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Riflessioni Sistemiche n° 31


Bellezza

Per una didattica della Bellezza

Silvia Montevecchi

È pedagogista, antropologa, per anni ha lavorato nell'ambito della disabilità, dell'educazione alla pace e al dialogo tra le differenze, nonché come cooperante per gli aiuti umanitari in situazione di emergenza (Africa, Haiti, Palestina). Specializzata in scrittura autobiografica (presso la Libera Università dell'autobiografia di Anghiari) lavora come insegnante di scuola primaria. Raccoglie storie di vita realizzando video interviste. Ha pubblicato vari libri. Per saperne di più: www.silviamontevecchi.it

Scarica l'articolo completo in formato PDF

Sommario

La bellezza come bisogno primario. Primordiale. L’articolo espone principi pedagogici e pratiche didattiche attuate con bambini di scuola primaria, per diversi anni. È arricchito da un contributo di Isabella Conti (ex sindaca di San Lazzaro e da poco eletta consigliera nonché assessora nella Regione Emilia Romagna) che sulla concezione della Bellezza come bisogno primario ha costruito buona parte del suo mandato amministrativo.

Parole chiave

Il pane e le rose. Etica. La Bellezza necessaria. Salvezza. Cura. Politica come gesto d’amore. Felicità. Patrimoni in cammino. Pace.

Summary

Beauty as a main need. Primitive. The essay talks about the pedagogical principles and the didactical practices implemented with primary school children, for many years. It is enriched with a contribution by Isabella Conti (former mayor of San Lazzaro and just elected adviser and councillor in Emilia Romagna), who has built a great part of her administrative mandate upon the concept of Beauty as a main need.

Keywords

Bread and roses. Ethics. The necessary beauty. Safety. Care. Politics as a love gesture. Happyness. Walking properties. Peace.

  

 

Ci sono così tante sfaccettature, significati, implicazioni, nel termine “Bellezza”, che è difficile trovare un punto di partenza per parlarne, e dunque anche per parlare di educazione alla bellezza.

Cercando in rete, trovo tantissimi stimoli, e tante interessanti interpretazioni e applicazioni.

Partirò da un dato autobiografico, da un’emozione: non posso vivere senza bellezza. E lo so per certo, per averlo sperimentato fisicamente.

Ho avuto la fortuna di nascere e crescere in un Paese bellissimo, che continua a stupirmi costantemente, nonostante le ormai molte primavere che ho alle spalle, e gli innumerevoli viaggi. L’Italia: il paese che custodisce – pur in uno spazio ristretto – il numero più alto di Patrimoni dell’Unesco: attualmente sono sessanta i beni materiali, cui se ne aggiungono diciotto immateriali. In questo Paese, basta davvero spostarsi di pochi chilometri, per trovare meraviglie e restare letteralmente a bocca aperta. Sicché, sono consapevole di essere cresciuta in questo tipo di tessuto, del quale non posso fare a meno. E infatti, avendo vissuto in vari Paesi del mondo, una volta mi è capitato anche di stare per alcuni mesi in una città che avvertivo davvero “brutta”, dove respiravo abbandono, sciatteria, mancanza totale di cura. Non dirò quale, ovviamente, ed è anche ovvio che se la bellezza è relativa e mutevole nel tempo nello e nello spazio, altrettanto lo è la bruttezza.

Estremamente interessanti sono, da questo punto di vista, i documentari inglesi della serie The sense of beauty, condotti da Dominic Frisby, trasmessi a lungo sui canali Rai e disponibili su Youtube. Un excursus tra concetti di bellezza nel tempo e nello spazio, a partire dal paleolitico, forse da prima ancora che si diffondesse ampiamente tra il genere homo l’uso della parola, e attraverso ogni continente.

Ad ogni modo, dicevo, per me fu così: abitavo in una quartiere con le strade sporche e dissestate, i palazzi anni ’50-60 con l’intonaco a pezzi, le finestre fatiscenti ma attrezzate con grandi apparecchi per l’aria condizionata, gocciolanti e macchiati, che riempivano pareti di sette piani e oltre. Giravo per quelle strade e provavo sgomento. Mi sentivo male fisicamente. Camminavo, o andavo in bici, o in auto, e non potevo evitare di pensare “che orrore, che tristezza!”. Era più forte di me, esattamente come quando cammino in posti meravigliosi e non posso evitare di provare gioia e voglia di vivere.

Del resto, se molti di noi sono stati abituati da piccoli a credere che tra la cicala e la formica la più saggia sia la formica… è pur vero che (ancor più dal covid in poi) abbiamo sperimentato materialmente, giornalmente, l’importanza vitale, ineludibile, della bellezza. Potremmo vivere senza le cicale? Potremmo fare a meno del teatro, dell’arte, della musica, dell’architettura, delle canzoni, dei film, … del parrucchiere, dei negozi di vestiti, della moda…? Il bisogno di bellezza, in realtà, da sempre ci pervade, è costante. Non è davvero possibile neppure immaginare la vita senza il ricorso alla bellezza, se consideriamo anche “solo” il dato genetico-evolutivo per cui, per riprodursi, qualunque specie animale passa attraverso un processo di seduzione. È vitale il pane, certo. Ma lo sono altrettanto anche le rose. Il pane nutre lo stomaco, il corpo; le rose sono il respiro, la fantasia.

Dunque, come dicevo, sono possibili molte interpretazioni e declinazioni quando parliamo di “educare alla bellezza”: come? Perché? Molte risposte le possiamo trovare nel libro, intitolato proprio “Educare alla bellezza”, di Simone Porro, che la analizza in sei ambiti diversi, tra estetica ed etica, nonché in una dimensione spirituale.

Nel sito web di una scuola superiore dei salesiani di Padova troviamo una definizione decisamente ampia, legata alla relazione, all’etica: “…  se il bello è un concetto soggettivo e mutevole nel tempo, lo si può insegnare? Educare al bello significa insegnare a saper cogliere quel qualcosa di diverso da noi stessi che ci arricchisce, ci completa, e ci fa crescere. Significa anche educare all’ascolto, all’attenzione, all’osservazione e alla

consapevolezza che tutto ciò che ci circonda è profitto. Educare alla bellezza significa coinvolgere i bambini e i ragazzi a migliorare il loro spirito critico, e suscitare in essi la voglia di tutelare, custodire, imitare ciò che ritengono bello. Si tratta, dunque, di insegnare a rintracciare le qualità positive che ci sono nella nostra realtà quotidiana”.

Ancora più profondo e toccante appare poi il ricordo di Peppino Impastato, con parole più volte citate e a lui attribuite: “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante nel davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione, ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore". La bellezza che salva, dunque.

Perché la bellezza, di fatto, è anche profondamente legata al concetto di felicità. E mentre pronuncio con la mente questa parola, il pensiero mi vola inevitabilmente alla Costituzione del Bhutan: unico paese ad inserire nella propria costituzione il concetto di Fil: Felicità interna lorda. Dove la felicità viene associata all’armonia. Ben-essere che non può – evidentemente – essere “prodotto” dal solo Pil. Bellezza e armonia… che binomio eccezionale!

Ciò che il Bhutan considera “armonia”, credo sia strettamente coerente con la visione batesoniana sistemica del mondo e dell’universo. Può esservi felicità senza armonia tra le parti? Può esservi armonia senza bellezza? Può esservi felicità in un mondo sempre più abbruttito, depauperato, depredato, stuprato?

E se la bellezza è necessaria, e purtuttavia in pericolo, come facciamo per educare all’amore verso di essa?

Non ci sono, lo sappiamo, ricette pronte in educazione, né percorsi che possano dare risultati galileiani, uguali per tutti. Ma ciò non può esimere chi lavora in educazione dal porre anche la bellezza come percorso e insieme traguardo da raggiungere. Del resto, la conoscenza, la cura e la conservazione del Patrimonio culturale, sono anche tra gli obiettivi della disciplina di educazione civica. I beni culturali, sono parti imprescindibili della nostra stessa memoria e identità, collettiva e individuale.

Personalmente, come insegnante di scuola primaria, ho realizzato molte volte progetti e percorsi in tal senso. Devo dire, come premessa imprescindibile, che lavorare in questo ambito stando su un territorio ricco di beni culturali – materiali e immateriali, museali, naturali, teatrali … - è tutt’altra cosa rispetto all’occuparsi di educazione al bello in un territorio che ne sia privo, e dove si respirino magari – al contrario – criminalità, abbandono, montagne di macerie o di rifiuti… Esprimo dunque tutta la mia stima, e la mia solidarietà, a quanti nel mondo svolgono il mestiere di insegnante o di educatore, in territori pervasi da orrori, corruzione, mancanze, violenze. Luoghi in cui educare al bello è come lanciare una corda oltre un muro. Cercare di far vedere l’impensabile. L’educatore diventa ancor più un equilibrista, e soprattutto un “visionario”. Capace di far vedere un sogno, un’utopia. La stessa che portò Altiero Spinelli, incarcerato alle isole Pontine, a immaginare l’Europa unita, per esempio. E anche questa è educazione al bello. Al futuro, alla pace, alla vita.

In particolare poi ho avuto la fortuna di capitare, come insegnante di scuola primaria, in un Comune – San Lazzaro di Savena - subito dopo l’elezione (2014) di una sindaca giovanissima, che aveva la Bellezza come punto cardine del suo approccio alla gestione della comunità. Dunque si poteva davvero respirare e toccare (con tutti i cinque sensi) la filosofia della cura nel bene pubblico, per creare nel presente e nel futuro un mondo migliore.

Ho chiesto a quella sindaca (eletta per due mandati, e ora ormai “ex”) un suo contributo per esplicitare il senso del suo agire. Credo che potrebbe/dovrebbe diventare un vero e proprio “manifesto” per chiunque voglia impegnarsi nell’amministrazione di un territorio.

La Politica della bellezza: un atto d’amore

di Isabella Conti*

 

Le città che abitiamo ci raccontano chi siamo: sono trame vive, tessuti che ci avvolgono, specchi che raccontano di noi e di ciò potremmo essere. Passeggiare per strade curate, sostare in piazze accoglienti, giocare in parchi ben tenuti significa respirare un’idea di futuro, costruita e voluta per accogliere.

Questo sguardo sulla bellezza non è una questione accessoria, ma il primo patto tra cittadini e istituzioni perché è proprio nel luogo fisico che troviamo un’estensione del nostro senso di appartenenza, il riflesso del valore che ci attribuiamo.

C’è chi pensa che il degrado urbano in alcuni contesti sia inevitabile ma che, tutto sommato, ciò non rappresenti un problema per la collettività: sono soltanto polvere e muri scrostati.

Niente di più pericoloso: il degrado delle città diventa una profezia silenziosa per chi ci nasce e cresce, una dichiarazione amara che sembra suggerire che valiamo meno.

È un messaggio che s’insinua nella coscienza e ci modella senza sforzo, ci toglie fiducia, ci fa credere che quel grigio sporco sia il nostro destino.

I bambini che crescono in luoghi trascurati imparano una lezione dolorosa: vivono come in un monito che dice loro, giorno dopo giorno, che la loro esistenza non merita dignità.

Questi luoghi trasmettono un senso di condanna che si sedimenta, invisibile, e inizia a scolpire la loro identità, come un soffio gelido su una fiamma.

Eppure, non è così che dovrebbe essere.

La bellezza nello spazio pubblico è un atto di ribellione contro la miseria dell’abbandono.

Ogni parco pulito, ogni marciapiede in ordine, ogni giardino fiorito è un’invocazione: la nostra comunità ha valore, la nostra esistenza è preziosa.

Gli spazi curati sono a loro modo pedagogici, come una mano che si tende a ricordarci che ci meritiamo di essere accolti.

Ogni cura di questi spazi è un abbraccio invisibile, una testimonianza silenziosa che parla al nostro cuore, come a dirci che non siamo soli, che ogni nostro passo è atteso, voluto, importante.

E in questa visione, lo spazio pubblico è anche cura, è medicina per la solitudine. Un parco che si apre con le sue panchine ordinate, un vialetto alberato che si snoda fino a una piazza luminosa, non sono solo scenari: sono rifugi per chi attraversa il dolore, per chi cerca sollievo nella tristezza. Non è un’esagerazione pensare che lo spazio pubblico possa sanare l’anima: la bellezza ha un potere redentivo, perché ci fa sentire parte di una comunità che si prende cura di noi. Camminare in una città che ci abbraccia con la sua grazia ci dice che non siamo abbandonati, che c’è un senso, una mano che ci guida verso la possibilità di essere migliori.

Ma lo spazio pubblico può essere ancora di più: un’aula a cielo aperto, un luogo in cui imparare non solo nozioni, ma la profondità del vivere insieme. Lezioni, eventi culturali, laboratori condivisi trasformano le piazze e i parchi in spazi educativi. Qui s’impara non solo a conoscere il mondo, ma a riconoscere il proprio ruolo in esso. Questo è il vero senso civico, quello che ci connette al nostro prossimo e ci rende capaci di cooperare per un bene comune. È un apprendimento silenzioso, che avviene attraverso la bellezza stessa e il rispetto che essa esige e trasmette.

In tutto questo, la politica diventa una guida spirituale, un atto di amore che cura il legame sentimentale tra la città e i suoi cittadini. La politica, quando sceglie di coltivare bellezza, si fa madre e maestra, ridisegna il patto tra istituzioni e cittadini, perché non si limita a governare: si prende cura, si fa custode del bene comune. Questa cura riporta alla luce un vincolo profondo, un’affinità che spesso dimentichiamo: la politica, nella sua forma più alta, non dovrebbe solo amministrare la realtà, ma guidarci verso un’idea condivisa di senso, di futuro, di comunità. Scolpisce l’anima stessa della città.

La bellezza degli spazi pubblici è dunque una promessa mantenuta, un atto di fede che lega cittadini e istituzioni, un ponte che riconnette l’umanità con il suo bisogno di radici e di futuro. È molto più che estetica: è riconoscimento e dignità, un simbolo di fiducia reciproca che ogni giorno ci ricorda che la città è casa nostra. Ogni parco, ogni piazza, ogni scuola accogliente custodisce i semi di una memoria collettiva, un’intimità che si costruisce nei piccoli gesti, nelle ombre degli alberi e nelle panchine che accolgono.

In questi luoghi, ogni giorno, prendiamo coscienza del nostro valore e del valore degli altri, come in una preghiera condivisa, come in una comunità che, passo dopo passo, si riprende il diritto di credere nella propria bellezza e nella possibilità di un futuro degno di essere vissuto insieme.

* Isabella Conti, avvocata, sindaca di S. Lazzaro di Savena (BO) dal 2014 al 2024,

 Assessore al Welfare, Terzo Settore, Politiche per l’infanzia, Scuola, Regione Emilia Romagna. 

San Lazzaro di Savena (BO) Piazza Bracci 2024, dopo la ristrutturazione e il nuovo arredo urbano

Sono stati molteplici gli atti di pura bellezza sperimentati negli anni della sua amministrazione, anche con i bambini: i grandi murales, realizzati da pittori professionisti nelle scuole del Comune, ne sono un esempio, come quelli di famosi sportivi, all’esterno di palestre e impianti sportivi. Ma anche i vasi di fiori lungo i ponti, i tanti alberi piantati nelle aree pubbliche (anche con la partecipazione delle classi, secondo la libera adesione dei docenti) per non parlare dell’arredo urbano nei giardini e dell’intero rifacimento della piazza centrale della città.

Non posso poi dimenticare l’importanza data dalla sindaca a determinati riti di passaggio, per fissare nella memoria dei bambini alcune loro fasi particolarmente importanti: per esempio, nel momento di salutare la scuola primaria per andare alla secondaria, invitò tutte le classi quinte in un’area pubblica, per partecipare tutti insieme alla piantumazione di un albero, che sarebbe stato per sempre “il loro albero”, proprio tra il palazzo del municipio e la chiesa centrale di S. Lazzaro. Un gesto proveniente dal cuore, certo non volto a raccogliere voti. Ma proprio un segnale per far comprendere – anche - che l’ambiente è il nostro, sta a noi averne cura e conservarlo al meglio.

 

 

 

Piccola “antologia” per una didattica della bellezza

 

Ribadito dunque il concetto per cui occuparsi di bellezza in un luogo che ne è ricco è decisamente più facile che in un luogo che ne sia privo, tenterò di enumerare alcune attività concrete, piccole, con bambini della scuola primaria, da me svolte negli anni; una brevissima rassegna, che mai si ripete, perché difficilmente riesco a fare la stessa cosa per più di una volta.

 

A)

In una seconda elementare, quando iniziammo ad imparare la scrittura in corsivo, usando il quaderno a righe, lo chiamammo Il quaderno della bellezza. E ogni lettera dell’alfabeto era associata ad un’immagine davvero bella, esteticamente o simbolicamente. Ricordo che un bambino, guardando quelle letterine e le immagini collegate, disse: “Sembra poesia!”. Tutto il quaderno esigeva particolare ordine, e cura. Non doveva solo essere scritto correttamente, doveva essere bello! La pagina iniziale del nostro quaderno recitava così:

Il corsivo è bellissimo

Questo è il nostro alfabeto di cose belle

Per gli occhi e per la mente

E ogni pagina proseguiva con: A come Artista, e poi le Bolle, che magia!  C come Castello, d come Dante, uno dei più importanti poeti di tutti i tempi. Poi E come Emilia, l’antica strada romana che attraversa la nostra città.  F come Firenze. Una delle più belle città del mondo. E via così: H di Hokusay, i di Istanbul, y come Yacopo della

Quercia, K di Kroton, L di Leonardo da Vinci, M di musica, n di nonni, o come opera lirica, p di Picasso, q … tanti bei quadri, r per Roma, s come sentieri di montagna, t come le Torri della nostra città (Bologna). U come Urbino, la splendida città creata dal duca Federico. V come vigneti, che creano paesaggi mozzafiato. W come Wolfgang A.Mozart, che ascoltiamo alla Lim, x come Xi Jang.

Naturalmente ogni nuova parola veniva studiata e sviscerata, grazie alla Lim, che ci apre infinite finestre sul mondo. Fu davvero una immersione per i bambini, che compresero maggiormente l’importanza della cura nelle proprie cose e in generale in ciò che ci circonda. Il bello, dipende (in gran parte) da noi.

 

B)

Con un ciclo di qualche anno fa, organizzai in aula un vero e proprio spazio dedicato alla cultura del bello: era una sezione di uno scaffale in cui avevo sistemato testi monografici dedicati ciascuno ad un artista. Era importante poter avere tante immagini di pitture e sculture, da sfogliare liberamente, in cui rendersi conto di quanto l’espressione artistica possa essere variegata, in quanti modi ci si possa esprimere, come l’espressività sia cambiata nel corso dei millenni… come sia possibile fare alberi blu, o viola, case multicolori, montagne che sembrano muoversi… Insomma, educare cercando di uscire dagli stereotipi. Educare alla bellezza, è inevitabilmente EDUCARE ALLA DIVERSITÀ. Ci sono infiniti modi per dipingere il mare, o una foresta, un viso di donna, un corpo di bambino… Poter avere accesso all’espressione artistica, è davvero un grande privilegio, un nutrimento. Soprattutto se non si ha la possibilità di visitare musei nelle vicinanze, lo scaffale della bellezza e dell’arte è certamente utilissimo, se non fondamentale.

Gestione delle proprie opere d’arte

C)

Con una prima elementare utilizzai, anni fa, per tutto l’anno scolastico, la metafora del giardino. La classe era un giardino, i bambini erano i fiori, che stavano per sbocciare. Noi maestre, alberi su cui poter salire, aggrapparsi, appoggiarsi all’ombra, dormire…  Per diversi mesi tenemmo in classe un paio di cassette con piantine di erbe profumate: origano, salvia, timo, menta, cipollina, basilico… Era uno spasso vedere, subito al mattino, i bambini che andavano lì ad annusare! E come ci tenevano a fare in modo che quelle piantine stessero bene!

Fu un bellissimo lavoro, sulla bellezza della natura, sui doni che ci offre. La necessità di curarla e rispettarla.

Angolo erbe profumate

Con le famiglie in visita alle Serre dei Giardini Margherita

D)

Il lavoro forse più impegnativo, proprio improntato alla bellezza, tanto da averla nel titolo, fu la realizzazione – con una classe quinta – di un video sulle regioni italiane.

Non è sempre facile far amare lo studio della geografia. A volte è presentato in modo estremamente nozionistico: confini, clima, fiumi, montagne… un elenco peggio dei vecchi numeri telefonici.

Amo presentare la geografia nella sua complessità, nella sua stratificazione: sociale, ambientale, economica, storica, climatica, antropologica, religiosa, artistica, musicale…

Quale opportunità migliore se non partire proprio dalla BELLEZZA delle nostre regioni?

Studiammo cos’è l’Unesco, e come definisce i “Patrimoni dell’Umanità”. Una volta scoperto che noi ne abbiamo tantissimi, siamo partiti alla loro conoscenza.

Ogni regione è stata uno scrigno di tesori, in cui non ho risparmiato nulla: dalla musica sarda, alle isole in cui si verificò il sogno dell’Europa unita; dalle rocce dolomitiche alla valle dei Templi.

Il video, che dura più di venti minuti, in cui ciascun bambino racconta una regione, è visibile sul mio canale youtube.

Geografia della bellezza

E)

Al di là delle molte attività più o meno specifiche, tengo a precisare che ho sempre dato molta rilevanza alla manualità in generale, anche queste in modo trasversale, interdisciplinare: pittura, grafica, lavoro a sbalzo su rame, collage, mosaico, cucito… Tutte modalità per ricercare ed esprimere in modo personale valori etici ed estetici. Per comprendere e penetrare diverse discipline, attraverso la creazione di manufatti individuali: dalle pitture sull’evoluzione del mondo, ai mosaici a Ravenna, dalle pitture per gli spettacoli teatrali ai costumi per carnevale, dalle decorazioni natalizie ai regali per la celebrazione dei nonni… Tutto puntando sempre alla cura, al fare come perseguimento del bello e del dono, per noi e per gli altri.

In questa multimedialità rientra anche la musica: disciplina che amo e sono felice di insegnare, con un approccio che abbraccia ogni area geografica e ogni epoca storica possibile. Grazie alla tecnologia della Lim, ascoltiamo e osserviamo veri e propri concerti, dalle tradizioni più diverse, e anche questo ci educa alle tante declinazioni del Bello. Strumenti medievali e rinascimentali, melodie e danze celtiche, giapponesi, africane, klezmer, lapponi… ritmi giamaicani, brasiliani, romeni, congolesi… tutto è conoscenza di quanto il genere umano sia stato capace di costruire in positivo, attraverso secoli di incontri, scambi, intrecci e sovrapposizioni.

Visita museo Tappezzeria

F)

Nel 2024, in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio – 28 e 29 settembre – con il coordinamento del Ministero per i Beni culturali, è stato identificato un tema portante: PATRIMONI IN CAMMINO. Dal sito web dedicato, Tornano le Giornate europee del patrimonio – GEP 2024 – Direzione generale Musei (beniculturali.it) se ne ricavano contenuti e obiettivi:

IL TEMA

Il tema italiano delle GEP 2024 “Patrimonio in cammino” riprende lo slogan europeo “Routes, Networks and Connections”, scelto dal Consiglio d’Europa e condiviso dai Paesi aderenti alla manifestazione. È un invito a riflettere sul valore del patrimonio culturale in relazione a cammini, vie di comunicazione, connessioni e reti che, oggi o in passato, hanno reso possibili relazioni e scambi fra i popoli e le culture e contribuito alla formazione della nostra identità.

Si invita dunque a prendere in considerazione il patrimonio culturale di ambito locale collocandolo in una dimensione più ampia, e a cercare in esso le tracce delle relazioni fra le genti che si sono mosse per terra e per mare, incontrandosi e condividendo conoscenze, pratiche culturali e artistiche, ma anche attività commerciali, credenze religiose, abilità artigianali e agricole, innovazioni tecniche.

Se visto da vicino, tutto ciò che ci circonda può dirci qualcosa sul tema del “Patrimonio in cammino”: il paesaggio storico; le città e i villaggi, con le loro case, palazzi, edifici religiosi, spazi pubblici; le realtà rurali e gli stabilimenti produttivi; i luoghi di approdo, di sosta, di passaggio; le vie di comunicazione; i confini, i sistemi di difesa; la diffusione di costumi e tradizioni, pratiche agricole, tecniche artigianali e artistiche, nuove tecnologie, prodotti digitali. I manufatti e le opere d’arte conservati nei musei o presenti nella quotidianità sono testimoni di questi scambi e della circolazione di saperi.

Il tema offre dunque l’opportunità di esplorare secondo molteplici prospettive l’evoluzione della nostra cultura e di come questa condizioni oggi il modo di vivere, lavorare, studiare, passare il tempo libero.

Nell’anno scolastico 2024-25 ho così scelto questo tema come filo rosso per varie attività, sempre in ottica interdisciplinare, strettamente intrecciate tra loro: storia, geografia umana, ambiente, arte, tecnologia, musica, religioni, nonché il nostro laboratorio teatrale, condotto da un esperto regista esterno.

La cultura, e tutta la bellezza che abbiamo intorno, sono il frutto di movimenti, di incontri; di scambi e di migrazioni a volte lunghissime.

Ciò che noi, Homo sapiens, siamo oggi, proviene dall’Africa, dal lunghissimo e lento cammino per uscire dalle savane e andare verso il mondo, in cerca di una vita migliore.

In questo infinito percorso, si sono sviluppati e incontrati modelli diversi: la scoperta dell’agricoltura, della ruota, della scrittura… saperi astronomici, matematici, religiosi, tecnologici, musicali… popoli provenienti da ogni dove si sono incrociati (a volte pacificamente, più spesso con iniziali conflitti, anche lunghi e cruenti) nella nostra penisola, arricchendone il patrimonio genetico, linguistico, architettonico, culinario...

Tutto ciò che noi siamo oggi, dai nostri dialetti a ciò che mettiamo ogni giorno nel piatto, dalle pitture rupestri al guerriero di Capestrano, dalle tombe etrusche alle sculture romane, dalla pizza al culto del caffè, fino alle feste con Babbo Natale e i mostri di Halloween… tutto è inevitabilmente frutto di grandi viaggi e di reciproci scambi.

La bellezza dunque, è anche esplorazione e curiosità. Ciò che, come il cibo nutriente, non deve mai mancare nelle nostre vite.

 


Bibliografia e sitografia

 

  • Porro Simone, 2018. Educare alla bellezza, Elledici.

  • Documentari: (98) The sense of Beauty - In Italiano - YouTube

  • Educare alla bellezza in un mondo sempre più accelerato. La bellezza: cos'è e come si educa al "bello" nel XXI secolo?

  • Perché è così importante educare alla bellezza – Articolo di Maria Letizia del Zompo, con citazione e riflessione su Peppino Impastato.

  • Sito web dell’autrice: www.silviamontevecchi.it

  • In questa pagina del mio sito Video realizzati con i bambini a scuola si trova il sommario a tutti i video da me realizzati con i bambini alla scuola primaria. Tra di essi, anche quello citato nell’ambito di una geografia umana attraverso l’osservazione della bellezza di ogni regione italiana: Il nostro meraviglioso Paese.

  • In questa pagina si trovano i link a tutti gli album fotografici delle attività didattiche da me svolte in anni di scuola primaria Silvia Montevecchi Blog - Pedagogie 

A.I.E.M.S. - Associazione Italiana di Epistemologia e Metodologia Sistemiche

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