di Serena Dinelli
Direttivo AIEMS, Roma
Psicologa, Psicoterapeuta
Circolo Bateson, Bateson International Institute
Aprile 2020 - Diario del virus
Ciao Covid 19, che ci fai qui? Non ci siamo mai incontrati prima, questo è il fatto. Io non sono un pipistrello scappato dalla foresta bruciata, vivo in una sub-ecologia che è un inferno di complessità, ma diversa dalla tua.
L’RNA viene descritto nella nostra scienza come un messaggio, ma tu non parli, tu non dici un bel niente, esisti e basta. E dove sei?
E poi: ci sei?
Giacché io sto a casa per evitare di incontrarti, sperando che tu qui non ci sia. Che esperienza ho di te? Nessuna. E devo ringraziare di non avercela. La mia esperienza di te è solo un rapporto con una rappresentazione mentale: con una trasformata di una trasformata, direbbe un certo signore morto da tempo. Noi umani le ‘trasformate’ ce le passiamo l’un l’altro e le condividiamo, in modo così convincente che diventano reali, prima nella mente, poi nei comportamenti. Insomma, la massa di noi è a contatto solo col tuo fantasma. Ti immaginiamo proprio allo scopo che tu mai ti concretizzi nei nostri paraggi.
Questa possibilità, che può arrivare fino al delirio condiviso, non è nuova, ma mai come in questo paradosso mi era stata così evidente. La nostra mente vive da migliaia d’anni di virtualità: da quando abbiamo imparato a temere, desiderare, raccontare. Ai nostri comuni fantasmi, a volte, possiamo perfino sacrificare la nostra felicità o la vita. Tutto sta nelle nostre menti interconnesse. Anche tu.
Una certa quota di noi umani, invece, ti sta incontrando su un altro piano di realtà: ci sono corpi che stanno apprendendo chi sei, che nella carne ti stanno conoscendo per la prima volta. Due entità, i nostri corpi e te virus, l’una all’altra sconosciute, si incontrano. Tu che vieni dalla notte dei tempi, ben prima di noi, creature dalla brevissima storia, tu forma che arrivi da un tempo antidiluviano, quasi eterno. Inizierà un lungo processo di reciproco apprendimento, una synmathesis, direbbe Nora B. Alla fine del processo forse ci sarà quello che noi chiamiamo ‘immunità’, che nel caso attuale non sarà evolutiva solo nel vecchio senso: sarà evolutiva includendo nell’evoluzione la nostra scienza dei vaccini, che potrebbe anche farti sparire dalla faccia della Terra. E’ già successo a altri tuoi simili. Qualcuno ha detto che sei “un virus senza speranza”: per un istante ho trasalito in uno strano sgomento, un vuoto nel vuoto. O forse, una volta avvenuta una reciproca trasformazione, conviveremo a lungo? Chissà. Ma tu, tu non hai la coscienza. Tu esisti, vai, muti, e forse sparirai, senza preoccuparti.
Quando penso in termini di incontro e reciproco apprendimento mi sento profondamente tranquilla, sto bene. In quieta contemplazione del processo della vita. Tutto va semplicemente come deve andare, accetto in pace di essere un microscopico quid, insignificante.
Accendere il gas sotto la moka, spremere l’arancio mentre il pane si tosta, prendere il piattino del burro, portare la tazza e i crostini sul balcone, sedersi al tavolo, guardare il fiume luccicante nel silenzio, godere della luce sulla pelle, felicemente. L’eco di una voce di bambino alla finestra, un canto di fringuello.
Un attimo dopo, qualche volta, ho un brivido e mi sento fragile A rischio di morte. Potrei diventare una delle bare caricate nella notte. Covid 19, i corpi a volte muoiono non solo e tanto ad opera tua, quanto invece per reazione immunitaria parossistica: una dimensione epica. Di fronte a te, entità sconosciuta, il sistema scatena processi eroici così violenti che i corpi vengono uccisi dalle proprie difese. In fondo il terrore è sempre il contatto con qualcosa fuori scala, terrore è il contatto obbligato con qualcosa che va oltre la capacità di un’entità a dare senso a ciò che ha di fronte.
Così, a volte oscillo tra le tre diverse descrizioni.
Contemplare in quiete il grande processo, assaporare il cibo nel silenzio e nella luce, e al tempo stesso stare nel segreto impercettibile del mio possibile annientamento. Non è facile.
Col passare dei giorni, mi pare, sto abituandomi a tenerle insieme, senza cercare di integrarle o ridurle ad unum. Lasciandole così, una accanto all’altra.
Sono anche incazzata. Forse perché sono isolata da prima degli altri. Non trovo interlocutori per pensieri che mi assillano. La pandemia è una epifania, del peggio e del meglio: rivelazione di come stava funzionando il mondo. La globalizzazione, che si specchia nella veloce diffusione del virus, nella rottura delle catene mondiali di produzione. Le disuguaglianze, i neri americani che muoiono, le famiglie mezze morte di fame qui da noi; gli allevamenti intensivi come potenziali bombe virali; i guasti climatici globali, il taglio delle foreste; ma anche lo smog che lentamente scompare, il riapparire degli animali, e il denaro che a un tratto svela aspetti inauditi della propria convenzionale natura…. Circolano considerazioni su tutto questo, almeno nel mio ambiente, mentre nella testa delle persone e nei cuori si aprono spiragli di luce. Ma manca un pensiero sul dopo. Si sta aggrappati alla propria angoscia, traumatizzati, il pensiero gira e rigira sul virus, “i dati”, le mascherine. Ci sarà un dopo: ma COME verrà disegnato e realizzato? Nella crisi si aprono mille biforcazioni, diverse in ogni contesto, e possibili strade diverse, alcune che potrebbero fare un reset delle mutazioni pericolose che avevamo imboccato.
Su Skype parlo spesso col giovane storico, amico di 23 anni. La sua mente acuta vacilla sotto il peso. Ha due nazionalità e sta tra quattro culture diverse. Creatura della globalizzazione si chiede smarrito cosa sarà adesso il mondo. Lotta attonito, sbalordito, con l’impensabilità del suo futuro.
Il futuro non è immaginabile, i futuri sono molti e indecidibili. Non è possibile immaginare ‘soluzioni’. Si può navigare nel mare in tempesta. Ma per farlo non servono ideologie, scenari, panorami generali, non descrizioni di improbabili società idilliche in cui tutti saremmo buoni. Le rotte sono imprevedibili, le onde caotiche, i gorghi insidiosi. Sento drammaticamente il bisogno di dialogare con altri per individuare e scegliere STRUMENTI di giudizio, di selezione. Servono strumenti per navigare, orientarsi, adattarsi via via.
Curare grandi reti di scambio, di osservazione paziente, di prova e verifica, di ascolto e ideazione, di iniziativa e monitoraggio assiduo, preciso e fattivo. Questo desidero negli anni che forse mi restano. E cerco compagni di viaggio.
Novembre 2020 - Mini meditazioni su grandi sistemi
1. Avevo già l’abitudine di disinfettare le mascherine appendendole alla finestra ben esposte al sole. Ora, da ricerche italiane fatte insieme da immunologi e astrofisici, ci sono sicure evidenze che i raggi UV della luce solare, anche in basse dosi, inattivano il virus (Negrotti su Avvenire del 28 giugno, “Coronavirus: la scoperta Italiana”). Ma nel fiume di discussioni di questi giorni non v’è traccia della bella notizia che abbiamo a disposizione una possibilità che non costa nulla e non inquina. Non se ne parla, ma l’altra buona notizia è che il Ministero della Salute ha colto invece l’importanza di questa evidenza: le ultime linee guida raccomandano l’uso di lampade UVA per sanificare gli ambienti e l’uscita dei bambini all’aria aperta, sia pur con distanziamento. E’ una buona notizia anche perché nelle menti collettive degli attuali grandi sistemi tecnici e amministrativi di solito non c’è una percezione della connessione con il cosmo, nostra e degli altri organismi viventi: per esempio, il rapporto con la stella attorno a cui ruotiamo e la sua luce. Più diventiamo “tecnici”, più questo rapporto viene obnubilato. Nei miei vagabondaggi mentali ci avevo riflettuto durante una degenza in ospedale: un ospedale “moderno”, incarnazione di un’idea di controllo, dove tutti noi, ricoverati e personale, vivevamo in un bagno costante di aria condizionata e luce artificiale. A questo proposito ho trovato un pensiero di R.W. Emerson, citato da Donella Meadows nel suo bel libro “Pensare per sistemi” là dove parla della difficoltà di indurre cambiamenti. Dice Emerson: “Ogni nazione ed ogni uomo si circondano di un apparato materiale che corrisponde esattamente al suo stato di pensiero… Osservate le idee del giorno presente… vedrete come il legname, il mattone, la calce e la pietra hanno assunto una forma obbediente all’idea dominante nelle menti di tante persone… Il minimo ampliamento delle idee… causerebbe i più impressionanti cambiamenti nelle cose esterne.” (corsivo mio).
Ricorre l’idea che bisogna abbandonare i vecchi ospedali: che però, meno tecnici di quelli progettati oggi, hanno bellissimi finestroni. Bellissimi anche per l’anima: forse aiutano pazienti e curanti anche a (inconsapevolmente) sentirsi organismi vivi.
2. Durante la prima clausura, uscendo una mattina a fare due passi, mi colpì un pensiero improvviso e sconcertante, che poi subito mi divertì. Erano molti giorni che tutti i bambini erano confinati in casa, facendo impazzire i genitori e impazzendo loro. A un tratto mi ero accorta che le strade erano deserte. Perfette cioè per diventare grandi spazi gioco per i bambini: volendo evitare anche le rarissime auto bastava chiudere alcuni tratti e mettersi d’accordo tra genitori o dar lavoro a giovani educatori per un po’ di sorveglianza, o anche utilizzare gli spazi vuoti per fare lezioni all’aperto con piccoli gruppi a rotazione.
Per due mesi ci siamo mostrati a vicenda foto e video delle vie deserte di tutto il mondo. Ma abituati a pensare le strade come luoghi dove passano le macchine nemmeno il vuoto assoluto, la calma e il silenzio ce le hanno fatte vedere diversamente. Se avessimo avuto questo insight e l’avessimo realizzato ci sarebbe apparsa un’apertura su un nuovo mondo.
3. Grandi discussioni se tenere aperte o chiuse le scuole. Il vero problema, si dice, sono i trasporti: la massa di studenti costringe anche chi si sposta per lavoro a viaggiare nella ressa. Per dimezzare le presenze bisognerebbe raddoppiare i mezzi e il personale. In una discussione radio tra esperti viene lanciata l’idea di usare i mezzi dell’esercito e/o ingaggiare gli autobus turistici, che sono in crisi economica. Ci fosse qualcuno a cui viene in mente anche un’altra possibilità: invitare chi non abita troppo lontano a andare a scuola a piedi, magari chiacchierando con gli amici, lasciando i posti sui mezzi a chi viene da lontano… Non risolverebbe il problema dappertutto, specie dove c’è pendolarismo, ma in moltissime situazioni cittadine invece sì. E con una camminata al giorno si rimpiangerebbero meno anche quei luoghi a alto rischio di contagio che sono le palestre… Ma non è facile cambiare la mentalità che vede il corpo come qualcosa che bisogna ‘tenere in forma’, ma non si usa per stare al mondo…
4. A proposito di corpo, sono arrivata da tre giorni alla casa in riva al Lago. Sono reduce da sette mesi passati a Roma chiusa in casa, prima per il lockdown, poi per una malattia e una tassativa prescrizione di evitare il sole e i bagni (si è poi rivelata non solo sbagliata, ma anzi dannosa). Ho passato quindi questi lunghi mesi rinchiusa, solo al telefono, leggendo libri o davanti a schermi. Ora scopro stupefatta che mi sono del tutto disabituata a guardarmi intorno: anche all’aria aperta ormai il mio sguardo è stranamente come rivolto all’interno, mai si apre a quello che lo circonda. Devo letteralmente forzarmi a guardare paesaggi che mi avevano sempre incantato e che ora semplicemente non vedo più. Ho cominciato a fare esercizi di sguardo per rientrare in rapporto con il mio mondo amato.
Scoprirà mai il mondo, mi chiedo, il bambino che incontro per la strada con gli occhi chini sul cellulare?
5. Nella lunga reclusione forzata leggo e rileggo di tutto, sempre con un retro-pensiero latente sulla situazione in cui siamo. “Germinal” di Zola, sugli scioperi di minatori in Francia nel 1866, “Senza un soldo a Parigi e a Londra”, dove Orwell racconta una sua esperienza di povertà negli anni’30, “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi, sul Sud italiano negli anni ‘30, il bellissimo “Chiamate la levatrice” di Jennifer Worth, sul mondo popolare cockney nella Londra degli anni ’40, e di Barbara Ehrenreich “Una paga da fame”, sui lavoratori poveri negli USA negli anni recenti. Cumulandosi casualmente queste letture mi hanno fatto pensare al doppio vincolo in cui ci troviamo, che proprio in quanto tale pare molto difficile da cogliere e commentare. Milioni di europei vivevano in una cupa povertà, in case miserabili senza aria e luce, mangiavano malissimo e erano esposti a rischi di totale annientamento in caso di disoccupazione o malattia. E’ stato solo con un processo lungo circa un secolo che le masse europee sono arrivate a esercitare una pressione efficace per una certa redistribuzione del benessere: case riscaldate e confortevoli, cibo migliore, assistenza sanitaria e pensionistica, e alla fine anche istruzione diffusa, vacanze e sogni offerti dal cinema e dalla TV.
C’è però un ma. In questo stesso arco di tempo le risorse del Pianeta sono state letteralmente saccheggiate da sistemi produttivi voracissimi intenti a promuovere i consumi di massa, mentre avveniva una accumulazione di ricchezza complessiva mai vista prima nella storia. II moto di redistribuzione si è peraltro arrestato e ha ripreso a girare in negativo a partire dagli anni’80, specie dopo l’89, quando rapidamente la forbice tra redditi alti e bassi è tornata a crescere. Nelle migliaia di colloqui con le famiglie che ho fatto per decenni nel mio lavoro ho visto che questo passato di solito era taciuto: la casa dove si dormiva in due o tre in un letto, magari con le capre al pianterreno, i lutti familiari ripetuti, l’orfelinato, i geloni, la cucina fatta sulla carbonella, il sapone rasposo, le puzze, la paura di ammalarsi, i vestiti ‘rivoltati’, erano fantasmi del passato silenziosi, che, a meno di sollecitarlo, non si trasmettevano a parole, ma solo per via inconscia. Sarà un caso che (come ho scoperto vedendo un documentario), Berlusconi, grande erogatore di sogni di consumo e di benessere, ha cominciato la sua vita da bambino poverissimo con le scarpe chiodate?
Ora che la globalizzazione, l’automazione, la crisi climatica e quella epidemica mettono a grave rischio il buon vivere di massa che era stato sperimentato è con questi grevi fantasmi che bisogna fare i conti quando parliamo di cambiamento. E non è per niente facile. I riti e i miti del consumo, oltretutto, hanno raso al suolo le metafore, i simboli, le tradizioni, da quelle religiose a quelle locali, agricole, familiari. Per milioni di persone il consumo non è affatto banale: ha sostituito tutta le precedenti dimensioni simboliche, diventando una chiave essenziale di accesso a esperienze, confort, sentimenti di valore e indicazioni di mete esistenziali nella vita.
6. Ho ripreso in mano un bel libro di Leonard Clark. Statunitense, Clark è stato un agente segreto, un esploratore, avventuriero di un’energia instancabile e insieme altamente percettivo per la formazione allo spionaggio. E infine uno smaliziato narratore. “I fiumi scendevano a Oriente” è il vivido racconto di un’esplorazione temeraria dell’Amazzonia (siamo negli anni ’40 del secolo scorso). L’ho ripreso in mano pensando di godermi una lettura di viaggio. Ma, man mano, insensibilmente la lettura è entrata sinistramente in risonanza con un’altra fatta poco prima: “Spillover”, di David Quammen, un libro
diventato in questo periodo popolare perché parla dei salti di specie. L’attuale ulteriore fase esplosiva dell’Antropocene ne crea tutte le condizioni, esponendoci al rischio di epidemie a cui i nostri organismi non sanno ancora come far fronte. Mentre leggevo Clark mi cadeva anche l’occhio sulle immagini dei grandi incendi in atto da mesi in Amazzonia e nelle foreste australiane e del Sud Est asiatico. A un certo punto mi si sono rizzati capelli in testa, come a un animale di fronte al sentore di un grande pericolo. Perché l’Amazzonia, che come ecologisti siamo abituati a pensare amorevolmente come “polmone del mondo”, appare nei racconti di Clark per quello che è: un ambiente di fango, terra e acqua pullulante di forme di vita largamente sconosciute, dalle farfalle alle orchidee, dalle piante abitate da sciami di insetti e parassiti, ai grandi giaguari, ai milioni di coccodrilli, pappagalli, uccelli, scimmie, dai serpenti lunghi molti metri ai parassiti che ti depongono le uova sotto le unghie, passando per i ragni che tessono tele enormi in cui si può restare intrappolati, per essere poi spolpati da certe formiche… Ognuna di queste creature è in simbiosi con parassiti, virus, batteri di ogni tipo… Questo ecosistema immenso oggi sta venendo “colonizzato”, sconvolto da incendi, strade, piantagioni, trivellazioni, miniere, aeroporti. Dopo milioni di anni di segreto equilibrio questa immensa natura antidiluviana, che ha tratti insieme di sogno e d’ incubo, sta diventando un ecosistema impazzito: un calderone infernale da cui può venir fuori a ripetizione, in cerca di sopravvivenza, chissà che cosa.
7. Associazioni, dissociazioni, bisociazioni inedite di noi stessi e dei contesti… così stiamo vivendo… Scrive Anna S., docente universitaria, su FB (18-11 2020): “Il ricevimento on line abbatte ogni frontiera istituzionale e genera situazioni inimmaginabili. Per esempio oggi sono entrata nella stanzetta dove sta isolata una mia laureanda perché il suo fidanzato è stato contagiato dalla madre, a sua volta contagiata da un alunno asintomatico. Poi sono entrata in una caserma perché un mio laureando lavora lì. Qui ho proprio vissuto una distopia. Lui che mi mostra in divisa "Sorvegliare e Punire" di Foucault dalla sua stanza in caserma dicendomi: "Prof, questo testo è la mia Bibbia". Il tutto sotto lo sguardo del ritratto del Presidente Mattarella avvolto in un tricolore. Che giornata...”
Io parlo via skype col mio amico ventenne francese. “La nostra sarà una generazione di pazzi” mi dice. “Dove siamo? nulla è come lo conoscevamo…” Lui si è spostato al mare nella seconda casa di un amico, cercando sollievo a mille chilometri dalla strettissima clausura di Parigi, intanto segue le lezioni di un difficile Master e lavora anche a un documentario, sempre da solo chiuso in camera a distanza. A ora di pranzo leva le cuffie, si butta in mare e prende il sole sugli scogli (siamo a novembre, ma il clima è cambiato…), poi torna ai “non luoghi”.
8. Sto cercando di capire cosa succede. I social sono un buon posto per osservare certe dinamiche di dissociazione e scissione. Per esempio, su una pagina di insegnanti, discutendo se tenere aperte o chiuse le scuole i docenti si accusano a vicenda di essere pazzi, idioti, sciocchi e ignorantissimi, illusi ecc ecc. E nelle ricorrenti discussioni tra complottisti, negazionisti e sostenitori delle misure precauzionali curiosamente spesso ricorrono argomenti molto simili sul “sistema”, però si arriva, a suon di battutacce, alle stesse dinamiche di totale svalutazione e negazione reciproca: fino a negare all’altro la possibilità di esistere e, quindi, la possibilità di stare in una qualche relazione. Questa dinamica merita tutta la nostra attenzione.