di Giorgio Narducci
VicePresidente AIEMS, Roma
Docente di scuola superiore, naturalista
Foto di AURELIE LUYLIER da Pixabay
Fatti, Induzione e Virus
Preludio
1 aprile 2020 ore 9.00 – 11.00
Sto continuando la lettura del libro di P. Medawar, 1969, Induzione e Intuizione nel pensiero scientifico; passeggio in una zona periferica di Roma sud ovest; osservo il paesaggio e le specie vegetali; invio un sms per organizzare con alcuni amici una video chiamata; incontro un signore che, come mi vede (io non porto mascherina), alza la mascherina sulla bocca; passa sul sentiero una signora con due figli piccoli e tre cani al guinzaglio - noto che non porta la mascherina, la saluto, accenna un sorriso; osservo sul terreno un’elitra di un Coleottero scarabeide, un Pentodon bidens punctatus; ritorno alla macchina parcheggiata e annoto questi “fatti”; rispondo ad una telefonata di un infermiere gentile.
La nostra vita è costituita da una serie di osservazioni casuali, irripetibili, che spesso scordiamo, da fatti che costellano ogni giornata; cerchiamo di dargli un senso contemporaneamente alle domande che ci poniamo, avendo in mente qualcosa di preciso o che pensiamo tale. In alcuni casi il momento ci porta a dover interpretare, in qualche modo, situazioni nuove che non conosciamo; talvolta l’incertezza ci spinge su territori non solo nuovi ma incomprensibili, che non solo non conosciamo ma che sappiamo di non poter interpretare anche attraverso il cosiddetto metodo scientifico. L’unica cosa saggia e onesta intellettualmente (almeno per alcuni aspetti, se ci riusciamo!) è avere dubbi, essere critici, sapere di non sapere e anche sapere e accettare di non sapere di non sapere.
Pensiamo di incamerare “fatti” in maniera cumulativa (ma esistono i fatti senza contesto e teorie?). Darwin che dichiarava di utilizzare il metodo baconiano, scriveva anche: “Circa trent’anni fa si faceva un gran parlare del fatto che i geologi dovrebbero solo osservare e non teorizzare; e, se ben ricordo, qualcuno affermò che il geologo non deve far altro che entrare in una cava di ghiaia, contarne i granelli e descrivere il loro colore. E’ ben strano non si veda come ogni osservazione debba esser fatta pro o contro un qualche punto di vista, se ciò può essere di una certa utilità”.
Il libro di Medawar che ho letto in questo periodo dominato dalla crisi del Covid 19 è stato centrale nelle mie riflessioni, scandendo i miei pensieri in tante circostanze diverse, specialmente nel tentativo di comprendere la complessità che stiamo vivendo dal punto di vista personale e sociale.
Che dire delle molteplici analisi quantitative e statistiche dell’andamento delle curve e dei “picchi” (poi per alcuni, descrittori del fenomeno, diventati plateau!) o di come comportarsi in determinate occasioni (vedi utilizzo della mascherina). Ogni persona (indipendentemente dalle competenze e dalla professione che svolge) in un contesto complesso accumula informazioni, più o meno inconsciamente selezionandole, per poi provare a comprendere il problema attraverso ipotesi e “teorie”; in questo senso interviene per tutti anche il cosiddetto senso comune – ricordo che Thomas Huxley considerava che “La Scienza è, io credo, nient’altro che senso comune praticato e organizzato, che differisce da questo solo come un veterano può differire da una recluta: e i suoi metodi si differenziano da quelli del senso comune solo come la schermaglia di un soldato differisce dal modo in cui un selvaggio maneggia il suo bastone.”
Certo attualmente ci sono tante domande che affollano la nostra mente! Alcune sono anche apparentemente semplici, ma non vengono proposte! Perché? Dipende dalle nostre competenze, dalla nostra capacità di porle, dalla nostra intelligenza? Oppure non abbiamo il coraggio di farlo perché portatrici di insicurezza e incertezza che noi non vogliamo accettare? Eppure ognuno di noi ha compreso almeno in parte il metodo scientifico, ne conosce l’importanza per definire il mondo che lo circonda.
Sto sicuramente dicendo cose scontate, ma come diceva Richard Feynman:
“Per esempio, se qualcuno fa un discorso, come si fa a capire se sa di cosa sta parlando, se quello che dice è fondato o meno?
E’ molto semplice. Fate come i bambini.
Fategli delle domande ingenue, come farebbe un bambino, ma pertinenti; domande intelligenti, e cioè profonde, interessate, oneste, franche, dirette, non cose complicate – e vedrete che quel tale andrà immediatamente nel pallone.
E, se è onesto, vi dirà che non è in grado di rispondere. E’ essenziale riconoscere l’importanza di questa cosa.”
In questo periodo ci stiamo chiedendo se il cosiddetto metodo scientifico è sufficiente per comprendere le nostre scelte, e indicare le domande migliori. Inoltre ci domandiamo se la Scienza funziona sempre. Esiste un confine tra il sapere comune e quello che noi definiamo “scientifico”?
Medawar è molto polemico e sarcastico nei confronti del proprio mondo (forse in maniera un po’ ingenerosa), si chiede infatti:
“Perché gli scienziati dimostrano una completa indifferenza, quando non addirittura un certo disprezzo, per la metodologia scientifica? […] Perché [risponde] ciò che passa per metodologia scientifica non è altro che una falsa rappresentazione di quello che gli scienziati fanno o dovrebbero fare”.
Continua poi:
“Chiedete a uno scienziato come egli concepisca il metodo scientifico e lo vedrete assumere un’espressione che è ad un tempo solenne e scaltra: solenne perché sa di dover dichiarare un’opinione, scaltra perché deve cercare di nascondere il fatto che in materia non ha alcuna opinione. Se lo punzecchiate, egli mormorerà probabilmente qualcosa sull’ “induzione” o sull’ “ordinamento delle leggi di natura”. Chiunque, però lavorando in un laboratorio scientifico, pretendesse di dimostrare mediante l’induzione l’ordinamento delle leggi di natura verrebbe considerato un soggetto da manicomio”.
Un'altra esperienza giornaliera nella descrizione del mondo al tempo del Coronavirus è la tendenza a dimenticare gli errori nostri e della comunità scientifica, come sottolinea sempre Medawar: “così che il “Metodo scientifico” appare molto più potente di quanto realmente sia, specialmente quando è presentato al pubblico nella terminologia d’assalto e ai colleghi scienziati con quella studiata ipocrisia che è la caratteristica dei contributi alle riviste dotte”.
Per concludere, cerchiamo di essere più disincantati nei confronti delle interpretazioni scientifiche, ben sapendo che queste sono le nostre sole, povere, possibili spiegazioni, tenendo bene in mente che “Non possiamo brucare l’intero campo della natura come vacche al pascolo”, una delle più belle interpretazioni ironiche del processo scientifico secondo Peter Brian Medawar!
Riflessioni successive sui “fatti” e l’induzione nel contesto della pandemia
Fuga
Sono di nuovo a passeggiare nella stessa zona periferica di Roma del precedente scritto; il periodo è diverso (9 luglio 2020). Mi fermo ad osservare, come l’altra volta, l’ambiente e le specie vegetali e animali che riesco a riconoscere: noto l’Ecballium elaterium, il cocomero asinino che sta preparando i suoi frutti “esplosivi”. La vegetazione è influenzata dalla forte siccità e non vedo altro di interesse particolare. Non osservo coleotteri o altri insetti. Non avevo notato prima alcune specie semplicemente perché il nuovo contesto, forse anche climatico, mi fa osservare viventi che prima non “vedevo”. Ho un occhio diverso e mi fermo ad osservare dettagli diversi di una pianta che “c’era” anche prima (e che ci sarà anche dopo!): i fiori sono prevalentemente sfioriti, alcuni hanno sviluppato i frutti che rilasceranno i semi, lanciandoli lontani.
Adesso vediamo la pandemia con occhi differenti, il contesto è cambiato.
I numeri relativi ai contagi, anche più alti di prima, appaiono o, dovrebbero apparire, diversi: le altre variabili del problema sono mutate; pensiamo di essere più preparati alla situazione. Nonostante tutto la memoria dei fatti precedenti ci attanaglia, la continua rielaborazione delle esperienze passate costituisce una premessa conoscitiva per il nuovo, per quello che interpreteremo come “fatto nuovo”.
Sto ascoltando – mentre scrivo questo articolo - la più bella fuga (secondo me) scritta da Johann Sebastian Bach (Passacaglia e fuga, BWV 582). In questo antichissimo genere musicale più temi si intrecciano in diversi contesti mantenendo una certa continuità; il gioco musicale consiste nella capacità di rielaborare attraverso cambiamenti una o più frasi musicali cercando di scoprire qualcosa di nuovo o riprendere temi già suonati e ascoltati. Potrebbe sembrare una metafora della ricerca scientifica e di alcuni suoi aspetti, del suo “periodare” e avanzare nel nuovo, sperando di scoprire qualcosa di più interessante in grado di interpretare i fatti “incomprensibili”.
Quando leggiamo un libro annotiamo parti che ci sembrano importanti, poi rileggendole ci appare altro; i ricordi degli aspetti più importanti, anche attraverso la sottolineatura, sono successivamente rivisti e reinterpretati, come i “fatti” e i ricordi dei fatti e delle cose che ci rimangono impresse nella memoria.
Riprendo in mano il libro di Medawar citato all’inizio, e mi accorgo che le cose che ho sottolineato sono anche altre – che in un primo momento avevo accantonato –, alcune mi appaiono particolarmente illuminanti, specialmente in questo periodo:
“La sperimentazione nel senso baconiano non è un procedimento critico. Suo fine è nutrire i sensi, arricchire il repertorio delle informazioni da cui arrivare all’induzione”.
Secondo Medawar l’induttivismo confonde i procedimenti di scoperta e di giustificazione; sbaglia perché considera la conoscenza come un accumulo di proposizioni semplici ed imparziali - spesso invece le teorie sono soggette ad una modifica continua e non ad una eliminazione; ciò accade anche attraverso il riconoscimento e l’importanza degli errori. Continua sottolineando che “una buona metodologia deve lasciare un certo spazio alla fortuna.”
Cerco di contrappuntare le considerazioni sull’induzione di Medawar con le riflessioni di Stephen Jay Gould (inizialmente non preso in esame) che non vede positivamente il metodo baconiano.
Scriveva nel famoso saggio con Niles Eldredge sugli Equilibri punteggiati (1972), criticando la visione gradualista dei cambiamenti nei viventi:
“Consciamente o inconsciamente, noi aderiamo quasi tutti alla metodologia induttivista.”
“Le aspettative teoriche colorano la percezione in maniera così intensa che raramente nuove nozioni possono sorgere dai fatti raccolti sotto l'influsso delle vecchie immagini del mondo. Le nuove immagini devono diffondere la loro influenza, prima che i fatti possano essere visti sotto una nuova prospettiva.”
Si, alla fine di questo viaggio individuale nella pandemia (forse continuerà più a lungo di quello che pensiamo) vedremo tutto in un altro modo e cambieremo anche la nostra interpretazione dei fatti, senza credere di considerarli indipendenti dalle nostre fantasie, dalle nostre immaginazioni, dalle nostre speranze e dai nostri peggiori timori.
Scriveva Medawar nel 1969: “L'osservazione innocente e non tendenziosa è un mito”, ma in maniera felicemente contradditoria proponeva anche:
“per evitare ogni errore occorre essenzialmente affidarsi all’evidenza dei sensi e osservare la natura con gli occhi del fanciullo, senza pregiudizi e preconcetti, con quella visione candida e chiara, cioè, che l’adulto ha perduto e che lo scienziato deve sforzarsi di riacquistare.”