di Christian Pristipino
Cardiologo interventista, Outreach and communication officer
European Association for Systems Medicine
Foto di Chokniti Khongchum da Pixabay
Aprile 2020: Specchio delle mie brame… cos’è reale nel reame?
In questi giorni di stravolgimento del mondo una parola che ricorre molto è “surreale”.
È come il mal di terra, quando giureresti che è la terra a roteare dopo essere sceso dalla barca. Aggravato dalla sua invisibilità e dall’assenza di una fine certa.
Tutti catapultati in un mondo improbabile fino a ieri. Le strade deserte, i rumori attutiti, le distanze fisiche tra le persone, l’esodo forzato dalla mia famiglia per non contagiarla, gli sguardi fuggenti dietro le mascherine. L’ospedale, in cui lavoro, sconvolto fisicamente, il lavoro che avevo scelto e per cui mi ero preparato per anni forse cambiato irreversibilmente. I progetti, importanti, rimandati sine die, forse cancellati.
Tutto incarna incertezza e stravolgimento profondo, all’interno e all’esterno.
Si nota di più quello che c’è o quello che manca? Il silenzio ovattato, in cui tutto il mondo è stato compresso, sembra mangiare anche le poche parole che si riescono a pronunciare di persona.
Sparisce quello che consideriamo pieno, nella rete smagrita dell’esistenza rimane un vuoto utile a misurare distanze più verosimili tra i nodi cruciali. Nella loro sospensione, emerge il peso dominante delle connessioni essenziali… e di quelle inutili, delle parole in eccesso, delle prossimità invadenti, degli impegni alienanti.
Solitamente invisibili, si colorano di rosso le linee di forza che ci uniscono a chi e cosa teniamo davvero, al nostro ambiente, al creato. Spesso sperimentato in esperienze individuali, ritiri, seminari, riflessioni, letture, diventa dirompente quando è un’esperienza collettiva, di una nazione intera.
Surreale è il mal di terra o la barca su cui stavamo?
Il tempo prende a fluire più lentamente, e in questo slow-motion irrompono in primo piano elementi considerati suppellettili. Importanza della scelta attiva nella percezione: il suono degli uccellini, il profumo dell’aria, gli animali che sbadigliano, il sole che scalda la pelle, la musica suonata dal vicino, il sentire il corpo che si muove nello spazio. C’erano anche prima, ma ora acquistano una centralità inusuale. Estetica vitale, e con essa una nuova relazione con l’essenziale. Una sensazione di presenza alla vita, come dell’acqua che esce da un rubinetto chiuso da troppo tempo. Considerazione banale: forse di solito ci facciamo facilmente distrarre.
Qualcosa che irrompe mi obbliga a un salto. Una acre sirena d’ambulanza, rumore isolato e doloroso nell’orecchio, squarcia ormai la coscienza, occupandola tutta. Oggi unica, e spesso ultima, voce concessa ai famigliari di chi è salito a bordo. Il silenzio che ricade come pece che si incolla alla pelle amplifica la domanda essenziale: per chi suona la sirena? Domanda da non fare: è per ciascuno di noi. La nostra morte e la sofferenza, vergognose e poco mediabili, le sigilliamo in scatole: semoventi, le ambulanze, o anecoiche, gli ospedali.
Che illusione individuale e collettiva ci siamo costruiti se la realtà che fa vibrare i timpani è così dolorosamente forte e concretamente minacciosa per tutti?
Abbiamo bisogno di un ribaltamento condiviso per posizionarci di fronte all’imprevisto, all’incertezza, all’alieno, alla diversità. Una diversità che butta giù le porte e che non si può respingere come si cerca di fare con i disperati sui barconi.
Misero infrangimento del mito del controllo e della proiezione.
È vero anche nella scienza medica. Per la prima volta c’è una presa di coscienza disorientante, traumatica, della discrepanza tra il desiderio deterministico e la realtà, fondante, della complessità.
Cerco di aguzzare lo sguardo.
Il virus chiamato SARS-CoV-2 non è patogeno, né cattivo, in sé: per gli animali è innocuo. Non ha una volontà maligna, non un’intelligenza. Il virus non è neanche vivo, è una “cosa biologica”. Quello che è patologico è il nostro non essere adatti alla sua presenza: abbiamo porte di ingresso e alcuni reagiscono in modo eccessivo. La malattia, chiamata COVID-19, è una perturbazione complessa della nostra auto-organizzazione dinamica causata dal virus. Quelli che stanno peggio sono le persone che, per motivi vari e intrecciati, consentono una moltiplicazione virale imponente e/o hanno una tempesta di mediatori infiammatori. Le terapie sono quindi spesso indirizzate a ostacolare l’interazione col nostro corpo e/o a ripristinare una infiammazione/immunità normale. Solo poche, e forse poco efficaci, cercano di aggredire direttamente il virus. In altre parole, sistemiche, l’obiettivo è l’induzione di nuove proprietà emergenti capaci di ripristinare coerenza di salute al nostro sistema complesso, agendo su più dimensioni. Difatti, la misura ideale non è una terapia: è il vaccino, un aiuto ad auto-organizzare in modo efficiente la barriera al virus, prima che venga in contatto con noi. Già a questo livello si capisce come sia fuorviante la metafora della guerra. L’ecosistema virale esiste da alcuni miliardi di anni più di noi, è impossibile cancellarlo, e forse anche pericoloso provarci.
No, non è affatto una guerra, ma al contrario un riposizionamento reciproco, ecosistemico.
Questo richiede un ribaltamento di approcci e strumenti scientifici, economici, sociali, politici e personali che abbiamo appena cominciato a intuire. L’inafferrabilità dei problemi complessi deve sembrare surreale al ministro per gli affari regionali che in questi giorni pretende che la scienza fornisca con urgenza risposte esatte e soluzioni sicuramente efficaci, come si parlasse di un grave che cade a terra. Voler archiviare la tragedia COVID-19 come un incidente rimediato, la perpetuerà. L’elevata letalità italiana (fino al 20%) del SARS-CoV-2 (che ha invece bassa mortalità intrinseca, tra lo 0,5 e l’1%) è dovuta in larga parte alla mancata resilienza del nostro sistema sanitario, organizzato intorno a concetti come controllo unilaterale, determinismo, aziendalizzazione, produttività, proceduralizzazione, linee guida, clientelismo. Si muore troppo perché strutturalmente incapaci di prendersi cura, non perché si perde la guerra contro il virus. Qualcuno ha detto che gli esperimenti scientifici sono uno specchio con cui la natura risponde su come è stato fatto l’esperimento. Lo specchio COVID-19 sta svelando l’inadeguatezza di un mondo costruito su presupposti inadatti.
Come nel mal di terra la vertigine viene dal soggetto e non dalla terra, così il surreale del mondo COVID non viene dal virus ma da un bisogno condiviso ormai inevitabile: quello dell’alba di un nuovo giorno, un mondo ricalibrato sulla complessità, riconnesso a livello personale, biomedico e sociale.
Ottobre 2020: esperienze e riflessioni in evoluzione
All’apertura delle porte dopo il confinamento, lo sguardo, prima principalmente introspettivo e astraente, si confronta con gli scenari vivi e reali di un mondo in evoluzione.
Ogni vero cambiamento ha bisogno di ere geologiche diceva anni fa un amico. Qui l’impressione è che si sia ancora alle doglie iniziali di un lungo parto. D’altronde come potrebbe cambiare rapidamente una cornice di riferimento sedimentata da secoli?
Dopo l’uscita dal lockdown, il senso del surreale sembra essersi stemperato ma senza la maturazione di una nuova terra di approdo. Sembra di rimanere sospesi in una terra di nessuno, dove il vecchio sembra in via di decomposizione e il nuovo tarda ad arrivare. Il SARS-COV-2 prosegue la sua opera di destrutturazione, di corpi biologici, psicologici e socio-politici. L’inerzia si oppone in una spinta di ritorno a vecchi equilibri tranquillizzanti, ma così facendo prolunga l’esodo in un limbo apparentemente afinalistico. Un’estate passata per molti a far finta timidamente di vivere “come prima”, con il fastidioso riscontro che ciò non è possibile, o almeno ad esplorare con prudenza nuove modalità di vita. I media incentivano a loro volta un circolo vizioso che si autoalimenta tra narrazioni apocalittiche e promesse esagerate, rimedi miracolosi che promettono un rapido ritorno alle condizioni esistenti prima dell'inizio dell'epidemia.
La realtà tuttavia si sta incaricando di far pervenire un rinforzo cognitivo non secondario. L'OMS, basandosi sui alcuni dati, ha sottolineato che il coronavirus potrebbe "non scomparire mai", diventando endemico. COVID-19 ha poi già provocato un peggioramento delle condizioni di salute croniche, attraverso la distruzione delle reti socio-sanitarie in emergenza. Il conseguente aumento delle malattie psichiatriche, dei suicidi e la perdita di priorità di cura di molte altre malattie gravi hanno aumentato la mortalità complessiva. La frenata brusca di molte economie con prospettive di estesa povertà promette un ulteriore aggravamento dello stato di salute delle popolazioni. Nel frattempo è iniziata una seconda ondata pandemica con nuovo lockdown più o meno stemperato.
Le strutture sanitarie stanno di nuovo apprestandosi a fronteggiare una situazione più minacciosa per la diffusione a tappeto su tutto il territorio nazionale. Sui social si moltiplicano le persone che raggiungono il punto di rottura cedendo alle narrazioni più improbabili, sorprendentemente in modo indipendente dal grado di istruzione. Sembra di essere dentro una cassa di bottiglie champagne esposte al caldo in cui ci sono tappi che partono in sequenza, uno dopo l’altro.
A Napoli le prime manifestazioni di rivolta sociale, probabilmente con infiltrazioni malavitose. Nonostante ciò è chiaro che la minaccia di insostenibilità sta spingendo molti verso la disperazione.
La crisi creativa, dalla morte di un senso ormai inadeguato alla scelta del nuovo, implica una metamorfosi dolorosa anche della carne del corpo sociale.
Nonostante lo sgranamento doloroso e angoscioso dei vecchi punti di riferimento, si osservano già innumerevoli iniziative individuali che stanno riconnettendo persone, pratiche e saperi in tutto il mondo, trascendendo le barriere sociali, culturali, religiose o politiche, e incarnando così consapevolmente una tensione ecosistemica. Questo movimento planetario di solidarietà copre tutti i servizi essenziali della vita: il cibo, acqua, comunicazione e approvvigionamento energetico, manutenzione e gestione dei rifiuti, trasporto e sicurezza e insegnamento. Imprese e cittadini di ogni estrazione sociale si auto-organizzano, fornendo soluzioni ingegnose alle sfide di questi servizi in un mondo paralizzato dal COVID-19. Molti gruppi clinici e di ricerca hanno raccolto la sfida di produrre entro poche settimane i dati necessari alla progettazione di ricerche che prima richiedevano molti anni per essere ideate. Nascono iniziative di raccordo interdisciplinare a più livelli, dove sono messe in comune competenze diverse per sviluppare una "intelligenza avanzata collettiva”, umana e tecnologica, capace di analizzare le complesse dinamiche multidimensionali di COVID-19. Non si tratta però del un solo cambiamento tecnico, ma sta tentando di germogliare un cambiamento negli scopi di solidarietà, sostenibilità e risposta alle disuguaglianze. Una collaborazione internazionale aperta (open science) supportata da infrastrutture e protocolli di comunicazione condivisi per la condivisione di dati aperti (open data) sta consentendo già diversi tipi di analisi e modellazione multidimensionali delle enormi quantità di dati provenienti dal monitoraggio della complessa relazione dinamica tra virus, ospite e ambiente. Lo strumento è quello di massicci investimenti congiunti, nuove collaborazioni sostenibili tra pubblico e privato, per lo sviluppo di interventi che cambino il paradigma classico di una medicina reattiva. Come testimoniato dai progetti scientifici su COVID-19 realizzati in tempi da record, se inerzia e burocrazia saranno superate, potrebbero attuarsi in tempi brevissimi progetti di medicina preventiva e personalizzata che sembravano fino a ieri impossibili da realizzare persino in più generazioni.
Un esempio realizzato nelle prime due settimane dalla segnalazione di infezioni da coronavirus, è RESOLUTION, una ricerca internazionale a cui partecipa l’Associazione Italiana di Medicina e Sanità Sistemica in seno a un consorzio che sta continuando ad aggregare stakeholders in 6 continenti in rappresentanza di tutti gli aspetti dell'assistenza sanitaria (attualmente da 55 partner suddivisi in 3 ecosistemi accademici, ospedalieri e industriali). Questa iniziativa sta generando dati longitudinali multidimensionali per ogni paziente, raccogliendo miliardi di analisi genoma-fenoma su ogni individuo per penetrare la complessità di COVID-19. L’ecosistema mette in comune dati e competenze senza alcun vincolo iniziale di proprietà intellettuale e, dopo la crisi COVID-19, è previsto che si occupi di altre priorità croniche e della prevenzione primaria delle popolazioni sane.
Un altro esempio di estremo interesse è l'iniziativa OpenCovid-19 su Just One Giant Lab, una piattaforma aperta di ricerca partecipativa su salute, ambiente, sociale e questioni umanitarie che include laboratori accademici, aziende, startup, fondazioni, organizzazioni non governative e servizi pubblici. Oltre 4000 volontari ed esperti hanno creato in 3 mesi oltre 60 progetti con soluzioni a basso costo attraverso un processo collaborativo di scienza partecipativa, fornendo una piattaforma aperta di ricerca per lo sviluppo di dispositivi, test, farmaci e vaccini per COVID-19. La piattaforma consente di condividere i dati grezzi, anonimi, consentendo a ciascuno di trarre le proprie conclusioni, discutere collettivamente e fornire suggerimenti per le politiche di implementazione a livello locale e globale.
Queste esperienze aperte, collaborative, ecosistemiche nei fini e nei metodi, potranno trasformare la ricerca biomedica mettendo le basi per una "Alleanza mondiale per la salute e il benessere" da sviluppare in collaborazione con le grandi organizzazioni mondiali come OMS, UNESCO, ONU ma anche partner industriali e società civile. L’idea è che lo sviluppo di test diagnostici open source, nonché di farmaci e vaccini come beni comuni dell'umanità, potranno anche riequilibrare l’attuale mercificazione delle discipline che orbitano intorno alla salute, così contribuendo a equilibrare le disuguaglianze e quindi la vulnerabilità ai fattori di malattia. In questa stessa prospettiva, per includere i fattori che determinano la salute al di fuori della medicalizzazione della vita, è previsto di allargare ulteriormente il cerchio di alleanze a diversi settori non medici, connettendo le esperienze di diversi contesti eco-sistemici, mobilizzando il capitale culturale e sociale per una risposta alle future emergenze sanitarie.
Complessivamente sembra che l’umanità, responsabile di molti dei processi che si sono trasformati in un cataclisma globale, stia rispondendo in maniera multiforme e apparentemente non coerente a COVID-19. Tra le forze di disgregazione fatte esplodere dalla COVID in un mondo non resiliente e l’auto-organizzazione che spinge l’alba di un radicale cambiamento di cornice, è molto improbabile tutto torni come prima. Il mondo che nascerà da questa metamorfosi dipenderà dalla nostra capacità di connettere il progresso tecnologico più avanzato di sempre con lo sviluppo creativo di una dimensione umana solidale integrata con l’ecosistema generale.
Rotto radicalmente un equilibrio, dal sapore surreale, dall’interno di una storica transizione di fase in cui forze ciclopiche si confrontano a livello globale, è difficile immaginare come e quando emergerà una nuova coerenza, ma le ragioni di speranza non mancano.