di Giordano Bruno
Socio Ordinario AIEMS, Roma
Matematico, già Direttore di ISIA Roma Design
Foto di Jeyaratnam Caniceus da Pixabay
Aprile 2020 - Silenzio … si gira: Covid-19
L’ultima settimana di febbraio con mia moglie Rossella avevamo deciso di andare a controllare casa a Castel del Piano, sull’Amiata, e trascorrere qualche giorno lì a partire dal venerdì, anche perché lei avrebbe avuto udienza a Grosseto, come giudice onorario, i primi due giorni della settimana seguente. E così il venerdì 28 febbraio siamo partiti per il paesello.
Appena giunti, ho subito avuto una sensazione impalpabile: tutto sembrava fermo, ma come se da lì a poco si fosse dovuto girare un film. La scena era in perfetto ordine, mancavano, però, la troupe, i camion, le attrezzature! Non avevo mai avvertito questa sensazione in questo luogo, che è ancora quello dove ci troviamo, perché nei giorni successivi al nostro arrivo erano scattate le disposizioni per il Covid-19 e avevamo deciso di rimanervi, visto che qui ho la mia residenza.
Mancava anche quel poco di schiamazzo dei bambini che si riunivano nella piazza parco del paese, qualche battuta strillata alla toscana e magari qualche moccolo!
Tutto era sospeso, in attesa: poca, pochissima gente per strada, qualcuno in più al supermercato … non che questo dovesse stupirci più di tanto, perché in questi paesi ormai poco abitati, nei periodi non estivi, il numero di persone presenti è veramente limitato, e per noi è anche motivo di gioia. Finalmente si abbandona la vita frenetica e caotica di Roma e si recupera la dimensione dello spazio vivibile!
Ma, in questo caso, a prevalere (per lo meno per me) era quella tipica sensazione di angoscia quando temi che possa succedere da lì a poco qualcosa che non ti aspetti: il tempo rallenta straordinariamente e tutto ti sovrasta.
Di per sé, quindi si poteva dire che non era cambiato nulla, rispetto ad altre volte: i negozi erano ancora aperti, così i bar e i ristoranti, qualcuno faceva capannello per strada. Una situazione più o meno come quella vissuta tante altre volte.
Solo un piccolo indizio di diversità era dato dal fatto che i due negozi gestiti da cinesi del paese erano chiusi, quasi come cancellati.
Poi, arrivati a casa, quella sensazione opprimente si scioglieva lentamente nella riconquista di una dimensione di vita vissuta, con gli oggetti al loro posto, che sembravano come sempre accoglierti e dirti: noi ci siamo per te, per voi, facciamo parte della tua, vostra, storia; e in più, la presenza di Miele, uno dei gatti dei vicini, che ci ha adottato come suoi ospiti quando noi siamo qui e che non appena avverte la nostra presenza comincia a miagolare per farsi aprire ed entrare.
La sensazione angosciosa, infine, sparisce completamente quando mi affaccio alla finestra del primo piano, che dà verso la Val d’Orcia, e da cui posso ritrovare la campagna, i paesetti vicini e quelli più lontani … quel consolatorio infinito leopardiano: infinito non solo spaziale, ma anche temporale. L’idea che quel qualcosa che è lì fuori ci sia sempre stato e continui a farlo in un tempo fuori dal tempo!
Questa sensazione, che vi ho descritto, mi ha però accompagnato ogni giorno. Se si potesse dire, la definirei una sospensione …. sospesa! Come dire, una sospensione è qualcosa che ha un inizio e una fine e invece questo qualcosa, che ancora mi cova dentro, è sempre presente e nonostante le notizie, i dati, tutto ciò da cui peraltro siamo stati invasi in questo periodo, e lo sforzo razionale di pensare in positivo, non è riuscito a scalfirla.
Ma forse questo è il vero silenzio interiore, quello che realmente ha una connotazione sistemica, in cui tutti gli elementi sono in rete, connessi, ma ciò che ne risulta non è né un teorema, né un’azione, né altro, se non l’emergenza della sospensione, dell’attesa, del senso di piccolezza e insignificanza di ogni essere umano da un punto meramente fisico-chimico-biologico (esattamente come quello di un corona virus, anche se questo può non piacerci), ma nello stesso tempo della forza, della volontà, del sacrificio, della capacità di creare sistema nel momento del bisogno. La meraviglia di tutto ciò: la lotta di un sistema, quello dei virus, contro un altro sistema, quello umano, e viceversa.
Il perché, il per come, le analisi, i racconti, i morti e i vivi, le speranze e le paure tutto si intreccia nell’inestricabilità di fondo della vita: l’angoscia e il senso di grandezza nell’essere uomini.
Potrei, ora, continuare con un mio contributo da studioso di complessità e sistemica e, per esempio, soffermarmi sull’aspetto determinante del ruolo dell’incertezza e di come siamo invece avvezzi a ragionare sempre e comunque ancora in termini di certezze: quelle che ci deve dare la scienza, per esempio (e sappiamo in fondo dentro ciascuno di noi che non è così, ma non riusciamo ad abbandonare il paradigma predizionistico!), ma sinceramente non desidero farlo.
Desidero, ancora, solo tornare su questa sospensione e questo silenzio interiore. E’ come ascoltare la radiazione cosmica di fondo, la nascita dell’universo, il momento in cui tutto si apre alla massima complessificazione, il massimo intreccio di connessioni.
A proposito, consiglio vivamente la lettura dello stupendo libro “Genesi” di Guido Tonelli, uno dei nostri maggiori fisici, edito da Feltrinelli.
Mi auguro che quanto percepito e provato abbia proprio il senso di una nuova nascita!
Concludo, sottolineando che questa nascita debba seguire una nuova via, che io ho riassunto nel termine Sistetica (ovvero Sistemica-Etica-Estetica). Una nascita si sviluppa in un progetto, riguardante ogni ambito del nostro agire umano, e solo un progetto di carattere “sistetico” può rispondere adeguatamente alle sfide che ci attendono (vedasi il mio articolo “A need of Systetics” in Systemics of Incompleteness and Quasy-Systems, Springer 2019. Se qualcuno lo preferisce in italiano, posso inviarne quella versione).
Ottobre 2020 - Ciak … si riprende a girare
Lo scenario era pronto da tempo. Tutto è stato preparato durante l’estate, il film adesso può ripartire nuovamente.
Un “remake” del precedente. Ed è noto che i “remake”, in generale, sono peggiori degli originali.
Come molti di noi si aspettavano e temevano.
D’estate le guasconate avevano imperato soprattutto da parte di chi aveva la disponibilità del megafono dei mezzi di comunicazione di massa. Molti avevano seguito i loro comportamenti sbagliati e dannosi, un po’ perché la pressione psicologica subita nei mesi precedenti aveva bisogno di un legittimo sfogo (che avrebbe potuto tranquillamente realizzarsi senza eccessi, se non fosse stata “sdoganata” l’idea peregrina che il virus si era “attenuato”), un po’ perché si riproponevano le solite spaccature di carattere politico ideologico, soprattutto di partiti e gruppi in cerca di voti e di potere.
Condite dalla diffusa e permanente voce dei negazionisti, che rifiutano generalmente in blocco la scienza (della quale poi si servono attraverso le sue ricadute tecnologiche, vedi Internet).
Ora di giorno in giorno la situazione si aggrava e il rischio di una nuova chiusura totale si fa sempre più probabile (vedremo cosa sarà accaduto quando questo scritto sarà pubblicato).
Naturalmente come tutti i “remake” qualcosa cambierà, ma la sostanza rimarrà la stessa.
A me preme fare una considerazione di fondo molto amara: a marzo quando il governo ha decretato la chiusura totale, praticamente tutti hanno rispettato le regole perché le morti ci venivano sbattute in faccia, e la paura era dominante; al contrario a settembre, inizi di ottobre, il popolo italiano ha ripreso il suo comportamento tendenzialmente anarcoide ed egocentrico (ovviamente si tratta di generalizzazioni).
Nel proseguire questo scritto, desidero fare una considerazione di fondo: cosa comporta la mancanza di un approccio sistemico e della gestione della complessità (anche se questi due termini mi sono giunti a noia e a saturazione, perché sono utilizzati troppo e a sproposito, ma dovrò comunque continuare a utilizzarli, mi auguro a proposito!).
E mi rivolgo ad un argomento che definirei “politicamente scorretto”: la formazione; scuola e università.
La mia impressione (mi limito a parlare dell’Italia, non conoscendo bene la situazione degli altri paesi europei) è che questo aspetto, fondamentale della vita di tutti e di ciascuno di noi, sia stato quello dove è stato esercitato dalla classe politica attuale il massimo della demagogia e dell’ipocrisia, ammantate da un facile ritornello: la scuola deve essere aperta, ne va della funzione principale di uno stato democratico e bla, bla, bla. Ed evidentemente come si fa ad attaccare la mamma o la Croce Rossa!?
Certamente ognuno di noi vorrebbe una scuola ed una università aperte e funzionanti, così come aggiungerei con altrettanta importanza vorremmo sanità, trasporti, comunicazioni, l’educazione di un popolo, etc. che funzionino!
Ma, ecco la trappola, questi strumenti, in una società che si definisce democratica e liberale, sono per forza di cose tutti necessariamente “intrecciati”, ovvero costituiscono un sistema complesso, per cui non puoi agire su uno se non agisci contemporaneamente sugli altri.
Ora, sfido tutti a valutare che ci fosse non dico la certezza, ma neppure un’alta probabilità, che nel giro di tre mesi o sei mesi o giù di lì, si sarebbe potuto adeguare il sistema dei trasporti alle nuove necessità (già era estremamente carente prima, figuriamoci con la pandemia in atto) o accrescere il grado di educazione dei cittadini al rispetto delle regole, attraverso la consapevolezza che la vera libertà dell’individuo è quella di garantire la libertà di tutti gli altri, per il semplice motivo logico che se non fosse così nessuno di noi potrebbe essere libero (seppure tendenzialmente: i concetti come quello di libertà sono enunciazioni astratte che si devono poi riverberare nella vita concreta), perché arriverebbe sempre e inevitabilmente il momento in cui si è uno degli altri!
Per cui pensare di riaprire scuole e università nei termini in cui è stato fatto o è frutto di un’ignoranza abissale oppure, come credo, è stato il parto di una visione demagogica e populistica.
È ed era del tutto evidente, infatti, che l’assenza dai mezzi di trasporto degli studenti avrebbe diminuito il numero dei passeggeri e avrebbe evitato altre occasioni di assembramento e di diffusione del virus. La didattica in presenza degli studenti delle superiori e dell’università, nei termini in cui è stata fatta - come ha dichiarato al quotidiano Corriere della Sera il fisico Roberto Battiston - ha provocato un forte rialzo dei contagi:
“I dati della Protezione Civile sono confermati anche dai pochi dati disponibili del ministero dell’Istruzione e relativi alla popolazione scolastica. Nella settimana 26 settembre - 3 ottobre il ritmo di crescita di contagi nel personale docente è lo stesso di quello del resto della popolazione italiana, quello del personale non docente è poco più elevato (circa l’8%), mentre quello degli studenti è del 36% più elevato del resto della popolazione. Nella settimana seguente la situazione cambia drasticamente: il ritmo di crescita degli infetti tra gli studenti è 2,65 volte (+265%) più alto che per il resto della popolazione, quello del personale docente è esattamente il doppio (+200%), quello del personale non docente è 1,67 volte (+167%) più alto del resto della popolazione italiana!”
Dati già vecchi in questo momento e con alta probabilità di trovarli cresciuti.
Molti hanno proposto di lasciare le scuole superiori e le università aperte, aumentando opportunamente il numero dei mezzi di trasporto pubblici e privati, ma anche se questo fosse stato possibile, di quanto sarebbe aumentato l’inquinamento di città, che già hanno superato ampiamente ogni ragionevole limite di guardia, senza considerare le ulteriori conseguenze sull’ambiente e sulla salute, in generale?
Quindi, possiamo ben dire che una riapertura delle lezioni in presenza ha avuto l’effetto di una vera e propria “emergenza” sistemica, ovvero dalla combinazione di fattori, quali l’affollamento dei mezzi pubblici di trasporto, gli assembramenti in entrata e in uscita dalle scuole e università, la “percezione” di un ritorno alla normalità, con probabile allentamento dell’attenzione della profilassi, provocando così un feedback negativo sul controllo della diffusione del virus. E si noti che la maggior parte dei contagi non si è avuta all’interno delle aule, ma all’esterno. Questo mi permette di concludere quanto ho dichiarato prima, siamo di fronte a: o ignoranza (mancanza di un approccio sistemico, non più accettabile) o demagogia o entrambe.
Non è certamente la mia una presa di posizione per la chiusura di scuole e università e a favore della didattica a distanza tout court, è solo uno dei tanti esempi che ci possono servire a riflettere come occorrano conoscenze adeguate a un mondo ipercomplesso quale il nostro, per potere adottare soluzioni, che comunque all’inizio scontenteranno una certa parte della popolazione, ma poi a medio termine provocando gli effetti sperati, saranno accettati anche da chi era in precedenza critico, sempre che le critiche non fossero strumentali.
C’è, però, più di un altro aspetto che mi spinge a pensare che, in questo particolare periodo, la chiusura di scuole e università e l’uso della didattica a distanza (che peraltro aveva dato nel primo periodo di utilizzo risultati apprezzabili, e dove ciò non era successo era dovuto al fatto che già la didattica in presenza non era per nulla efficace) sarebbero state molto utili, soprattutto nelle grandi e medie città.
L’uso di quest’ultima ha dalla sua parte il fatto di poter rappresentare comunque una risposta ad un’emergenza sistemica, generata dall’interazione e correlazione di più fattori già illustrati.
Tale tipo di didattica avrà prodotto sicuramente delle difficoltà (posso testimoniarlo personalmente), ma ha anche dato lo stimolo a sperimentarne una che fosse meno ripetitiva di quella standard, più libera, più vicina ai nostri tempi (e qui mi fermo, per non annoiare, ma ho ben presente articoli in cui viene espresso come attraverso di essa e l’uso degli strumenti informatici si possa rendere più vivo e molto più comprensibile un argomento, ad esempio, di matematica - in particolare di geometria -, che altrimenti rimarrebbe del tutto astratto e incomprensibile).
Ancora, in questi mesi avremmo potuto provvedere a correggere le criticità che si erano già manifestate a primavera: mancanza di copertura della rete in tutto il territorio, dotazione di strumenti informatici ai meno abbienti, ricerca di spazi e attrezzature per accogliere piccoli gruppi di studenti con difficoltà a seguire la didattica a distanza in case piccole, affollate e non adeguate, seguiti da tutor reclutati e retribuiti tra i tanti laureati a spasso. Questa sarebbe stata una possibile risposta anche all’abbandono scolastico; per lo meno sarebbe stato un tentativo di innovare in quello che è uno dei fondamentali aspetti della vita dell’uomo: l’istruzione.
Il secondo elemento, che giudico il più importante di tutti, è quello per cui con questa scelta si sarebbe potuto responsabilizzare (e si può ancora fare) ragazze e ragazzi dai quattordici/quindici anni in su nel sapersi gestire e auto organizzarsi, aspetto fondativo di una società nuova che appunto ha sempre più a che fare con sistemi complessi e ipercomplessi. Proprio per liberarli dalla schiavitù di un capitalismo selvaggio e vorace che li riconosce di fatto soprattutto come consumatori, occorre restituire loro la possibilità e la capacità di autogestire la propria vita, facendo comprendere, anche al di là una situazione particolare come quella che stiamo vivendo, l’importanza dello studio, dell’educazione, della gentilezza, della solidarietà, dell’amicizia, dell’amore, del rispetto degli altri e dell’ambiente, che sono gli elementi che ci permettono di vivere in salute e gioiosi, se non felici. Piuttosto, potremmo incitarli a trascorrere un po’ del loro tempo lontani dagli strumenti multimediali, e dedicarsi (come già un certo numero fa) al volontariato, sperimentando con il proprio corpo e con la propria anima la difficoltà del vivere quotidiano di centinaia di migliaia di esseri umani. Con la fondamentale opportunità di essere rincuorati dall’aver trovato una soluzione, dall’aver offerto la propria disponibilità, essendo ricambiati magari solo da un sorriso!
Che tristezza, al contrario, aver dovuto essere spettatore, ahimè, dell’apertura di un ristorante discoteca, quest’ultima funzionante dalle 18 alle 2 di notte (e passa), all’interno del MAXXI di Roma, di fronte all’appartamento in cui ho abitato per anni. In epoca di Covid già avanzato, era febbraio, con quale sfacciata arroganza proprietari e frequentatori rinnovavano il fatidico “chi se ne frega” italico, infrangendo tutti i sani comportamenti di contrasto alla diffusione del virus, e coltivando sia il sadico piacere di poter agire indisturbati, che quello di poter creare disturbo con i loro esagerati decibel a coloro che avevano la sfortuna di abitare lì intorno. Chissà come si sentiranno frustrati attualmente?
Il “sacrificio” dei nostri giovani, invece, deve essere fatto intendere come un antidoto all’ indecoroso rito della movida e dello sballo, devono poter acquisire la consapevolezza di essere i nuovi “partigiani” resistenti, coloro che ci dovranno condurre al di fuori di una società così logorata nei suoi gangli vitali, e attaccata da molteplici “virus”: il Covid certo, ma anche la disuguaglianza economica sempre crescente, le poche prospettive di lavoro, in particolare per le donne, l’insufficienza cronica dei servizi sociali e sanitari, l’intolleranza verso il diverso e verso colui che viene dal di fuori dei nostri confini. A questi se ne aggiunge uno veramente intollerabile, che ho appreso in questi giorni (ma che se non nella stessa misura era già noto): più del 50% degli italiani non paga un euro di tasse! Un fatto su cui riflettere profondamente e che dopo più di centocinquant’anni ci costringe nuovamente a dire: “fatta l’Italia, occorre ancora fare gli italiani”.
Sono pronto, però, a scommettere che molti giovani saprebbero accogliere questa sfida, occorre una volta per tutte saperli aiutare a fare uscire fuori il meglio da loro stessi. Dobbiamo riconoscere, ad esempio, che la nostra poca conoscenza e frequentazione della scienza e la sua insufficiente diffusione nella nostra cultura, ci ha fatto spesso ubriacare di parole e molto meno di fatti da valutare con cognizione di causa. Chi è in grado deve fare uno sforzo incomparabile per superare questa ignoranza e aprire le menti non alle verità spiattellate a man bassa, ma al sano dubbio che ci rende pienamente esseri umani.