di Franca Mora
Socia Ordinaria AIEMS, Roma
Psicologa, psicoterapeuta
Foto di Jon Pauling da Pixabay
Aprile 2020: Le anatre di Piazza di Spagna
Guardo le foto delle anatre che si abbeverano nella Barcaccia in Piazza di Spagna: al tramonto se ne vanno per tornare la mattina successiva.
Sembra che dimorassero nelle fontane di Roma prima degli anni sessanta: una consuetudine urbana.
Osservandole, ho ripensato a ‘La scomparsa delle lucciole’, che Pasolini scriveva sul Corriere della Sera nel 1975, in cui con la sua consueta dolorosa lucidità, lo scrittore sceglieva la scomparsa delle lucciole come metafora della china che l’Italia stava prendendo, soggiogata dal potere dei consumi che deforma la coscienza fino a far diventare il suo popolo ‘…degenerato, ridicolo, mostruoso e criminale’.
Da queste riflessioni sono partita nella seconda parte di questo isolamento, tentando di dare una forma alle giornate e alla paura, che abita queste ore, almeno nella mia personale esperienza, cercando degli appigli di speranza, che mi consentissero di non essere imprigionata in un pessimismo senza via di uscita o nell’ottimismo fideistico del ‘tutto andrà bene’. Entrambe queste posizioni portano ad arrendersi ad una sorta di fatalismo, al disimpegno e, sovente, a ripiegarsi esclusivo su di sé, sul proprio ‘stare a casa’, chiudendo non solo le porte della nostra casa di muri, ma anche della nostra casa interiore (in molti casi già sbarrata o abitata da rumori intensi, ai quali ci siamo arresi).
La paura che mi abita non e quella del virus: è più sorda e profonda e ha differenti facce. E’ paura del futuro, dell’ignoto o, forse, solo del buio.
Per me, come per tanti altri, la vita sta subendo continue scosse e non potrà più essere quella, che cercavo di costruire, accorgendomi a volte solo con la mente delle contraddizioni, delle diseguaglianze, delle risorse (dimenticate) e dei valori (messi in silenzio), degli altri, che mi circondano e di ciò che abbiamo progressivamente minato o distrutto.
Così ho cominciato a cercare appigli di una speranza, che non è parente dell’ottimismo senza ragione, ma è la capacità di lavorare per qualcosa che è buono e non perché ha la possibilità di avere successo. L’etica guida la speranza.
Mi sostiene una suggestione dagli scritti di Bloch sulla speranza: ‘La vera speranza deve essere sostenuta da ragioni…deve essere in grado di trovare le evidenze in una situazione che la rendano credibile…altrimenti è solo un’intuizione di pelle come essere convinto che ci sia un polpo sotto al letto…’
La speranza - mi dico - esige calcoli freddi e duri e, insieme, paradossalmente, uno sguardo ingenuo sul mondo: va costruita sull’incertezza, assumendosi la responsabilità di fare qualcosa di importante, anche se gli effetti, forse, non saremo noi a vederli.
Così, mi esercito a costruire la speranza, cercando evidenze e appigli, navigando a vista in un mare sconosciuto.
Esercizio n°1 - Lavorare con le Cornici
Le cornici sono dei punti di vista che ci aiutano a fronteggiare la complessità dell’esperienza: contribuiscono a dare senso alla realtà, consentendoci - come dice Bateson - anche l’esperienza della vertigine.
Sono convinta che le cornici che ci portano all’impegno per la speranza siano le cornici dei valori come l’equità, il coraggio, il rispetto, la solidarietà e pochi altri. Scelgo, per esempio, la cornice della equità/diseguaglianza e le sue evidenze: gli invisibili, i soli, quelli che in questo momento non sanno o non possono orientarsi. Quelli per cui si è fermata la vita e non sanno come riprenderà. Quelli per cui era difficile curarsi prima e che ora non trovano più medici, visite, appuntamenti, chemio. Quelli che hanno perso un lavoro già precario (o forse in nero) e che temono il futuro. E mi appaiono nuove diseguaglianze e antiche e nuove frontiere di denuncia e impegno. La speranza.
Esercizio n°2 - Ripensare le Relazioni e agire per Connessioni
L’evidenza della connessione, ora: non si può affrontare l’emergenza sanitaria senza la connessione con l’economia e la politica. Non si esce da questo problema da soli.
Cambiando le connessioni e i vincoli cambiano le parti da connettere: come possiamo avere una sanità pubblica efficiente in un’economia neoliberista? E quali forme politiche e organizzative consentono un’economia diversa e una sanità per tutti? Altre connessioni appaiono evidenti tra le diverse parti del mondo. Governare la globalizzazione con forme di solidarietà e di sviluppo diverse: un virus ci ha mostrato la debolezza estrema del nostro mondo liberista e della nostra vita di fretta consumistica.
Si conferma la necessità di studiare, diffondere e assumere stili di vita diversi. Il lavoro che diminuirà. Non si affrontano da soli: nuove relazioni. La tecnologia a supporto di solidarietà e di conoscenze condivise. La speranza, ancora.
Esercizio n°3 - Saper vivere nelle Dicotomie
Noi viviamo oggi chiusi nelle nostre case e in ascolto di ciò che avviene nel mondo: sappiamo che quello che ci succederà è legato a doppio filo a ciò che sta succedendo a nostri simili in altri paesi, Formidabile ri-apprendimento: quello che succede nel nostro piccolo mondo non basta.
Impariamo a tenere insieme piccolo e grande, personale e globale. Visione e essenzialità delle piccole cose: non posso pensare e pensarmi senza una visione. Disperazione e possibilità. Mente e cuore: regola ed emozione. Soli e insieme. L’evidenza è la Dicotomia. La speranza, ancora.
Altri esercizi sto costruendo: quasi una meditazione o un modo di respirare in questa mia casa che, forse a differenza di altre in questo periodo, è piena di rumori, di canti, di balli e di giochi di bambini. Così, nel buio di cui parlavo, ogni tanto inciampo in un papero senza un occhio o in pezzi di Lego colorati o in libri, sparsi per gioco sul pavimento.
In questo modo, esercitandoci, proviamo ad abituarci al buio come ci sussurra Emily Dickinson:
Ci abituiamo al buio
quando la luce è spenta…
…Così avviene con tenebre più vaste
quelle notti dell’anima
in cui nessuna luna ci fa segno,
nessuna stella interiore si mostra.
Anche il più coraggioso prima brancola
un po', talvolta urta contro un albero,
ci batte proprio la fronte;
ma, imparando a vedere,
o si altera la tenebra
o in qualche modo si abitua la vista
alla notte profonda,
e la vita cammina quasi dritta
Novembre 2020: Siamo una Comunità di Destino?
Siamo una comunità di destino: questo è uno dei termini che ricorre nei vari testi, che ho letto in questi mesi.
Certo la pandemia ci ha, nei fatti, accomunato nelle minacce non solo di nuove epidemie o pandemie: sappiamo anche di essere esposti tutti al degrado ambientale, al moltiplicarsi di divisioni e guerre e a profonde (insanabili?) diseguaglianze.
Ma la percezione e la realtà del destino che ci attende, almeno nell’immediato futuro, non è la stessa per tutti noi, donne e uomini, e non solo perché viviamo in parti diverse del mondo dalle favelas brasiliane alla città di New York: l’esperienza della stessa pandemia è stata e sarà diversa e le emozioni associate alla nostra esperienza sono differenti, configurando una comunità di destini diversi.
Il primo lockdown è stato segnato per molti soprattutto dalla paura: ci siamo sentiti catapultati in una situazione nuova e sconosciuta, dovendo combattere contro un nemico invisibile.
Si contrapponevano alla paura parole come speranza e coraggio, a volte utilizzate in modo fideistico e poco convincente, ma necessario, perché la morte era diventata la cifra del nostro vivere quotidiano: ricordiamo tutti le immagini delle file di veicoli militari, che trasportavano le bare.
Pur se la paura non mi aveva catturata, appartenevo anch’io alla schiera degli attoniti e, soprattutto, avevo timori per il futuro, che vedevo (e ancora vedo) incerto e pieno di incognite.
Per alcuni, molti o pochi non saprei dire, il lockdown ha però rappresentato anche un periodo di riflessione, di contatto con se stessi, di riscoperta di relazioni e di affetti, che ha permesso di uscire dalla trappola della routine quotidiana. Per qualcuno è andata così.
Non so con certezza in quale gruppo mi iscriverei: certamente, la chiusura senza possibilità mi ha portato una sorta di assuefazione. Il tempo si era quasi fermato e, come chi sta in una clausura o in una sorta di carcere (gli arresti domiciliari, abbiamo tutti immaginato) o fermo per una lunga malattia, ho anch’io acquisito un habitus mentis e un modo di stare al mondo, che sono diventati quotidianità più rapidamente di quanto pensassi.
Poi, le aperture lente e graduali mi hanno riportato nel mondo condiviso, nel mondo con gli altri.
E’ stata una sorta di rinascita, perché molte esperienze quotidiane mi sono apparse come nuove e ho sentito rinnovate le emozioni legate a quelle stesse esperienze come se fossi stata fino ad allora anestetizzata.
Forse, gli esercizi di speranza fatti nel lockdown mi hanno fatto da guida anche in questi mesi di riapertura e sono diventati un riferimento per ritrovare un’attenzione non solo cognitiva, ma anche emotiva.
Delle situazioni, di cui ho fatto questa sorta di nuova esperienza, alcune mi sono sembrate di particolare rilevanza per me e per le comunità in cui vivo o con le quali ho un legame.
· Esperienza n.1 - Ascoltare i bambini e le bambine e giocare con loro.
Straordinario apprendimento: come si può trasformare un’esperienza di dolore e di distanza in un’occasione di gioco e di allegria.
Ogni bambino (e forse anche ognuno di noi) ha il diritto di costruirsi un bagaglio di memoria di emozioni positive, che lo sostengano e lo proteggano quando ci saranno difficoltà.
Ho avuto l’immensa fortuna di vivere nel lockdown con le mie nipotine e di parlare quotidianamente con insegnanti delle scuole materne, con le quali avrei dovuto fare un percorso di formazione, diventato con il lockdown video-lezioni e confronti a distanza. Così ho appreso l’arte della trasformazione della sofferenza emotiva.
Dal racconto di una bambina di 5 anni: ‘…Ho fatto una pozione, tante pozioni per eliminarlo, ma il Corona virus non le voleva bere. Allora noi bambini siamo andati in terrazza, in cima alle case e ci siamo messi a cantare e a giocare, perché il Corona Virus non sopporta che cantiamo e poi da lì siamo andati sulle nuvole e lì abbiamo continuato a giocare, a ballare e a cantare forte.
E poi, dopo un po’, sono arrivati i genitori e tutti i grandi e tutti cantavamo e ballavamo e il Corona Virus è rimasto da solo sulla Terra e non poteva più farci niente.
E le stelle allora si sono messe tutte a brillare’
· Esperienza n.2 - Percorsi di (non) cura
Per chi in questi mesi ha fatto l’esperienza di ammalarsi anche gravemente, seppure non di COVID, sa che cosa sono la disperazione e l’impotenza.
Visite urgenti impossibili da fissare, muri davanti ai quali si infrangeva la possibilità di essere ascoltati e guardati prima ancora che di essere curati.
In realtà, abbiamo avuto l’evidenza dello smantellamento (o almeno del lento declino) della sanità pubblica: non possiamo perciò sottrarci alla responsabilità etica e politica di condurre una battaglia e fare pressione perché si mantenga e potenzi il nostro sistema sanitario. Pubblico. Per tutti.
Ma in mezzo a tutto questo, ho trovato isole felici, di alta professionalità: operatori che hanno continuato a lavorare nel lockdown e che si sono presi carico e cura di persone, che ne avevano necessità pur potendosi rifiutare (come altri hanno fatto).
Ho trovato altri operatori ancora che ci hanno accompagnati in un difficile percorso nelle strutture della cura. Possiamo cominciare da qui: diamo loro valore, facciamo con loro un’alleanza per ricostruire.
· Esperienza n.3 - E’ quasi-povertà
In questi ultimi dieci anni della mia vita professionale, mi sono occupata di indebitamento familiare e della costruzione di reti di sostegno e di intervento sulla povertà o quasi-povertà.
Ho imparato a riconoscere gli invisibili, coloro che, apparentemente, continuano a fare la vita di prima (o quasi), ma che già si trovano sull’orlo di uno stato di povertà senza speranza. Sarà infatti difficile che mutino in un futuro prossimo le loro condizioni di vita.
Una ferita profonda, che può escludere dalla vita sociale donne, uomini, giovani e bambini.
Le emozioni che segnano questo stato di vita sono la vergogna, la mancanza di progettualità, la disperazione e altre ancora. Gualzetti, responsabile di Caritas Ambrosiana, in un’intervista a Radio 3 parla di smarrimento, talvolta di paranoia, e di rassegnazione.
Agire con solidarietà competente significa cercare i modi e gli spazi per mettere a disposizione la propria professionalità al servizio della comunità per ridurre le disuguaglianze.
L’emozione che mi ha accompagnato e che ho riscoperto è il desiderio di progettare, per dare voce a chi non ha più progetti.
· Esperienza n.4 - Un posto per la relazione
Nel mio/nostro vagare per trovare cure ci siamo resi conto che non c’era un posto, dove poter parlare del nostro bisogno, dove entrare in relazione con qualcuno che stringesse con noi un’alleanza e ci aiutasse a decodificare la complessità del nostro bisogno e della realtà esterna.
Egualmente accade per le famiglie indebitate o sulla soglia della povertà: si tratta di situazioni complesse, dove i bisogni si intrecciano e si declinano, considerando la specifica situazione della famiglia, e richiedono ascolto e capacità di ridefinire la domanda insieme a risposte concrete.
Si sono dissolti, o molto indeboliti, i contenitori della relazione (e, a volte, della rabbia) come partiti, reti associative ecc. e le persone sono sole a fronteggiare problemi e necessità.
Un’altra emozione viva accompagna queste considerazioni: sapere e, insieme, sentire che la relazione è il centro delle nostre vite nelle sue diverse forme e va curata, fatta diventare alleanza e, sul piano sociale, può dare vita a un nuovo welfare, basato sui bisogni più che sulle domande e dove sia possibile trovare uno spazio, dove raccontare e raccontarsi.
Queste esperienze e le emozioni che le accompagnano sembrano poter contribuire alla costruzione di una Comunità di Destino come orizzonte utopico, certamente, ma pieno anche di concretezza e di atti minimi quotidiani: sono parte del mio modo di affrontare questi tempi difficili.
Come dice Edgar Morin nel suo ‘Cambiamo strada’: ‘…può sembrare impossibile cambiare strada. Ma tutte le nuove vie che la storia umana ha conosciuto erano impreviste, figlie di deviazioni che hanno potuto prendere radici, divenire tendenze e forze storiche (….) Tante trasformazioni sembrano necessarie contemporaneamente, tante riforme economiche, sociali, personali, etiche s’impongono, mentre tutto regredisce. Una constatazione, questa, che potrebbe portare alla disperazione.
Ma un po’ dovunque nel mondo, grazie a questa crisi molteplice e globale, sono comparse miriadi di rivoli, che se si congiungessero formerebbero ruscelli che potrebbero confluire in corsi d’acqua, i quali a loro volta potrebbero confluire in un grande fiume’.