di Mario Gentili
Matematico, esperto di sistemi complessi
Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare
nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi
Marcel Proust
4 marzo 2020, ore 8:30
“Buongiorno cucciola”
“Buongiorno papà… perché non mi abbracci?”
Già, il contatto fisico, il grande assente!
Ho sempre immaginato una pandemia come un evento anacronistico, non più ripetibile nell’era dei dell’intelligenza artificiale, comunque un evento avulso dalla cosiddetta civiltà “evoluta”. Un evento possibile soltanto nei film di genere catastrofico.
E invece… eccomi immerso in una realtà inaspettata, surreale. Come non ricordare le scene descritte magistralmente da Manzoni o da Marquez. Peste, colera, epidemie che hanno decimato l’umanità ma che ormai si pensava appartenessero soltanto alla Storia. Al passato … anzi, al passato remoto perché troppo scomodo per accettarlo o per non relegarlo in qualche parte del mondo di cui sentiamo soltanto echi lontani dalla quiete della nostra coscienza.
I ritmi quotidiani sono adesso scanditi da un virus microscopico che sceglie le sue vittime nelle fila dell’uomo che da sempre ha cercato di interpretare la Natura con la malcelata convinzione di sopraffarla. Un virus tanto microscopico da mettere in crisi un sistema enormemente più grande: quello economico, sociale, … il sistema di vita!
Nessuno sfugge a questo dramma. Non conta il colore della pelle, la fede politica, quella religiosa. Per gli scopi riproduttivi del virus siamo tutti appetibilmente uguali.
Il volto nascosto di un virus ci sta richiamando a delle responsabilità individuali e collettive. La crisi sanitaria emersa ci rende consapevoli di quanto siano complessi e inestricabili i fili della globalizzazione antropologica, economica e politica, ma anche dell’importanza di una solidarietà ormai sopita.
Come non ricordare Bateson quando pone alla sua classe il quesito [… quale struttura connette il granchio con l'aragosta, l'orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi? E tutti e sei noi con l'ameba da una parte e con lo schizofrenico dall'altra? …]
La sfida, anche in momenti così difficili è cercare la “struttura che connette”. Scartare le asimmetrie formali a favore di simmetrie più profonde e legate alla nostra natura umana. Andare oltre le fin troppo evidenti differenze per trovare invece il denominatore comune sul quale realizzare il nuovo equilibrio: quello basato non su ciò che diversifica, ma su ciò che accomuna. Ciò che unisce è quello che tutti abbiamo: il destino di viventi su questa Terra che dobbiamo proteggere a rischio della nostra stessa esistenza.
Così la presa di coscienza della fragilità delle nostre scelte, ci induce a riflettere sulla vita che non abbiamo vissuto, sull’arroganza, l’incoerenza e l’incapacità di governare situazioni improvvise. È questo il momento di prendere atto, se mai ce ne fosse bisogno, di quanto già Eraclito proclamasse nel 500 a.c.: Il cambiamento è l’unica costante.
Nasce allora un’urgenza morale, etica e fisica: riconoscere la complessità della Natura e, quindi, accettare il danno, non come una fine, ma come l’inizio della prossima avventura.
Questo sarà il primo passo per uscire dallo stato di autocommiserazione della vittima impotente, che non vede alcuna soluzione se non un impossibile ritorno-al-passato.
Sciocco domandarsi, quando finirà? Neanche i modelli previsionali della più innovativa intelligenza artificiale possono aiutarci: non esistono, infatti, precedenti su cui elaborare algoritmi di apprendimento storico. Allora la risposta alla domanda è: è già finita!
È questa la convinzione con cui affrontare la nuova situazione, anche se indesiderata. Penso a quando ci troviamo, da un giorno all’altro senza lavoro, oppure quando improvvisamente un incidente ti priva di quelle funzionalità di cui ne scopri l’importanza solo adesso che non ci sono più. A quando la società ti emargina come “vecchio” anche se hai tanto da dire e da fare. A quando, in maniera subdola, scoppia una pandemia.
Fin da piccoli, siamo soliti all’analisi attenta di quello che ci accade chiedendoci il “perché”. Questa domanda ci ha portato a scoprire il mondo, ad acquisire conoscenze importanti nel nostro percorso vita, ma alcune volte non è possibile trovare una risposta convincente. Infatti, quando ci troviamo a gestire problemi complessi, dobbiamo considerare tante, troppe variabili e … non sempre “il perché” ci fornisce risposte adeguate.
È proprio in questi casi che dobbiamo usare gli strumenti del “come”.
Ci troviamo dinanzi a un nuova declinazione della Natura, come coniugarla? Nella resilienza possiamo trovare le giuste leve quali la motivazione e lo slancio teso alla continuità. Ogni evento negativo non può cancellare le nostre aspettative, deve aprirne di nuove, forse più ambiziose, anche se non sempre valutabili in termini di intensità e di successo.
Quasi paradossalmente, proprio l’interruzione di abitudini consolidate è la molla per riattivare quell’istinto di ricerca che, nella zona di comfort del nostro quotidiano vivere, magari stavamo perdendo. È l’assioma di Cyrulnik, secondo cui: la risposta alla catastrofe non consiste nel ristabilire l’ordine precedente, ma trovare il modo (il come) per crearne uno che prima non c’era. È il paradigma della “biforcazione catastrofica” nel cammino evolutivo di un qualsiasi sistema complesso.
È facile anche trovare una “simmetria logica” con il pensiero di Blaise Pascal, lo scommettitore per eccellenza sull’esistenza di Dio. Dio esiste? Non si sa ma… è conveniente riconoscerne l’esistenza. Il futuro sarà migliore? Non lo sappiamo, ma dobbiamo crederlo fermamente perché conviene e perché è motivo certo di evoluzione.
#andrà tutto bene… forse! Le foto delle città deserte non sono certo rassicuranti, così come non sono rassicuranti le immagini di una società ostentatrice di millantata sicurezza. Non sono rassicuranti i proclami bizzarri di alcuni politici.
È rassicurante l’immagine di una società che si stringe attorni ai suoi valori, il saper stare a casa con noi stessi e con le persone che amiamo, riscoprire l’altruismo, la solidarietà, l’impegno volto a difendere la Natura.
È rassicurante la nostra autopoiesi, la consapevolezza che presto il nostro cervello attiverà il “processo antagonista” per ristabilire l’equilibrio emotivo e che è ben declinato dalla saggezza popolare con il detto “il tempo farà la sua parte”.
Non è rassicurante l’immagine solitaria dell’uomo più potente della cristianità in una sconfinata e sconsolata piazza deserta.
È rassicurante la voglia di abbracciarci in un momento in cui non possiamo farlo.
Ottobre 2020 - Apprendere ad apprendere
Stiamo imparando sulla nostra pelle che l'organismo
che distrugge il proprio ambiente
distrugge sé stesso.
G. Bateson
4 ottobre 2020, ore 8:30
“Buongiorno cucciola”
“Buongiorno papà…”
“…avvicina la telecamera, non ti vedo bene …”
Già, il contatto fisico, il grande assente! Continua a perseguitarmi, anche se la tecnologia permette di raggiungere mia figlia a Milano e colmare spazi altrimenti incredibilmente e paurosamente vuoti, bianchi, privi di un colore utile a richiamare emozioni diverse dallo smarrimento e dalla paura di restare soli.
La vita deve andare avanti, mi dico quasi per autoconvincermi, osservando i rossi tramonti sul mare dalla mia finestra di casa. In effetti se giudicassi questa scena attraverso l’obiettivo di una macchina fotografica, nulla è cambiato: stessi colori, stesse sfumature di luce, stessi i tempi. Anche il frenetico cinguettio degli uccelli che la sera tornano al loro nido non è cambiato. Tra un po’ il sole scomparirà con la certezza che domani ci sarà una nuova alba e che gli uccelli torneranno a volare.
Ma i miei occhi non sono un obiettivo e la mia mente non è una lastra fotografica: la mia vita è cambiata, quella di tutti è cambiata. Posso ancora leggere per le strade le scritte sbiadite andrà tutto bene con la speranza o il timore che tutto possa tornare ottusamente come prima, senza aver tratto alcun insegnamento costruttivo dalla pandemia che non accenna a mollare.
Di una cosa sono certo, le cose non si aggiustano da sole, né si possono affrontare da soli. Da una valutazione di quanto questi sette mesi siano stati utili per prendere coscienza di una nuova realtà deduco che si è perso del tempo prezioso. Si rafforza in me la convinzione che andrà tutto bene solo se ci convinceremo di appartenere ad un unico ecosistema. Ritengo il concetto di appartenenza una dimensione ancestrale, ma anche primaria, che permette di avere l’atteggiamento necessario per vincere la paura. Scoprendo le radici comuni, di fatto diamo concretezza alla struttura che connette proponendo e condividendo cambiamenti e relazioni in grado di superare le barriere dell’egoismo e del nazionalismo.
La pandemia in corso non si è arrestata e non si cura dello status sociale. Paradossalmente, ha lo stesso rispetto per tutti. Per poterla combattere, è necessario assumere lo stesso atteggiamento equo ed olistico: cooperare, favorire l’integrazione, relazionarsi senza barriere. Questi giorni ci hanno evidenziato sperimentalmente, come direbbe Galileo, che abbiamo la responsabilità ineludibile della nostra qualità di vita sia individuale, sia sociale.
Questa volta non è il poetico battito d’ala di una farfalla a generare uragani nell’altra parte del mondo, ma il contatto tra una mano e una bestiola. Un gesto naturale e innocuo ripetuto infinite volte nel corso della giornata, ma che ora genera un evento possibile e destabilizzante. Lo chiamano spillover, il passaggio di un virus da una specie a un’altra. Se qualcuno ancora dubitava della matrice comune di tutti i viventi, ora ne abbiamo prova. Siamo tutti collegati, virus, batteri, piante, animali, uomini. Tutti impegnati in una strenua lotta di sopravvivenza, talvolta cooperando, talvolta in un aspro conflitto che alimenta e viene alimentato da un continuo cambiamento. Già il cambiamento, unica costante origine di quel processo necessario alla generazione di nuova conoscenza e del passaggio di stato necessario a stabilire il nuovo equilibrio.
Ne sono certo: non potrà tornare tutto come prima. Mi è facile adottare la metafora della perdita della vista ad un occhio. Si perde la profondità e la tridimensionalità. Non è come prima né mai potrà più esserlo. Se non si vuole commiserazione, è necessario accettare la condizione e cambiare i riferimenti. Bisogna vedere con il tatto, con l’olfatto, con l’aiuto delle persone che ti stanno vicino. Ti accorgi allora che un nuovo equilibrio sensoriale si è stabilito e che quello vecchio era soltanto un’abitudine che può essere sostituita da un nuovo concetto del vedere, forse più protettivo, più ricco di emozioni e di conoscenza, sicuramente più sistemico di quello considerato come normalità.
Non mancano motivi di soddisfazione. Non senza un filo di amarezza per i tempi e i modi di realizzazione, assisto alla frenetica affermazione di nuove forme di comunicazione e di organizzazione sociale, in altri tempi fortemente osteggiati ed a cui ho dedicato e ancora dedico gran parte dei miei studi. La mente va quando, agli inizi del nuovo millennio, da consulente dell’allora formazione politica, si proponeva una tessera sanitaria che potesse contenere le informazioni utili al primo soccorso dell’individuo, oppure alle proposte di telelavoro che, se opportunamente regolamentato, avrebbe migliorato la qualità di vita ed avrebbe diminuito traffico e qualità dell’aria. La proposta scatenò rivolte e minacce di insensibilità verso i legittimi diritti individuali e sociali della persona. Ma che dire: necessità fa virtù… anche se la virtù dovuta alla necessità quasi mai si accompagna efficacemente alla necessaria organizzazione di un intervento pianificato strutturato. Il controllo che scaturisce da normative e circolari, spesso non condivise neanche dagli stessi legislatori, hanno caratteristiche di urgenza e mai riescono ad avere la necessaria visione di insieme necessaria a gestire un sistema complesso. Ho l’impressione che ancora una volta si sia persa un’occasione e che si stiano chiudendo le buche perdendo di vista la strada a cui appartengono. Certo asfaltare la strada costa molto di più, mancano soldi si potrebbe dire, sicuramente! Ma forse manca il coraggio di cambiare governance e di assegnare le giuste priorità alle urgenti richieste di un ecosistema da accettare, preservare, anzi favorire.
Cosa abbiamo imparato in questi mesi di convivenza con la pandemia? Sono d’accordo con le più recenti affermazioni di E. Morin, secondo cui la prima lezione della storia è che non impariamo alcuna lezione perché ostinati e ciechi a ciò che ci ha insegnato. È per questo che mi risulta difficile pensare che andrà tutto bene. La sera, durante la trasmissione delle news vengono pubblicati i numeri della pandemia e assisto ad un tifo quasi calcistico perché il bilancio dell’Italia è stato migliore di quello della Francia o della Spagna. Ancora nazionalismi, ancora ottusa interpretazione di una tragedia globale che al contrario richiede condivisione e pianificazione organica degli interventi.
La storia ci insegna ad essere vigili e a riflettere su come periodi che appaiono progressisti possono essere seguiti da regressione e, fortunatamente, viceversa. La saggezza popolare ricorre all’espressione colorita del tutto passa ma prima o poi tornerà, i filosofi ricorrono ai corsi e ricorsi storici. Ma qual è il periodo ovvero la frequenza di questi avvicendamenti?
La mia esperienza non è in grado di fornirmi una risposta certa: dipende… Dipende dalla combinazione non lineare tra il caso e dalla conoscenza della rete delle relazioni esistenti tra i fattori caratterizzanti gli avvenimenti oggetto di osservazione. Dipende dalla probabilità. La chiarezza sul concetto di probabilità, come ci ha insegnato il matematico e filosofo Bruno de Finetti, non si riferisce al sistema in sé (il dado, il formicaio, lo stormo, il COVID, …), bensì alla conoscenza che si ha del sistema. Ritengo che in questi mesi trascorsi dall’inizio della pandemia la conoscenza non abbia sorpassato l’ignoranza.
Adesso però, in maniera meno logica e più emotiva mi convinco della necessità di dover ricorrere alla capacità di resilienza insita in ognuno di noi. Alla capacità di sperare, e credere che possa esserci un futuro migliore. Coraggio! mi dico, faccio parte di un tutto e il nuovo tutto ha bisogno di singole unità caparbie, capaci di apprendere strategie per accettare e vivere l’incertezza. Capaci di misurarsi con il rischio e con l’errore. Capaci di riconoscere che la colpa non è soltanto degli altri e di domandarsi: io cosa sto facendo? Capaci di permettere al nuovo tutto una forma di equilibrio che riesca a relazionare le molte dimensioni dell’attuale nostra crisi: sanitaria, economica, politica, sociale, culturale e morale.
In questi giorni ho letto e riletto dapprima la lettera enciclica Laudato si’ quindi Fratelli tutti di papa Francesco. Mi sembra di percepire un continuum tra la prima e la seconda con la consapevolezza dell’urgenza a cambiare rotta. Come non condividere l’incitamento a ripensare la nostra società e ad agire per la costruzione della casa comune planetaria abbandonando il narcisismo del padre padrone dell’uomo che domina la natura e prevarica sui diritti dei suoi simili? Come disconoscere la riflessione di Francesco:
[…] Al di là delle varie risposte che hanno dato i diversi Paesi, è apparsa evidente l’incapacità di agire insieme. Malgrado si sia iper-connessi, si è verificata una frammentazione che ha reso più difficile risolvere i problemi che ci toccano tutti. Se qualcuno pensa che si trattasse solo di far funzionare meglio quello che già facevamo, o che l’unico messaggio sia che dobbiamo migliorare i sistemi e le regole già esistenti, sta negando la realtà. […]
14 ottobre 2020, ore 20:30
La situazione peggiora precipitosamente di giorno in giorno. Sono angosciato: qualcuno in tv sta cercando di convincermi che se ci comporteremo bene forse riusciremo a trascorrere un Natale con i nostri famigliari… ancora una manifestazione per non ammettere di aver perso un’occasione. Andrà tutto bene? Forse, ma questa volta devo veramente impegnarmi in tal senso, con la certezza di condividere il mio percorso con tante altre persone di buona volontà pronte a mettersi in gioco con l’umiltà necessaria per apprendere ad apprendere.