Batterista e compositore, si diploma al Conservatorio in Clarinetto Classico e composizione Jazz. Ha registrato oltre 250 sue composizioni, anche per la Verve/PolyGram. Due suoi brani sono inclusi nel "The European Real Book". Vive a LA e NY, dall'89 al 2001, è residente a Berlino dal 2001. Suona da oltre 35 anni in cinque continenti.
Sommario
Partendo dalle prime esperienze musicali l’autore racconta il proprio rapporto con la musica, l’arte e il jazz; gli incontri con diversi musicisti della scena degli anni ’80, specialmente con Wayne Shorter e Allan Holdsworth, che hanno partecipato alla sua evoluzione e proprio stile musicale improntato sull’importanza dell’interiorità e onestà intellettuale. In questo intervento riflette sulla bellezza e sul processo che connette il musicista creativo e l'ascoltatore, per la necessità di trasformare i problemi interiori attraverso i messaggi provenienti dagli aspetti del Jazz, le sue tante ramificazioni, fusioni e dalla musica in generale. Certo non una bellezza sterile, meramente estetica e fine a se stessa, ma una bellezza proveniente da composizioni, improvvisazioni, arrangiamenti, interpretazioni creative attraverso le quali avvengono descrizioni profonde della parte generosa della propria interiorità. Questo contribuisce ad aiutare l'ascoltatore, ed il musicista stesso, ad avere una vita migliore.
Parole Chiave
Bellezza, Musica, Jazz, incontri, regole e improvvisazione, fraseggio musicale e patterns, mantra, interiorità, integrità, generosità.
Summary
Starting from his first musical experiences, the author talks about his relationship with music, jazz and the arts; the meetings with various musicians of the 80s scene, especially with Wayne Shorter and Allan Holdsworth, who participated in his evolution and his own musical style based on the importance of interiority and intellectual honesty. In this speech he reflects on the beauty and process that connects the creative musician and the listener, for the need to transform internal problems through messages coming from aspects of Jazz, its many ramifications, fusions and from music in general. Certainly not a sterile beauty, merely aesthetic and an end in itself, but a beauty coming from compositions, improvisations, arrangements, creative interpretations through which profound descriptions of the generous part of one's interiority take place. This helps the listener, and the musician himself, to have a better life.
Keywords
Beauty, Music, Jazz, meetings, rules and improvisation, musical phrasing and patterns, mantras, interiority, integrity, generosity.
Andrea Marcelli
Andrea, come è nata la passione per la musica?
Gli inizi
La musica è una cosa che, quando si inizia veramente, la fai 10, 12, 14 ore al giorno; ed è un po' come se tu, sei quella cosa anche quando vivi la tua vita di tutti i giorni, non la lasci mai. Non la fai solamente, lo sei e quindi la respiri sempre ed in continuazione.
Mi sono reso conto che la musica era importante per me, molto presto, quando avevo sei anni; il mio maestro di seconda e terza elementare mi fece sentire alcuni LP di Bach, la sesta di Beethoven, e le quattro stagioni di Vivaldi. Ricordo anche mio padre ascoltare con enorme trasporto Händel e Haydn. Credo che tutto questo mi abbia cambiato la vita: ho sentito la Musica a bocca aperta!
Come se avessi incontrato un nuovo mondo parallelo ancora sconosciuto, qualcosa che non esisteva alla vista o materialmente, ma esisteva solo con i suoni, nel cuore e in quella interiorità che stavo iniziando a conoscere. La musica accendeva la mia immaginazione in maniera profonda e inaspettata, toccò delle corde dentro me che non immaginavo esistessero. In quegli anni stavo sempre a battere sui tavoli e sui libri con le penne o con le mani. Ora ripensandoci, lo trovo strano perché, all’epoca (anni ’60) non avevo ancora mai ascoltato il Jazz o musica particolarmente ritmica, quindi da dove veniva tutto questo interesse per un qualcosa che non conoscevo?
Ricordo una lettera di quel maestro Abbattista, che poi in quarta elementare andò via, che mi scriveva: Andrea non pensare troppo alla batteria! Avevo solo 7 anni. Ho iniziato a 15 anni a suonare la batteria, ma negli anni precedenti, mi incontravo con vari amici e provavamo a suonare qualcosa, mettendo insieme una strumentazione musicale improvvisata, specialmente cercavo negli appartamenti degli amici delle percussioni Africane che magari avevano in casa come souvenir, oppure pentole, portaceneri, sedie, tavoli o libri. I miei amici sapevano, stavo sempre a suonare una batteria immaginaria nell’aria, molto prima di fare musica, mi chiedevano di fargli degli assoli ovunque, anche nelle loro spalle o nella schiena… Poi professionalmente ho iniziato nel 1982-86 a far parte, come batterista, della St. Louis Big Band di Bruno Biriaco (batterista del Perigeo) con il quale abbiamo fatto varie trasmissioni televisive per la RAI.
Andrea ti chiediamo anche di raccontare la tua esperienza di incontri con musicisti – il jazz è fatto anche di incontri -, la bellezza dell'incontro con persone che ti spingono verso sentieri nuovi, verso strade diverse.
Certo, assolutamente!
Devo dire che gli incontri in sé stessi sono stati, in alcuni casi, memorabili, ma la cosa meravigliosa, la bellezza, sta nella connessione tra persone, tra l'ascoltatore e il musicista e la sua musica. Quindi oltre agli incontri con i musicisti ancora in vita, la cosa bella è stata scoprire tutti quei musicisti meravigliosi che ho potuto conoscere, anche se non materialmente, in quanto scomparsi magari da secoli, quindi l’incontro stimolante attraverso le loro musiche. Quello che mi ha fatto innamorare della musica, e diventare un musicista, è stato il fatto che mi trasmettesse delle sensazioni che altrimenti non avrei mai potuto provare. C'era un qualcosa di unico anche nel fatto che potessi usare quelle sensazioni positive come scudo contro la depressione. Quindi ho iniziato, come tutti gli altri musicisti, ad avere una relazione, una connessione con determinati musicisti che sono diventati letteralmente parte della mia vita. Questo è diventato un po' come il mio cibo e il mio ossigeno. Esiste la musica che può darti qualcosa e quella che invece non ti dà nulla (anche se spesso si cambia idea). Determinati musicisti sono stati veramente importanti, e un po' mi hanno salvato, ho “visitato” la loro musica come delle isole nei momenti di difficoltà interiore. Perché poi alla fine è questa la cosa importante: la musica è un qualcosa che puoi usare come un'oasi in mezzo al deserto, o un’isola in mezzo alle tempeste. Hai dei dischi che, a un certo punto, ti aiutano ad andare incontro alla tempesta e spesso addirittura a superarla. Questa è stata una cosa molto importante per me, molto prima che io suonassi. Una cosa importantissima, specialmente dai 10 anni in poi, sono stati diversi musicisti: Wayne Shorter è stato uno dei primissimi, insieme a Carlos Santana, la Santana band e ai Weather Report e Genesis degli anni ‘70, poi John Coltrane e anche alcuni gruppi Italiani, naturalmente prima ancora di loro i compositori classici ed il grande Ennio Morricone. Mio fratello Marco, di 2 anni più grande, aveva degli amici e spesso tornava a casa con dei nuovi album che io potevo così conoscere. Poi chiaramente non mi è bastato più, quando sono cresciuto; la musica oltre ad ascoltarla ho sentito il bisogno di doverla anche fare, ma prevalentemente per via delle percussioni e del ritmo. Come tutti sanno, per diventare musicista ci vogliono tanti anni e un percorso enorme di studio. Se pensiamo che dopo tre anni uno può pilotare un aereo che porta magari 200 persone, con la musica tre o anche sette anni di studi non bastano per suonare ad alti livelli.
Successivamente sentivo di dover far uscire (creare) quello che c'era dentro di me artisticamente, come avevano fatto i musicisti e compositori che io ammiravo. Non uguale a quello che producevano loro, ma quello che avevo dentro io, nel mio cuore, attraverso il mio mondo interiore descritto dalla musica che mi sarebbe uscita, pur non avendo idea di quello che sarebbe venuto fuori. Quindi ancora prima, nel 1980, non essendo in grado di produrre musica, ma sentendo dentro una spiccata esigenza di creatività artistica, ho iniziato a dipingere alcuni quadri ad olio di stile astratto e metafisico e ho continuato sporadicamente fino ad oggi.
Dal 1983/85 ero in grado di comporre e produrre i miei primi “demo” con un computer e un registratore a tracce che già usavo da anni e ovviamente con i vari altri strumenti che potevo suonare. Di conseguenza uscirono dei dischi di sonorizzazione (Library Music, soundtracks per immagini) per la Flippermusic, che erano stati programmati in televisione e in radio.
Intorno al 1986/87 avevo finito il militare, mi ero diplomato al Conservatorio di Frosinone in Clarinetto classico e nel corso di Composizione e Arrangiamento Jazz, avevo finalmente la possibilità di essere attivo. Dopo aver avuto grossi problemi interiori - succede a tante persone di stare male internamente - ho iniziato a comporre con più assiduità e mi sono quindi dedicato totalmente a comporre le musiche più belle che io potessi comporre e che rappresentassero quello che avevo dentro, e specialmente che potessero trasformare la mia condizione di disagio interiore in equilibrio e speranza per il futuro. Due anni basilari per la mia vita.
Dopodiché ho fatto un Demo musicale in uno studio professionale suonando e sovraincidendo tutti gli strumenti; poi ci furono dei contatti con Los Angeles con alcuni dei miei musicisti favoriti, ed il contatto con la Verve a Tokyo, la casa discografica con la quale ho pubblicato il mio CD SILENT WILL, la casa discografica di Louis Armstrong, Charlie Parker, Count Basie, Duke Ellington, Billie Holiday, Bill Evans. Sono stato il primo italiano a pubblicare con loro, non ci sono stati altri italiani che hanno fatto prima di me un disco con una casa discografica “Major” come la Verve o Blue Note: è stato un po’ come un miracolo!
L'incontro
Descriviamo prima di tutto il mio primo incontro con Wayne Shorter.
Sono andato a Los Angeles nel 1989 per registrare appunto il mio album SILENT WILL per la Verve - come sapete Wayne è scomparso lo scorso anno - lui era Buddista già dagli anni ‘70. Avevo già avuto un contatto profondo con il buddismo di Nichiren Daishonin perché lo seguiva anche un mio insegnante di batteria, Carlo Bordini e mi ero reso conto che anche Herbie Hancock, Buster Williams, Tina Turner e molti altri musicisti lo seguivano.
Wayne Shorter mi invitò quindi ad incontrarlo, ricordo che arrivato all’aeroporto verso le 18:00, andai direttamente ad un incontro buddista (uno Zadankai con circa 30 persone) dove c'era lui, la sua seconda moglie Ana Maria ed il pianista Mitchel Forman che, in quegli anni, era il suo tastierista, grande musicista con il quale ho poi registrato in vari altri progetti e suonato dal vivo; lui ha suonato anche con la Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin.
Wayne aveva già sentito il mio demo e, a detta della moglie e della cognata Maria che poi canta anche un brano Dindi nel disco Supernova (Maria Booker) mi dissero che Wayne andava in giro per casa con le cuffie ed i walkman sentendo le mie musiche, dicendo: senti questo che ha fatto, senti questo che ha fatto! Era rimasto colpito poiché i brani li avevo suonati da solo con delle sovraincisioni. Quindi tutti gli strumenti che sentiva li avevo suonati io, una cosa che all'epoca non era diffusa, non erano in molti che lo facevano.
Andrea Marcelli con Wayne Shorter
Gli ho detto che adesso ero da solo a Los Angeles. Wayne Shorter mi disse: tu non sei solo, quando vuoi vieni a casa mia, vieni quando vuoi.
Mi ricordo bene questa immagine: stavo in macchina con lui e mi parlava in maniera entusiasta. Ma io non capivo tutto, perché l'inglese non lo sapevo bene, ero esterrefatto che mi parlasse in maniera così espansiva e che fosse interessato a me, considerando la differenza di età e posizione e di quanto io fossi un suo ammiratore già da molti anni. Capivo che fosse entusiasta del demo che avevo fatto, quando a Roma onestamente non interessava a nessuno, diciamo la verità. Però capivo chiaramente “great”, “incredible sound of clarinet”, uno dei più grandi jazzisti di tutti i tempi era rimasto colpito dal fatto che un giovane musicista “coming from the middle of nowhere” stava producendo delle composizioni con una propria spiccata personalità! L'entusiasmo che lui sentiva, il suo viso mi è rimasto impresso per sempre! Ho percepito questa cascata, questa valanga di energia positiva che usciva da Wayne, un Niagara di energia. Shorter sprizzava questa energia, questa positività, che poi ovviamente ha trasferito nella sua musica per oltre 60 anni!
Nelle seguenti settimane abbiamo continuato a parlare, io in maniera molto semplice. Successivamente Wayne scrisse queste parole:
“Andrea Marcelli’s music is as vibrant and thought-provoking as today’s events. Andrea is such a chameleon. When I first heard his music, it struck me that he played drums, clarinet, percussion, keyboards, and composed in a variety of styles that defied classification, moreover, his display of sensitivity and creative approach to the work produced.”
Dopo aver registrato l'album (Silent Will) sono tornato momentaneamente a Roma e ho invitato a casa mia alcuni conoscenti, gli ho messo la cassetta delle registrazioni e gli ho detto: Ecco, sentite il mio disco…
Non possiamo dire che la mia relazione in quegli anni in USA (1989-2001) sia stata uguale con tutti, sicuramente molto cordiale e professionale. Ma con Wayne Shorter, Allan Holdsworth e Mitchel Forman, sicuramente è rimasto un rapporto a livello più personale. Ci sono stati ovviamente molti altri musicisti con i quali ho stretto amicizia. Ho iniziato a seguire il buddismo e in quegli otto anni ho incontrato Wayne a casa sua, tutti i Natali, Pasqua, Thanksgiving o compleanni vari. In tutte le feste sono sempre stato a casa sua con varie altre persone; ci si incontrava almeno una o più volte al mese, anche nei centri buddisti. Ma anche se non l'avessi incontrato, la mia relazione musicale con lui, e anche con altri musicisti del passato, che non ho mai incontrato, ha originato una connessione di una profondità enorme che è sempre rimasta dentro me. Come se io avessi potuto sempre contare sul loro aiuto, tramite l’effetto propedeutico e guaritore della loro musica.
Il primo brano che registrammo di Silent Will (1989) fu Exit, i due solisti erano Mike Stern e Bob Berg con un'energia per me sorprendente, ed era la primissima volta che qualcuno suonava un mio brano in questa maniera così entusiastica, totale e senza freni. Mi ricordo bene la mia emozione quando iniziarono a suonare: Mike Stern e Bob Berg avevano un'enorme energia, che poi si sente anche nel mio disco e nei loro. Sono di una bravura sconcertante; è un po' come la differenza che c'è tra una partita amichevole e una finale di Coppa del Mondo.
I musicisti migliori, devo dire, suonano come se fosse l'ultima volta.
Bob Berg, Andrea Marcelli e Mike Stern
Sarebbe forse bene chiedersi che cos'è la bellezza e del fatto che una persona venga profondamente colpita da alcuni musicisti e rimanga assolutamente indifferente da altri, nonostante magari siano in attività da decenni e abbiano venduto milioni di copie, quindi siano molto apprezzati da altri ascoltatori.
A questo punto mi chiedo: ma anche quella è bellezza? Come è possibile che uno consideri una cosa meravigliosa mentre altre persone non siano assolutamente d’accordo? Forse la bellezza non è una cosa assoluta, ma personale. E` il proprio cuore che decide, e qualche volta cambia anche completamente idea.
Mi faccio spesso questa domanda: una persona ascolta dei brani di techno o brani dove praticamente non c'è melodia, non c'è armonia, dove la voce è corretta dal computer, la batteria è finta, mi chiedo che tipo di profondità e di valore ci può essere in qualcosa del genere? Ci vorrebbe un dibattito aperto su tutto questo.
Improvvisazione e strutture musicali
Un batterista di Jazz per esempio, cambia figurazioni ritmiche in continuazione, spesso ad ogni battuta e anche dentro la singola battuta; un percorso creativo che inizia nella prima battuta e finisce nell'ultima. Ecco questo è un elemento che in altri generi musicali non c'è. In altri generi ci può essere una bellissima canzone, o un progetto interessantissimo, ma questa continua creatività e assidua, non c'è. Una canzone è stata scritta e verrà interpretata in modo quasi uguale, 10 concerti e 10 versioni identiche, fino a che il produttore non decide di cambiare la versione, che generalmente viene arrangiata “a tavolino” e quasi niente verrà improvvisato. Possiamo anche dire che generalmente il jazz è un genere più complesso armonicamente. Non so neanche se sia giusto dire questo, però ti prende in maniera più profonda, o forse ognuno ha la propria bellezza?
Il jazz è iniziato alla fine dell'Ottocento, diventando di seguito popolarissimo con lo swing fino agli anni ‘40 e anche dopo, mentre nel frattempo si sviluppava il Be-bop rivoluzionando il genere e portando nuovi elementi creativi. Ovviamente poi anche il Be-bop è mutato e si è ramificato e fuso. Non intendo affermare che sia stato superato, ma che si è ramificato, pur sempre rispettato, e ha mantenuto determinati valori che sono rimasti come radice, anche se non sempre. Musicisti di varie nazionalità ed etnia hanno creato appunto delle ramificazioni, continuando a portare il jazz in altri lidi infiniti, creando altri valori estremamente interessanti e rappresentando sempre più etnie e colori provenienti da nazioni diverse. Non dimentichiamoci che comunque il Jazz si è sempre evoluto sin dagli inizi e con la parola “evoluto” non intendo dire migliorato, perché è sempre stato il prodotto migliore e sufficientemente moderno per rappresentare quel determinato momento storico.
Per fare degli esempi, che diano un'idea ai non esperti di Jazz. Ogni brano ha una sua struttura armonica (che si chiama chorus). Dopo l’esposizione del tema, l’improvvisazione, generalmente, avviene sulla base del chorus e questa struttura armonica viene suonata in maniera ciclica durante tutto il brano. Si potrà anche aggiungere una introduzione, interludio, coda e altro. Ma tornando al “chorus” di un brano, se per esempio prendiamo un Blues, generalmente di 12 misure, l'improvvisazione verrà appunto fatta in base agli accordi del suo chorus di 12 battute. Alcuni compositori invece hanno preferito scrivere delle armonie specifiche solo per la parte improvvisativa, non usando il chorus del brano, ma gli accordi arrangiati specificamente per improvvisarci, per poi tornare alla melodia finale del brano.
Mentre per esempio negli anni ‘60 in alcuni brani nel quintetto di Miles Davis e altri gruppi, dopo l’esposizione del tema, la struttura armonica del brano si apre, e sia il solista che la sezione ritmica, non seguono più il chorus della composizione ma improvvisano apertamente mutando le armonie in continuazione, nonostante il ritmo rimanga. Ron Carter aveva il compito di riportare i musicisti all’interno della struttura armonica. Inoltre, invece di considerare una nota teoricamente “sbagliata”, loro la usavano come se fosse una finestra che aprisse ad un nuovo mondo nel quale erano velocemente entrati, dando la possibilità di trovare nuove idee ancora più stimolanti. Così, ma con altre parole, è stato raccontato anche nell’autobiografia di Herbie Hancock, Possibilities.
In alcuni generi del jazz bisogna avere la consapevolezza di essere liberi e capire se anche tutti gli altri vogliano esserlo, perché a volte non tutti lo vogliono, alcuni preferiscono una solidità ritmica e armonica che gli permetta di non avere dubbi o sorprese su quello che sta succedendo in quel momento.
Considerando il lavoro del musicista, se vieni ingaggiato per suonare un determinato stile di Jazz, dovrai comunque rimanere nei canoni di quello che ti stanno chiedendo; in quel caso avrai il compito di rimanere comunque creativo e fresco durante tutta la durata della performance, rimanendo ancorato nei colori del periodo richiesto dal leader. Riguardo invece al jazz più moderno, per esempio l’avanguardia e l'improvvisazione totale del free jazz, avviene anche nel caso in cui si improvvisa qualcosa dal niente, quindi senza avere un brano, ma solo un dialogo completamente improvvisato estemporaneamente. In Germania ho avuto l'opportunità di collaborare con Alex von Schlippenbach, Markus Stockhausen e Sirone per esempio. Come incontrarsi in un una tavola rotonda e parlare di qualsiasi cosa. Chiaramente parliamo di musicisti che hanno, come si dice in inglese, un "ear training” molto elevato e ovviamente una apertura mentale e creativa molto sviluppata. Nella mia lunghissima collaborazione con il pianista Ekkehard Wölk, essendo entrambi estremamente appassionati di Musica Classica, del Jazz e dell’Avanguardia, abbiamo arrangiato in maniera molto creativa un repertorio vastissimo Classico e anche di musica da Film, ripercorrendo molti generi musicali in maniera spontanea ed intuitiva, da Martin Luther, Monteverdi, Bach, Mendelssohn, Nino Rota, Ennio Morricone e la maggior parte dei compositori Classici, fino all’avanguardia. Con lui ho anche suonato il clarinetto e colonne sonore di film muti. Il risultato varia o dovrebbe variare ad ogni esecuzione.
Wayne Shorter aveva un talento assoluto, tale che andava al di là di tutto. Una volta l’ho sentito suonare Summertime in duo con Joni Mitchell, in un concerto di beneficenza, lei chitarra / voce e lui sax soprano. Si potrebbe pensare: cosa si può fare con un brano così famoso come Summertime? E invece fecero qualcosa di una bellezza, inaspettata e nuova: uno che sa fare tutto e che ha fatto tutto e poi crea comunque qualcosa che ancora non esiste. Altri avrebbero suonato, magari benissimo, però basandosi su cose già conosciute, su accordi e pattern già conosciuti.
Mi ricordo un'altra volta - sempre parlando di creatività – in un incontro in un Centro culturale Buddista a Los Angeles con circa 400 persone, incentrato sul tema dell'amicizia; Herbie Hancock suonò un brano molto famoso che si chiama Just friends. Iniziò scegliendo gli accordi più semplici. Quindi l'esposizione del tema fu fatta in maniera molto semplice, nel secondo chorus, cioè la seconda esposizione del tema, cambiò gli accordi. Quando iniziò ad improvvisare, il terzo chorus cambiò ancora tutto, il quarto aveva completamente “disfatto” il chorus, in una maniera meravigliosa, sorprendente, nonostante fosse piano solo. Poi ritornò al tema iniziale in maniera comprensibile. Questo è un esempio che volevo dare, che può rendere l'idea dell’improvvisazione e di quello che potrebbe portare la creatività ad una bellezza che muta in continuazione.
Io sono un batterista che lavora da vari decenni nell’ambito musicale. Mi piace fare un paragone. In alcuni casi, è come se ti chiedessero una pizza Margherita e tu gli prepari una pizza Margherita, oppure qualsiasi altra cosa ti chiedano. Oppure diversamente ti dicono: vorrei una pizza a tuo piacimento e a quel punto ti viene data una opportunità diversa e devi essere pronto ad essere ancora più creativo. Per quanto, nel jazz, bisogna sempre usare la propria creatività per rimanere “veri” e se stessi in ogni situazione. Quando sono ingaggiato per suonare un certo tipo di stile, è chiaro in anticipo che io abbia determinati compiti: si tratta sempre di creatività, però parliamo di suonare il tempo in un certo modo e con determinati volumi e dinamiche. È difficile da spiegare, ma è un po' come in una partita di calcio dove tu fai il difensore e hai la licenza di fare il fluidificante e di attaccare, oppure no: ti ritrovi a dover seguire delle regole, che in alcuni casi possono essere cambiate, qualora tu e gli altri membri nel palco ne sentissero il bisogno.
Mentre parli cerchiamo di connettere quello che dici alla visione sistemica: c'era un antropologo che si chiamava Gregory Bateson che parlava del rapporto tra rigore ed immaginazione. Diceva che la vita, ogni sistema vivente, è caratterizzato da un equilibrio e da una coesistenza tra il rigore e l'immaginazione. Il rigore in termini concreti è il fatto che ogni forma di vita è qualcosa di organizzato e quindi immaginiamo, anche un motivo musicale abbia, debba avere una sua organizzazione interna, in qualche modo un suo ordine interno. Però ogni forma vivente è anche immaginazione, altrimenti non ci sarebbe stata l'evoluzione. Ogni tanto la vita si inventa nuove forme e infatti adesso esistono tantissime forme di vita sul pianeta. Quindi la vita stessa, come storia della vita sul pianeta, è una storia di creatività se vogliamo. Gregory Bateson parlava di questo, cioè della copresenza del rigore e dell'immaginazione: tu in un certo senso stai parlando proprio di questo, perché parli dell'addestramento dell'orecchio e quindi dici che tre anni vanno bene per imparare delle cose, ma tre anni sono ancora pochissimi per la musica. Ripeti che bisogna studiare, studiare ed ascoltare. Parli di rigore, al tempo stesso però parli anche di improvvisazioni progressive, come Herbie Hancock che “esce” sempre di più, per poi rientrare nel motivo di partenza in qualche modo.
Ci sarebbero molte cose da dire: premettendo che il termine “rigore” parlando di musica, jazz e arte, a me non piace moltissimo, ma certo ammetto che ci vuole rigore nella formazione del musicista, e anche nel successivo processo creativo, parliamo di anni e anni di studi. Per esempio le dita, le mani e gli arti, per arrivare ad un certo virtuosismo, devono avere una precisa impostazione, il suono deve essere intonato in tutte le note e anche in quelle acute, e deve sempre avere una sua bellezza.
Ci sono alcuni solisti nel jazz che non hanno una intonazione perfetta, ma comunque rimangono sempre dentro la bellezza e quell'essere non perfettamente intonato li rende magari più fragili e interessanti, mentre è impensabile che un musicista classico NON sia intonato alla perfezione. Cioè se non lo è, è un errore e anche il rigore negli studi sull’intonazione è importante. Alcuni musicisti hanno una preparazione particolarmente approfondita e anche classica, come Wayne Shorter, Herbie Hancock, Keith Jarrett, Bill Evans e tantissimi altri, mentre per esempio Wes Montgomery e Django Reinhardt, pur arrivando ad un livello musicale storico, erano autodidatti. La moglie di Bill Evans, in un'intervista, disse che non lo aveva mai sentito studiare jazz, lui a casa suonava e ascoltava in quegli anni solo ed esclusivamente musica classica.
Attraverso lo studio della musica classica si forma un vocabolario, un senso estetico del suono, della forma, delle dinamiche, dello sviluppo delle frasi musicali, dell’armonia e molto altro. Se noi non avessimo studiato molti anni la letteratura a scuola, non avremmo un vasto vocabolario, e non potremmo parlare con proprietà di linguaggio trovando difficoltà nell’esprimerci. Nell'arte, nelle diverse forme artistiche, c'è una parte che è fatta di regole rigorose, che poi ovviamente possono o devono essere, in alcuni casi, messe da parte. Suonare a certi livelli è una cosa difficilissima.
Non vorrei essere superficiale; ma sarebbe bene per chi non fosse informato, descrivere altre caratteristiche del Jazz, in ordine sparso. Non bisogna sottovalutare il fatto che ci sono tanti generi di matrice jazzistica, vari periodi storici e modi di improvvisare, tanti stadi e livelli di tutti i tipi. Faccio degli esempi, quando inizia il brano, magari si può suonare in maniera più stabile e semplice, quindi anche ritmicamente, per essere da supporto alla melodia e al solista, poi quando il musicista sente il bisogno di dare e ricevere ulteriori stimoli, trova ad istinto nuove dinamiche o sente di scomporre il ritmo più o meno sincopando o con delle poliritmie. Dipende con chi sta suonando ovviamente, se sono musicisti solidi più o meno aperti, oppure no. Se fai delle scomposizioni e ti rispondono, oppure no, vedi come reagiscono e se si sentono insicuri.
Una cosa che volevo dire: nelle sessioni di registrazione del quintetto di Miles Davis, generalmente non provavano; a differenza di Frank Zappa che invece, vista la difficoltà della sua musica, provava tutti i giorni; tra l’altro pagava i musicisti a settimana, quindi li teneva in studio giornalmente e per molte ore.
Mentre Davis credeva che gli stimoli che venivano da un brano completamente nuovo portavano a dei risultati ancora più stimolanti e freschi, la sorpresa che ti dà un brano mentre tu lo suoni per la prima volta è importante, sempre che uno sia in grado di suonare il brano senza averlo studiato in precedenza, il che non è scontato...
Nel caso di brani particolarmente difficili, come ad esempio Giant Steps di John Coltrane, successe che lui non aveva dato in precedenza la parte scritta ai colleghi, ed il pianista Tommy Flanagan dovette registrarlo senza averlo mai visto prima. Coltrane lo aveva studiato, Flanagan no, e la differenza si sente. Flanagan tutta la vita ha ripensato a questo episodio: un brano così difficile, specialmente all'epoca, era impossibile poterlo suonare bene a prima vista.
Abbiamo sentito anche il tuo ultimo lavoro “Abstract Percussionism” per la Flippermusic; è sostanzialmente una ricerca sul ritmo, l’astrazione, i suoni acustici, elettrici e la programmazione in MIDI. L'apporto e la scelta dei suoni acustici e/o elettrici è un altro argomento importante. Qualcuno considera solo l'acustico, qualcun altro invece ormai è completamente orientato verso l’elettrico ed elettronico. Tu hai delle idee molto particolari e personali anche perché poi sei abituato, già dalla fine degli anni ‘70, a usare i sistemi informatici, essendo anche un poli strumentista. Probabilmente hai messo insieme le due cose: il fascino del mondo acustico e altre soluzioni elettriche. Questo è un argomento importante che riguarda anche la bellezza della musica.
Le batterie elettroniche esistono già dagli anni ‘70 e si sostituiscono purtroppo troppo spesso ai batteristi “veri”, distruggendo il cuore della musica fornita dall’anima del ritmo “umano” pieno di forza e fragilità insieme, comunque sempre pieno dei valori della vita… ormai è chiaro che il suono di tutti gli strumenti acustici non potrà mai invecchiare, mentre alcuni suoni elettrici o elettronici spesso diventano datati, a parte il piano elettrico Rhodes che non potrà mai invecchiare.
Il mio progetto “Abstract Percussionism” è nato come una mia reazione interiore e creativa a tutto il movimento ritmico di freddezza della musica che proviene dai negozi vari, dai sottofondi, dalle discoteche, dalle auto nel traffico. Ho fatto il contrario, registrando in maniera completamente spontanea una marea di percussioni “vere” e provenienti da nazioni diverse come: Pandeiro, Caxixi, Shaker, Tamborim (Brasile), Tablas (Índia), Udu (Ghana), Riq (Líbano), Darbuka (Siria), Congas, Bongos, Cowbells, Claves, Maracas, Cabasa (Latin Percussion), Djembe, Kalimba (Sudáfrica) e altre. Ho sovrainciso attraverso il mio computer e con una interfaccia digitale, qualsiasi cosa che venisse dal mio istinto interiore, in maniera ritmica e/o completamente astratta, sovraincidendo poi Clarinetto, Flauti e Clarinetto Basso con colori di strumenti elettronici. Il risultato è completamente personale, per questo non facilmente comprensibile, il che avviene come reazione a tutti quelli che cercano a tutti i costi il "commerciale", io ho preferito la direzione opposta.
Andrea, un aspetto nella musica jazz che riguarda anche la bellezza è il suono, il proprio suono.
Che pensi dell'utilizzo degli strumenti acustici e della possibilità di usare strumenti elettronici, elettrici e della possibilità di usare computer per registrare digitalmente, anche alla luce della tua continua ricerca dei suoni?
Considero valida qualsiasi soluzione che viene dal cuore e dalla propria creatività, senza esclusione di “colpi”. Devo molto all’elettronica in quanto altrimenti non avrei potuto fare i vari tipi di demo, la preproduzione e tutta la musica di sonorizzazione che ho fatto negli anni. Pur essendo un profondo ammiratore di tutti gli strumenti acustici, trovo molto stimolante aggiungere anche quelli elettrici, che possono avere dei suoni bellissimi ed aprire nuovi orizzonti sonori.
La ricerca della bellezza del suono viene dalla musica classica, che è la musica che ci precede da secoli. Parliamo di centinaia di anni di studi sia di musicisti ma anche di tecnici e liutai, che hanno migliorato gli strumenti e le meccaniche per poter arrivare ai risultati migliori. Immaginiamoci i primi clarinetti, credo che dovessero essere piuttosto difficili da suonare; c’è voluto tempo per arrivare alla possibilità di avere un suono ideale classico, pulito, pieno, scuro o chiaro, caldo, espressivo, intonato e altro ancora.
La meraviglia è l'essere arrivati a un suono meraviglioso che non stancherà mai l'ascoltatore ed il musicista. Certo questo costa, al musicista, una fatica giornaliera enorme. Tutti vedono solo i risultati finali, senza rendersi conto che i musicisti hanno un periodo preparatorio infinito e soprattutto, non pagato finanziariamente. Se si vuole ambire ad avere un suono come i migliori solisti o comunque professionale, bisogna ogni giorno, per tanti anni, fare determinati esercizi, e superare vari tipi di problemi dello strumento. Ovviamente ogni strumento può presentare problemi diversi.
Una delle meraviglie del Jazz è che i migliori musicisti, pur suonando lo stesso strumento, hanno un suono talmente diverso che li si può riconoscere immediatamente, bastano tre note e si riconosce per esempio John Coltrane! Questo è Wayne Shorter, Jan Garbarek, Coleman Hawkins, Lester Young o Gato Barbieri! La differenza è talmente enorme che non ci sono dubbi.
Ci sono naturalmente molti Jazzisti più famosi che vengono dagli studi della musica classica, che rimane basilare per la storia di tutta la musica occidentale. Dipende da quale strumento si suona, alcuni sono più ancorati alla tecnica della musica classica, altri meno. Per esempio i chitarristi e bassisti elettrici hanno trovato vari tipi di tecnica indipendentemente da quella classica. Pensate poi anche alla moltitudine di suoni diversi che si possono trovare per via di amplificatori ed effetti vari.
Alcune persone hanno un rapporto con la musica incredibilmente profondo (e magari si commuovono ogni qual volta ascoltano determinati brani) mentre altri hanno un rapporto più o meno superficiale. Con il tempo, sta anche mutando la percezione musicale, anche per colpa delle batterie elettroniche e le voci dei cantanti che vengono ormai corrette dal computer, tanto da abituare l’ascoltatore ad un prodotto paragonabile ai fiori finti, i visi e corpi delle persone rifatti. La cosa per me sconvolgente è che anche cantanti che operano da decenni senza mai aver corretto la propria voce da un computer, quindi non ne avevano bisogno, ora invece se la fanno correggere.
Per esempio consideriamo da una parte un batterista che suona determinati ritmi, magari semplici, quasi come se fossero dei “Mantra” ma con una verve, e una interiorità che trasmettono un calore interiore, ad ogni tocco suonato. Come il battito del cuore - non ti basta mai ascoltarlo all’infinito, anche se è sempre la stessa cosa.
Dall’altra parte un batterista che ha concentrato la propria preparazione ad una grande velocità dell’esecuzione, quindi il controllo delle bacchette attraverso le dita, le mani, arrivando così ad una velocità impressionante, seguendo una situazione di grande effetto, tralasciando però i valori interiori di cui stiamo parlando e non dando importanza all’interiorità del ritmo.
I batteristi che ci precedono nella storia per decenni facevano un grande sforzo ad ogni singolo tocco o in ogni singola nota. Come se si dovessero fare 100 tiri di pallacanestro, o calci di rigore: dovresti concentrarti su ogni tiro per segnarli tutti!
Parlando di bellezza, un grosso problema è che quando ci si ritrova “circondati” da batterie elettroniche programmate da produttori che non hanno talento, che utilizzano macchine digitali in maniera fredda, avremo ascoltatori che prenderanno per buoni questi prodotti, distruggendo vari secoli di musica meravigliosa.
Esiste anche il problema di voler arrivare a correggere e quantizzare il ritmo, fino ad arrivare al fatto che anche un musicista tenda a suonare come una batteria elettronica.
Già dalla fine degli anni ‘70 alcuni gruppi (ma solo alcuni) hanno iniziato a cambiare il proprio modo di suonare. Da un calore interno che ti avvolgeva, a un modo simile alle macchine.
Poi anche la Disco music ha iniziato ad usare la batteria elettronica. Mentre in precedenza le ritmiche erano suonate da musicisti che suonavano in diretta, magari con due chitarre ritmiche, basso, batteria, percussioni varie, tastiere ritmiche, certo senza batterie elettroniche, e spesso anche senza il metronomo (ma con un metronomo umano interiore!). Questo dava la sensazione di una unità profonda, insieme c'era una specie di democrazia ritmica creando un'armonia assoluta, dove ognuno sentiva il tempo comunque a modo proprio.
In precedenza stavamo parlando della meraviglia del ritmo suonato con il cuore, qualsiasi ritmo ripetuto a lungo, paragonabile ad un mantra, regala delle sensazioni meravigliose proprio attraverso la ripetizione, purché suonato con grande interiorità. I pittori Europei all’inizio del ‘900 hanno ognuno trovato un proprio modo di dipingere che richiamava il proprio mondo interiore, senza pensare al prodotto commerciale. La bellezza è il risultato di una interiorità. Lo stato d’animo dell’artista è importante: se suono con amore, volendo dare un messaggio di incoraggiamento ad altre persone, potrò trasmettere sensazioni positive che rimarranno dentro tutti. Se invece penso di imporre la mia personalità, di trasmettere la mia bravura tecnica tralasciando il mondo interiore, se voglio che gli altri pensino che io sia il più bravo, il più veloce di tutti, confonderò alcuni ascoltatori, che penseranno: se suona così veloce, deve essere bravissimo! Ma torneranno a casa senza aver percepito nessun messaggio interiore.
In tal caso questo musicista non è onesto, in pratica non avviene nessun messaggio interiore dato dalla generosità; insomma il musicista in quel caso non è interessato alla a costruire una connessione profonda con il prossimo, ma solo ad imporre la propria tecnica.
Quindi la musica e l'arte (e la politica) non dovrebbero essere confusi con lo sport.
Il rischio è che gli ascoltatori vedano, come nello sport, quello che suona più veloce e pensino che sia il più bravo, mentre è bene distinguere tra colui che sta suonando con interiorità, che crea un valore interiore, indipendentemente dalla velocità di esecuzione e quello che invece ha solo la velocità delle dita, e che sembra bullizzare gli altri per imporre se stesso con il proprio egocentrismo.
Andrea Marcelli con Allan Holdsworth
I produttori, il mercato ti chiedono quali caratteristiche deve avere la musica per vendere; essere originali può a volte essere penalizzante; online si sente musica di persone che non verranno mai conosciute, musica diversa dal mainstream, dalle leggi del mercato. Gli artisti veri cercano la novità, la bellezza senza interesse a copiare quello che già ha successo?
Da questo punto di vista c’è a volte una mancanza di cultura dei produttori, dei discografici, o comunque disinteresse. Con il digitale siamo in un momento particolare: chi mette i soldi non è detto che abbia cultura; alcuni musicisti si prestano sia alla musica commerciale che a quella più creativa. Ci può essere anche musica commerciale bellissima… se un album vende molto non vuol dire che non sia creativo, può comunque essere un prodotto pieno di valori. Ma certo ci sono una quantità illimitata di progetti bellissimi che non verranno mai conosciuti, quindi magari qui faccio un incoraggiamento al lettore a cercare e visitare siti magari di musicisti poco conosciuti e dargli una possibilità, per poter scoprire nuove idee. Una vera “caccia al tesoro".
I musicisti generalmente hanno in testa una miriade di suoni e colori, anche suoni orchestrali; purtroppo l’orchestra è raramente possibile utilizzarla per gli alti costi. Attraverso le tastiere elettroniche, prima analogiche e poi anche digitali, è stato possibile creare un numero infinito di suoni che possono essere usati.
La prima cosa che mi ha colpito quando avevo 6/7 anni, e stato il suono dell’orchestra ad archi. Poi mi sono reso conto che è in parte possibile avere un effetto orchestrale anche con i sintetizzatori, che puoi sovraincidere. Uno strumento molto interessante che è nato con il jazz è stato il piano elettrico Fender Rhodes, che ha originato un’alternativa al pianoforte acustico; anche in questo caso il suo suono è stato campionato e aggiunto anche alle tastiere elettroniche. Con il proprio computer in casa si può emulare qualsiasi strumento; tanti anni fa negli anni 70/80 ogni nastro "2 per uno studio di registrazione poteva avere non più di 24 piste e costava molto; con il computer ed il digitale puoi registrare senza limite di tempo e non devi più usare i nastri. Io preferirei le registrazioni analogiche a quelle digitali, però sono pochi che se lo possono permettere.
La cosa meravigliosa del suono delle chitarre elettriche è stata che i musicisti sono riusciti a sviluppare dei suoni completamente diversi uno dall’altro, generando stili diversi dall’acustica. Hanno sviluppato caratteristiche che la chitarra non avrebbe avuto, ad esempio il suono lungo, come nel caso di Holdsworth, che, essendo appassionato di sassofono, riuscì con degli effetti, ad allungare il suono della sua chitarra fino a poter suonare note lunghe proprio come uno strumento a fiato.
Andrea Marcelli con Allan Holdsworth
Un grande musicista con il quale hai collaborato nel tuo album “Oneness”, Ralph Towner, sottolinea come le note siano simili alle parole in una frase. Quando ti capita di osservare e percepire la bellezza in un fraseggio musicale?
Andrea Marcelli con Ralph Towner
Naturalmente sono d’accordo con quello che dice Ralph Towner maestro nella costruzione dei soli e della composizione. Costruire un solo o una composizione come se fosse un discorso con un procedimento artistico e un'apertura verso la creatività, anche una frase musicale complessa con una propria logica artistica, quando deriva dalla interiorità, colpisce l’ascoltatore. In effetti Ralph Towner è talmente profondo e preparato da racchiudere nella propria musica, attraverso la sua grande personalità e preparazione, sia il jazz che la musica classica.
Comunque una parte dei musicisti jazz usano un certo numero di pattern musicali, in maniera creativa, frasi già fatte da altri musicisti, talmente belle, che sono rimaste famose entrando in una sorta di vocabolario del jazz, usato da migliaia di solisti. Alternando improvvisazioni ed idee completamente nuove, a pattern già conosciuti. Alcuni (pochi) geni assoluti nel jazz non hanno pattern, e in alcuni casi riescono a proporre idee nuove che si susseguono e che scaturiscono da quella precedente. Non ci scordiamo che anche Mozart, Beethoven, Vivaldi, usavano frasi e forme musicali che servivano per collegare e arrivare ai temi principali nella propria composizione.
Ovviamente quasi mai si riesce ad inventare completamente quello che viene suonato, anche nel caso della musica d'avanguardia ci sono comunque una serie di regole e ripetizioni, anche se può sembrare tutto nuovo. Ma interiorità e integrità dovrebbero essere sempre presenti.
Tornando alla bellezza: dov’è la bellezza, che cos’è?
Possiamo provare a parlarne facendo degli esempi: la bellezza di una rosa finta è difficile che potrà dare delle sensazioni profonde, pur avendo delle forme perfette. Mentre una vera rosa, anche se magari più piccola o imperfetta, può certamente essere ammirata; la sua spontaneità vera ed il suo profumo, riusciranno a suggerire stimoli infiniti alla nostra immaginazione.
Forse possiamo dire che la bellezza esiste quando viene percepita, dovrebbe suggerire delle sensazioni positive, dei sentimenti, toccare il cuore, portando benefici e incoraggiando chiunque.
Cercando di rimanere umili e realisti, potremmo seguire la bellezza e percepirla con il nostro cuore, invece che con la testa. Spesso mi capita di uscire da un mio concerto con il cuore pieno. Alcune volte si ascolta della musica e si percepisce la bellezza: in quel momento i tuoi problemi di vita non li senti più e vieni incoraggiato verso il futuro. Anche quella è la bellezza. Quando invece si suona solo per imporre la propria personalità e la propria tecnica sterile, secondo me, non è bellezza. Ammetto che quando vedo che un musicista spreca l'opportunità di trasmettere un messaggio, mi dispiace. Ovvio che il mondo della musica sia pieno anche di musicisti virtuosi che comunque suonano con la bontà del proprio cuore, costruendo ponti meravigliosi con l’ascoltatore.
La nostra conversazione deve incoraggiare le persone a cercare la musica, la bellezza, l’arte, cercando di infondere calore, speranza verso la vita, che possa essere un’isola dove poter andare nei momenti di difficoltà. Dobbiamo cercare questo nell’arte, nella musica, o in qualsiasi altra cosa, nella natura, nel proprio respiro, in un bicchiere d’acqua, nelle parole di un’altra persona: è questo il nostro compito.
Le conversazioni proposte nel saggio sono il risultato di due incontri con Andrea Marcelli nel mese di Novembre 2024.
(Giorgio Narducci e Sergio Boria)