teatro o alcuni servizi. (da informazioni tratte del programma dell’associazione Verrocchio.)

 

-   l’istituzione scolastica: Liceo Livi di Prato

         L’istituzione scolastica inserisce nella propria offerta formativa l’esperienza di attività organizzate nel parco di Vallombrosa in collaborazione con un altro “sistema”, l’associazione Verrocchio di Vallombrosa, partendo dalla convinzione che “l’apprendimento debba essere il frutto non soltanto di un’educazione parentale del sistema famiglia e dell’educazione impartita dal sistema scolastico, ma anche dagli incontri degli allievi con altre istituzioni, che operano in altri ambienti, diverse dalla scuola, ma che, pur mantenendosi differenti per organizzazione, per tipo di attività di esperienze e di finalità, con la scuola collaborano. L’incontro tra sistemi diversi è considerato importante perché l’incontro è il luogo in cui accadono eventi che favoriscono l’evoluzione dei sistemi collaboranti. 

 

-   Videomaker di Prato

Ha il compito di documentare l’esperienza in modo da renderla riproducibile altrove.


-   AIEMS

Segue l’esperienza, collaborando con gli altri soggetti sia in fase di progettazione che di attuazione delle attività, con lo scopo di orientare le attività in modo da favorire l’acquisizione di un punto di vista sistemico nella ricerca di spiegazione dei fenomeni, nella ricerca di soluzione dei problemi e nella scelta dei mezzi con cui ottenerla.

         Sarà compito dell’AIEMS lavorare assieme agli altri partecipanti cercare di astrarre attraverso una riflessione sull’esperienza realizzata “un modello di approccio sistemico.”

Come AIEMS credo che si debba essere, oltre che interessati  degli aspetti epistemologici e metodologici del progetto, anche impegnati nel proporre una visione che ispiri la finalità del processo trasformazione dell’attività educativa che vorremmo contribuire ad attivare con la nostra esperienza: la visione di un radicale ripensamento della condizione umana, intesa come porzione della più ampia avventura del vivente sul pianeta Terra e dell’ancor più ampia avventura del cosmo, a cui più volte si fa riferimento in questo testo avendo presente  il pensiero di Edgar Morin.  

 

Quali probabilità vi sono che l’inizio dell’“evento” di cui qui stiamo parlando accada? Quali probabilità che si possa sviluppare con interazioni tra i sistemi partecipanti che potrebbero dar luogo a collegamenti, associazioni di idee, collaborazioni, sviluppi e regressioni, trasformazioni dei sistemi stessi? Probabilmente poche, ma la storia della vita, la vita stessa si evolve attraverso eventi assolutamente improbabili, ma che pure accadono.

Per aumentare le probabilità di riuscita ci si deve porre come condizione prioritaria una partecipazione motivata da parte di docenti, dirigenza, famiglie, enti pubblici, istituzioni del territorio, nella realizzazione di un’idea che non è ancora “un progetto”. Si favorisce la partecipazione partendo da problemi di cui si percepisce l’urgenza, organizzando le attività in modo da rendere protagonisti i partecipanti. si è protagonisti se si partecipa alle decisioni.

Dai primi contatti avuti con l’Istituto scolastico sembra che il tema proposto dall’associazione VERROCCHIO susciti interesse. La proposta della dirigente è stata di presentare il progetto all’assemblea degli studenti. I successivi passi, se ci saranno, saranno concordati dai partecipanti.  

 

 

 

Una questione teorica e pragmatica: quale concetto di sistema adottare

 

         Nel proporre di dar vita alla nostra esperienza partendo dall’ “irrompere” di un evento nel sistema “scuola” si ha presente quanto scriveva Monod (Monod, 1970): “la vita si manifesta come evento e come sistema”, …. “che devono essere pensati come indissolubili”.

         Riflettendo su questi due termini, parole chiave nel nostro discorso, mi sembra che, se la definizione del concetto di evento è univoca; sia Morin che Monod per evento intendono l’accadere di un qualcosa di singolare, che si svolge nel tempo, talora probabile, tal altra totalmente non prevedibile, addirittura inaspettato, che può essere non concepibile logicamente, né statisticamente pensabile, mai assolutamente certo, il concetto di sistema possa essere inteso in due diverse possibili accezioni.

Scrive Morin nel testo già citato conoscenza con coscienza che il sistema può essere inteso come concetto generale o come concetto generico.

Il sistema concepito come concetto generale “è fatto di norme, di principi che si riferiscono a tutti gli insiemi, che organizzano tutta la realtà” … “da cui discendono teorie riguardanti fenomeni diversi, fisici, sociologici, che saranno così visti sotto un’unica dimensione sistemica”.

Il sistema concepito come concetto generico non dà norme, non pone principi specifici, particolari, ma è fatto di indicazioni per riconsiderare le teorie fisiche, sociali, ecologiche al fine di approfondirne la dimensione sistemica che deve essere presente in tutte le teorie riguardanti l’universo fisico, sociale, noologico. Da questo se ne deduce, quindi, che le teorie non saranno rami di una teoria generale dei sistemi, e i fenomeni non saranno appresi sotto l’unica dimensione sistemica. Ogni teoria, ognuna delle quali concerne tipi di fenomeni diversi che possiedono una propria natura, un proprio essere, una propria esistenza, svilupperà una propria visione sistemica.

A questo punto dovremmo chiederci quale diversa visione sistemica della realtà avremo, adottando l’uno o l’altro concetto di sistema? Quali differenze constateremo tra un nostro modo di “operare sistemico” guidato dall’idea di sistema concepito come concetto generale e un nostro modo di “operare sistemico” guidato dall’idea di sistema concepito come concetto generico? Quali criteri dovremo adottare nello scegliere tra l’uno o l’altro concetto di sistema? (E. Morin 1988, pag. 41 e seg.)

Infine, quale definizione del concetto di sistema si debba adottare perché il pensiero sistemico apra la porta alla comprensione della complessità?

Morin lo fa comprendere chiaramente quando scrive: “mentre il concetto di sistema generale tende a dissolvere la vita nell’astrazione sistemica” e in definitiva “si sviluppa ancora sotto il segno del paradigma semplificazione/disgiunzione, non discostandosi in questo dal paradigma cartesiano”..., quando afferma che   “Il suo olismo che porta a un certo funzionalismo neo-totalitario e produce una manipolazione delle unità in nome della totalità, diventa riduzionista per la riduzione all’idea del tutto, e infine quando conclude che  lo sviluppo del concetto di sistema generico consente che l’essere, la vita vengano ad emergenza”;… “esprime autenticamente la complessità è aperto verso la multitotalità del reale ”. (E. Morin 1993, pag. 131)

Il concetto di sistema generico si focalizza sulle correlazioni e interazioni fra le variabili significative di un sistema complesso, quale è l’ecosistema, pone l'attenzione su come la comunicazione e la relazione siano influenzate e modificate dai comportamenti reciproci. Adotta un concetto di organizzazione totalmente diverso da quello proprio del pensiero cartesiano: non si configura partendo da ordini dati, si tratta di ordinare partendo dall’interazione tra le parti e il tutto, l’organizzazione non è l’istituzione, ma un’attività generatrice la quale si fonda sulla computazione, “computare inteso come pensare assieme, nella loro complementarità, concorrenza e antagonismo ordine e disordine”, (H. von Foster, 1987, pag. 11), sull’elaborazione di strategie, comunicazione, dialogo.

Il paradigma sistemico non richiede di dominare la natura, ma di dominare le stesse nostre capacità di dominio, richiede forme di azione che comportano coscienza e controllo di sé, una pratica responsabile, liberale, comunitaria in cui ogni termine viene trasformato dalle proprie interazioni con l’altro.

È il problema di fondare la nostra saggezza cercando di superare la frattura tra l’universo della meditazione e quello della pratica sociale.

 

 

Bibliografia