di Giuseppe Conte
Socio Ordinario AIEMS, Roma
Studioso di epistemologia sistemica
Foto di Samuele Schirò da Pixabay
Aprile 2020 - I dati della pandemia, la pandemia dei dati
L’esperto si affaccia alla tv: “I dati parlano chiaro, le infezioni sono in calo e prevediamo un ritorno alla normalità entro il mese di maggio” Cambio canale, parla un noto medico: “I dati sono chiari, le infezioni sono stabili, si tornerà alla normalità non prima del 2021.”
Un programma di approfondimento mi confonde definitivamente. “Cina, quanti sono stati realmente gli infetti? Inghilterra, in aumento i contagi ma il numero dei tamponi eseguiti è sconosciuto e la curva dei morti è incomprensibile. Stati Uniti, il costo esorbitante dei tamponi pregiudica le rilevazioni sui contagi. Italia, i dati parlano chiaro, per numero di contagi va molto meglio che in Inghilterra o Stati Uniti”.
Cerco rifugio nelle comunità Web che ruotano attorno alle nuove tecnologie. “I dati sono inequivocabili, grazie all’intelligenza artificiale e all’enorme mole di dati provenienti da tutto il mondo sui tamponi, sui decessi e sui contagiati possiamo matematicamente calcolare quando il virus sarà sconfitto.”
Provo un sentimento di profondo disagio ed un senso di vaga nausea.
Inizio a scrivere.
Il mito del moderno scientismo è l’assunzione che esistano regolarità nascoste nello scorrere della realtà e che queste siano governate da leggi matematiche. Lo scientismo è per definizione riduzionista perché considera i fenomeni e gli enti scomponibili in parti stabili ed osservabili.
Esistono diversi domini in natura ed ognuno richiede diversi strumenti di indagine. Esiste il mondo delle forze della fisica, determinabile, meccanico, regolare, banale, ed esiste il dominio della vita, irregolare, non identificabile, complesso.
Sul primo dominio possono essere applicate, con sufficiente approssimazione, le leggi proprie del mondo inanimato e che possiamo per semplicità chiamare ‘scienze dure’. Sul secondo invece, valgono espressamente le precarie interpretazioni che derivano dall’uso di tecniche, abilità e conoscenze antropologiche, storiche, psicologiche, sociali, etc. Pratiche che impropriamente vengono chiamate ‘scienze morbide’.
La conseguenza di ciò è che il complesso non è riducibile ad una Verità, bensì è sempre un intrecciarsi di vicende che coinvolgono ‘zone’ del sistema complessivo e che possono essere interpretate, da un osservatore sempre interno al sistema stesso, come ‘storie’. Qui l’uso del termine storie ha una connotazione positiva riconoscendovi l’elemento più peculiare che distingue l’uomo dal resto del regno del vivente e, allo stesso tempo, l’essenza fondante della civiltà umana.
Nella costruzione e nell’ascolto di queste storie, siano esse racconti di esperienze vere o immaginarie, noi umani ne valutiamo la consistenza ‘assaporandole’, cioè sentendo l’effetto che queste suscitano in noi, nel nostro corpo fisico. Laddove ne ricaviamo un’esperienza gustata come ‘positiva’, siamo propensi a credere alla storia stessa. Traendone invece una sensazione di repulsione, saremo portati a non credervi. Elemento centrale per questa distinzione è il senso che comunemente chiamiamo ‘coerenza’, La coerenza di una certa storia nasce dalla valutazione della qualità e dell’intensità del sentimento che in noi suscita, e ci permette di attribuire ad essa un grado di verità. Abitualmente utilizziamo il termine ‘coerenza’ come un attributo di una certa storia. Facciamo invece fatica a considerare la ‘coerenza’ come l’effetto di relazioni multiple. Relazioni multiple che nascono dall’intreccio della storia con il nostro mondo di credenze individuali, sociali, culturali e relazioni che scaturiscono dal contesto in cui la storia è ospitata.
I dati possono essere utilizzati come strumenti da parte degli scienziati: i “dati della scienza”, oppure possono essere considerati un’entità a sé stante: la “scienza dei dati”. Questa seconda accezione è qui assimilata alla superstizione, dato che parte dall’assunzione che la conoscenza sia preesistente all’indagine umana e la competenza nell’uso dello strumento — la manipolazione dei dati — sia sufficiente ad estrarla.
Questa differenza è essenziale. Da una parte abbiamo la scienza come vicenda umana che si nutre di dubbi e diviene una fucina di co-costruzione culturale e sociale. Dall’altra abbiamo la concezione che esista una conoscenza nascosta nei dati che solo alcuni iniziati, in possesso delle opportune tecniche, possano comprendere.
Parallelamente alla distinzione descritta tra i diversi approcci, esistono due diversi modi per osservare il fenomeno dell’attuale pandemia. Uno banale ed uno complesso. L’approccio banale prevede l’aggregazione di grosse moli di dati per poi procedere all’analisi massiva digitale. Il secondo, complesso, prevede di procedere a valutazioni intessendo le opinioni e le esperienze di professionisti provenienti da diversi campi: epidemiologi, virologi, sociologi, psicologi, politici, etc.
È manifesto come il primo approccio sia molto più rapido ed efficiente, radicato nell’analisi quantitativa supportata dal digitale e come soprattutto induca un sentimento confortevole di prevedibilità — una vera ‘comfort zone’.
Il secondo, all’opposto, espressamente qualitativo e complesso, non produce risultati presunti certi e ripetibili ed è estremamente impegnativo. Associato a questo approccio è un sentimento di incertezza, continua ricerca e imprevedibilità.
Non occorre altro per spiegare del perché quindi ci si orienti in massa verso il primo approccio.
In questi giorni prolificano le mappe e le statistiche sulla diffusione del contagio da coronavirus che riportano classifiche regionali, nazionali, continentali e che suggeriscono al nostro inconscio valutazioni di merito. Proprio su queste basi sono prodotti a getto continuo modelli matematici. Tuttavia, il concetto di ‘nazione’ o ‘regione’ è un costrutto sociale che designa entità effimere e soggette a mutamenti. Se applichiamo la matematica alla classificazione di atomi diversi può probabilmente avere un significato. Confrontare tra loro le convenzioni sociali e politiche che chiamiamo “Nazioni” non ha senso. Analizzare poi l’andamento dei contagi è altrettanto irrazionale, essendo la diagnosi del contagio espressione di logiche e politiche interne. Infine, il confronto con epidemie passate, essendo storicamente mutato ogni elemento che sta alla base dell’identificazione del campione, diviene pura narrativa. Questi sono i problemi insolubili che affliggono da sempre chi seriamente si dedica a trovare omogeneità nei campioni da confrontare.
Riepilogando, l’obiettivo di questo scritto è stato evidenziare una pericolosa tendenza in atto che, complice l’enorme potenza, accessibilità e facilità nell’uso di alcuni strumenti tecnologici, rischia di produrre una nuova epoca di superstizioni, favorita dal clima di paura della pandemia.
È di vitale importanza approfittare della presente sciagura per invertire una tendenza distruttrice in atto ormai da tempo e generare nuova umanità dalla pandemia. Tornare a comprendere la fondamentale distinzione tra banale e complesso, tra quantità e qualità, tra dato e informazione, tra notizia e cultura.
Ottobre 2020 - Tutti i nodi vengono al pettine.
Ogni previsione di evoluzione pandemica è miseramente fallita, sia a livello nazionale che internazionale. Navigando sul web oggi è frequente imbattersi in relitti di statistiche previsionali, affascinanti pochi mesi orsono e oggi abbandonate ai margini di molti portali web, lentamente sepolte dai sedimenti delle notizie quotidiane. Lì ancora svettano le eleganti simmetrie gaussiane che anticipavano la fine della pandemia, che si offrono a quei naviganti che hanno occhi per vederle a imperituro monito della hybris moderna.
Molte cose sono accadute in questi ultimi mesi e, finalmente ripresi dallo shock delle prime settimane, sono iniziate ad apparire alcune analisi serie e circostanziate sulla pandemia in atto. I dati sono stati finalmente integrati con osservazioni dirette e incrociati con numerose variabili e questo ha portato a rappresentazioni della situazione attuale sicuramente più ragionevoli rispetto a quelle delle prime settimane dell’anno. A questi scenari confortanti fanno da contraltare le tonnellate di prodotti mediatici che si spacciano per fatti scientifici e che ancora inondano i mezzi di informazione. Non occorre soffermarsi sugli obiettivi e sui metodi che l’industria informativa usa per catturare attenzione e orientare i comportamenti per capire quanto di attendibile ci sia in questi artefatti. Strutturalmente, invece, i grandi flussi informativi sulla pandemia sono rientrati nel pieno controllo dei vari governi e sono stati integrati nei piani di politica interna ed estera. L’orientamento dell’opinione pubblica mondiale è uno dei fattori strategici di ogni potenza e la pandemia ha creato le condizioni per una serie di mosse e contromosse basate sulla diffusione di notizie costruite sui dati.
È stata, per me, una fortunata combinazione, in questi frangenti piuttosto deprimenti, imbattermi in un delizioso e divertente libretto, molto venduto ma evidentemente poco letto: “mentire con le statistiche”, di Darrell Huff. Si tratta di un libro di più di sessanta anni fa che compendia tecniche e strumenti che, con dolo o colpa, portano a costruire rappresentazioni apparentemente oggettive ma in realtà soggettive di dati. Può essere considerato un divertente passatempo sfogliare questo libretto e poi riconoscerne i ‘trucchi’ sistematicamente applicati alle notizie sulla pandemia. Andiamo dai “grafici fantasmagorici”, alle analisi che utilizzano “il campione con l’errore incorporato”, alle conclusioni basate sui “numeri pseudoconnessi”, e tanti altri, identificabili dal calzante verbo di “statisticolare”.
Tuttavia, il problema qui descritto non è solo dei dati o delle loro rappresentazioni, bensì dell’idea infondata che esista una realtà oggettiva, quantificabile e indipendente da noi. Qui la splendida sintesi di Heinz von Foerster ci torna utile: “È sintatticamente corretto dire che le asserzioni soggettive sono fatte da soggetti. Allora, in modo corrispondente, potremmo dire che le asserzioni oggettive sono fatte da oggetti. Disgraziatamente queste dannate cose non fanno asserzioni.”
La delusione. A questo punto nel lettore potrebbe sorgere un sentimento di delusione rispetto alla totale incapacità di prevedere il futuro emersa durante la pandemia. Non è mia intenzione eliminare questo sentimento e, anzi, credo sia il caso di assaporarlo fino in fondo. Avete capito bene, simpatizzo per la delusione, ma aspettate ancora un momento prima di chiamare un buon medico. La delusione è proprio il segnale che qualcosa ha infranto le nostre aspettative e che occorre un momento di riflessione per rielaborare la situazione in modo diverso, magari nuovo. Proprio dalla delusione di non possedere le chiavi del futuro e di non governare la morte può nascere un rapporto diverso e più sano con un fattore centrale: l’incertezza.
Eliminata la possibilità di scacciare l’incertezza è, invece, possibile, gradualmente, accettarla e iniziare a scoprirne qualità nascoste. L’incertezza è uno degli elementi cardine dell’epistemologia sistemica e il motivo è presto chiarito. Incertezza è quella condizione, frequentemente angosciosa, sperimentata da un osservatore laddove risultano invalidati i costrutti che permettono un comportamento stereotipato, la nostra ‘comfort zone’, il
nostro modello di vita a cui siamo aggrappati con le unghie e con i denti. Tuttavia, se ci soffermiamo a pensare, scopriamo che la zona dell'incertezza è la zona in cui tutto può succedere. La zona dell'imprevedibilità. È la zona dove nasce il nuovo.
Visto che ci ostiniamo a voler salvare il mondo perseverando con i pensieri che lo hanno condannato, ci torna quantomai utile San Giovanni della Croce: “Per arrivare a quello che non conosci devi passare per dove non conosci.” Benvenuti nella zona della complessità. La zona in cui piccole variazioni possono orientare il sistema modificandone intimamente la struttura. L'incertezza è proprio quel sentimento che non permette di distaccarsi dall'esperienza e di rifugiarsi all'interno di castelli ideologici; è una dolorosa ancora che vincola al momento presente e che abilita quella condizione psicofisica straordinaria che si chiama attenzione.
L’attenzione stessa potrà aiutarci a trattare diversamente questa pandemia di dati. Ciò che sta accadendo non ha precedenti a livello mondiale e genera uno scenario in continua e rapida evoluzione. Uno scenario che potrebbe suggerirci, se prestiamo attenzione, che i modelli statistici, inevitabilmente basati su dati provenienti dal passato, poco possono spiegare un presente in velocissima evoluzione.
Beh, questo mi dà una carica di ottimismo. Laddove il futuro è incerto, è anche prodigo di scenari inimmaginabili. Edgar Morin lo esprime chiaramente: “La complessità si presenta come difficoltà e come incertezza, non come chiarezza e come risposta”. Vi confesso che mi è capitato spesso in questi anni di provare ad elaborare mentalmente scenari evolutivi per il pianeta terra e per la nostra sopravvivenza, immaginando progressioni lineari di tendenze come: crescita demografica, inquinamento ambientale, perdita di biodiversità, ecc. Ognuno di questi esercizi mentali finiva con un: ‘game over’.
Il terremoto provocato da questa pandemia sta producendo enormi sofferenze ma, allo stesso tempo sta introducendo incertezza, dubbio e quindi attenzione in milioni di persone. Rifacendosi ad un classico modello possiamo immaginare che ogni cambiamento sia di due tipi: assimilazione o accomodamento. Il primo tipo è un aumento ed un’espansione di un modello (e qui potremmo leggerci il modello di vita occidentale) mentre il secondo, l’accomodamento, è la messa in discussione di un modello esistente e prelude ad un adattamento del soggetto al sistema circostante. È chiaro come ogni radicale cambiamento sia legato all’accomodamento e non all’assimilazione dell’altro. La fase di assimilazione è associata a sentimenti positivi come l’ottimismo, mentre la fase di accomodamento è associata a disagio e imprevedibilità. Ritroviamo parole come disagio e imprevedibilità, interessante vero? Come più di qualcuno ha già sottolineato, non si deve tornare a prima della pandemia, perché quella strada porta al baratro. Nessuno sano di mente potrebbe desiderare questa pandemia ma, visto che ora c’è, potremmo essere in grado di sfruttarla? Saremo in grado di coglierne con attenzione gli aspetti meno evidenti e trasformarla nell’inizio di un vero, epocale, cambiamento?